Giugno 29th, 2017 Riccardo Fucile
RITIRATE LE FORZE SPECIALI, PERSI TRE MESI PER UNA ESIBIZIONE MUSCOLARE QUANDO SERVIVA UNA ATTIVITA’ INVESTIGATIVA
La sera dell’8 aprile l’avevano già “preso”. Poi i titolisti dei giornali locali avevano dovuto correggere il tiro: Igor Vaclavic, il killer ricercato per l’omicidio di Budrio, non era stato ancora catturato dopo aver ucciso ancora.
“È braccato, lo stiamo prendendo”, facevano sapere gli investigatori.
E braccato, l’uomo che dicevano essere un reduce delle famigerate truppe siberiane, lo è stato davvero. Per prenderlo, invece, bisognerà aspettare ancora, visto che nel frattempo Igor è scomparso: svanito, evaporato, praticamente un fantasma.
Sarà per questo motivo che a tre mesi da quel mancato arresto, nessuno cerca più Igor. O meglio: nessuno lo cerca più nei modi e nei luoghi in cui è stato braccato per settimane.
L’imponente caccia all’uomo andata in scena tra aprile e giugno è sospesa: Igor non c’è e gli investigatori hanno dovuto cambiare tattica.
È la cosiddetta fase due, come l’ha definita il Resto del Carlino: il numero degli uomini dei reparti speciali utilizzati nella zona rossa tra Molinella e Argenta è stato drasticamente ridotto, il fascicolo sul killer è diventato di competenza dei reparti investigativi.
“La caccia al latitante resta priorità del ministero“, si limitano a dire dal Viminale, confermando quindi che Igor non è più solo un ricercato ma ha acquisito lo status di latitante: da “criminale di serie C“, come l’avevano definito gli inquirenti, al gotha ristretto di cui fa parte Matteo Messina Denaro.
Resta da capire come abbia fatto a sfuggire a ottocento tra poliziotti e carabinieri che lo hanno braccato per settimane, notte e giorno, armati fino ai denti e con ogni mezzo di ricerca, in quei quaranta chilometri quadrati di boscaglia e corsi d’acqua tra le oasi di Campotto e Marmorta.
Lo avevano ribattezzato Igor il russo ma non è russo, non ha un passato da militare in Siberia e non si chiama nemmeno Igor: il suo vero nome è Norbert Feher ed è un serbo di 36 anni nato a Subotica, arrivato in Italia nel 2005 ed espulso due volte, senza però mai lasciare il nostro Paese.
Questo, però, la sera dell’8 aprile, non si poteva sapere. Si sarebbe capito soltanto qualche giorno dopo quando nel Ferrarese sarebbero arrivate le teste di cuoio, gli addestratissimi cacciatori di latitanti, armati fino ai denti.
Lì, tra boschi e acquitrini, lo Stato aveva inviato il meglio delle sue truppe per prendere quel pericoloso assassino capace di ammazzare a sangue freddo due persone in pochi giorni: il 2 aprile a Riccardina di Budrio aveva abbattuto il barista Davide Fabbri con una pistola presa a una guardia giurata.
Sei giorni dopo era toccato a Valerio Verri, una guardia volontaria, che lo aveva intercettato a un posto di blocco tra Marmorta e Molinella, in provincia di Bologna. Era stata quella l’ultima apparizione del killer serbo: da quel momento in poi la zona si era trasformata nella scenografia della più imponente caccia all’uomo degli ultimi anni.
Tra i boschi senza sentieri erano arrivati infatti i reparti speciali dei cacciatori di Calabria e di Sardegna, investigatori con anni d’esperienza nella ricerca di boss mafiosi nei bunker della ‘ndrangheta sull’Aspromonte.
Droni, visori termici a infrarossi, cani molecolari: in quel cerchio rosso dove era stato localizzato, gli investigatori hanno provato di tutto.
Anche le qualità di Gandolf e Druido, due bloodhound, cani molecolari certificati dall’Fbi: hanno confermato il punto esatto dove — tra sterpaglie e immondizia — Igor aveva dormito nei giorni di Pasqua. Poi poco altro.
“In questi anni passati tra i canali forse ha preparato decine di rifugi: al novanta per cento Igor è ancora qui”, diceva il pm di Bologna, Marco Forte.
“Igor era in vantaggio di due giorni. Ora gli siamo dietro di ventiquattro ore. Appena sbaglia lo prendiamo”, assicurava un altro investigatore il 29 aprile.
“Abbiamo le prove e le tracce della presenza del ricercato ancora in zona, tracce recenti”, spiegava invece il capitano Stefano Biasone, ufficiale dei Parà del Tuscania, altro addestratissimo reparto dei carabinieri spedito nella Bassa alle costole di Igor. “Se non lo prendono loro non lo prende più nessuno”, dicevano i militari.
Oggi gli abitanti della zona sperano che non sia davvero così.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 29th, 2017 Riccardo Fucile
DA DOVE VENGONO E DA COSA SCAPPANO MILIONI DI PERSONE IN CERCA DI UN FUTURO… LA REALE SITUAZIONE NEI PAESI DI PROVENIENZA
Un Continente dalle straordinarie ricchezze e potenzialità , depredato da multinazionali (con sedi centrali negli Usa e in diverse capitali europee) che foraggiano, mantenendoli in vita, regimi che fanno del binomio corruzione-repressione, il loro marchio di fabbrica.
La cronaca di questi giorni racconta di un boom degli sbarchi di migranti sulle coste italiane e del Governo italiano che fa la voce grossa verso una sorda Europa. “Per una volta, almeno per una volta — ebbe a dire il Premio Nobel sudafricano Desmond Tutu, simbolo, con Nelson Mandela, della lotta al regime dell’apartheid — mi auguro e prego perchè i cittadini europei, e i loro governanti, non si chiedano dove vogliano andare gli esseri umani che bussano alle porte, troppo spesso sbarrate, dei ricchi Paesi occidentali. Io spero e prego che almeno una volta ci si chieda da cosa fuggono, e perchè, e per responsabilità di chi, i loro Paesi si siano trasformati in un inferno in terra”.
Rispondere all’invito di Desmond Tutu significa inoltrarsi su un sentiero impervio, fatto di verità amarissime, di responsabilità acclarate; significa mettere in evidenza l’inconsistenza europea, il neocolonialismo cinese, la penetrazione russa e lo scontro con il sovranismo Usa, per il quale “America first” in Africa vuol dire sostenere i propri interessi economici anche se ciò comporta creare le condizioni per la fuga di milioni di disperati.
I migranti che raggiungono la provengono da diverse zone del continente africano: la maggior parte provengono da Sud-Ovest, dalla rotta del Sahel (fascia di territorio africano che comprende Gambia, Senegal, la parte sud della Mauritania, il centro del Mali, Burkina Faso, la parte sud dell’Algeria e del Niger, la parte nord della Nigeria e del Camerun, la parte centrale del Ciad, il sud del Sudan, il nord del Sud Sudan e l’Eritrea), ma l’80% di questi migranti sceglie di restare in territorio libico.
Da Sud-Est, invece, arrivano i flussi provenienti principalmente dal Corno d’Africa, Somalia ed Eritrea, che vengono smistati poi verso la costa del paese e poi verso l’Italia e il continente europeo.
Da Est, invece, arrivano i flussi provenienti dall’Egitto, il secondo punto di snodo dei flussi migratori verso l’Italia.
Uno dei più grandi “produttori” di rifugiati al mondo è il Sud Sudan: questo paese ha distribuito fuggiaschi in tutti i paesi vicini: in Etiopia, in Kenya, soprattutto nel già martoriato Congo e anche nel vecchio nemico del nord, il Sudan di Omar al-Bashir, ricercato dalla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra,
In totale, tra quelli in Uganda e quelli negli altri paesi il Sud Sudan ha prodotto abbondantemente più di tre milioni di profughi.
E ora, una parte considerevole di essi cerca di restare in vita sfidando la morte sulle rotte della disperazione.
E per frenare questa fuga di massa, dando una speranza concreta a milioni di donne e uomini, non basta il ‘Partnership Framework on Migration’, il pacchetto di accordi con cinque paesi prioritari (Niger, Mali, Nigeria, Senegal ed Etiopia) per affrontare le migrazioni irregolari e combattere i network dei trafficanti, messo a punto un anno fa dall’Unione Europea.
Poca cosa, come lo sono i 3 miliardi che l’Europa ha promesso di destinare a un “piano-Africa” per i migranti, soprattutto se rapportata a un altro dato: “Cinquecento miliardi di dollari sono depositati in paradisi fiscali, mentre i governi perdono 14 miliardi di tasse l’anno: quanto basta a salvare la vita di 4 milioni di bambini africani e 200.000 madri”.
A denunciarlo, in un rapporto del luglio 2016, è l’organizzazione umanitaria Oxfam, una delle più importanti confederazioni internazionali nel mondo specializzata in aiuto umanitario e progetti di sviluppo, composta da 17 organizzazioni di Paesi diversi che collaborano con quasi 3.000 partner locali in oltre 90 paesi per individuare soluzioni durature alla povertà e all’ingiustizia.
Secondo Winnie Byanyima, direttrice esecutiva di Oxfam International, “i paradisi fiscali, cui fanno ricorso privati e aziende, procurano danni enormi alle comunità più povere del mondo. In Africa un bambino su 12 muore prima dei 5 anni di età , 34 milioni non vanno a scuola e 40 milioni di giovani sono senza lavoro”.
È un saccheggio che deve finire, perchè sottrae risorse essenziali per istruzione, sanità e lavoro.
Una situazione che, secondo l’ong con sede in Gran Bretagna, “sta ampliando sempre di più la forbice tra ricchi e poveri in Africa”.
Dire immigrazione significa accendere un faro sulla disuguale distribuzione della ricchezza. In effetti, ben il 95% delle strutture produttive è posseduto da un sesto della popolazione mondiale.
Con un reddito pro capite di circa venti volte inferiore a quello dell’Ue, l’Africa subsahariana dispone solo del 2,1% della ricchezza mondiale
Resta ignorata, peraltro, la crisi alimentare gravissima che sta colpendo diversi paesi Africani, in particolare il Sud Sudan, il bacino del Lago Ciad e il Corno d’Africa, tra le maggiori zone di provenienza di profughi e rifugiati nel nostro paese.
Qui, a causa degli effetti combinati di una grave siccità e dei conflitti che insanguinano alcuni paesi (Sud Sudan e Somalia in particolare), quasi 30 milioni di persone sono sull’orlo della fame.
Hanno perso le loro fonti di sostentamento principali, bestiame ed agricoltura, perchè non c’erano più acqua e cibo sufficienti, hanno attraversato a piedi intere regioni aride sfuggendo da Boko Haram o Al Shebaab o semplicemente cercando acqua per le proprie mandrie.
Sono affamati, disidratati e senza prospettive, i bambini muoiono di diarrea sono 2 milioni quelli colpiti dalla fame, che rischiano di morire se non si interviene immediatamente.
Ed è impressionante notare come vi sia una stretta correlazione tra diversi dei Paesi “saccheggiati” e quelli da cui provengono la maggioranza dei migranti sbarcati in questi giorni in Italia: Congo, Nigeria, Ghana, Mali, Gambia, Niger, Guinea, Sudan, Senegal, Bangladesh, Camerun Dal Corno d’Africa fuggono eritrei, etiopi, somali e sudanesi.
Il caso degli eritrei è forse quello più eclatante. Secondo l’Unhcr ogni mese tremila eritrei lasciano il proprio paese. Fuggono da una dittatura spietata, la stessa Onu in un recente (durissimo) rapporto, definisce l’Eritrea come “la Corea del Nord dell’Africa”.
A scappare sono soprattutto ragazzi e ragazze che vogliono evitare un servizio militare “a tempo indeterminato” (non è definito un periodo certo per la coscrizione obbligatoria) e molto violento.
Fuggono anche da un paese fortemente impoverito da anni di cattiva gestione e che ha rapporti molto difficili con tutte le nazioni confinanti. Una nazione nella quale l’opposizione politica è duramente repressa e non esiste una stampa libera e indipendente.
Fuggono anche dall’Africa occidentale. Soprattutto dalla Nigeria e dal Mali.
La Nigeria deve far fronte alla minaccia fondamentalista del gruppo jihadista Boko Haram, ma deve anche fare i conti con forti scompensi sociali (l’80% della popolazione vive in condizioni di povertà nonostante il paese sia ricchissimo).
Il Mali, invece, sta uscendo da una guerra civile che ha spaccato in due la nazione: il Sud abitato da popolazioni di origini nere e africane e il Nord dove vivono i tuareg e gli arabi.
Quanto alla Libia, stando ai dati forniti di recente dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), sono circa 300mila i libici sfollati dai conflitti in corso.
Nel complesso, più di 1,3 milioni di persone – compresi gli sfollati interni, nonchè i libici vulnerabili, le comunità ospitanti, i migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo – hanno urgente bisogno di assistenza umanitaria.
“Centinaia di migliaia di persone in Libia sono state colpite da problemi di ordine pubblico, l’assistenza è insufficiente, mancano medicinali essenziali, cibo, acqua potabile, rifugio e istruzione”, rimarca il report dell’Unhcr. .
“Sono rimasto letteralmente scioccato – ha detto Filippo Grandi – dalle condizioni in cui sono detenuti migranti e rifugiati. Bambini, donne e uomini che hanno già sofferto così tanto non dovrebbero essere costretti a sopportare tali difficoltà “, ha dichiarato Filippo Grandi, Alto commissario Onu per i rifugiati, al termine della sua visita a Tripoli, lo scorso maggio, incontrando rifugiati e migranti in alcuni dei principali centri di detenzione libici.
In ultimo, il “tariffario della vergogna” imposto dai trafficanti di esseri umani: 5000 dollari per andare dal deserto alle coste africane e 1500 per la traversata in mare: un “commercio” che costa migliaia di vite, e che vale miliardi.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 29th, 2017 Riccardo Fucile
SI TRATTA DI UN ATTO DOVUTO, MA SE E’ VERO CHE L’EVENTO ERA STATO ORGANIZZATO DA UN PARTECIPATA DAL COMUNE, “TURISMO TORINO”, NON LA FA STARE CERTO TRANQUILLA IL FATTO CHE LA SINDACA AVESSE LE DELEGHE ALLA SICUREZZA E AGLI EVENTI CULTURALI
Il primo anniversario a Palazzo civico per Chiara Appendino non sarà una ricorrenza piacevole. Un anno fa, il 30 giugno scorso, il sindaco di Torino pronunciava il suo discorso di insediamento, forte di un consenso schiacciante.
Da mercoledì sera invece la prima cittadina è entrata anche lei nell’inchiesta giudiziaria per gli incidenti del 3 giugno in piazza San Carlo, che hanno provocato 1527 feriti, tra cui una vittima, durante la finale di Champions.
Oggi Appendino, il sindaco pentastellato che brillava più di tutti gli altri, viene descritta come molto provata, ormai da giorni, ora “emotivamente distrutta”, dice chi la conosce bene, ma nello stesso convinta di non avere responsabilità e che l’iscrizione nel registro degli indagati sia solo un atto dovuto.
Ma il peso politico e mediatico resta comunque forte per un sindaco che dal giorno della sua elezione è sempre stato considerato il cavallo vincente del Movimento 5 Stelle e secondo alcuni ambienti grillini anche con buone possibilità di aspirare a Palazzo Chigi come premier donna.
I sondaggi la stanno punendo e sta di fatto che la sua amministrazione ha già subito un primo contraccolpo in seguito ai fatti di piazza San Carlo, tanto che a Paolo Giordana, il suo consigliere principale e anche l’artefice della sua scalata, sono state tolte le deleghe.
Lei si sente nel mirino, così dice chi le ha parlato. Nel mirino mediatico e politico, con i partiti di opposizione che le imputano responsabilità gravi.
Più di tutto però, dice ancora chi la conosce bene, a pesare è il carico emotivo che tutto ciò comporta. “È una persona seria, di buona famiglia, ha difficoltà a gestire la pioggia di polemiche che le è arrivata addosso”.
Ma a piovere sono anche le querele da parte dei tifosi, presenti quella notte in piazza e rimasti coinvolti, che si sono rivolti agli avvocati delle associazioni di consumatori. “Nella denuncia chiedevamo alla magistratura torinese di accertare le eventuali responsabilità di Sindaco, Comune, Prefettura, Questura e altri soggetti pubblici o privati, alla luce del possibile concorso in omicidio con dolo eventuale”, scrive Codacons: “Questo perchè la mancanza di adeguate misure a tutela dell’incolumità e della salute dei cittadini ha di fatto contribuito a determinare la tragedia”.
Ripercorrendo i fatti, alla base di tutto c’è una delibera della giunta comunale del 30 maggio che indaga come organizzatore dell’evento in piazza “Turismo Torino”, una società partecipata del comune.
Per Turismo Torino sono stati indagati il presidente Maurizio Montagnese e il dirigente che ha firmato alcuni documenti, Danilo Bessone.
Sempre in ambienti grillini la speranza risiede nel fatto che ogni responsabilità penale, se ce ne dovessero essere, ricada su questa società e non sul sindaco.
Appendino però, fino a quel momento, aveva le deleghe alla sicurezza e agli eventi culturali. Quanto basta per non far stare poi così tranquilli gli inquilini di Palazzo civico.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 29th, 2017 Riccardo Fucile
MA PERCHE’ SONO SEMPRE ROTTI?
L’ATAC ha un problema con i guasti. E la cosa peggiore è che non sembra di avere un’idea di come risolverlo.
Nella giornata di ieri, ad esempio, due linee sono state “non attive” per indisponibilità di vetture per guasto. Non è purtroppo una novità , anzi è la norma.
Ma quali sono le dimensioni del problema?
Il Corriere della Sera e il Messaggero parlano di 600 vetture con guasti. Nel periodo estivo dovrebbero essere in servizio 1200 mezzi. La metà di questi ha bisogno di manutenzione e spesso rimane fermo in deposito.
È una situazione che i pendolari romani conoscono bene. E la cronicità dei guasti e i picchi di questi giorni mettono in luce le gravi carenze dell’azienda.
ATAC dispone di 1.920 vetture e a causa dei guasti e dei ritardi nella manutenzione non è in grado di garantire un servizio di trasporto dei passeggeri.
Si va dalle porte che non funzionano fino al notorio fenomeno dei #flambus, gli autobus che prendono fuoco passando per l’aria condizionata che non funziona. Proprio per cercare di mettere una pezza sull’aria condizionata ATAC ha pubblicato (il 15 giugno) un bando con urgenza per le attività di manutenzione degli impianti di climatizzazione degli autobus.
«Al fine di consentire alle strutture operative di mantenere invariato rispetto alla stagione invernale il trend dei guasti in relazione alla produzione chilometrica», si legge nell’avviso di gara.
Questa ad esempio era la situazione del trasporto pubblico a Roma. Diverse linee di autobus “momentaneamente non attive” per indisponibilità di vetture a causa di guasto. Guasti che hanno coinvolto anche alcune linee del tram.
Per David Cartacci (coordinamento Rsu della Filt-Cgil) la questione andava affrontata a marzo, non a giugno. Il termine per la presentazione delle offerte è il 13 luglio, va da sè che prima di agosto i lavori non potranno iniziare.
E in quel periodo, spiega Cartacci al Corriere, scatterà la seconda riduzione dell’orario estivo. E gli utenti, calorosamente, ringraziano.
Ma non sono solo i pezzi di ricambio per l’aria condizionata a mancare, nelle rimesse mancano anche i ricambi per i freni o dei radiatori.
La situazione di questi giorni però ha fatto scattare, scrive il Messaggero, un’indagine interna per cercare di scoprire se dietro al picco di guasti ci sia dietro il personale.
Ma come fa notare il sito Odisseaquotidiana quello del picco di guasti estivo è un fenomeno ciclico.
Perchè gli autobus di ATAC si rompono sempre?
Non è solo una questione di autobus vecchi:11 anni l’età media delle vetture (ma la metà degli autobus in circolazione ha tra i 13 e i 15 anni).
A Milano, per fare un esempio, l’età media delle vetture di ATM è 8 anni.
A mancare poi non sono solo i pezzi di ricambio ma la programmazione della manutenzione. Accorgersi di un guasto quando ormai è troppo tardi e la vettura non può uscire dal deposito dovrebbe essere l’eccezione e non la regola. Eppure a Roma succede il contrario.
In mancanza di una programmazione degli interventi la manutenzione viene effettuata quasi sempre solo quando gli autobus cadono a pezzi.
E anche quando ci sono i pezzi di ricambio per farla i mezzi vengono messi su strada con riparazioni sommarie.
O senza riparazioni come accade quando ci si limita al reset della centralina per “risolvere” il problema.
Per gli autisti e i dipendenti ATAC questa mancanza di programmazione e di pezzi di ricambio è voluta. L’obiettivo sarebbe quello di “distruggere” l’azienda per poi consentirne la privatizzazione.
Oppure per poter agevolare l’ingresso dei privati sul mercato del trasporto pubblico romano. La sindacalista Micaela Quintavalle ha rinfacciato all’assessora ai trasporti Lina Meleo il menefreghismo dell’amministrazione nei confronti del problema dei guasti, addirittura 174 in un solo deposito.
Altri utenti — che si identificano come dipendenti ATAC — hanno scritto la stessa cosa sulla pagina Facebook dell’assessora alla mobilità .
Ma l’azienda sembra puntare il dito contro i dipendenti.
Un autista denuncia il mobbing da parte di ATAC che avrebbe mandato degli operai a verificare che le vetture che tornavano in rimessa fossero davvero guaste. Evidentemente ATAC sospetta che dietro questo picco di guasti ci sia uno sciopero bianco e che gli autisti e il personale inventino guasti (o ne segnalino a dismisura) per non mandare le vetture in servizio.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 29th, 2017 Riccardo Fucile
L’EX MINISTRO, ACCUSATO DI CORRUZIONE, AVREBBE INTASCATO UNA TANGENTE DI 550.000 EURO… IL SECONDO DEVE RISPONDERE DI FINANZIAMENTO ILLECITO AL PARTITO
La Procura della Repubblica presenta il conto per gli otto imputati dell’unico dibattimento pubblico aperto a Venezia per lo scandalo Mose scoppiato tre anni fa. Decine di altri imputati hanno finora patteggiato e risarcito i danni, ma otto di loro avevano preferito accettare il verdetto dei giudici.
E così, quattordici mesi e mezzo dopo la prima udienza, che risale all’aprile 2016, i pubblici ministeri Stefano Ancilotto e Stefano Buccini hanno formulato le richieste di pena. A conclusione della requisitoria iniziata in mattinata davanti al collegio presieduto da Stefano Manduzio, hanno chiesto la condanna di tutti, per pene complessive pari a 27 anni di carcere.
I grandi corruttori Giovanni Mazzacurati e Piergiorgio Baita hanno confessato perchè volevano ottenere benefici di legge. Ma ciò non toglie che siano credibili. E le loro parole hanno trovato riscontri inequivocabili.
Sono queste le premesse del ragionamento della pubblica accusa, che si è concluso dopo quasi sei ore.
Posizione di rilievo per il senatore Altero Matteoli (Alleanza nazionale e Popolo delle libertà ) che ha fatto parte di diversi governi Berlusconi. E’ stato ministro dell’ambiente (1994-95 e 2001-06), nonchè delle infrastrutture e trasporti (2008-11). Il suo ruolo nella vicenda, per il reato di corruzione legato a una dazione di denaro del Consorzio Venezia Nuova, si incrocia con quello dell’imprenditore romano Erasmo Cinque che avrebbe beneficiato con la sua azienda (la Socostramo) di lavori di bonifica a Marghera, sotto la regia di Mazzacurati.
Per Matteoli la richiesta è di 6 anni di reclusione, un anno in meno per Cinque. Imponente la richiesta di confisca dei beni che raggiunge il valore di 33 milioni di euro.
L’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, avvocato, venne eletto per il centrosinistra nel 2010 e si dimise dopo aver ottenuto la libertà nel giugno 2014. L’accusa è di finanziamento illecito dei partiti, per aver ricevuto somme di denaro (alcune centinaia di migliaia di euro) da Mazzacurati, a sostegno della campagna elettorale del 2010. Un accordo di patteggiamento con la Procura, nel 2014, era stato ritenuto inadeguato dal gip (4 mesi e 15mila euro di multa) e quindi la vicenda è finita a processo.
Per lui è stata formulata una richiesta di due anni e tre mesi di reclusione, oltre a un milione di multa.
L’ex eurodeputata Lia Sartori, nonchè ex presidente del consiglio regionale del Veneto, già socialista, poi passata alla Casa delle Libertà , è ugualmente imputata di finanziamento illecito per denaro ricevuto dal grande elemosiniere Mazzacurati.
Per lei una richiesta di due anni di reclusione e 500mila euro di multa.
Quattro anni di reclusione sono stati chiesti per Maria Giovanna Piva, ex Presidente del Magistrato alle Acque, imputata di corruzione per essere finita a libro-paga del Consorzio Venezia Nuova, l’organismo che avrebbe dovuto controllare.
L’architetto Danilo Turato ebbe l’incarico di restaurare villa Rodella, l’ex dimora sui Colli Euganei di Giancarlo Galan, l’ex presidente della Regione Veneto che è stato arrestato, ha già patteggiato ed espiato la pena.
Per Turato, imputato di concorso in corruzione in relazione al pagamento delle spese del restauro da parte del sistema del Consorzio, la richiesta è di due anni e sei mesi. Per l’imprenditore Nicola Falconi (corruzione), la richiesta è di tre anni. Ultimo nell’elenco è l’avvocato Corrado Crialese, che deve rispondere di millantato credito: per lui una richiesta di 2 anni e 4 mesi. Nel processo sono parti civili il governo, la Regione Veneto, il Comune di Venezia, la Città Metropolitana di Venezia e, in parte, il Consorzio Venezia Nuova, concessionario del Mose.
Giuseppe Pietrobelli
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 29th, 2017 Riccardo Fucile
SONO CINQUANTA I DIPENDENTI DEL COMUNE DI PIACENZA INDAGATI: CHI ANDAVA IN PALESTRA, CHI A FARE LA SPESA, CHI A PRANZO CON L’AMICA
Le immagini delle telecamere nascoste incastrano i ‘furbetti del cartellino’ del Comune di Piacenza, 50 dipendenti indagati su 631 addetti del Municipio, nell’inchiesta condotta dalla Polizia Municipale e dalla Guardia di Finanza che ha svelato non solo episodi di timbrature multiple e continuative fatte da dipendenti compiacenti per permettere ai colleghi di svignarsela ma addirittura il caso di un lavoratore che avrebbe consumato rapporti sessuali con una prostituta minorenne durante l’orario di lavoro e con l’auto di servizio.
Sono circa 550 le pagine dell’ordinanza legata all’indagine della Guardia di Finanza e della Polizia municipale.
I “furbetti del cartellino” andavano in palestra e a fare la spesa. Qualcuno non si presentava neppure in ufficio o invitava un’amica a pranzo facendosi pagare gli straordinari.
C’era anche chi effettuava consegne con un camioncino comunale.
Dei 50 indagati, 39 hanno l’obbligo di firma, 10 sono a piede libero, mentre, per il dipendente che ha usato l’auto di servizio per consumare rapporti sessuali, sono scattati gli arresti domiciliari con l’accusa di prostituzione minorile e di violenza sessuale.
A disincentivare i 50 dipendenti non è riuscito neanche il decreto Madia che, in altre città d’Italia (tra cui Bologna per il caso all’Istituto regionale dei beni culturali) ha portato al licenziamento dei trasgressori.
Ora, oltre al processo penale, i 50 rischiano seriamente il posto di lavoro, una situazione che rischia di esporre a rischio paralisi l’attività dell’ente, come paventato ieri dal sindaco uscente Paolo Dosi.
I reati ipotizzati vanno dal falso alla truffa, al peculato.
L’indagine è partita alla fine dell’anno scorso da segnalazioni di cittadini.
Sempre a Piacenza, intanto, salgono a quatto gli arresti operati dalla Guardia di finanza in seguito a un’altra indagine, sempre coordinata dalla Procura della Repubblica, volta a far luce su alcuni appalti del Comune di Piacenza.
A finire ai domiciliari tre dipendenti comunali addetti al settore Manutenzione e il titolare di un’azienda legata a un appalto
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 29th, 2017 Riccardo Fucile
A PROPOSITO DEL RITORNO IN PARLAMENTO DEL PARLAMENTARE EX AN INDAGATO PER ASSOCIAZIONE A DELINQUERE
Ero convinto di non riuscire più a stupirmi.
Ritenevo sinceramente di averle già viste tutte, quasi i miei trascorsi mi avessero vaccinato usque ad mortem.
Non sono riuscito a rimanere sbalordito nemmeno quando qualcuno mi ha detto che si può clonare un iPhone in 17 secondi oppure creare l’universo in meno di una settimana.
Quando stamattina ho involontariamente sfogliato i quotidiani (sono all’antica e mi piace ancora leggerli così) ho creduto che i funghi sulla pizza di ieri sera fossero “peyote” e che dovrei evitare esperienze gastronomiche dai pericolosi effetti collaterali.
Ma a cena ho mangiato un piatto di spaghetti e una cotoletta alla milanese e — anche se la pasta non era stata preparata come avrebbero voluto i miei amici Massimo e Susanna che mi hanno ospitato — non mi sembra di aver assolutamente ecceduto con il vino.
Invecchio e da vicino fatico a mettere a fuoco. Mi sono stropicciato gli occhi e ho distanziato la pagina per vedere meglio.
Finchè la lunghezza del braccio sopperisce al problema, lascio vincere la pigrizia e non mi alzo a prendere gli occhiali da lettura.
Ho scrutato e riletto i titoli e gli articoli, affannandomi a verificare se la notizia era riportata anche dalle altre testate.
Mi sono guardato attorno immaginando di essere vittima di uno scherzo birbone. Cercavo di individuare la possibile “candid camera” e improvvisamente mi è apparso Nanni Loy che — spalancate le braccia — mi diceva con tono pacato “non sei su Specchio Segreto, ma in Italia…”
La vicenda che mi ha lasciato basito è il ritorno nei palazzi del Parlamento di un personaggio che non ha mancato di richiamare l’attenzione dei magistrati, dei giornalisti e anche dei semplici cittadini, tutti colpevoli di vedere sempre qualcosa che non va nella condotta di un rappresentante del popolo e tale democraticamente eletto.
Ho sperato con tutte le mie forze che fosse il 1° Aprile, mi sono augurato che dopo 35 anni fosse tornato in edicola “Il Male” con un blitz superiore all’indimenticabile “Tognazzi capo delle Brigate Rosse”, mi sono tornati in mente Pino
“Zac” Zaccaria e Vincenzo “Vincino” Gallo, ho immaginato che il mio amico Senesi avesse organizzato tutto e mi sono lasciato scappare un istintivo “Vauro, dai, questa cazzata è troppo grossa… ma chi pensi ci possa credere?!?!”.
Quando mi sono capacitato che era tutto incredibilmente vero, ho sorriso. Non rassegnato, ma cosciente che difficilmente potrà cambiare qualcosa. Non indignato, ma invidioso. Sì, invidioso perchè vorrei avere anch’io la nonchalance che ad altri non manca persino in circostanze paradossali.
Mi auguro solo che i giovanissimi non seguano queste “traccie” (come scriverebbero al Miur) ma riflettano su questi episodi per trovare l’ispirazione e la forza perchè queste cose non si ripetano.
Questo è il Paese che ci meritiamo? No, siamo stati cattivi ma questo è troppo…
Umberto Rapetto
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 29th, 2017 Riccardo Fucile
MA VUOI FA’ L’AMERICANO O L’OMOFOBO? … SARA’ PRESENTE IL VICE-CONSOLE USA, NON CHI HA VISSUTO IN AMERICA MA DEI DIRITTI CIVILI HA CAPITO POCO… LA GIUNTA BUCCI ASSENTE E SARA’ TOLTO IL PATROCINIO… IL CENTRODESTRA DEI DIVORZIATI I MENO TITOLATI A PARLARE DELLA “FAMIGLIA TRADIZIONALE”
L’ ex assessora alla Legalità e ai Diritti, Elena Fiorini, ha già assicurato la sua partecipazione al “Pride”, così come è atteso anche l’ex sindaco Doria, mentre sono ben determinati a non partecipare al corteo tutti i membri, ancora in pectore, della nuova giunta e, con loro, il neosindaco Marco Bucci.
Così come nessuno degli assessori regionali della giunta Toti vi metterà piede.
Ma ciò che imboccherà la giunta comunale, dove la casella “Legalità e Diritti”, almeno nelle proiezioni, non compare neppure più, è una strada molto decisamente impostata sulla difesa della famiglia tradizionale.
Detto da un centrodestra che vede la maggior parte dei propri leader divorziati più volte fa quasi sorridere.
«Il patrocinio delle istituzioni per il Coordinamento era un segnale importante, fondamentale – spiega Federico Caprini Acquarone, del Coordinamento Liguria Rainbow – non abbiamo mai ricevuto alcun sostegno economico, ma il patrocinio è un segnale di riconoscimento per la nostra organizzazione e un impegno, implicito, dell’amministrazione a difendere i diritti che noi difendiamo, tutti i diritti».
La marcia partirà sabato dal luogo simbolico della Comunità di San benedetto, la “casa” di don Gallo, alle 17, e si snoderà per tutta la città , fino ad arrivare, alle 19, in piazza De Ferrari, Sono attese almeno tremila persone al Liguria Pride, madrina della manifestazione sarà Alba Parietti, ed è attesa anche la partecipazione del viceconsole dell’ambasciata Usa, Rami Shakra, che interverrà dal palco finale della manifestazione a De Ferrari.
«Rivolgiamo un appello a Genova – dice Federico Caprini Acquarone – affinchè scenda in strada per i diritti, la solidarietà , l’accoglienza, la Genova che non ha paura, semina cultura del rispetto e non della diffidenza. Crediamo che ora, più di prima, vi siano le ragioni per aderire e partecipare al Liguria Pride, per non lasciare più solo nessun gay, lesbica, genitore, migrante, contro ogni omofobia e contro chi prova a negare la libertà degli altri».
(da agenzie)
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Giugno 29th, 2017 Riccardo Fucile
GRANDE PROVA UNITARIA DELLA CORTE DEI MIRACOLATI DALLA SINISTRA E DA GRILLO
Si surriscalda il clima politico intorno alla giornata di domani, il 30 giugno.
In città è previsto un corteo in serata della galassia antagonista e antifascista, con partenza da piazza Alimonda.
E un convegno organizzato dalla Camera del lavoro dal titolo “Antifascismo e lavoro: nelle nostre radici il nostro futuro” si svolgerà presso la Compagnia unica in Sala Rum.
Ma a far salire la temperatura sono tre fattori: l’elezione di Marco Bucci a sindaco, l’apertura di una sede di Casa Pound vicino a piazza Alimonda e, proprio ieri, la richiesta al Prefetto da parte di Alberto Campanella (eletto consigliere con FdI) e Gianni Plinio di vietare il corteo antifascista.
«Troppo elevato – scrivono i due esponenti di Fratelli d’Italia – è il rischio di incidenti e di danneggiamenti nel centro cittadino come spesso accaduto ad opera di militanti violenti dell’area antagonista. Va, poi, tenuto presente che esaltare i drammatici fatti del 30 Giugno 1960 configura l’apologia di reato. La violenza di piazza scatenata dai comunisti, che mise a ferro e fuoco la città , impedì la celebrazione del Congresso Nazionale del Msi, partito presente in Parlamento»
Un comunicato che è stato visto come una provocazione ad esempio dal Collettivo autonomo dei lavoratori portuali: «Chiediamo massima partecipazione al corteo del 30 Giugno, in memoria del ’60. Il corteo vuole essere pacifico e arrivare a destinazione. Non bisogna cadere in provocazioni ed essere tanti. Si chiede a tutti i lavoratori antifascisti di partecipare al corteo commemorativo», scrivono sulla loro pagina Facebook.
Oggi si terrà una riunione in Prefettura del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza, ma l’impostazione della Questura rimane la stessa adottata in situazioni simili recentemente: vigilanza discreta sul corteo ma nessuno stop forzato, per evitare tensioni.
Anche il neo-sindaco Marco Bucci non farà propria la posizione dei due esponenti di Fratelli d’Italia, perchè come ha spiegato nei giorni scorsi al Secolo XIX «le uniche manifestazioni che possono essere vietate sono quelle pericolose per l’ordine pubblico». E in ogni caso il sindaco non ha titolo per vietare un bel nulla, salvo che la concessione di sale pubbliche.
Il comunicato di Plinio e Campanella ha suscitato anche parecchi mal di pancia nei vertici del partito, Matteo Rosso, coordinatore regionale, l’ha definito «inopportuno» in questo momento, con le elezioni appena trascorse e la prospettiva del primo consiglio comunale.
Giusto per la cronaca:
1) Ognuno è libero di manifestare nelle forme e modalità concordate. Nessuno vieta di indire cortei o convegni di segno opposto, è certamente più etico e “di destra vera” che chiedere di vietare quelli degli altri.
2) CasaPound non c’entra nulla: ha aperto una sede in una via laterale a Piazza Alimonda, ma senza alcun nesso con i noti fatti, come precisato dai suoi vertici locali.
3) Che l’uscita dei due esponenti di Fdi sia motivata solo dalla ricerca di visibilità e non dalla sostanza è dimostrata dal fatto che la richiesta di vietare la manifestazione della sinistra antagonista, rivolta al sindaco, è fumo negli occhi. E’ il questore a decidere, d’intesa con il prefetto, il sindaco non ha alcun potere (per fortuna). Non a caso, la “provocazione” non è piaciuta al coordinatore di Fdi, segno di una nota “guerra interna” che si sta sviluppando da mesi nel partito della Meloni, e tanto meno a Bucci che ha già da pensare ai suoi guai.
4) Nel silenzio della Lega che segue con imbarazzo la vicenda (abituati a straparlare, è fragoroso il loro silenzio) la vicenda è derubricata a lotte interne alla destra locale. Evviva il modello Toti: finchè vince può tacitare con qualche poltrona, quando queste verranno messe in discussione ci sarà da ridere sulla “coesione territoriale” del centrodestra ligure. Tempo al tempo.
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