Giugno 23rd, 2017 Riccardo Fucile
OTTO MESI PER CONFEZIONARE UN BANDO DI GARA EUROPEO SULLA MANUTENZIONE DEL VERDE PUBBLICO A ROMA… RISULTATO: BANDO SOSPESO PERCHE’ DEVE ESSERE ADEGUATO ALLA NUOVA NORMATIVA SUGLI APPALTI
Virginia Raggi si è data un sette e mezzo per il suo primo anno da Sindaca di Roma. Se l’è dato perchè ha visto “quanto stiamo lavorando e quanto si è lavorato” in questi dodici mesi.
Far ripartire la macchina del Comune è stata un’impresa difficile. Ma i 5 Stelle sono riusciti a invertire la rotta. Uno degli ostacoli maggiori che la giunta Raggi ha incontrato sul suo cammino è stato quello dei bandi.
Dopo Mafia Capitale la nuova amministrazione ci vuole andare con i piedi di piombo. Ma non sempre la lentezza è dovuta alla cautela, a volte è dovuta alle inefficienze della macchina che la Raggi dce di aver fatto ripartire.
Iniziare a fare i bandi ovunque — ha spiegato la Sindaca a Carta Bianca — per il rifacimento delle strade, per il rifacimento del verde costa molta fatica. Soprattutto perchè i 5 Stelle “non cercano il consenso”.
Se la Raggi avesse voluto avrebbe potuto chiamare una ditta amica per dire “vai a tappare una buca lì, vai a sfalciare di là ”. Ma non l’ha fatto. In compenso lo ha fatto il Municipio XI, governato dal M5S, dove l’assessore all’Urbanistica Luca Mellina ha fatto eseguire lavori per un importo pari a circa 350mila euro senza dover aprire alcun bando di gara semplicemente contattando direttamente le imprese cui è stato dato l’incarico e frazionando gli importi sotto la soglia di gara.
Ma la Raggi è andata oltre. Ad esempio al Messaggero ha spiegato che loro fanno le cose “per bene”.
Quindi per fare le gare e per farle bene ci vuole tempo. Ma una volta pubblicati i bandi e aggiudicati i lavori la macchina inizierà ad entrare a regime. E i risultati saranno costanti.
Il bando milionario sospeso perchè non a norma
Ma è davvero così? Prendiamo ad esempio il bando — anzi i bandi — per la manutenzione del verde pubblico a Roma.
Ad aprile l’assessora Pinuccia Montanari dava notizia dell’apertura di due bandi di gara europei per la manutenzione del verde pubblico a Roma. Si tratta di due bandi attesi da tempo che però nel 2016 l’assessorato guidato all’epoca da Paola Muraro non aveva approntato.
Ma, come dice la Raggi, per fare le cose per bene ci vuole tempo. E così il 24 aprile veniva pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il bando di gara, per l’affidamento del servizio per interventi di manutenzione delle alberature.
Il problema è che appena cinque giorni prima, il 19 aprile, il governo ha emanato il DL 56/2017 con il quale è andato a modificare il codice degli appalti.
Risultato: quel bando al quale l’amministrazione capitolina aveva lavorato “per bene” per oltre otto mesi è stato sospeso “a data da destinarsi”.
Si tratta di bandi con un importo complessivo pari a 9 milioni di euro, di cui 5 per la manutenzione del verde verticale e 4 per il verde orizzontale.
Ma al momento sono scomparsi perchè gli uffici dovranno correggerli per adeguarli alla normativa vigente.
Dal 1 luglio partirà un programma (da 3,5 milioni di euro) per il monitoraggio delle alberature. Ma nel frattempo la cura del verde pubblico di molti parchi cittadini (tra cui Villa Borghese, Villa Ada e il Lungotevere) è a rischio perchè la gara è stata sospesa.
E i risultati saranno presto sotto gli occhi di tutti i romani.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 23rd, 2017 Riccardo Fucile
I PARLAMENTARI NUTI, DI VITA E MANNINO, I CONS. REGION. LA ROCCA E CIACCIO, DIECI ATTIVISTI… SE SI AVVALESSERO DELLA PRESCRIZIONE NON POTREBBERO PIU’ RIPRESENTARSI
Il giudice dell’udienza preliminare di Palermo Nicola Aiello ha rinviato a giudizio tre deputati nazionali e due regionali ex M5S, 10 attivisti del movimento e un cancelliere del tribunale per la vicenda delle firme false apposte alla lista presentata nel 2012 dai grillini per le comunali di Palermo.
I deputati sono Riccardo Nuti, Giulia Di Vita e Claudia Mannino. I deputati regionali sono Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio.
I Pm che hanno sostenuto l’accusa sono Claudia Ferrari e Bernardo Petralia.
La prima udienza del processo è stata fissata al 3 ottobre davanti alla quinta sezione monocratica.
Claudia la Rocca e Giorgio Ciaccio hanno confessato dando un impulso decisivo all’inchiesta, così come Alessio detto Stefano Paradiso e Giuseppe Ippolito.
Proprio un errore sul luogo di nascita di Ippolito provocò la decisione, avallata da Nuti, secondo l’accusa, di ricopiare tutte le firme.
E l’idea sarebbe stata di Samantha Busalacchi, attivista M5S pure lei tra i coinvolti nella inchiesta assieme ad Alice Pantaleone, Riccardo Ricciardi, Pietro Salvino. Nell’elenco anche l’avvocato Francesco Menallo, Toni Ferrara e il cancelliere Giovanni Scarpello.
A riprova della tesi dei Pm, oltre alla confessione di Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio e alle ammissioni di alcuni attivisti, ci sono la consulenza grafologica richiesta dalla Procura e le testimonianza di decine di firmatari che hanno disconosciuto le loro sottoscrizioni.
Nessuno dei rinviati a giudizio ha scelto il rito abbreviato. Ora con il rito ordinario incombe la prescrizione che maturerà nel 2018.
Ma il codice etico del M5S dice chiaramente che “l’estinzione del reato per prescrizione intervenuta dopo il rinvio a giudizio” è equiparata alla sentenza di condanna.
Se se ne avvarranno, gli iscritti M5S non potranno più ricandidarsi.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 23rd, 2017 Riccardo Fucile
“ROMA NON E’ IL BANCO DI PROVA DEL GOVERNO NAZIONALE, QUESTO E’ OFFENSIVO PER I ROMANI” DICE DI MAIO A GUIDONIA… TUTTO L’OPPOSTO DI QUANTO DISSE GIANROBERTO CASALEGGIO
Quando ci si mette, Luigi Di Maio sa essere davvero sfortunato con le parole.
A Guidonia per sostenere il candidato sindaco del Movimento cinque stelle, il vicepresidente della Camera se l’è presa con tutti quelli che ritengono Roma un test per il governo, e dunque – visti i risultati deludenti di Virginia Raggi – un test sostanzialmente fallito che comprometterebbe la credibilità dei cinque stelle in un’ipotesi di corsa per andare a Palazzo Chigi.
«Roma non è il banco di prova per il governo nazionale»â€‰ha sostenuto davanti ai giornalisti l’aspirante candidato premier grillino.
«Questo è offensivo per i romani. Noi vogliamo risolvere i problemi dei romani. Vogliamo fare le cose che servono dopo che è stata usata dagli altri partiti come trampolino di lancio per le politiche».
Poi Di Maio ha aggiunto allocuzioni e metafore varie.
Ciò che ci interessa è il succo: chi dice che «Roma è un banco di prova», secondo Di Maio, dice qualcosa di «offensivo», offende i romani, a partire dagli elettori del Movimento e della Raggi.
Scusate, ma chi è che aveva definito Roma «un banco di prova»?
Chi parlò di test per il governo, di prove generali che non bisognava assolutamente fallire, perchè avrebbero potuto dimostrare che – adesso – il Movimento era fit to lead, capace di andare al governo?
Per la verità lo dissero in tanti, nel Movimento, ma qualcosa ci ronzava nella memoria e, a un rapido controllo, vien fuori che Di Maio stavolta è andato a sbattere nientemeno contro il pensiero e le parole pronunciate dal fondatore, del Movimento: Gianroberto Casaleggio.
In un’uscita ufficialissima e a prova di smentita – un’intervista rilasciata al Corriere della Sera il 24 dicembre 2015 – a una precisa domanda del quotidiano lombardo (In primavera si va al voto. Roma, per chiunque vinca, potrebbe essere un problema da amministrare e un boomerang in vista delle prossime Politiche. Voi avete paura di vincere?), Casaleggio senior rispose testualmente: «Noi vogliamo vincere. Roma è una tappa obbligata prima del governo. Un banco di prova. Se avessimo paura di governare Roma non potremmo neppure pensare di voler governare il Paese».
Di Maio era consapevole, stavolta, di dimenticare la lezione e le convinzioni di Casaleggio, addirittura dandogli dell’«offensivo»?
Siamo sicuri che l’aspirante candidato premier in futuro studierà a fondo la storia del suo Movimento.
In alternativa, nell’impossibilità di smentire le parole di Casaleggio, potrà sempre smentire di aver pronunciato lui la frase che è stata riportata univocamente da tutte le agenzie.
A seguire, carosello contro i giornalisti sui social network.
(da “la Stampa”)
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Giugno 23rd, 2017 Riccardo Fucile
INTERCETTATO MENTRE PARLA A UN’AMICA: “STA FACENDO LA PRINCIPESSA…CHE L’HANNO FREGATA”
Raggi “non c’ha le palle? E allora che c… lo fai a fà ‘u sindaco, scusami?”.
Così parlando con un’amica nel novembre del 2016 Raffaele Marra, intercettato, giudica il comportamento della sindaca sulla nomina di suo fratello Renato a capo del dipartimento Turismo del Campidoglio. “Sta facendo la principessa che… l’hanno fregata!”, aggiunge Marra riferendosi a Raggi.
L’intercettazione è allegata agli atti del processo che vede Marra imputato con l’imprenditore Sergio Scarpellini, per concorso in corruzione.
Parlando sempre del comportamento tenuto da Raggi in questa vicenda, Marra afferma: “allora tu (Raggi, ndr) dovevi avere il coraggio di dire ‘guarda è uno dei più bravi che ci stanno, lo volevo fare Comandante, per non creare un problema l’aggia fatto direttore dè ‘o Turismo”.
E ancora: “non lo volete al Turismo? Bene, lo riporto al Corpo di Polizia, lo faccio vice-comandante, come lo volevo fare”‘.
Parlando dell’iter che ha portato alla nomina del fratello, Marra aggiunge, sempre riferendosi al sindaco: “tu hai detto che tra i tre più bravi c’è mio fratello per fare il comandante. Anzi, ti sei dispiaciuta che per problemi politici non lo può fà comandante sennò ti scoppia un putiferio. Poi mi vieni a rompe’ A quel punto, voglio dì, tu lo volevi fà comandante, poi dopo vice-comandante sicuramente sì, vice-comandante. Un vice-comandante è terza fascia!. E – continua al telefono – mò pure se non ti ho detto esattamente ‘passa dalla prima alla terza’ ma tu l’avevi messo in conto quando lo volevi fà vice-comandante. Invece lei non ha avuto il coraggio di dire: ‘sì, è ‘na cosa che ho fatto iò e sta facendo la principessa che che l’hanno fregata!… e mo non sa come uscirne”.
(da agenzie)
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Giugno 23rd, 2017 Riccardo Fucile
ELISA MELE, 21 ANNI: “ANDRO’ IN MOZAMBICO, POI STUDIERO’. VOGLIO METTERE IL MIO TALENTO A DISPOSIZIONE DEGLI ALTRI”… “INTRAPRENDERE UN NUOVO CAMMINO SPAVENTA, MA E’ PIU’ PERICOLOSO RIMANERE FERMI”
Dalla maglia azzurra al Mozambico. Elisa Mele, 21enne centrocampista del Brescia Calcio Femminile, lascia il calcio per diventare missionaria.
Addio al pallone: passerà l’estate in Mozambico, poi andrà avanti con gli studi. Settimana scorsa, era titolare nella finale di Coppa Italia persa dalle Leonesse contro la Fiorentina. E’ stata la sua ultima partita.
Addio al calcio, al giro della Nazionale, a una passione che ha coltivati dai tempi dell’oratorio. A agosto volerà in Mozambico, Africa.
«Andrò in missione con altri ragazzi miei coetanei. Sarei egoista e poco credibile anche con me stessa a dire che partirò solo per aiutare e per fare del bene perchè, sono convinta, che prima di tutto andrò per essere aiutata e per ricevere tanto bene. Donando si riceve e sono sicura che riceverò tantissimo. Da settembre invece intraprenderò un percorso di studi e le tempistiche non saranno più compatibili con partite ed allenamenti. Lascio il calcio – chiosa – perchè mi sono resa conto di voler mettere la mia vita e, quindi, anche questo talento a disposizione degli altri».
Cresciuta nel Brescia Femminile, ha collezionato 44 presenze e otto reti con il club in undici stagioni tra settore giovanile e prima squadra.
Ha vinto scudetto e Coppa Italia, giocato in Champions, esordito in nazionale nel corso del Torneo di Manaus lo scorso dicembre, collezionando tre presenze.
Questa la lettera scritta da Elisa:
Appesa in camera ho la foto della mia prima squadra di calcio: anno 2002. Avevo 6 anni. Giocavo nel mio oratorio, Santa Maria della Vittoria, di cui sono particolarmente orgogliosa. Man mano scorro tra le varie foto appese ne vedo altre. Anno 2007, Brescia Calcio Femminile, primo anno da piccola leonessa. In realtà l’anno prima avevo partecipato ad un Porte Aperte e avrei dovuto iniziare all’età di dieci anni ma, per motivi di lavoro dei miei genitori e per la distanza del campo, non avevo potuto cominciare. Il Brescia è stata la mia famiglia da quando avevo dieci anni. Dalle Pulcine alla Serie A, dalla maglia dell’oratorio alla maglia azzurra della nazionale. Quante partite con quella maglia indosso, quante vittorie, quanti pianti, quanta passione ed entusiasmo.
Se sono la ragazza che sono adesso è anche grazie al calcio perchè, infondo, è lo specchio perfetto della vita di ogni giorno. Gioie, tristezze, salite, vittorie, sconfitte, sacrifici, allenamenti, ma tutto sempre con entusiasmo e soprattutto con tanta umiltà . Ho sempre sognato di arrivare dove sono arrivata ora e probabilmente anche più in alto. Poi, però, capita che i tanti progetti che avevi in testa iniziano ad essere sormontati da qualcosa di diverso.
Si potrebbe dire “la vita prende il sopravvento” ma preferisco utilizzare altri termini. Più che questo preferisco dire che ad un tratto si prende in mano la vita, ci si guarda allo specchio e ci si dice: “Che cosa voglio fare, o meglio, chi voglio essere?” e la mia sempre sicura risposta “voglio fare ed essere una calciatrice” ha iniziato a lasciare il posto a “voglio essere voce di chi non ha voce, aiuto per gli altri…voglio essere chi mi dice il cuore”. Si sa, al cuor non si comanda e quando un cuore inizia a suggerirti ed invitarti a qualcosa di bello allora si è pronti anche a fare ‘pazzie’. Sono consapevole di avere lasciato tanto, ma allo stesso tempo sono convinta che tanto troverò. Fare delle scelte comporta sempre dire no a qualcosa e sì ad altro… e io sono felice di aver fatto questa scelta nonostante tutte le paure e i mille dubbi che la accompagnano. Mi è costato tanto dire no al calcio, ci ho pensato e ripensato, ma sento che quello che intraprenderò è quello che voglio davvero fare. Ad agosto partirò un mese per il Mozambico, in Africa, e andrò in missione con altri ragazzi miei coetanei. Sarei egoista e poco credibile anche con me stessa a dire che partirò solo per aiutare e per fare del bene perchè, sono convita, che prima di tutto andrò per essere aiutata e per ricevere tanto bene. Donando si riceve e sono sicura che riceverò tantissimo. Da settembre invece intraprenderò un percorso di studi e le tempistiche non saranno più compatibili con partite ed allenamenti. Lascio il calcio perchè mi sono resa conto di voler mettere la mia vita e, quindi, anche questo talento a disposizione degli altri. Il calcio sarà sicuramente uno strumento che utilizzerò in tante occasioni come aggregazione, educazione, gioco. Lascio il calcio giocato, non il calcio in tutto e per tutto.
Voglio ringraziare tutti, da mio papà che è stato il mio primo allenatore a chi ci portava l’acqua al campo d’allenamento con il Brescia, da chi mi ha accompagnato alla mia prima partita di calcio a sei anni a chi mi ha sostenuta quando la decisione di smettere si faceva sempre più vicina. Grazie a tutta la società per questi undici anni, grazie a tutto lo staff e grazie alle mie compagne di squadra. Porterò sempre tutti nel cuore, ovunque sarò. Ho letto una frase che mi piace particolarmente e che faccio mia: “Intraprendere un nuovo cammino spaventa, ma dopo ogni passo che percorriamo ci rendiamo conto di come era pericoloso rimanere fermi”.
Il Brescia: «Sei diventata una donna, grazie di tutto»
Questa la nota ufficiale diffusa dalla società , che saluta Elisa augurandogli le migliori fortune: «Il Brescia CF comunica che la calciatrice Elisa Mele ha deciso di ritirarsi dal calcio giocato all’età di ventuno anni. La giovane centrocampista classe ’96 lascia così la maglia biancoblu dopo undici stagioni tra Settore Giovanile e prima squadra dove è diventata protagonista nella stagione 2015/16 risultando decisiva con le sue giocate e le sue reti per la conquista del secondo scudetto nella storia del Brescia e della terza Coppa Italia biancoblu, con esordio da titolare in Champions League nella gara di andata dei quarti di finale contro il Wolfsburg. In totale sono quarantaquattro le presenze collezionate con il Brescia ed otto le reti segnate, l’esordio è datato 8 dicembre 2012 in occasione di Brescia-Mozzecane terminata 4-1 quando subentrò nei minuti finali al posto di Sabatino; l’albo d’oro conta uno scudetto, una Coppa Italia e due Supercoppe Italiane, venendo anche convocata in Nazionale maggiore dal ct Cabrini in occasione della gara di qualificazione europea contro la Georgia per poi fare il proprio esordio in azzurro nel corso del Torneo di Manaus lo scorso dicembre collezionando tre presenze. In calce pubblichiamo una lettera aperta di Elisa, a cui tutto il Brescia CF dice grazie per questi splendidi undici anni passati insieme in cui da bambina è diventata donna, grazie per l’impegno ed il talento messo a disposizione della squadra con cui ha contribuito da protagonista alle ultime vittorie della società , grazie per la professionalità ed il suo sorriso che ha accompagnato ogni nostro giorno di lavoro. In bocca al lupo».
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 23rd, 2017 Riccardo Fucile
L’INTERVENTO DEL PRESIDENTE RUSSO PER DANNEGGIARE LA CLINTON
Vladimir Putin ordinò personalmente ai suoi di “sconfiggere o almeno danneggiare Hillary Clinton, ed aiutare l’elezione del suo oppositore Donald Trump”.
È il contenuto di un rapporto speciale della Cia, top secret, consegnato a Barack Obama nell’agosto 2016 con la raccomandazione che lo leggessero solo il presidente e un ristretto gruppo di alti consiglieri. §
Lo rivela oggi il Washington Post, in un nuovo scoop sul Russiagate. Mentre continua l’inchiesta su questo scandalo, affidata all’ex capo dell’Fbi Robert Mueller, la rivelazione sul ruolo diretto di Putin è una novità rilevante.
Nel rapporto che fu consegnato a Obama viene documentato per la prima volta dall’intelligence americana un intervento personale del presidente russo con istruzioni così dettagliate per interferire nella campagna elettorale.
La materia era così scottante che quel rapporto top secret venne trattato con gli stessi protocolli di sicurezza usati nei preparativi del raid contro Osama Bin Laden, spiega il Washington Post.
Fu solo cinque mesi dopo, a fine dicembre e quando ormai stava per lasciare la Casa Bianca al suo successore, che Obama varò una ritorsione: abbastanza modesta peraltro, poichè si trattava dell’espulsione di 35 diplomatici russi e della chiusura di due palazzi da loro usati.
Un po’ poco per quello che il reportage definisce “il crimine politico del secolo, un attacco alla democrazia americana destabilizzante, senza precedenti, e coronato dal successo”.
Il prezzo che Mosca ha pagato per quelle azioni non è certo proporzionale al danno arrecato. Eppure il capo dello staff di Obama, Denis McDonough, sostiene che il presidente giudicò subito quella vicenda come “un attacco al cuore del nostro sistema”. Diversi collaboratori dell’ex presidente ora sembrano convinti che la reazione non fu affatto adeguata alla gravità dell’attacco.
Anche se il reportage si dilunga sui tormenti interni alla Casa Bianca obamiana, le novità di questo scoop del Washington Post sono sostanzialmente due: il coinvolgimento personale di Putin; e il pentimento ex-post dei vertici dell’Amministrazione passata per non avere inflitto alla Russia un castigo adeguato. Su quest’ultimo punto è comprensibile il rammarico: forse delle sanzioni più immediate e pesanti, ed una denuncia più forte presso l’opinione pubblica, avrebbero potuto cambiare le sorti del voto accentuando nell’opinione pubblica l’allarme per il legame Putin-Trump.
Ma queste sono ormai recriminazioni ex post. Più interessante è capire quanto il rapporto della Cia possa influire sull’inchiesta in corso, quella che Mueller dovrà concludere con un suo rapporto da consegnare al Dipartimento di Giustizia e al Congresso.
Più appare evidente l’intento di Putin di cambiare il corso dell’elezione americana, più questo potrebbe influire sull’andamento dell’inchiesta e sulla reazione del Congresso. Nel frattempo, forse non a caso, Trump ha ripreso a dare segni d’insofferenza verso l’inchiesta e verso i suoi stessi collaboratori che ne sono i referenti, a cominciare daggli attuali vertici del Dipartimento di Giustizia.
(da “La Repubblica“)
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Giugno 23rd, 2017 Riccardo Fucile
ASSAD DEVE ESSERE PROCESSATO PER CRIMINI CONTRO L’UMANITA’
I Radicali andrebbero ascoltati sempre, seguiti spesso. Soprattutto quando il campo è quello dei diritti umani e della politica internazionale.
Meritoriamente, i Radicali, in primis Marco Pannella ed Emma Bonino, hanno ritenuto che il rispetto dei diritti umani e la condanna di chi di essi fa scempio non dovessero trovare ostacoli insormontabili nell’affermazione secondo cui all’interno dei confini di uno Stato-nazione tutto, o quasi, potesse essere permesso o tollerato, in nome di quell’imperante sovranismo nazionale che oggi, Trump docet, non solo fa spregio di diritti e libertà ma tende a marginalizzare tutti quegli organismi sovranazionali che quel sovranismo potrebbero intaccare.
I Radicali, gliene va dato atto, hanno provato a ribaltare questa logica e affermato che esiste un Diritto umanitario internazionale che permette, se c’è la volontà politica, di sanzionare, con un giusto processo, i responsabili di crimini di guerra e contro l’umanità .
Il frutto positivo di queste battaglie è, ad esempio, la nascita della Corte Penale Internazionale de l’Aja, ovvero la Corte per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia o nel Darfur. È la via legale “all’ingerenza umanitaria”, quella che Giovanni Paolo II invocò di fronte al martirio di Sarajevo o alle atrocità di Srebrenica
Può esistere dunque una terza via tra rassegnazione e violenza nel rivendicare diritti umani, sociali, civili, di rispetto delle minoranze o per l’autodeterminazione dei popoli: questa via è la disobbedienza civile, la resistenza popolare non violenta.
È rilanciare, su scala internazionale, il concetto che non vi è pace senza giustizia e che la giustizia ha sedi nelle quali può e deve essere esercitata, col pieno rispetto dei diritti della difesa.
Solo così la giustizia non si trasforma in vendetta e il diritto non viene piegato alla realpolitik nè abusato da chi detiene la forza.
E se c’è oggi un Paese al mondo in cui il diritto è calpestato, dove ogni giorno si fa scempio di vite umane, in cui un popolo è tenuto in ostaggio in una guerra entrata nel suo settimo anno, questo Paese è la Siria.
“Assad all’Aja! Per una Siria libera e democratica” è il titolo dell’appello lanciato da Radicali Italiani e rivolto a tutti i cittadini, i Governi e alle Nazioni Unite affinchè nella guerra in Siria si faccia trionfare la pace attraverso la giustizia.
L’appello, che può essere firmato sul sito di Radicali Italiani chiede che tutti i criminali di guerra, del regime al potere o dei suoi oppositori, siano deferiti davanti alla Corte Penale Internazionale dell’Aja e processati per crimini contro l’umanità . Chiede inoltre il congelamento dei beni patrimoniali nei confronti del presidente Bashar al-Assad e di altri che potrebbero essere coinvolti nell’ordine o nell’esecuzione di crimini di diritto internazionale.
“Le centinaia di migliaia di morti e i milioni di profughi segnano la peggiore tragedia umanitaria, umana e civile della storia recente”, rimarcano il segretario di Radicali Italiani Riccardo Magi e Igor Boni, membro della Direzione nazionale.
“Un massacro al quale il mondo occidentale non ha saputo far fronte e che è divenuto in realtà pretesto per trasformare la Siria in un campo di battaglia e di alimentazione di bande terroristiche, dove si sono scontrati e si scontrano gli interessi di molti. In particolare l’azione di Putin e della Russia, a sostegno del regime violento e sanguinario di Assad, hanno peggiorato di molto una situazione che era già di per sè gravissima. Noi crediamo da anni che il filo da tirare per uscire dalla guerra sia quello richiamato dal motto “Non c’è pace senza giustizia”. Con questa convinzione profonda offriamo alla comunità internazionale e a tutti i cittadini uno strumento per dare soluzioni durature per un angolo di mondo che non potrà certo tornare a una parvenza di normalità a suon di bombe e distruzioni e non potrà di nuovo essere governato dal dittatore Assad. Uno strumento che speriamo faccia proprio immediatamente il Governo italiano e l’Europa stessa”, concludono Magi e Boni.
È una campagna da sostenere, una via da seguire, perchè non chiude gli occhi di fronte alla devastazione perpetrata in Siria (circa 400 mila morti, oltre un milione di feriti, 2,7 milioni di rifugiati, 9,3 milioni di persone che hanno bisogno di assistenza, oltre 6,5 milioni di profughi interni, il 31% dei villaggi rasi al suolo) e non accetta il consolatorio assunto “ma io che posso fare…”.
Ecco, una cosa è possibile fare: sostenere questa campagna. Informandone, anzitutto. Di seguito il testo dell’appello:
“Circa 400.000 morti e milioni di profughi nella peggiore guerra della storia recente. Come in Bosnia venti anni fa, quella in corso in Siria non è una “guerra civile” ma è una “guerra ai civili”, una sistematica opera di massacro della popolazione iniziata e attuata da un dittatore, Bashar al-Assad, che è disposto a tutto pur di mantenere il proprio potere. Noi cittadini d’Italia, d’Europa e del mondo, noi organizzazioni per la difesa dei diritti umani e civili, diciamo, innanzitutto, BASTA!
Basta con il silenzio, basta con l’indifferenza, basta con la rassegnazione. Basta con una realpolitik che ha contribuito a distruggere un intero Paese. Il regime sanguinario siriano deve finire, non certo per dare in mano la Siria a nuovi tagliagole o a terroristi; i cittadini siriani hanno il diritto a una democrazia e a un governo scelto tramite libere elezioni. Assad e tutti i criminali di guerra, del regime al potere o dei suoi oppositori, devono essere deferiti davanti alla Corte Penale Internazionale dell’Aja e processati per crimini contro l’umanità . Deve essere attuato il congelamento dei beni patrimoniali nei confronti del presidente Bashar al-Assad e di altri che potrebbero essere coinvolti nell’ordine o nell’esecuzione di crimini di diritto internazionale. Mai come ora per la Siria e per il mondo intero vale il motto “Non c’è pace senza giustizia!”.
La campagna dei Radicali Italiani s’intreccia con quella lanciata da Amnesty International per chiedere ai leader mondiali di agire per assicurare giustizia, verità e riparazione a milioni di vittime del conflitto.
La campagna, intitolata “Giustizia per la Siria”, chiede ai governi di porre fine all’impunità e avviare l’accertamento delle responsabilità sostenendo e finanziando il meccanismo d’indagine approvato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite lo scorso dicembre e applicando la giurisdizione universale per indagare e processare persone sospettate di crimini di guerra e crimini contro l’umanità nel corso del conflitto siriano.
“Dopo sei anni terribili, non c’è più alcuna scusa per lasciare impuniti gli orrendi crimini di diritto internazionale che vengono commessi in Siria — ha dichiarato Samah Hadid, direttore campagne presso l’ufficio di Amnesty International a Beirut —. I governi hanno già a disposizione gli strumenti giuridici per porre fine all’impunità che ha causato la morte di centinaia di migliaia di siriani e la fuga di milioni di persone. Ora è il momento di usarli”.
Tutti gli Stati, ricorda Amnesty, possono esercitare la giurisdizione universale su crimini di diritto internazionale come i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità . Essa permette di indagare e processare nei tribunali nazionali persone sospettate di essere responsabili di detti crimini, così come di quelli di tortura, genocidio e sparizione forzata, a prescindere dallo Stato dove siano stati commessi e della nazionalità della persona sospetta o di quella della vittima.
La giustizia internazionale ha i suoi strumenti, le sue vie. Non praticarle significa essere complici dei criminali responsabili del genocidio siriano.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 23rd, 2017 Riccardo Fucile
IL NOTO GIURISTA AVEVA 84 ANNI… RADICALE, POI NEL PCI, E’ STATO PRIMO PRESIDENTE DEL PDS…. POI CANDIDATO DEL M5S AL QUIRINALE, ALLA FINE GRILLO LO DEFINI’ VOLGARMENTE “UN OTTUAGENARIO MIRACOLATO DALLA RETE”
“C’è un impoverimento culturale che si fa sentire, la cattiva politica è figlia della cattiva cultura”, così Stefano Rodotà , morto oggi all’età di 84 anni, ammoniva già nel 2000.
Una frase che sintetizza l’impegno di una vita di un protagonista della nostra vita pubblica che con passione inesausta ha sempre cercato di far valere un punto di vista laico nei grandi temi del nostro Paese.
Difficile inquadrarlo con un’etichetta – giurista, politico, riserva della Repubblica – ma anche complicato incasellarlo dentro uno schieramento: è stato radicale, poi indipendente di sinistra, infine movimentista senza casacca. Comunque sempre a sinistra. E’ stato un intellettuale di valore, uno degli ultimi in questo Paese sempre più avaro di idee. Soprattutto, fino alla fine, è stato un uomo libero.
Era nato a Cosenza il 30 maggio del 1933, negli anni del fascismo.
Il padre, insegnante di matematica di origine albanese poi iscritto al Partito d’azione insegnava alle medie, dava ripetizioni a Giacomo Mancini, il futuro leader socialista; uno zio divenne segretario locale della Dc.
La politica, insieme allo studio, è sin da subito una passione divorante. Nel 1953 approda a Roma per laurearsi in legge. Dice no a un’offerta di Adriano Olivetti, che lo vorrebbe con sè ad Ivrea, e che gli accrediterà comunque, come sostegno per i suoi studi, 300 mila lire sul conto corrente.
Prima dei quarant’anni è già ordinario, insegna diritto civile alla Sapienza, ma l’impegno accademico è sempre intrecciato con quello politico; milita nei Radicali, scrive sul “Mondo” di Pannunzio – a 22 anni il primo articolo finisce in prima pagina – dopo che da ragazzo aspettava ogni settimana impaziente l’uscita del numero in edicola.
E’ Elena Croce, la figlia di Benedetto, nel cui salotto conosce Klaus Mann e Adorno, a introdurlo. “Non c’è un giorno nel quale non abbia preso un libro in mano”, dirà .
E’ tra i primi professori a scrivere regolarmente sui giornali, sin dai primi anni Settanta, quando le tribune dei giornali erano scansate dagli accademici.
Insegna a Oxford, in Francia, in Germania, negli Stati Uniti, viaggia incessantemente, l’altra sua passione è la buona cucina, da gourmet, “l’investimento per una buona cena non va considerato di serie B rispetto a un libro o a un disco”, dirà .
Nel ’79 entra in Parlamento, ma a sorpresa rifiuta l’offerta dei radicali (“l’unico partito al quale sono mai stato iscritto”), e si candida come indipendente di sinistra nelle liste del Pci.
A Pannella, che quell’anno aveva convinto Sciascia a candidarsi, preferisce Berlinguer. Sono anni difficili, il terrorismo mette a dura prova la tenuta delle istituzioni.
Quando il Pci voterà a favore delle leggi emergenziali di Cossiga, Rodotà si smarcherà . Vi rimarrà fino al 1993 quando si dimetterà , a sorpresa, dopo essere stato eletto vicepresidente della Camera.
Scrive: “La mia non è una ritirata, nè un rifiuto sull’aria “ingrata politica non avrai le mie ossa”. I tempi sono così pieni di politica che nessuno può tirarsene fuori con un gesto o una parola”.
La Seconda Repubblica lo vede quindi fuori dal Palazzo, e con più forza, con meno vincoli. Nel 1997, durante il primo governo Prodi, diventa Garante della Privacy, “il signor Riservatezza”, ruolo che regge con equilibrio fino al 2005, in un momento storico in cui, grazie all’esplosione della rete, ogni certezza sui dati personali sembra saltata. Riceve 80 ricorsi al giorno.
Interviene, guida, spiega con mano ferma temi che aveva iniziato a studiare sin dai primi anni Settanta.
I temi di una vita sono i diritti, quelli individuali e sociali, perchè “è da quelli che si misura la qualità di una società “.
E poi la laicità dello Stato, i valori della Costituzione, da far conoscere e da preservare, il rapporto tra Stato e Chiesa, quello tra democrazia e religione, la bioetica, la libertà di stampa.
Su questi argomenti scrive incessantemente, per anni, con prosa scabra, puntuale, “perchè il linguaggio è sempre rivelatore”. Pungola la sinistra ogni volta che può, “sui diritti è debole, quasi che la chiesa cattolica abbia il monopolio delle questioni etiche”.
Il Paese oscilla tra grandi slanci riformatori e repentini ripiegamenti, Rodotà si ritrova spesso in minoranza. “Viviamo in uno stato di diritto, ma nessuno ci crede”, commenterà un giorno, amaro.
Con la sinistra dei partiti il suo rapporto è complesso. Nell’89, dopo la Svolta di Occhetto, aderisce al Pds. Ne diventa presidente, ma senza sentirsi mai pienamente a casa. E’ un irregolare.
Sono gli anni di Tangentopoli, la sinistra sconta le sue debolezze, avanza il berlusconismo, il paesaggio del Novecento, con le sue certezze, frana di colpo.
Il conflitto d’interessi di Berlusconi diventa così il nuovo campo di battaglia dove misurare la forza della democrazia repubblicana. Rodotà è in prima fila.
Ne denuncia le storture ripetutamente. “Siamo alla rottura dei fondamenti di un moderno Stato democratico”, dirà dopo che Berlusconi avrà incassato la sua prima fiducia, nell’aprile del 1994, intervistato da Rina Gagliardi.
Rodotà in qualche modo è sempre stato moderno. A 80 anni si scopre star del web. Parla ai giovani.
Nel 2013 i Cinquestelle lo candidano alla successione di Napolitano. Il tifo per lui “Ro-do-tà -Ro-do-tà “, risuona a Montecitorio, lo votano anche Sel e alcuni del Pd; poi Grillo, con un atto volgare dei suoi, lo definirà “un ottuagenario miracolato della rete”. Viene rieletto Napolitano. Sposato da più di mezzo secolo con Carla, collaboratrice di Repubblica, due figli, Carlo e Maria Laura, una delle firme del giornalismo italiano, ha quindi attraversato questo nostro tempo con una profonda curiosità e spirito civile. “Il mio narcisismo l’ho consumato in tutte le cose che ho fatto. Ora mi sento pacificato”, disse tempo fa ad Antonio Gnoli.
La sua voce, mai accomodante, mancherà .
(da “La Repubblica”)
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Giugno 23rd, 2017 Riccardo Fucile
NON GLI E’ BASTATO RIMEDIARE APPENA IL 3,2% E LA DESOLAZIONE DI GENTE AI COMIZI
Daniele Ghirarduzzi è il candidato del MoVimento 5 Stelle che ha rimediato un’epica brutta figura a Parma prendendo il 3,18% e finendo surclassato da Federico Pizzarotti, il quale ha già dimostrato che un M5S senza Grillo è possibile e si appresta a sfidare al ballottaggio Paolo Scarpa, candidato del Partito Democratico.
Evidentemente Ghirarduzzi deve ancora digerire la sconfitta, visto che poco fa su Facebook ha invitato a votare… Scarpa, il candidato del PD, spiegando il tutto con una logica che renderà orgogliosi i cittadini di Parma, chiunque vinca al ballottaggio, di aver votato… qualcun altro.
“Se vuoi impedire che il PD conquisti il Comune NON votare Pizzarotti. Almeno Scarpa è sostenuto da 3 liste diverse“, ha scritto infatti l’ex candidato grillino sponsorizzato da Massimo Bugani.
Ovviamente a Ghirarduzzi sfugge il piccolo dettaglio che tra le tre liste che sostengono Scarpa c’è il PD, mentre nell’unica lista che sostiene Pizzarotti il PD non c’è.
Ma la notizia è un’altra: ovvero che il M5S odia e teme tanto Pizzarotti da indicare di votare il suo peggior nemico pur di vederlo perdere.
Curiosamente, nei commenti è un massacrato
A Ghirarduzzi sfugge che comunque vada al ballottaggio Pizzarotti, come abbiamo scritto domenica scorsa, ha già dimostrato a tutti che un 5 Stelle senza Grillo è possibile. E le piazze vuote agli appuntamenti grillini ufficiali, oltre alla sua uscita di oggi, ne sono la più trasparente testimonianza.
(da “NextQuotidiano”)
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