Giugno 7th, 2017 Riccardo Fucile
NESSUN ALTRO TENTATIVO SE FALLISCE IL “TEDESCO”: SI VOTA… E LOTTI E’ GIA’ AL LAVORO SULLE LISTE
Le notizie che arrivano dalla Camera quasi lo gasano.
Perchè, paradossalmente ma non troppo, possono rappresentare l’occasione per un’ulteriore accelerazione verso il voto.
Matteo Renzi è al Nazareno, nella sua nuova stanza che pare un bunker. Da lì telefona, manda messaggi, spiega ai suoi, parecchio agitati: “Calma ragazzi che per noi è una situazione win win. Se Grillo tiene, abbiamo fatto le riforme condivise, come chiesto dal capo dello Stato. Passa un accordo con l’80 per cento del Parlamento. Se non tiene….”.
Il tono di voce è quello di chi vorrebbe dire il più classico dei “te l’avevo detto”: “Se non tiene — prosegue — si va al voto con l’Italicum modificato dalla Consulta. Con un decreto per intervenire su alcuni punti. Proprio come abbiamo chiesto dal primo giorno…”.
E a quel punto, è il finale del ragionamento, è complicato che qualcuno possa dire di no. È evidente che quel qualcuno è il Quirinale, perchè qualora venisse bocciato un accordo votato in commissione dall’80 per cento delle forze politiche, nessuno potrebbe far finta di niente.
Concetto che in parte il segretario del Pd affida a un post su facebook: “Se qualcuno si tirerà indietro, gli italiani avranno visto la serietà del Pd che ha risposto all’appello del Capo dello Stato”.
Significa che, almeno così la pensa Renzi, non è pensabile nè affrontare il Vietnam del Senato solo con Berlusconi, nè un altro giro, ovvero la ricerca di una mediazione su un altro testo.
Questo tentativo è “one shot”: se non va a bersaglio il colpo, allora significa che questo Parlamento ha un problema enorme di credibilità , che rende complicata la prosecuzione della legislatura: “Che facciamo? — dice chi ha parlato con Renzi — Andiamo avanti come se nulla fosse?”.
Pare un lupo che sente l’odore del sangue, il segretario del Pd.
Lo sente sul caso Consip, o meglio su Woodcock, dopo che il vicecomandante del Noe è stato iscritto sul registro degli indagati per depistaggio, altro episodio che smonta l’inchiesta napoletana avvolgendola in un’ombra inquietante.
Lo sente nell’eventuale voltafaccia di Grillo: sarebbe l’Incidente, la fine — per tutti – dell’alibi per non andare al voto.
Insomma, almeno questo è l’animus, il voto a ottobre non è in discussione. Giusto il tempo di convertire il decreto.
Anzi la rottura potrebbe determinare una drammatizzazione sul tema. E un’arma d’attacco verso i Cinque Stelle. Per la serie: “Non sono affidabili”, “votano una cosa in commissione, poi in Aula si tirano indietro”, “hanno paura del voto anticipato”… Proprio per tutte queste ragioni in parecchi non riescono a prevedere cosa accadrà nel Movimento da qui a domenica.
Rosato, Guerini riportano al Nazareno un quadro che è oggettivamente confuso: “Lì dentro sono spaccati, tra l’ala di Di Maio che vorrebbe tenere l’accordo e gli altri che non lo reggono, per tutta una serie di motivi”.
Matteo Richetti è uno che va al sodo: “Non la reggono, è evidente, non reggono quello che il loro mondo considera un inciucio con noi e Berlusconi. I sondaggi dove scendono ce li hanno pure loro. E dunque rompono”. Chissà .
La certezza è che, al Nazareno, si sentono in campagna elettorale, con Lotti che ha iniziato a lavorare sulle liste.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 7th, 2017 Riccardo Fucile
COMEY DOMANI TESTIMONIERA’ AL SENATO … PER TRUMP SI PROFILA L’ACCUSA DI INTRALCIO ALLA GIUSTIZIA
Donald Trump chiese di insabbiare il Russiagate e di “lasciare andare le indagini su Mike Flynn (ai tempi consigliere per la sicurezza nazionale del presidente americano, costretto poi alle dimissioni per aver mentito proprio sui suoi rapporti con la Russia, ndr). ‘È un bravo ragazzo’, mi ha detto”.
La rivelazione esplosiva, che potrebbe dare l’avvio all’impeachment, è dell’ex capo dell’Fbi, James Comey (licenziato dal capo della Casa Bianca il 9 maggio scorso), nella dichiarazione scritta in sette pagine con cui aprirà domani la sua audizione in Senato, davanti ai membri della Commissione intelligence che indaga sulla possibile interferenza della Russia nelle elezioni presidenziali Usa dello scorso novembre e sulla possibile collusione tra la campagna Trump e funzionari russi.
Una testimonianza le cui anticipazioni sono state definite ‘inquietanti’ dal senatore repubblicano John McCaine e che arrivano a poche ore dall’annuncio fatto da Trump su Twitter del nome del sostituto di Comey alla guida dell’Fbi, Christopher A. Wray.
Il caso.
“Ho capito che il presidente mi stava chiedendo che l’Fbi ponesse fine ad ogni indagine su Flynn in merito alle false dichiarazioni (in realta rivelatesi vere, ndr) sulle sue conversazioni con l’ambasciatore russo (Serghei Kislyak, ndr) a dicembre” prosegue Comey nel testo.
Flynn venne poi rimosso da Trump proprio perchè aveva mentito al vicepresidente Mike Pence sui suoi contatti con l’ambasciatore Kislyak, del tutto illegali perchè a dicembre Flynn, benchè membro della squadra di transizione di Trump, non aveva assunto ancora alcun incarico governativo e il Logan Act vieta a tutti i privati cittadini americani di aver contati di qualsivoglia tipo con funzionari di stati stranieri”.
Massima lealtà .
Il tycoon, a quanto dice Comey, gli chiese lealtà durante una conversazione il 27 gennaio scorso: “Il presidente mi ha detto: ho bisogno di lealtà , mi aspetto lealtà “, racconta il dirigente dell’Fbi. “Non mossi le labbra, parlai, o cambiai la mia espressione durante il terribile silenzio che seguì. Ci siamo semplicemente guardati in silenzio”.
Le parole del capo della Casa Bianca non si fermarono alla richiesta di lealtà : Comey aggiunge anche che Trump gli chiese se intendeva restare alla direzione dell’Fbi. Comey sottolinea che trovava la richiesta strana in quanto “già in due precedenti conversazioni mi aveva detto che sperava io rimanessi e io gli avevo assicurato che intendevo rimanere”.
Incontri a quattrocchi.
Questo fu uno dei nove colloqui ‘face to face’ in quattro mesi, di cui tre in persona e sei al telefono, che Comey ebbe con Trump. Quanto alle indagini sulla Russia, il magnate gli avrebbe chiesto di “togliere la nube” che comprometteva la sua capacità di agire per il Paese.
Alla fine di marzo, il 30, Trump, nel corso di una telefonata, disse al capo dell’Fbi di non aver niente a che fare con la Russia. E, poco dopo, l’11 aprile, il presidente chiese al capo dell’Fbi di dichiarare pubblicamente che non era sotto inchiesta, dopo che lo stesso Comey aveva confermato che non stava portando avanti alcuna indagine sul suo conto. Il direttore, tuttavia, girò la richiesta di Trump al Dipartimento di giustizia, ma non ebbe alcuna risposta.
(da agenzie)
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Giugno 7th, 2017 Riccardo Fucile
IL SENATORE ALDO DI BIAGIO HA DENUNCIATO LA RAGGI PER LESIONI COLPOSE E OMISSIONE D’ATTI D’UFFICIO… SU 10.000 BUCHE SEGNALATE RIPARATE SOLO 400… CAUSE PENDENTI IN COMUNE SONO 5.188
Aldo Di Biagio, senatore di Area Popolare, ha denunciato Virginia Raggi per lesioni colpose e omissione in atti d’ufficio per una buca.
Ovvero quella in cui gli è capitato di cadere lo scorso 8 aprile in via della Moschea a bordo del suo scooter.
La storia la racconta oggi Repubblica Roma:
La vicenda ruota attorno ad un incidente avuto dal parlamentare di Ap a bordo del suo scooter lo scorso 8 aprile a causa di una buca stradale in via della Moschea. Il senatore si fratturò alcune costole e il piatto tibiale. Due mesi dopo il tratto stradale – stando alla denuncia – presenta ancora la stessa pericolosa voragine. Nella querela il senatore accusa la Raggi di ritardi «nell’esecuzione di lavori che devono garantire la salute e la vita dei cittadini»
Anche il Corriere racconta la vicenda con le parole del senatore:
«Stavo rientrando a casa per il pranzo, quando in via della Moschea mi sono trovato all’improvviso quel grosso pezzo di asfalto staccato da una buca, ci sono finito contro con una ruota dello scooter e sono caduto».
Da quel momento comincia la lunga sfortunata avventura del senatore. Non riusciva più ad alzarsi, un’ambulanza lo ha portato d’urgenza al Policlinico Umberto I e lì è rimasto per qualche giorno con una diagnosi di fratture costali multiple, di due vertebre e del piatto tibiale rotti oltre ad un ematoma cerebrale. «Pensavo di avere la schiena rotta e che non mi sarei più alzato». Un mese di stop forzato con il busto e poi qualche giorno fa i primi passi con le stampelle.
«Ma ne avrò ancora per mesi e di certo non tornerò come prima».
Perciò Di Biagio ha querelato la sindaca: «Quel pezzo di asfalto lì non doveva esserci, quella è una strada che si sta sgretolando da tempo e però nessuno fa i lavori, i vigili hanno dovuto perfino chiuderla per qualche giorno, ma a coprire le buche poi ci hanno pensato i cittadini dell’associazione “Tappami”, non il Comune».
Ecco quindi la denuncia per omissione di atti d’ufficio, «in attesa di un fantomatico piano buche più volte annunciato dalla Raggi e ancora senza seguito», scrive Di Biagio: «È evidente come il ritardo di un anno, ma anche solo di 6 o 4 mesi, nel porre in essere atti urgenti per la tutela della sicurezza urbana costituisca omissione di atti d’ufficio posti in essere da persona che ricopre una posizione di garanzia».
Le buche a Roma spuntano come funghi: a via Parini in occasione delle ultime piogge in città si è aperta una voragine che qualcuno ha giustamente utilizzato per giocare a golf.
Nella sezione “La sindaca informa” sul sito del Comune la Raggi annunciò di averne riparate 400: una goccia nel mare di una Capitale che ne conta almeno 10mila.
E il senatore Di Biagio non è il solo a chiedere i danni: le assicurazioni di Roma hanno fornito al Codacons qualche tempo fa tutti i numeri relativi alle pratiche di risarcimento intentate contro il Comune a seguito di sinistri causati dal dissesto stradale — mediante l’apposito sportello di conciliazione di Roma capitale o attraverso cause intentate in Tribunale — gestite nel 2016.
Le pratiche pendenti al 31.12.2016 erano in totale 5.188. Di queste 3.239 riguardano sinistri “non in causa”, mentre 1.949 sono gli incidenti determinati da buche stradali che hanno portato ad una causa.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 7th, 2017 Riccardo Fucile
PIU’ CHE UN MOMENTO DI DIBATTITO, LA NUOVA INIZIATIVA RENZIANA PREVEDE IL RUOLO DA COMPARSA
Nel nuovo Partito Democratico di Bob e di Matteo Renzi c’è un nuovo spazio di discussione: la terrazza.
Anzi la #TerrazzaPD con il doveroso hashtag d’ordinanza per la massima condivisione.
Cos’è la #TerrazzaPD? È il palco allestito sulla terrazza del Nazareno dove vanno in scena “approfondimenti tematici” e incontri.
Dibattiti che andranno in scena per tutto giugno e luglio.
Due giorni fa Renzi ha presentato la terrazzaPD spiegando che che è un modo “per essere cittadini e non soltanto numerini. Un modo per vivere concretamente non soltanto l’appartenenza al PD ma la voglia di dialogare e discutere dell’Italia che vogliamo per il futuro”.
In teoria la terrazza deve essere una versione potenziata del #MatteoRisponde. Una specie di Matteo&Friends. Ma forse qualcosa nella macchina della comunicazione del Partito Democratico è andato storto.
Lo fa notare il giornalista Aurelio Mancuso Cupello che ha ricevuto una mail per partecipare ad uno degli eventi della terrazza.
La cosa interessante non è tanto che per poter partecipare sia necessario superare delle selezioni.
Quello tutto sommato ha anche senso, non è che tutti possono andare in terrazza al Nazareno.
È interessante invece che i militanti, gli iscritti (chiamateli come volete) vengano invitati a partecipare come spettatori.
Insomma, più che un momento di incontro e di dibattito la scelta del termine spettatore sembra indicare che il pubblico ha l’unico scopo di fare da sfondo al vero dibattito
Quello che si svolge tra l’intervistartore e l’invitato di turno. In realtà non è proprio così perchè — come si è visto durante l’incontro in terrazza con il Ministro dell’Interno Minniti al pubblico è stato concesso di fare domande (una, nel finale).
Durante quella con Ermete Realacci di ieri invece nessuna. Ma probabilmente il pubblico era intimidito.
L’importante per il PD sembra essere che in contenuti di hashtagterrazzaPD vengano condivisi. Non risulta che gli spettatori, nemmeno quelli del live su Facebook, possano intervenire nel dibattito.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 7th, 2017 Riccardo Fucile
INCHIESTA CONSIP: “IL COL. SESSA HA DICHIARATO CIRCOSTANZE INESATTE”
Nuova e pericolosissima tempesta si abbatte sul Noe dei carabinieri.
Il colonnello Alessandro Sessa, vice comandante del nucleo operativo ecologico dei carabinieri è indagato dalla procura di Roma con l’accusa di depistaggio (un reato il 375 che prevede una pena massima di 8 anni di carcere) per aver di fatto dichiarato circostanze inesatte quando lo scorso maggio fu sentito come «persona informata sui fatti» dai magistrati romani. Ed è stato sentito questo pomeriggio dal procuratore Giuseppe Pignatone, dall’aggiunto Paolo Ielo e dal pm Mario Palazzi che subito dopo ascolteranno il capitano del Noe Gianpaolo Scafarto.
Al capitano che ha condotto le indagini sono contestati due falsi nell’informativa conclusiva del caso Consip e numerosi altri errori e omissioni.
L’ufficiale del Noe è stato sentito ancora una volta sulla famosa informativa che secondo i pm presenta ancora punti ben poco chiari.
Dopo essersi avvalso della facoltà di non rispondere nel corso del primo atto istruttorio, Scafarto, nello scorso interrogatorio puntò il dito sul pm di Napoli Jhon Henry Woodcock sostenendo che «la necessità di dedicare una parte della informativa al coinvolgimento di personaggi legati ai servizi segreti, fu a me rappresentata come utile direttamente dal dottor Woodcock», riportando nell’atto istruttorio le parole precise del pm napoletano: «al posto vostro farei un capitolo autonomo su tali vicende».
L’affaire che riguarda il pm napoletano celebre per le inchieste mediatiche è finito davanti al plenum del Csm per iniziativa del pg della Cassazione Pasquale Ciccolo, titolare insieme al Guardasigilli dell’azione disciplinare verso i magistrati, che contesta a Woodcock un’intervista in difesa del capitano del Noe a Repubblica, e che è a sua volta fatto oggetto di critiche per una sua presunta amicizia con Matteo Renzi, figlio di Tiziano, l’indagato che avrebbe subito danni dagli errori dell’inchiesta Consip.
Ma al capitano i magistrati romani contestano l’intera serie di imprecisioni e omissioni evidenti che hanno di fatto compromesso l’indagine.
«La discrasia non è contestabile ma escludo di avere avuto nella redazione dell’informativa consapevolezza di essa», si era giustificato ad esempio il capitano in relazione alla falsa attribuzione ad Alfredo Romeo di una frase pronunciata in realtà da Italo Bocchino sull’incontro con un imprecisato Renzi.
«Ho cercato di darmi spiegazioni – aveva confidato Scafarto – e posso pensare di avere avuto solo una prima versione del file, relativa al sunto e di avere utilizzato questa per la redazione dell’informativa. Era un periodo di forte lavoro, legata alla necessità di chiudere l’atto prima della prima decade di gennaio quando era in programma un incontro tra la procura di Roma e Napoli».
Sconcerta però che ci sia una falsa attribuzione anche dell’affermazione «il generale Parente è stato nominato all’Aisi da Tiziano Renzi», mentre la frase pronunciata era: «che l’ha nominato Renzi», inteso come Matteo che all’epoca dei fatti era il presidente del Consiglio.
Non basta: il colloquio tra Alfredo Romeo e un suo collaboratore diventa, nell’informativa di Scafarto, un vertice con il colonnello Petrella in servizio all’Aisi, sul tema delle intercettazioni ambientali (all’epoca nemmeno iniziate) solo perchè il collaboratore ha un cognome molto simile all’agente segreto.
(da “La Stampa”)
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Giugno 7th, 2017 Riccardo Fucile
PRIMA TUTTI A SOSTENERE CHE NON AVREBBE MAI VINTO, POI CHE NON AVREBBE AVUTO I NUMERI PER GOVERNARE, ORA IL PROBLEMA E’ CHE POTREBBE STRAVINCERE… AL FRONT NATIONAL APPENA 10 SEGGI
Domenica i francesi votano per il primo turno delle elezioni legislative, per mandare all’Assemblea nazionale 577 deputati che dovranno sostenere – o contrastare – l’azione del presidente Emmanuel Macron e del primo ministro à‰douard Philippe. Secondo i sondaggi, dopo il secondo turno della domenica successiva (18 giugno), è probabile che il movimento fondato nell’aprile 2016 da Macron – con il nome di En Marche poi diventato La Rèpublique En Marche – conquisterà la maggioranza assoluta dei seggi. §E in modo molto ampio, forse superando la soglia dei 400 seggi su 577.
Un esito imprevedibile fino a pochi mesi fa
Al di là delle dimensioni, la vittoria di Macron anche in Parlamento è un esito che oggi appare quasi inevitabile, e che solo qualche mese fa sembrava impossibile.
Al momento di presentare la sua candidatura all’Eliseo, Macron è stato a lungo giudicato un candidato evanescente, privo di un vero partito e quindi espressione di una «bolla» mediatica destinata a scoppiare presto.
La bolla non è mai esplosa, e quando i sondaggi hanno cominciato a dare Macron come possibile vincitore dell’elezione presidenziale, i suoi avversari hanno sostenuto allora che i guai sarebbero iniziati dopo, quando una volta insediato all’Eliseo il nuovo capo di Stato si sarebbe accorto di non avere una maggioranza solida.
Il rischio di dare «troppo potere a Macron»
A un mese dalla vittoria nelle presidenziali, Macron si appresta invece a ottenere l’appoggio in Parlamento di una maggioranza fin troppo importante.
Tanto che, secondo il Canard Enchaà®nè, il presidente avrebbe confidato ai suoi collaboratori che «avremo molti deputati, quasi troppi, più di 400. Bisognerà inquadrarli per evitare troppa confusione».
E il presidente del comitato di investitura de La Rèpublique En Marche, Jean-Paul Delevoye, che ha selezionato i candidati, dice che «rischiamo di essere oltrepassati dal nostro stesso successo. Decine di deputati potrebbero creare problemi, dovremo essere vigili».
È quel che i francesi chiamano «un problema da ricchi», il genere di preoccupazione che vorrebbero tanto avere i partiti tradizionali, Les Rèpublicains (destra) e il PS (sinistra), che finora sono stati i pilastri del sistema politico francese e ormai sono ridotti ai suoi margini.
Gli ex Rèpublicains ed ex socialisti nel governo
Se i Rèpublicains sperano di ottenere intorno a 140 deputati, i socialisti potrebbero conquistare solo una trentina, una disfatta simile a quella storica del 1993.
Ma numeri a parte, la destra e la sinistra tradizionale patiscono il fatto di essere prosciugati, in termini di candidati e anche di programma politico, dal movimento «di destra e di sinistra» di Macron, che ha saputo cooptare uomini dell’uno e dell’altro schieramento riuscendo allo stesso tempo nell’acrobazia di porsi come una forza anti-sistema.
Figure di primo piano del governo arrivano dai Rèpublicains – per esempio il premier Philippe e il ministro dell’Economia Bruno Le Maire – e dai socialisti – il ministro dell’Interno Gèrard Collomb o quello degli Esteri e dell’Europa, Jean-Yves Le Drian –, tanto che il ruolo di opposizione sembra relegato all’estrema destra del Front National di Marine Le Pen e alla sinistra radicale della France Insoumise di Jean-Luc Mèlenchon.
Ma per il gioco delle alleanze e delle desistenze, il FN potrebbe conquistare non più di una decina di seggi (oggi ne ha due) e la France Insoumise una ventina.
Astensionismo e dialettica politica in crisi
I giochi sembrano fatti, e questo è un elemento che incoraggia l’astensione: secondo un sondaggio Odoxa, domenica potrebbero andare a votare solo il 52% degli aventi diritto (47 milioni e mezzo di francesi), cinque punti percentuali in meno rispetto al precedente record del 2012. Emmanuel Macron invita i francesi a dargli tutti gli strumenti per governare: «Il voto di domenica significa ”stop o encore”» (citazione di una trasmissione musicale radiofonica). Il rischio è che la maggioranza in Parlamento sarà talmente a suo favore che l’opposizione, e la dialettica politica, si farà nei prossimi mesi in piazza, soprattutto quando saranno prese misure impopolari come la riforma del lavoro o i tagli alla spesa pubblica.
Sempre che Macron non torni a stupire ancora.
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 7th, 2017 Riccardo Fucile
IL LIBERAL SPERA IN UN NUOVO REFERENDUM SULL’EUROPA: “LA LOBBY DELLA BREXIT VUOLE MARGINALIZZARE LA VOCE DEI GIOVANI, DEI PICCOLI IMPRENDITORI E LE PREOCCUPAZIONI DI SCOZIA E IRLANDA”
“Stanno perseguendo una Brexit estrema che nella sua ristrettezza e intolleranza, è molto anti-britannica”. Nick Clegg, europeista convinto, e membro di spicco dei lib-dem, sferra un duro attacco contro Theresa May in un’intervista al Corriere della Sera. L’ex vice premier critica il modo in cui i conservatori hanno interpretato la Brexit:
“la lettura fornita dal premier Theresa May al risultato del referednum è in realità intollerante e parziale. Lo scontento verso lo status quo è stato poi sfruttato da gruppi d’interesse molto più ristretti e oggettivi, da parti della stampa e della finanza che hanno a tutti gli effetti catturato il partito conservatore”.
Clegg sottolinea il paradosso che l’obiettivo originario della May di sfruttare la tornata elettorale per garantire una “leadership forte e stabile” rischia di generare l’effetto opposto:*
“Rischiamo di cadere fuori dall’Unione Europea senza nessun accordo. Il futuro della Gran Bretagna sarà molto più debole e instabile. May sperava in un esito diverso ma il risultato dell’elezione sarà l’indebolimento e l’instabilità ”
Negli orizzonti della Brexit, Clegg intravede una possibilità remota che intende tuttavia perseguire con determinazione:
“Spero che si possa dare di nuovo la voce al popolo. Ma non dobbiamo farci illusioni, sarà difficile portare avanti questa idea. C’è una nuova èlite della Brexit che farà qualunque cosa per marginalizzare la voce dei giovani, la voce degli imprenditori locali, le preoccupazioni della Scozia e dell’Irlanda del Nord. Dovremmo gridare forte e condurre una campagna dura affinchè il popolo britannico possa esprimersi di nuovo. Ma penso che sia possibile”.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 7th, 2017 Riccardo Fucile
GRILLO IN DIFFICOLTA’ CI RIPENSA: “RIVOTINO GLI ISCRITTI”… 209 EMENDAMENTI PRESENTATI, SU UN CENTINAIO VOTO SEGRETO… PD. “SE IL M5S SI SFILA ALLORA SALTA TUTTO”
Cento ostacoli per il primo sì alla legge elettorale.
I piccoli partiti che osteggiano il patto a quattro sulla riforma in chiave “tedesca” riescono a strappare cento votazioni segrete su altranti emendamenti.
Sono 209 quelli depositati che da oggi sono messi in votazione nell’aula di Montecitorio, dopo la discussione generale svolta in un emiciclo semideserto.
Sarà una corsa contro il tempo: il Partito Democratico ha fatto sapere che sarebbe disponibile ad accogliere la richiesta dei Movimento 5 Stelle di fissare il voto finale sulla legge elettorale lunedì 12 giugno.
Una data che ha fatto scattare la voce di un rinvio: “Nel nostro programma abbiamo chiaramente scritto che i giorni di Aula” dedicati alla legge elettorale “erano il 6,7 e 8 giugno e nella settimana successiva per un eventuale seguito dell’esame della legge elettorale ove esso non sia stato già concluso. È scritto tutto. Non emerge nulla che andrebbe contro la capigruppo”, ha precisato la presidente della Camera Laura Boldrini.
Si parte col voto sulle questioni pregiudiziali opposte da centristi e Mdp, poi via con gli emendamenti.
Franchi tiratori in azione.
E già al primo voto si registra il primo ‘caso’: “Nelle pregiudiziali ci sono stati 100 voti in meno rispetto alla sommatoria dei 4 gruppi, vi ricordo cosa accadde quando furono 101…”. ha detto il capogruppo dem Ettore Rosato all’assemblea del Pd alla Camera.
“Sono sicuro – ha aggiunto – che saranno importanti i primi voti, noi abbiamo la responsabilità di tenere duro fino in fondo”.
A conti fatti e al netto dei deputati in missione, alla maggioranza che sostiene la riforma della legge elettorale, sono mancati 66 voti sulle pregiudiziali, a quanto risulta dalla lettura dei tabulati della votazione segreta.
Voto segreto mette a rischio il patto.
Sebbene il fronte di Pd, Forza Italia, Cinque stelle, Lega e Sinistra italiana cerchi di restare compatto, i franchi tiratori annidati negli stessi gruppi dei leader che hanno siglato l’accordo e scritto la legge sembrano materializzarsi nel segreto dell’urna della Camera, costringendo a sostanziali o parziali modifiche del testo.
Sono un centinaio le votazioni segrete chieste, come prevede il regolamento di Montecitorio, da trenta deputati o da uno o più presidenti di gruppi che rappresentino appunto almeno quel numero di parlamentari.
Grillo in difficoltà : “Nuove votazioni online per iscritti M5s”.
Intanto M5s annuncia sul blog di Beppe Grillo di lavorare a modifiche, soprattutto per il voto disgiunto, dicendo che la legge che uscirà dal dibattito in Parlamento dovrà essere rivotata dagli iscritti, mettendo così a rischio il patto.
Ultimatum Pd.
Rosato è stato perentorio ad apertura dell’assemblea dei deputati dem: o i quattro partiti votano compatti sulla riforma elettorale o il Pd tornerà alla sua proposta, il Rosatellum. E più tardi, sulla scelta di Grillo di dare l’ultima parola agli iscritti, dice che il Partito democratico, rispettando le procedure interne al Movimento, è disposto “a venire incontro a questa esigenza”, pertanto “si voterano tutti gli emendamenti e gli articoli della riforma elettorale in questi giorni, ma il voto finale, se la presidente della Camera sarà d’accordo, si farà lunedì”.
Ma lancia un monito: “Avvertiamo però che o il testo è quello concordato dai 4 partiti oppure non c’è blog che tenga, fuori da quel testo non c’è la possibilità di fare la legge elettorale. Ricordo infatti che il Pd ha fatto i passi più lunghi per scrivere le regole insieme, perciò non accettiamo atteggiamenti di preponderanza da parte di nessuno – chiarisce Rosato – non è che il blog condiziona il Parlamento, il blog condiziona il voto finale dei 5 stelle”.
Anche l’area Orlando mette le mani avanti: “Le regole devono valere per tutti. Lealtà da parte nostra se i 4 contraenti rispettano i patti”, il senso degli interventi degli orlandiani. Se M5S non ritira i suoi emendamenti, salta l’accordo e “per noi -si spiega- non c’è più vincolo di maggioranza Pd”.
Voto anticipato, Calenda dice ‘no’.
Intanto, al fronte contrario al voto anticipato in autunno si iscrive anche il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda: “Penso che le elezioni a settembre siano un errore perchè questo Paese ha bisogno di un pò di calma, far finire le riforme che non derivano da me ma dal governo Renzi, di fare una Finanziaria seria, finire di mettere a posto la questione delle banche che è una questione complessa e di fare una legge elettorale che ci riporti indietro nel tempo. Il rischio per il Paese è serio”.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 7th, 2017 Riccardo Fucile
TRAFFICO ILLECITO DO 100.000 TONN. DI RIFIUTI SPECIALI E MAZZETTE: TRA I 19 ARRESTATI TRE POLITICI, COMPRESO IL REFERENTE PROVINCIALE DI SALVINI
In Puglia 19 arresti per traffico illegale di rifiuti dalla Campania al Foggiano: la Dda di Bari ha documentato fra il 2010 e il 2014 lo sversamento illecito di oltre 100mila tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi, tra fanghi di depurazione, scarti di lavorazione di alimenti e animali macellati, oltre a plastica e pneumatici.
Il dirigente Arpa.
Tra gli arrestati c’è anche un funzionario dell’Arpa Puglia (Agenzia regionale protezione ambiente), Domenico Gramegna. Il dirigente dell’unità operativa complessa Acqua e suolo, al quale sono stati concessi gli arresti domiciliari, risponde di falso e due episodi di corruzione.
Entrambi risalgono al 2014, uno relativo a una ispezione eseguita nell’azienda di compostaggio Lufa Service di San Severo (Foggia), l’altro riguardante la bonifica dall’amianto di un terreno nell’area dell’ex Fibronit di Bari. Nel primo caso avrebbe ottenuto una tangente di 5mila euro, nel secondo l’assunzione del figlio.
Tre politici coinvolti.
Tre politici di San Severo (Foggia) e Barletta avrebbero fatto da intermediari fra la società di compostaggio Lufa Service e un funzionario dell’Arpa Puglia, convincendoli a farsi corrompere con cinquemila euro per non evidenziare le irregolarità dell’impianto.
Tutti e tre sono finiti oggi agli arresti nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Bari su un presunto traffico illecito di rifiuti dalla Campania nel Foggiano. I tre sono il coordinatore provinciale di Foggia di Noi con Salvini, Primiano Calvo, di San Severo, il vice coordinatore regionale di Idea Popolo e Libertà , Antonio Comitangelo, e Paolo Antonio Del Prete, componente del coordinamento provinciale Bat dello stesso movimento.
La Fibronit.
Tra gli indagati c’è anche Gaetano Nuovo, amministratore della Allkema Service srl di Modugno (Bari) che effettuò nel 2014 la bonifica di un terreno adiacente all’ex fabbrica Fibronit. La gip del tribunale di Bari Annachiara Mastrorilli, che ha emesso l’ordinanza di custodia cautelare, ha anche disposto il sequestro di beni per 9,3 milioni di euro tra conti correnti, quote societarie, la sede dell’azienda di compostaggio e 70 ettari di terreno, nel Foggiano, a Manfredonia, San Severo, Zapponeta e San Paolo Civitate.
L’inchiesta.
L’indagine di polizia, guardia di finanza e corpo forestale, coordinata dai pm della Dda di Bari Giuseppe Gatti, Lidia Giorgio e Renato Nitti, vede coinvolti in totale 46 indagati. Attraverso intercettazioni, appostamenti e video, è stato accertato che i rifiuti, provenienti dalle province di Napoli e Caserta, venivano trasportati dagli automezzi della società Pulitem di Casalnuovo di Napoli presso la Lufa Service di San Severo.
Quelli che apparentemente dovevano essere trasformati dopo un processo di compostaggio in fertilizzanti per agricoltura, in realtà erano rifiuti che venivano sversati illecitamente in terreni utilizzati di fatto come discariche.
(da “La Repubblica”)
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