Giugno 2nd, 2017 Riccardo Fucile
DOPO ANNI DI BATTAGLIE CONTRO I CAPILISTA BLOCCATI, LA PREMIATA AZIENDA E LA SETE DI POTERE DI COCCOBELLO SPUTTANANO IL MOVIMENTO
Ecco la perdita dell’innocenza, proprio sui “nominati”, vero cemento dell’accordo sul “tedesco all’italiana”.
In un post mattutino, molto duro, Beppe Grillo soffoca il dissenso: “I portavoce del MoVimento 5 Stelle in Parlamento voteranno a favore del testo, come deciso dai nostri iscritti”.
Dopo anni di battaglie contro i capilista bloccati, vietato aprire il dibattito, anche ora che c’è un testo che li inserisce.
Grillo sostiene l’opposto e su questo ordina disciplina. Conta la volontà della mitica rete, che ha votato a favore del tedesco che si usa in Germania, senza leggere la sua traduzione italiana: “I portavoce del MoVimento 5 Stelle devono rispettare questo mandato perchè il testo depositato in commissione mercoledì sera corrisponde al sistema votato dai nostri iscritti”.
È evidente il riferimento a quei parlamentari – Fico, la Taverna, tanti altri – che avevano paragonato questa legge, una volta letta, a un Porcellum (leggi qui come favorisce i capilista bloccati).
La rivolta, più o meno rumorosa, ha fatto vacillare l’accordo col Matteo Renzi e Silvio Berlusconi: “È dovuto intervenire — sussurrano i parlamentari dell’ala non ortodossa — perchè sè scoppiato un casino, e se scoppia un casino salta l’accordo. E se salta l’accordo salta tutta l’operazione Di Maio”.
L’operazione è la costruzione della sua premiership alle elezioni. Non a caso è lui, oltre al Fondatore, l’unico a parlare e ad avere diritto di parola, in una giornata in cui il post ha cucito le bocche di tutti: “C’è una trattativa in corso per approvare la legge elettorale. Il nostro obiettivo è andare al voto il prima possibile”.
Voto presto, prestissimo perchè la paura che precipiti Roma per i Cinque Stelle è pari a quella di Renzi del voto siciliano, e la convergenza delle paure porta al desiderio del 24 settembre o 1 ottobre.
E porta alle liste bloccate il più possibile, con un sistema in cui il leader decide le candidature.
Davide Casaleggio, il più alto del sistema centralizzato, punta su Di Maio come referente politico e attorno gli sta anche creando uno staff: “La guerra sulla legge elettorale — dice un dissidente — si spiega solo con la guerra tra di Maio e gli altri. Lui mette i capilista e gli altri rischiano di stare fuori”.
E il vice-presidente della Camera si gioca proprio tutto su questa legge. È lui che ha aperto al tedesco, recependo l’appello di Mattarella sull’urgenza di una legge elettorale.
Se dovesse saltare l’accordo ne uscirebbe azzoppato. Tutto racconta di una sete di potere: il Palazzo, il governo, la stanza dei bottoni, i fedelissimi, la squadra su cui si è già al lavoro, a partire dal futuro ministro dell’Economia, figura attorno alla quale sono partiti dialoghi coi mondi che contano.
Si spiega così il comportamento iper-trattativista in commissione affari costituzionali, con l’obiettivo di non far saltare l’accordo — o l’inciucio — sui capilista bloccati.
Danilo Toninelli propone emendamenti — dalle candidature al premio del 40 — senza aut aut e soprattutto nessuno propone l’unico che minerebbe il radice il patto sui nominati, ovvero sul voto disgiunto.
Prosegue il parlamentare: “Per ora regge, è difficile prevedere cosa succede da qui a domenica. C’è l’inferno”.
Il problema è la pressione ambientale. Commenti sui social: “Non vi votiamo più”, “non si può minacciare espulsione se uno critica questa legge”.
Rimbalza la parola Porcellum e il severo editoriale di Marco Travaglio, sulle differenze tra il modello tedesco vero e il pasticcio all’italiana.
E sul modello tedesco si sono espressi gli iscritti, sull’altro sono state zittite le critiche.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 2nd, 2017 Riccardo Fucile
IL POST DI GRILLO INONDATO DI COMMENTI NEGATIVI SULLA LEGGE ELETTORALE: “IO HO VOTATO SI’ AL MODELLO TEDESCO, NON A QUESTA SCHIFEZZA”
Il ‘Tedeschellum’ non piace alla base M5S, a cominciare dalle liste bloccate e delle pluricandidature. Nella bacheca del blog di Beppe Grillo, proprio in calce all’ultimo post del fondatore, le posizioni critiche sono nettamente prevalenti.
“Con questa cagata di legge elettorale — scrive Stefano Tartaglione – nemmeno i vincitori dei collegi plurinominali saranno sicuri di entrare in Parlamento, perchè dovranno accodarsi dietro il capolista del listino proporzionale. Praticamente è un fake clamoroso, un finto plurinominale!”.
E aggiunge un invito ai parlamentari: “Ragazzi, non votate questa schifezza così com’è adesso, altrimenti è molto probabile che io finisca di credere in voi e che non vi voti più”
Uno stato d’animo comune a molti sostenitori M5S, che chiedono ai parlamentari di non scendere a patti con le altre forze politiche.
“Da vostro elettore e accanito sostenitore sin dal lontano 2009 vi posso dire che del movimento originario non sta rimanendo più niente. Mi sembrate sempre più vicini a quello che avete sempre contestato”, scrive per esempio luca Losavio da Torino.
Giuseppe sottolinea che la proposta messa al voto online non è quella che il M5S vuole votare adesso in Commissione.
“Io ho votato sì al modello tedesco, che non prevede le liste bloccate. Questo abbiamo votato! Accordi a tutti i costi no, gioverebbe solo a Renzi e Berlusconi”, dice.
E molti la pensano come lui. Corrado P. ad esempio spiega: “Veramente non abbiamo votato il testo del Pd. Del sistema tedesco non ha nulla. Temo che abbia ragione il deputato Taverna”.
Michele De Palma si rivolge direttamente a Grillo e cita l’analisi critica del Fatto Quotidiano, “che evidenzia come la legge proposta non abbia niente della legge tedesca, tranne il 5%, e come sia molto più simile all’Italicum nei suoi aspetti più negativi […]. Non sono iscritto al M5S, ma da quando esiste gli ho dato sempre fiducia col voto (per inciso, ti informo che ho 76 anni). Si sono levate voci critiche nel Movimento che chiedono modifiche alla proposta, ma tu le minacci di espulsione, stando a quanto scrivi, dando valore alle critiche di chi dice che nel M5S non c’è democrazia. Forse gli iscritti — continua De Palma- hanno votato, ma a giudicare da alcuni commenti, anche chi ha votato a favore pensava che la proposta fosse diversa”.
Anche Oreste si rivolge direttamente a Grillo: “Beppe visto come stanno andando le cose con l’inciucio tra Pd e Fi e qualche amico sarà nostra convenienza o meglio, convenienza dei cittadini abbandonare questo trabocchetto e rientrare sulla nostra prima legge elettorale che si presentò con Toninelli. Infine che si voti alla scadenza della legislatura, tanto le patate bollenti se le dovranno cucinare loro”.
Nei post non mancano quelli a difesa del voto online, alcuni dei quali se la prendono coi parlamentari critici. Ma la stragrande maggioranza contesta l’intesa sul Tedeschellum.
“Caro Beppe, anche io ho votato sì, ma mi riferivo al sistema tedesco vero, reale, non questo aborto. Capilista bloccati, niente voto disgiunto, nessuna preferenza se non i 4 nomi che portano a elezione sicura del capolista. Lasciagliela fare a loro questa porcata. Teniamoci fuori”, è l’appello di Gaetano Amato.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 2nd, 2017 Riccardo Fucile
LA FRASE VERGOGNOSA DI ANTONELLA DI NUNNO, CANDIDATA M5S A CANOSA …IL PARTITO PRENDE LE DISTANZE, LEI ALLA FINE SI AUTOSOSPENDE
“Quanto fanno schifo i negri?”. Queste, secondo quanto pubblicato dall’esponente Pd calabrese Anna Rita Leonardi, sarebbero le parole di una delle candidate del M5s alle comunali di Canosa, ovvero Antonella Di Nunno.
La Leonardi ha pubblicato su facebook lo scambio di una conversazione in cui la Di Nunno scrive parole razziste scatenando una successiva marea di indignazione sui social.
La candidata ha successivamente non solo cancellato le frasi, ma anche rimosso il suo profilo e si è autosospesa dal MoVimento.
M5s che prende le distanze: “Il Movimento 5 Stelle si dissocia dal contenuto di tali diffamanti e calunniose affermazioni che non rappresentano in alcun modo i valori ampiamente condivisi dalla stessa lista e dal Movimento”, si legge in una nota.
“Al fine di tutelare l’immagine del Movimento la diretta si è autosospesa consegnando nelle mani del candidato sindaco la relativa dichiarazione”
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 2nd, 2017 Riccardo Fucile
MACRON A MUSO DURO AL TELEFONO CON TRUMP CHE IPOTIZZAVA UNA TRATTATIVA: “NESSUNA TRATTATIVA, NON ESISTE UN PIANO B PERCHE’ NON ESISTE UN PIANETA B”
Cinque minuti al telefono per ribadire a Trump la fermezza della Francia nel rifiutare nuovi negoziati che mettano in discussione gli accordi di Parigi.
E poi una sfida frontale durante il discorso pubblico all’Eliseo.
Emmanuel Macron ha preso in mano la situazione dopo l’annuncio dato dal presidente Usa del ritiro americano dalla piattaforma internazionale sul clima. I
l neo-eletto capo di Stato transalpino ha detto al suo collega di Washington che “gli Stati Uniti e la Francia continueranno a lavorare insieme, ma non sul tema del clima”. E la linea dello scontro è diventata ancora più evidente quando, parlando in inglese e rivolgendosi agli americani che dissentono dalla posizione della Casa Bianca sull’accordo di Parigi, il presidente francese ha “scippato” la frase cult di Trump – “Make America great again” – rilanciandola in chiave ecologica:”Make our planet great again”.
“Ingegneri, scienziati americani che lavorate sul clima – ha detto Macron – vi lancio un appello. Venite a lavorare in Francia, con noi”.
In precedenza, parlando in francese, aveva affermato di “rispettare la decisione sovrana” di Trump definendola però “un errore per l’interesse del suo popolo e per il futuro”.
Concetti cribaditi anche in inglese, rivolto direttamente agli americani: “la Francia crede in voi, il mondo crede in voi. Siete una grande nazione, vi siete schierati contro l’ignoranza e l’oscurantismo. Ma sul clima non ci sono piani B, perchè non c’è un pianeta B”.
Dal punto di vista operativo, la linea della fermezza si tradurrà in un asse tra Ue e Cina per portare avanti comunque le linee guida dell’accordo rigettato ora da Trump. A trainare il programma sarà il triangolo tra Parigi, Berlino e Roma, con i tre leader che in una dichiarazione congiunta hanno ribadito che gli accordi sottoscritti non possono essere rinegoziati.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 2nd, 2017 Riccardo Fucile
LA SCELTA SCELLERATA DI TRUMP NON DANNEGGERA’ SOLO L’AMBIENTE, MA ANCHE L’ECONOMIA E IL LAVORO
La decisione di Trump sugli accordi di Parigi non danneggerà solo l’ambiente, ma anche l’economia e il lavoro.
Gli Stati Uniti rischiano di perdere oltre 4 milioni di posti, quelli attualmente generati dalle energie rinnovabili, un numero letteralmente triplicato dal 2008.
I lavori verdi — in particolare nel fotovoltaico e nell’eolico — sono cresciuti a una velocità 12 volte superiore rispetto al resto dell’economia, secondo uno studio dell’Environmental Defense Fund (EDF), come ricorda oggi John Podesta, ex consigliere di Obama, sul Washington Post.
A questo incremento ha contribuito sicuramente un abbassamento dei costi di produzione e di installazione degli impianti, anche grazie a incentivi federali e locali.
Il numero dei lavori verdi in Europa è intorno ai 3 milioni e mezzo, pari a circa il 22 per cento del lavoro regolare salariato, più di quanto offrono le industrie automobilistica e farmaceutica.
In Italia si stima che le rinnovabili oggi creino circa 13 posti su cento e di certo assorbono figure qualificate e specializzate, in un Paese afflitto dalla disoccupazione intellettuale.
Secondo gli esperti, per incoraggiare il settore servirebbero un maggiore investimento pubblico — non solo incentivi -, un più facile accesso alle fonti rinnovabili e la liberalizzazione dell’energia prodotta.
Alla vigilia delle nostre elezioni politiche, questo dovrebbe essere un punto prioritario per qualsiasi partito che voglia definirsi quantomeno contemporaneo.
(da agenzie)
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Giugno 2nd, 2017 Riccardo Fucile
VOLANO DIMISSIONI TRA CHI FINO A IERI AVEVA SOSTENUTO TRUMP
Trump silurava l’accordo storico di Parigi, e Steve Bannon, il consigliere stratega ultra conservatore della presidenza, sorrideva tra le rose del giardino della Casa Bianca. L’America è fuori dallo storico accordo di Parigi.
L’industria statunitense non ci sta e si fa sentire.
“Caro presidente Trump, come rappresentanti delle più grandi aziende americane, le chiediamo vivamente di tenere gli Stati Uniti dentro all’Accordo di Parigi.” La lettera, scritta e firmata dal gotha dell’industria americana, non è servita a niente.
L’appello, apparso per diversi giorni su New York Times, Wall Street Journal e New York Post, prima dell’annuncio ufficiale di ieri sera, è stato firmato non solo dai giganti della Silicon Valley, ma da tutti i top manager dell’economia statunitense. “Stiamo investendo nelle tecnologie innovative che possono aiutarci a conquistare una transizione verso l’energia pulita – continua la lettera – E proprio in virtù di questo passaggio, il Governo deve supportarci”.
C’era ancora la speranza che Trump ci ripensasse. Non è successo.Le reazioni indignate sono state immediate. Il pianeta Twitter è stato inondato di emozioni, dissensi e dimissioni.
Tre tra i nomi più prestigiosi del gruppo dei consiglieri economici della Casa Bianca, hanno lasciato lo staff.
Primo fra tutti, Lloyd Blankfein. Il CEO della Goldmnan Sachs, che per l’occasione ha twittato per la prima volta in vita sua: “La decisione di oggi è un ostacolo per l’ambiente e per la posizione della leadership americana. E il suo dissenso non è poco, visto che in molti si sono sempre riferiti all’amministrazione Trump con l’appellativo “Government Sachs”, dato il numero impressionante di personaggi sbarcati alla Casa Bianca.
Secondo a lasciare, Elon Musk. Il numero uno di Tesla, che aveva già minacciato provvedimenti seri se Trump avesse silurato l’Accordo, ha twittato: “Lascio i consigli presidenziali. I cambiamenti climatici sono reali. Lasciare Parigi non è una buona idea nè per l’America nè per il mondo”
Terzo, ma non meno influente, l’Ad della Disney. Robert Iger ha lasciato Trump twittando: “Mi dimetto per una questione di principio”
E visto che Twitter è la piattaforma su cui si sta riversando dissenso, delusione e dimissioni, il CEO di Twitter, Jack Dorsey, è entrato nel vivo con un “Thanks Bob”, riferendosi a Iger, e continua: “Siamo tutti insieme sullo stesso pianeta e dobbiamo lavorare tutti insieme”
Il coro di voci si allunga sempre di piu, di ora in ora.
Emozionale il commento del miliardario sir Richard Branson, patron della Virgin: “Mi viene da piangere. Questo è un giorno triste”.
E ancora. Jeff Immelt, numero uno di General Electric: “Molto deluso dalla decisione di oggi (ieri, ndr) sull’Accordo. I cambiamenti climatici sono un problema reale. L’industria adesso deve andare avanti da sè e non dipendere dal Governo”.
E c’è chi non si fa intimidire.
Il numero uno della Exxon, una delle principali compagnie petrolifere statunitensi, Darren Woods, nel corso della conferenza annuale della Compagnia di mercoledì scorso, ha ribadito la sua ferma convinzione di portare avanti gli impegni presi e gli obiettivi di Parigi.
“La necessità di energia è una funzione vitale per la popolazione e per gli standard di vita. Per quanto riguarda la politica, l’obiettivo dovebbe essere la riduzione delle emissioi al costo più basso possibile per la società “.
Un lato positivo però va messo in conto e se ne attendono gli sviluppi. Oltre ai confini americani, il mondo tutto, si sta unendo in un’unica voce e con a creazione di nuove alleanze: l’Europa e la Cina si sono allineate per soluzioni comuni; l’Unione europea e quella africana insieme hanno ribadito il loro forte impegno alla piena attuazione dell’ Accordo di Parigi e chiedono a tutti i partner di mantenere lo slancio creato nel 2015”. E sottolineano, in un comunicato congiunto, che “il vertice Africa-U” del prossimo 29-30 novembre a Abidjan, sarà l’occasione per confermare la forte solidarietà con i più vulnerabili al cambiamento climatico” e di “lavorare insieme per costruire economie forti e sostenibili”.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 2nd, 2017 Riccardo Fucile
USA FUORI DALL’ACCORDO DI PARIGI TRIONFA L’EGOISMO… LA LOBBY DEL CARBONE POTRA’ CONTINUARE A INQUINARE IL PIANETA E A CAUSARE TUMORI
Tanto tuonò che piovve. È stata ufficializzata l’assurda decisione dell’amministrazione Trump di recedere dall’Accordo di Parigi sulla lotta ai cambiamenti climatici.
Assurda perchè mina alle basi il già debole accordo di Parigi, ignora i moniti sempre più allarmanti della comunità scientifica e passa come un rullo sulle speranze dei popoli del mondo.
L’inquilino della Casa Bianca più singolare che gli States abbiano mai avuto contribuisce così a scrivere una pagina nera della moderna governance globale.
Le indiscrezioni circolate nei giorni scorsi sono state confermate senza colpi di scena: Donald Trump ha deciso di rinnegare gli impegni presi dagli Usa a Parigi, e lo ha fatto senza neppure interpellare il Congresso.
Dopo la mancata ratifica del Protocollo di Kyoto, con il recesso dal quadro di impegni assunti a Parigi gli Usa si confermano una delle bandiere dell’egoismo globale.
La decisione rischia di mettere la pietra tombale su un processo diplomatico pluriennale già in salita e di per se insufficiente a contenere l’aumento di temperatura entro i limiti indicati dalla comunità scientifica internazionale.
L’ostacolo reale per una efficace azione globale di contrasto al caos climatico che incalza non riguarda infatti solo Trump, riguarda in generale la sostanziale mancanza di una volontà politica condivisa per agire collettivamente, drasticamente e immediatamente a livello globale.
In questo sguardo poco rassicurante, l’uscita di scena degli Usa è un elemento di grosso peso e desta preoccupazione a tutte le latitudini.
Nel 2014 gli Stati Uniti emettevano da soli il 15% delle emissioni globali di gas climalteranti da combustione di fossili e processi industriali, una percentuale importante e seconda soltanto al 30% tondo della Cina.
Secondo Trump gli impegni assunti a Parigi sarebbero “ingiusti” rispetto al lungo periodo di tolleranza concesso alla Cina prima di iniziare a ridurre le emissioni: “l’accordo negoziato da Obama impone target non realistici per gli Stati Uniti nella riduzione delle emissioni, lasciando invece a paesi quali la Cina un lasciapassare per anni”.
La decisione rischia di spingere altri dei 195 paesi firmatari sulla stessa strada. Potrebbero interpretarsi in tal senso le dichiarazioni della Russia, che ha ammesso che “pur dando grande importanza all’accordo, la sua efficacia viene ridotta senza i suoi attori chiave”.
Dopo le indiscrezioni dei giorni scorsi la Cina ha invece rinnovato l’impegno a perseguire e rafforzare gli obiettivi dell’accordo di Parigi.
Anche gli altri capi 6 di Stato convenuti al G7 di Taormina avevano tentato di strappare a Trump una dichiarazione congiunta sul clima, conclusasi come è noto con un nulla di fatto.
In quella sede, il presidente della Commissione Ue Junker aveva ricordato a Trump che l’Accordo non prevede la possibilità di un “recesso immediato”: secondo le procedure nessun Paese può avanzare richiesta di recesso fino a tre anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo.
Certo è che non esistendo strumenti di sanzione, la mancanza della volontà politica di onorare gli impegni presi è di per sè elemento sufficiente ad affermare che gli Usa non intraprenderanno alcuna strada virtuosa in materia energetica o nei trasporti e continueranno a bruciare carbone, petrolio e gas in barba all’accordo e alle previsioni della scienza.
Sin dalla campagna elettorale, del resto, Trump si era impegnato a tranquillizzare le lobby dei combustibili fossili, a partire dai produttori di carbone.
“L’accordo è pessimo per gli americani, gli Usa escono dall’accordo sul clima e da domani cesseranno l’attuazione degli impegni presi che potrebbero causare la perdita di 2,7 milioni di posti di lavoro. Con questa decisione manteniamo la promessa di mettere i lavoratori americani davanti a tutto” – ha dichiarato Trump di fronte alla stampa di tutto il mondo.
Il problema è non comprendere che in gioco c’è molto di più dei lavoratori americani, c’è il pianeta con tutti i suoi abitanti e l’unica strada efficace per rispondere alla sfida sarebbe quella di abbandonare immediatamente i combustibili fossili, tagliare i sussidi pubblici, convertire il modello produttivo attraverso una transizione giusta per i lavoratori di tutte le nazionalità e indispensabile per l’intero pianeta.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 2nd, 2017 Riccardo Fucile
UN SOLO VOTO PER UN PACCO COMPLETO: PARTITO, CANDIDATO UNINOMINALE E LISTINO… CAPILISTA IN CORSIA PREFERENZIALE E MULTICANDIDATURE…. NE’ GOVERNABILITA’, NE’ RAPPRESENTATIVITA’
Ancora una volta lo chiamano “tedesco” e ancora una volta non c’entra niente.
Lo chiama così Matteo Renzi, lo chiama così Silvio Berlusconi, lo chiama così Beppe Grillo che, anzi, ha parlato di tedesco quando ha fatto votare ed approvare agli iscritti M5s il via libera all’intesa tra i tre Grandi del Parlamento.
Ma col tedesco la legge elettorale in discussione alla Camera non c’entra niente.
Di sicuro c’è che il nuovo sistema che ha già raggiunto un record: è il più contorto e complicato della storia della Repubblica che oggi festeggia il compleanno.
Di sicuro si tornerà alle nottate elettorali e ai calcoli che non finiscono nemmeno all’alba. Di sicuro allungherà la vita all’eterna promessa: “Avremo un vincitore la sera delle elezioni”.
Col cavolo: un vincitore quella sera non ci sarà . “Garantisce governabilità e rappresentanza” assicurano tutti quelli che la sostengono. Ma se c’è una cosa certa è che con questa legge la notte delle elezioni non si saprà quale maggioranza sosterrà quale governo, ma che sicuramente ci sarà ben oltre metà del Parlamento composto da nominati dei dirigenti di partito
Cos’ha di tedesco, dunque, questa legge?
“Nulla — dice in un’intervista al Fatto il costituzionalista Andrea Pertici — tranne la soglia di sbarramento al 5 per cento”. “Non è il sistema tedesco” conferma Walter Veltroni in un’intervista al Corriere della Sera. “Non c’è la sfiducia costruttiva — sottolinea — Ci sono 5 anni di fibrillazione e lacerazioni interne ai partiti, che con il proporzionale si sentiranno liberi di fare tutto quel che vogliono. C’è il trionfo del trasformismo. Già in questa legislatura ci sono stati 491 cambi di casacca; figuriamoci nella prossima”.
Tra i Cinquestelle il mare ora si fa un po’ più mosso. Mentre Luigi Di Maio e Danilo Toninelli continuano a dire che questa legge è “l’unica costituzionale” e al massimo mancano un po’ di correzioni, arriva la senatrice Paola Taverna e spiega che per lei è un “mega-Porcellum” e che lei non si sarebbe “messa nemmeno lì seduta”.
Eppure ora è anche complicato dare la colpa a qualcun altro: che questa fosse la proposta del Pd è noto da almeno 10 giorni, perchè il Rosatellum era solo una copia: un pochino più bella, forse, ma sempre copia di quest’ultima stesura.
I Cinquestelle presenteranno alcuni emendamenti, ma fino a ieri fonti parlamentari M5s dicevano che le modifiche non sono imprescindibili. Come ripete da giorni Toninelli questo impianto è “costituzionale” e sembra già un trionfo dopo avere avuto negli ultimi 12 anni Porcellum e Italicum, sistemi fatti a fettine dalla Corte Costituzionale.
Tra gli altri correttivi proposti dai Cinquestelle vorrebbero il voto disgiunto.
Ettore Rosato, capogruppo del Pd, ha già risposto che non si può fare in un sistema proporzionale al cento per cento”.
Ma proprio la mancanza del voto disgiunto rende questa legge incostituzionale, secondo Felice Besostri, uno dei legali anti-Porcellum: l’assenza di questa opzione per l’elettore toglie — dice Besostri — la libertà dell’elettore di esprimere un voto che, come richiede la Costituzione, “sia personale e diretto”.
Per questo motivo “cominciamo a dare un altro nome all’ultima fatica della Camera in materia elettorale: non si tratta del modello tedesco”.
E perchè, infine, la Taverna parla di “mega-Porcellum“?
Per il fatto sollevato anche dagli ex Pd di Articolo 1 che hanno lanciato l’hashtag #maipiùnominati, lo stesso che il Pd usava nel 2014, all’inizio del percorso parlamentare dell’Italicum. E’ “un Super-Porcellum” per Nico Stumpo. “Ecco in arrivo la Santa Alleanza Renzi, Berlusconi, Grillo e Salvini per imporre un parlamento di servi. #maipiùnominati #leggeElettorale” twitta Roberto Speranza.
Tedeschellum, Rosatellum, mega-Porcellum.
In attesa di trovargli un nome che sarà terribile come sempre, ecco com’è fatta la legge elettorale in discussione.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 2nd, 2017 Riccardo Fucile
“IL TESTO PROPOSTO CON IL SISTEMA TEDESCO HA IN COMUNE SOLO LA SOGLIA DEL 5%”
Porcellum, Italicum, Rosatellum (mai nato) e ora Tedeschellum. Professor Andrea Pertici, da costituzionalista ci spiega cosa ha in comune questa proposta di legge col sistema tedesco?
Nulla, tranne la soglia di sbarramento del 5%, se rimane. Mentre in Germania chi vince nel collegio uninominale viene eletto in Parlamento, nel caso italiano i candidati dell’uninominale non fanno altro che mettersi in fila per essere tra gli eletti del loro partito. E non sono neppure tra i primi. La priorità spetta al capolista del listino bloccato poi, eventualmente, il candidato arrivato primo nel collegio uninominale, seguono gli altri della lista bloccata, infine, se il partito ha ancora diritto a ulteriori seggi, passano i candidati dei collegi uninominali che non sono arrivati primi.
Quindi, come con il Porcellum e con l’Italicum, abbiamo sempre dei nominati in Parlamento?
Esattamente. Sono tutti nominati e le liste bloccate sono addirittura due. Una evidente, che compare sulla scheda, cioè il listino, e l’altra formata dai candidati della lista per i collegi uninominali, all’interno di una circoscrizione.
Dunque, per il meccanismo che ci ha spiegato, le segreterie scelgono anche i numeri uno dei collegi uninominali, per controllare chi sarà eletto?
I primi di cui hanno cura sono i capilista del listino bloccato: anche se vanno in vacanza senza fare campagna elettorale, saranno eletti. Seguiranno i numeri 1 della parte uninominale, anche questi indicati dalle segreterie di partito.
Ma gli elettori cosa scelgono?
Scelgono il partito. Accanto al suo simbolo c’è il candidato uninominale, che cambia di collegio in collegio, dall’altra parte del simbolo c’è il listino bloccato uguale per tutta la circoscrizione.
Il Porcellum è stato bocciato dalla Consulta, l’Italicum idem. E il Tedeschellum ha recepito o ignorato quanto indicato dalla Corte costituzionale?
La cosa positiva è l’eliminazione dei premi di maggioranza, che la Consulta non reputa di per sè incostituzionale, ma sono a forte rischio quando assicurano sempre e comunque una maggioranza. Viceversa, è stata aggirata la necessità di non avere lunghe liste bloccate e di consentire agli elettori di scegliere gli eletti. Tanto è vero che perfino il candidato nel collegio uninominale anche se vince non ha certezza di entrare in Parlamento.
Dunque, ci risiamo? Si va di nuovo davanti ai giudici costituzionali?
Sulla incostituzionalità avrei qualche dubbio in più, il sistema valorizza molto poco il voto dell’elettore ma certamente dal punto di vista formale non c’è un’unica lunga lista bloccata ma una evidente e un’altra occulta, più corta.
Lei è stato chiamato alle audizioni parlamentari. Cosa aveva suggerito?
Un compromesso per valorizzare la rappresentanza e tenere ferma l’esigenza di stabilità di governo. In sostanza un sistema misto, in parte maggioritario e in parte proporzionale, che sembrava il preferito. Era venuto fuori il cosiddetto Rosatellum, non congegnato benissimo ma si poteva lavorare per perfezionarlo. Invece, si è abbandonato e si è intrapresa questa strada, sicuramente peggiore.
Qual è secondo lei la ratio di questa scelta?
La volontà di trovare una legge che passi rapidamente per assecondare una spinta al voto anticipato di cui non si comprende l’esigenza a questo punto, quasi finale, della legislatura.
E la fretta non porta a nulla di buono…
Mai. È una legge non in linea con il risultato del referendum costituzionale del 4 dicembre, quando gli italiani hanno ribadito che vogliono scegliere direttamente i propri rappresentanti.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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