Giugno 20th, 2017 Riccardo Fucile
SE IN UN ANNO MACRON HA PRESO DUE TERZI DEI VOTI E DOPO TREDICI ANNI IN ITALIA DUE TERZI DEGLI ELETTORI NON INTENDONO VOTARE M5S QUALCHE MOTIVO CI SARA’… UNA ANALISI SPIETATA MA VERITIERA
Come mai in due paesi ugualmente stanchi e in crisi La Republique en marche trionfa in Francia e il Movimento 5 stelle langue in Italia?
Se volessero avvicinarsi ai successi di Emmanuel Macron, gli uomini che hanno in mano il M5S potrebbero far tesoro della parte migliore di quell’esperienza.
La comparazione che qui propongo è quindi il miglior regalo che io possa fargli.
Tredici mesi dopo la fondazione del suo partito En marche, Macron è stato eletto Presidente il 23 aprile con due terzi dei voti validi. Dal 18 giugno ha inoltre una maggioranza schiacciante alla Assemblèe nationale.
In Italia, invece, tredici anni dopo che Gianroberto Casaleggio iniziò con beppegrillo.it a costruire una forza politica che ambisce al governo, più di due terzi degli intervistati rispondono che non intendono votare per il M5S.
In Francia La Republique en marche deve il suo successo al carisma di Emmanuel Macron, un politico quasi sconosciuto fino a un anno fa.
Il M5S, invece, parla per bocca del comico italiano più conosciuto da decenni.
In Italia la quota di elettori poco istruiti è molto più grande che in Francia. Costoro sono probabilmente più raggiungibili dalla voce di un comico che “parla come mangia”, piuttosto che da quella di un intellettuale sofisticato, educato in scuole di èlite, come Macron.
Anche in Francia gli elettori insoddisfatti dei principali partiti e di una certa corruzione sono tanti. In Italia però sono molti di più, perchè la crisi dei grandi partiti, la corruzione, il numero di politici e governanti delinquenti, processati, o condannati sono maggiori che in Francia.
Per queste e altre ragioni l’elettorato italiano dovrebbe essere molto più pronto a votare un nuovo partito come il M5S. Specialmente se esso si presenta con la promessa di far politica per le prossime generazioni, non solo per la prossima legislatura, non solo se propone temi sociali ed ecologici all’avanguardia in Europa, candidate e candidati giovani, incensurati, che rinunciano a metà stipendio, che promettono di non diventare professionisti della politica e di abbandonarla dopo due mandati.
La sorpresa quindi non sono il 30 % dei voti validi ai quali il M5S ambisce, ma il 30% di voti validi che gli mancano per arrivare a quella larga maggioranza necessaria per cambiare completamente un sistema e un Paese — non solo un governo.
I capi pentastellati dovrebbero quindi cercare di convincere questo 60% di elettori, invece che cercare alchimie elettorali per conquistare il governo, malgrado l’ostilità o l’indifferenza della grande maggioranza del corpo elettorale.
Avendo studiato intensamente le pratiche di En marche e quelle del Movimento cinque stelle mi permetto di suggerire a quest’ultimo di considerare alcune possibili correzioni.
La prima parte dei seguenti confronti si riferisce ai modi che ho osservato nel partito francese, la seconda a quelli del partito italiano.
Chiedete agli elettori di votare con la testa e con il cuore. Non — come disse Grillo – con la pancia.
Ci sono buoni e cattivi, ma non ci sono il buonismo e il “cattivismo”. E se anche ci fossero, Macron continuerebbe a vincere con il primo, e voi a perdere con il secondo.
Mettete molte più donne sulla dozzina di poltrone dalle quali si dirige il M5S. Parlate sempre alle “cittadine e ai cittadini”, invece che solo ai “cittadini”. Dite che le vostre attiviste e candidate “sono in gamba”, non che “hanno le palle”. Lasciate le parti e le funzioni del corpo che nominate più spesso al loro posto. Nelle mutande, non nella politica.
Impegnatevi per avere più voti di donne che di uomini (come è il caso di tutti i partiti progressisti in Europa), invece che più voti di uomini che di donne, come è il caso vostro e di tutti i partiti di estrema destra e reazionari in Europa. Il genere di chi ha fatto tutti i bambini e il genere di chi ha fatto tutte le guerre non votano nello stesso modo.
Presentate metà candidati con esperienza politica, e metà senza. Avrete così il consenso di chi crede che governare un paese non sia cosa da dilettanti, e quello di chi crede che solo i novizi non siano disonesti.
Rispettate gli esperti e convincete i migliori di loro a entrare nei vostri ranghi, invece di ripetere nelle piazze, e persino all’Università di Harvard, che “gli esperti hanno rovinato questo paese”.
Gli esperti che dovranno governare se vincerete siano cresciuti nei vostri ranghi, invece che scelti con un casting poco prima di andare in onda. Il governo e il Grande Fratello non funzionano nello stesso modo.
Comportatevi in modo da attirare i migliori esperti senza che temano di svergognarsi o di essere congedati appena pensano con la loro testa. Educate in corsi di formazione politica e trasformate in esperti i vostri candidati e candidate, senza che temano di “rovinare questo paese”.
Tornate fedeli ai principi con cui avete cominciato, invece di predicare ora la crescita economica esponenziale e di costruire nuovi stadi di calcio.
Tornate a onorare l’onestà , la verità , e “uno vale uno”, invece di salutare come statista e paladino del popolo un miliardario bugiardo e disonesto, che ha preso il potere negli USA con 3 milioni di voti in meno della concorrenza.
Il vostro campione carismatico sia incensurato, invece che pregiudicato. Parli lentamente e autorevolmente, invece di urlare ed esasperare.
Parlate con orgoglio dei vostri successi, non dei vostri fallimenti. A Palermo il 24 settembre 2016, parlando del M5S Grillo ha detto “fallimento”, “falliti”, “perdenti” 14 volte in un discorso di 3300 parole.
Valorizzate e vantate i vostri eletti migliori, invece di umiliarli, espellerli o ignorarli. Il sindaco di Parma Federico Pizzarotti (in Italia al terzo posto tra i sindaci più apprezzati) è stato ignorato, emarginato, e denigrato dai capi del M5S.
Parlate solo dei successi passati, non di quelli futuri. Appena prima di perdere dal 20% al 40% nel 2014 alle elezioni europee, il vostro slogan fu #vinciamonoi.
Fatevi accompagnare da consiglieri di statisti (per esempio, per Macron, del livello di Jacques Attali, ispiratore e braccio destro di Mitterand), invece che da tecnici di cultura modesta e senza esperienza politica.
Cercate le sinergie possibili tra gli attivisti e gli elettori più innovatori di centro-destra e di centro-sinistra, invece di quelle impossibili tra estremisti di destra, di sinistra e di centro. Dosate queste componenti tenendo conto che in Italia, da un secolo, il tasso di delinquenza e asocialità della destra e della borghesia è molto più alto che in Francia.
Siate coerenti con le vostre scelte. Se al Parlamento europeo avete la massima concordanza di voto con i partiti di sinistra radicale e verdi (72% e 70%), non sedete nei banchi (che furono della Lega Nord) dei partiti europei di destra radicale (UKIP e altri), con i quali votate solo nel 20% dei casi.
Fate in modo che attivisti, elettori e i maggiori dirigenti del partito siano distribuiti in tutto il paese, invece di concentrare tutto il potere reale al Nord nelle mani di non eletti, e tutto il potere apparente al Sud nelle mani di un direttorio di quattro eletti di Napoli e uno di Roma.
Parlate principalmente di ciò che volete fare bene voi, invece di parlare principalmente di ciò che fanno male gli altri. Evitate di parlare della concorrenza. Ma se dovete proprio farlo, spiegate perchè ritenete sbagliati i suoi programmi e atti politici, invece di insultare le persone.
Se proprio volete parlare delle persone in concorrenza con voi, fatelo con rispetto. Sono avversari, non nemici. Chi ha un’idea politica diversa dalla vostra non è necessariamente un malfattore e un “pidiota”.
Se proprio non potete fare a meno di parlare dei concorrenti, non storpiate sistematicamente il loro nome (come quando chiamate Renzi “ebetino”, “ebolino”, “bomba”). Insultare e deridere i “nemici” non è il modo migliore di guadagnare la simpatia dei 30 milioni di persone che li votano.
Rendetevi conto che “loro” non sono tutti quelli che la pensano diversamente da voi. “Loro” non esiste. Se non per i soldati in un conflitto armato. Firmate con nome e cognome tutto quello che pubblicate, invece di nascondervi nell’anonimato.
Tendete una mano ai politici concorrenti che hanno posizioni più vicine alle vostre, invece di concentrare tante vostre energie a deridere e insultare quelli che più facilmente potrebbero essere i vostri alleati.
Cercate di indebolire gli altri partiti dando riconoscimento a persone e programmi più vicini ai vostri, ma controversi nei loro partiti. In 13 mesi di confronto rispettoso, Macron è riuscito a minare fortemente i tre partiti concorrenti. In 13 anni i vostri insulti e attacchi da hooligan hanno rafforzato gli altri partiti.
Cercate di convincere gli elettori a mandare i partiti e i politici concorrenti all’opposizione. Sono le dittature che minacciano di mandarli “a casa”. E spesso lo fanno.
Finanziate la vostra presenza online con i contributi dei sostenitori (come fa Wikipedia), invece che con la pubblicità di quei poteri economici che vorreste combattere. Chi paga comanda.
Diventate un partito di centinaia di migliaia di persone in carne ed ossa, invece che un partito riservato agli “user” di internet (che in Italia sono solo la metà degli elettori).
Date la giusta importanza ai tecnici di computer e di Internet. Ma lasciate fare le bottiglie ai vetrai e il vino ai vinai.
Marco Morosini
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 20th, 2017 Riccardo Fucile
L’ULTIMA CORBELLERIA DEL FUORICORSO SUSCITA IRONIE: “MA ANCHE SPANDAU BALLET, KEKKO DEI MODA, MAZINGA E PEPPA PIG”… “FRANCIA O SPAGNA PURCHE’ SE MAGNA”
Superare il sistema bipartitico e la “vecchia” distinzione tra destra e sinistra è da sempre uno dei punti cardine della politica pentastellata, ma per gli utenti di Twitter questa volta Luigi di Maio è andato un po’ oltre.
In un’intervista rilasciata a Porta a Porta, il golden boy di casa 5 stelle ha raccontato l’anima del Movimento, spiegando come spazi dai valori del Pci a quelli di Msi e Dc, e il social ha iniziato a ipotizzare (con ironia) future dichiarazioni, che possano garantire un ulteriore allargamento della base elettorale.
“Chi siete? Cos’è il Movimento 5 stelle?”, aveva chiesto Bruno Vespa al vicepresidente della Camera, nel salotto della sua trasmissione. “È un movimento post ideologico, ma porta con sè tante idee che erano state i cavalli di battaglia dei partiti di destra e di sinistra, valori che sono dentro ognuno di noi”, aveva risposto lui, “C’è chi si rifà a quelli portati avanti da Berlinguer, chi a quelli di Almirante, chi a quelli della Dc”.
Mentre la frase veniva pronunciata su Raiuno, in contemporanea su Twitter sono iniziati a comparire una serie di commenti, tutti pressochè con lo stesso taglio ironico. “Di Maio: ‘In noi i valori di Berlinguer, Almirante e della DC’ , ma anche qualcosa di Sandy Marton, degli Spandau Ballet e di Kekko dei Modà¡”, scrive qualcuno, “ma anche Mazinga e Peppa Pig, Albano e AC/DC”, aggiunge un altro.
“Prossimamente ‘noi eredi di madre Teresa e Moana Pozzi'”, si legge in un commento. “Come dire ‘siamo vegetariani, carnivori e fruttariani'”, ironizza un utente. “Alias: O Franza o Spagna, purchè se magna”, conclude un altro.
In altri casi i social hanno colto in fallo il candidato premier in pectore del M5s, dando vita a tormentoni nati da suoi scivoloni, e non lo dimenticano anche questa volta. “Di Maio: ‘Ci ispiriamo ad Almirante, dittatore del Cile'”, si legge in un post che riporta alla memoria la celebre gaffe su Pinochet.
Ma alla fine, per più di un utente, la sua dichiarazione era chiaramente ispirata al “pensiero positivo” di Jovanotti e in realtà l’unico desiderio di Di Maio è quello di creare un grande partito politico che passa “da CheGuevara a Madre Teresa passando da MalcomX attraverso Gandhi e San Patrignano”.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 20th, 2017 Riccardo Fucile
“BASTA FARE IL PESCE IN BARILE CON QUESTE ASTENSIONI, PER NON SCONTENTARE QUALCUNO STANNO FINENDO PER SCONTENTARE TUTTI”
Fiorella Mannoia rompe il fronte del silenzio dei VIP pro M5S sullo ius soli e oggi su Facebook dice la sua,ovvero che sullo ius soli i 5 Stelle avrebbero dovuto votare perchè è una battaglia civile
Io penso che sulla pelle di questi disgraziati si stia giocando la campagna elettorale. Questo non è uno ius soli. È un surrogato. Meglio di niente? Si, meglio di niente. (Siamo abituati ai “meglio di niente”) E, essendo una legge sui diritti andava votata anche così e i 5S avrebbero dovuto votarla, perchè ci sono battaglie civili che non si possono ignorare anche solo simbolicamente vanno appoggiate. Dico anche che francamente sono stufa di tutte queste astensioni dei 5S, anche questo fare il pesce in barile è campagna elettorale, per paura di scontentare qualcuno dei loro elettori, hanno finito per scontentare tutti.”
Poi conclude:
“In questo momento ho una gran nausea. Di tutti quelli che sfruttano la sofferenza umana per arricchirsi o per raccattare voti, chiunque essi siano. Detto questo io rimango e rimarrò sempre a disposizione, di chiunque me lo chieda, per tutte le battaglie per i diritti civili in cui credo, a favore dei più deboli, chiunque essi siano.”
(da agenzie)
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Giugno 20th, 2017 Riccardo Fucile
TRE ANNI FA IL M5S HA PRESENTATO UNA LEGGE SULLO IUS SOLI SIMILE A QUELLA IN DISCUSSIONE, OGGI CHIEDE CHE A DECIDERE SIA L’EUROPA… E IL COMMISSARIO EUROPEO GLI RICORDA CHE L’UE NON C’ENTRA UNA MAZZA, SONO DECISIONI DEI SINGOLI GOVERNI
Volete vedere un partito politico che si arrampica sugli specchi?
Non dovete far altro che andare a leggere l’ultimo post pubblicato sul Blog di Beppe Grillo. L’argomento è quello capace di spaccare un MoVimento “postideologico” come il 5 Stelle: lo ius soli.
L’articolo è l’ennesima supercazzola che Grillo e portavoce rifilano ai loro elettori.
A partire dal titolo “per uno ius europeum” che non vuol dire nulla: perchè ius significa “diritto” e non solo cittadinanza. Con il cosiddetto ius soli non si vuole riformare il diritto ma solo le regole per cittadinanza delle persone nate in Italia da genitori stranieri.
Nel 2013 i 5 Stelle hanno avanzato la loro proposta di legge sullo ius soli. Una proposta di legge che è incredibilmente simile a quella sulla quale il MoVimento si è astenuto alla Camera nel 2015 e al Senato la settimana scorsa.
Ebbene, oggi il MoVimento e Grillo dicono che quella proposta di modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza per nascita e di acquisto della cittadinanza è una sòla.
Il che già è interessante perchè quella proposta era stata firmata anche dal Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio.
Ma i 5 Stelle possono e sanno fare di meglio.
Ad esempio un partito che è alleato del partito più antieuropeista del Parlamento Europeo chiede che per approvare una legge nazionale ci sia bisogno del parere della Commissione Europea.
Chissà che fine hanno fatto i buoni propositi di restituire sovranità al nostro paese dal gioco dell’Unione Europea.
Siamo ad anni luce di distanza dal referendum per l’uscita dall’euro. Anche su quello i 5 Stelle chiederanno un un orientamento alla Commissione europea per coinvolgere nel dibattito anche il Parlamento europeo e il Consiglio?
Miracoli del post-ideologico.
Improvvisamente i 5 Stelle scoprono il valore della cittadinanza europea.
La legge in discussione al Senato mette l’Italia in linea con quella già in vigore in Francia, Germania e Regno Unito.
La risposta alla tentativo del M5S di gettare fumo negli occhi degli elettori arriva dal Commissario europeo per le migrazioni, gli affari interni e la cittadinanza Dimitris Avramopoulos.
Il commissario europeo ha ricordato che la legge sulla cittadinanza è chiaramente una competenza nazionale. «È una responsabilità nazionale: mi chiedo per quale motivo qualcuno dice che noi dovremmo reagire su questo.
Noi non giochiamo nel campo di gioco della politica interna» ha detto Avramopoulos a margine di una conferenza a Bruxelles.
Ma è evidente che il M5S vuole solo rimandare e prendere tempo. Non si sa per cosa, perchè all’orizzonte non sono previste consultazioni online della base.
In ogni caso siamo sicuri che Alessandro Di Battista e Manlio Di Stefano potranno egregiamente condurre dei negoziati con Viktor Orbà¡n.
Possono rimanere in Ungheria per tutto il tempo che riterranno necessario.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 20th, 2017 Riccardo Fucile
NOTIFICATO ALLA SINDACA IL 415 BIS, ATTO CHE PRELUDE ALLA RICHIESTA DI RINVIO A GIUDIZIO
Abuso d’ufficio e falso: sono questi reati per i quali il sindaco di Roma, Virginia Raggi, rischia il processo.
Pochi ore fa al primo cittadino è stato notificato il 415 bis, atto che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio. L’inchiesta della procura di Roma (l’aggiunto Paolo Ielo e il pm Francesco Dall’Olio) riguarda le nomine decise dal Campidoglio, targato Cinque Stelle, di Salvatore Romeo e di Renato Marra.
Abuso d’ufficio.
Virginia Raggi è indagata in concorso con Salvatore Romeo per abuso d’ufficio in relazione alla nomina del suo fedelissimo a capo della segreteria, nell’agosto dell’anno scorso. La sindaca è quindi implicata nel passaggio di Romeo da funzionario nel Dipartimento Partecipate, con stipendio di 39 mila euro annui, alla guida della sua segreteria, con un salario di quasi 120 mila euro. Stipendio poi sceso a 93 mila per l’intervento dell’Authority anticorruzione.
Falso.
Per quanto riguarda invece la nomina a capo del dipartimento Turismo del Campidoglio di Renato Marra, fratello di Raffaele (successivamente revocata), secondo la procura la Raggi avrebbe detto il falso alla responsabile anticorruzione del Comune, Mariarosa Turchi, riferendo che per la nomina avrebbe agito in autonomia. In realtà dalle chat scambiate tra la sindaca e l’ex capo del personale, Raffaele Marra, è emerso che la Raggi non aveva preso parte al procedimento di selezione dei curricula, nè sapeva che il nuovo incarico avrebbe comportato un aumento di stipendio per Renato Marra. Per la stessa ragione, l’accusa di abuso d’ufficio resta in piedi solo per il fratello Raffaele.
Archiviazione.
La procura ha chiesto l’archiviazione dell’indagine sulla Raggi per abuso d’ufficio sia sulla nomina di Renato Marra che su quella dell’ex capo di gabinetto Carla Raineri. I pm hanno chiesto lo stesso provvedimento anche per l’ex assessore all’ambiente Paola Muraro per il reato di abuso d’ufficio sull’inchiesta degli impianti di trattamento meccanico biologico dei rifiuti (Tmb) di via di Rocca Cencia e di via Salaria.
Per questa inchiesta, per la Muraro, rimangono sempre in piedi le violazioni di una serie di reati ambientali. Infine l’archiviazione è stata richiesta anche per l’indagine sul presunto dossieraggio al presidente dell’assemblea capitolina Marcello De Vito.
(da agenzie)
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Giugno 20th, 2017 Riccardo Fucile
IL RIMPASTO DI GOVERNO RIGUARDA DUE ESPONENTI SOTTO INCHIESTA PER UN FATTO CHE IN ITALIA NON INDIGNEREBBE NESSUNO. E CHE RIGUARDA L’ALLEATO MODEM… E’ BASTATO CHE UN GIORNALE IPOTIZZASSE UN CONFLITTO DI INTERESSI DI 5 ANNI FA E ANCHE L’AMICO FERRAND SI E’ FATTO DA PARTE
Sarebbe dovuto essere un semplice rimpasto tecnico, una formalità dopo la vittoria alle elezioni legislative de La Rèpublique en Marche (Lrem), il partito del presidente Macron, che ha trionfato all’assemblea Nazionale con 308 deputati.
Invece la nomina del nuovo governo potrebbe diventare molto più “politica” del previsto, con importanti cambiamenti nella futura squadra per “ripulire” l’esecutivo dai nomi più scomodi.
Decisivo, in tal senso, il ruolo del partito centrista Mouvement Democrate (MoDem), guidato dall’attuale guardasigilli, Francois Bayrou, e principale alleato di En Marche! Attraverso un comunicato diffuso stamattina, il ministro della Difesa, Sylvie Goulard, ha annunciato che lascerà l’esecutivo. “Ho chiesto al presidente della Repubblica, in accordo con il primo ministro, di non far più parte del governo” ha scritto. Proveniente dalle fila del MoDem, l’ex eurodeputata fa parte del gruppo dei deputati (tra cui anche Bayrou) al centro di un’inchiesta preliminare riguardante il finanziamento illecito di alcuni assistenti parlamentari, impiegati a Parigi e stipendiati con fondi europei.
All’uscita di scena di Goulard potrebbe seguire quella della sua collega, Marielle De Sarnez, ministro degli Affari Europei, anche lei coinvolta nell’affaire sui rimborsi illeciti. De Sarnez ha dichiarato in un’intervista a Le Parisien che in merito al suo futuro “ogni ipotesi resta aperta”, senza escludere un probabile incarico come capogruppo del MoDem all’Assemblea.
In un simile contesto, Bayrou comincia a sentir tremare la terra sotto i piedi. Il ministro della Giustizia ha detto di rispettare la scelta di Goulard, aggiungendo però che si tratta di “una decisione personale”.
Figura chiave per il successo di Macron, Bayrou si ritrova oggi aggrappato alla sua poltrona, sospeso sull’orlo delle dimissioni.
Il rimpasto dell’esecutivo si annuncia così più incisivo del previsto.
Il primo a lasciare la compagine di governo è stato Richard Ferrand, ormai ex ministro della Coesione territoriale, che lunedì ha annunciato le sue dimissioni dopo un colloquio durato più di un’ora con Macron.
Ex socialista e macroniano della prima ora, anche Ferrand è sotto i riflettori dopo che due settimane fa il settimanale satirico Le Canard Enchainè ha rivelato presunti conflitti di interesse risalenti al 2011, periodo in cui era a capo di una cassa mutua in Bretagna.
A Ferrand è stata affidata la guida del gruppo parlamentare di Lrem, un compito di rilievo visto il folto gruppo di deputati macroniani che siedono tra i banchi dell’Assemblea.
Per conoscere la formazione completa dell’esecutivo bisognerà attendere l’annuncio del premier Edouard Philippe, che entro le 18.00 di domani renderà pubblici i nomi del nuovo governo.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 20th, 2017 Riccardo Fucile
TOTI SPERA SEMPRE DI FARE IL PREMIER DOPO AVER VENDUTO FORZA ITALIA A SALVINI, MA NEL PARTITO E’ ISOLATO…BERLUSCONI PUNTA ALLA CANDIDATURA CON RISERVA
L’estremo tentativo di scongiurare l’ineluttabile ha visto immolarsi, invano, il governatore ligure Giovanni Toti. Che poche sere fa ha osato ciò che dai tempi di Gianfranco Fini e del suo «che fai, mi cacci?» nessuno si era mai più permesso con Berlusconi: contestargli il grande rientro in scena, un evento che negli States verrebbe strombazzato come «Silvio is back», rièccolo.
In una cena rimasta riservata, nonostante fossero seduti a tavola tutti i big di Forza Italia, da Renato Brunetta a Paolo Romani, da Anna Maria Bernini a Mara Carfagna, da Gianni Letta a Niccolò Ghedini, da Valentino Valentini a Sestino Giacomoni, Toti ha preso di punta Berlusconi e la sua decisione di riproporsi alla testa di Forza Italia in vista delle prossime Politiche, laddove per il governatore sarebbe tempo di mettere su «una lista unica con la Lega». Toni educati ma bestialmente duri nella sostanza, da cui tutti i presenti – in particolare Ghedini e Carfagna – hanno preso le distanze. «Io l’ho conosciuta, caro Presidente, ai tempi in cui ebbe la forza di unire il centrodestra», sono le parole di Toti che a Berlusconi rivolge il “lei”, «invece oggi ci viene a parlare di sistema proporzionale, di correre per nostro conto… Davvero, non la riconosco più». Velenoso: «Se vorrà venire a Genova per i ballottaggi sarà benvenuto, ma prima corregga la linea su Salvini».
Dopo un simile “strappo”, Toti non è certo cresciuto nella considerazione del Cav.
Il quale ha risposto secco che lui crede ancora nel centrodestra, però con Salvini non unirebbe le forze nemmeno sotto tortura.
E comunque, è già lanciatissimo in quella che si annuncia come l’ultima galoppata elettorale della sua carriera, figurarsi se si tirerà indietro.
A tutti i personaggi che gli fanno visita, Berlusconi poggia idealmente la spada sulla spalla: «Preparati, tu sarai un mio candidato» (senza mai specificare il come e il dove). A ciascuno l’uomo mostra in gran segreto l’arma atomica che, secondo lui, dovrebbe permettergli di puntare nientemeno che al 30 per cento: un disegnino di albero, tutto verde su sfondo azzurro, fronzuto come una quercia ma in realtà un melo o un pero per via dei frutti penzolanti, e con tre enormi radici.
È l’albero della libertà , come Berlusconi l’ha battezzato (o degli zoccoli, nella definizione più in voga).
Le radici sono la libertà , appunto, la democrazia, i valori dell’Occidente. Il fusto e i rami indicano i problemi da risolvere. I grossi pomi rappresentano le soluzioni. Per ora Silvio ne ha individuate sei: meno tasse, meno Europa, meno Stato, più aiuti a chi è rimasto indietro, più giustizia per tutti e più sicurezza.
Mancano ancora risposte su giovani e immigrazione, ma l’ex premier presto aggiungerà qualche altra mela.
Nella cena si è stabilito che Forza Italia avrà il nome di Berlusconi nel simbolo. E non solo: darà battaglia per candidare il leader nonostante la legge Severino lo vieti.
Il piano esposto dall’avvocato Ghedini fa leva sulla Corte di Strasburgo, alla quale Berlusconi fece ricorso dopo la decadenza da senatore.
L’udienza è fissata per il 22 novembre, e la sentenza difficilmente arriverà in tempo per le elezioni se queste si svolgeranno a febbraio-marzo.
Ma Berlusconi cercherà ugualmente di mettersi in lista, sostenendo che il verdetto potrebbe essere a lui favorevole.
Chiederà l’ammissione «con riserva». Se l’ufficio elettorale glielo negasse, scatterebbero i ricorsi al Tar, al Consiglio di Stato, al tribunale ordinario.
Il cancan che ne deriverà sarà comunque di aiuto alla propaganda.
(da “La Stampa”)
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Giugno 20th, 2017 Riccardo Fucile
LE CARTE DELL’INCHIESTA CHE HA PORTATO ALL’ARRESTO DI DIRIGENTI PUBBLICI E UFFICIALI DELLA GDF
Pubblici funzionari dell’Agenzia delle Entrate di Venezia che si mettono in vendita o si fanno comprare.
Imprenditori del ricco Veneto pronti a corrompere per non pagare le tasse sui proventi delle loro attività .
Professionisti compiacenti che si prestano a fare da collegamento.
E finanzieri pronti a chiudere non un occhio, ma tutti e due, se il contraccambio è un Rolex Daytona, del valore di 8-9mila euro, tre mesi del loro stipendio.
Il romanzo delle tangenti è sempre lo stesso. Ma ogni volta che lo si sfoglia riserva varianti e sorprese. Ad esempio una funzionaria incorruttibile.
Accade a Venezia dove 16 persone sono state arrestate (due ai domiciliari) per una lunga sfilza di reati. E’ il segno di un andazzo così generalizzato da far dire al comandante provinciale della Finanza, Alberto Reda: “Questa è la più grande inchiesta contro il fenomeno della corruzione dopo il Mose”.
E al procuratore capo di Venezia, Bruno Cherchi: “E’ emerso un contesto criminale vasto e articolato, che travalica i singoli episodi contestati”. E al generale Antonino Maggiore, comandante regionale della Finanza in Veneto: “E’ un’inchiesta dolorosa perchè coinvolge due nostri ufficiali”.
La ricerca di coperture politiche
Uno dei principali indagati è Elio Borrelli, ex direttore del Centro Operativo delle Entrate di Venezia. Secondo il gip Alberto Scaramuzza, oltre agli episodi di corruzione vi sarebbe stato anche un suo tentativo di cercare appoggi politici per ottenere un posto di prestigio, nell’ordine la direzione regionale di Venezia, un trasferimento a Verona o a Roma.
Nel 2015 chiamò al telefono il commercialista mestrino Arcangelo Boldrin, esponente del Pd veneziano, chiedendogli un appoggio presso il sottosegretario Pier Paolo Baretta a Roma. “Cerca di farmi andare a Verona che cambia la vita anche a te”, è la frase intercettata. Secondo il gip è “una promessa esplicita di favorire le pratiche del commercialista”. Ma il professionista non abboccò, il sottosegretario non venne interessato e Borrelli finì a dirigere l’ufficio Pesaro-Urbino, da cui però continuava a seguire le vicende venete, avvalendosi anche dell’appoggio del direttore provinciale delle Entrate, Massimo Esposito, che è pure stato arrestato.
I complimenti del presidente Bedoni
Borrelli lo troviamo dappertutto, anche nei favori concessi a Cattolica assicurazioni: la compagnia veronese si vide ridurre da 8,8 milioni di euro a poco più di due milioni e mezzo il debito definito nel dicembre 2016 da un atto di adesione unificata.
In quel capitolo spuntano due Daytona regalati a Christian David, capo ufficio grandi contribuenti regionale delle Entrate, e al tenente colonnello della Finanza Vincenzo Corrado, in servizio al comando regionale veneto.
Nel marchingegno per ridurre l’accertamento fiscale sono coinvolte molte persone, due dirigenti della Cattolica, tra cui il direttore amministrativo Giuseppe Milone. I fotografarono una cena a cui partecipò anche il presidente della società Paolo Bedoni (che non risulta indagato), chiamato nelle intercettazioni “il piemontese”.
Dalle carte emerge che quando il debito con le Entrate venne abbattuto, anche Bedoni ne fu informato, dopo un incontro cruciale con uno dei funzionari arrestati. E si complimentò con i subalterni. “E’ andà da Dio a Mestre eh!” gli dice nell’ottobre 2016 Albino Zatachetto, che è segretario del presidente del Cda di Cattolica. E Milone aggiunge: “Ciao è andata bene oggi, sì ho tagliato ancora, duesette-dueotto”. Sono le cifre della contestazione ridotta a fini Irap, Ires e Iva. E Bedoni: “Bravo!”. Milone: “No, so’ sta bravi tutti… poi va bè ti spieghiamo”. Il presidente, entusiasta: “Bravissimi, bravi, ecco bravi!! Complimenti ancora”.
La supermazzetta del costruttore
Aldo Bison di Jesolo è a capo di un gruppo importante nel settore edilizio. Grazie all’interessamento di Borrelli ed Esposito avrebbe goduto del rallentamento degli avvisi degli accertamenti fiscali di alcune sue ditte dal 2008 al 2011. E le imposte e sanzioni dovute sarebbero state ridotte dell’80 per cento, da 41 a 8,3 milioni di euro. Secondo gli investigatori il premio per Borrelli ed Esposito sarebbe stato di 300mila euro. Secondo l’accusa, Bison ne aveva consegnati 140mila, alla fine del 2016, in tre rate pagate a Chioggia e a Pesaro.
Trasferimento per la funzionaria integerrima
La chiamavano “la stronza”. Era Anna Boneschi, una funzionaria delle Entrate che non si faceva corrompere e aveva ordinato nuovi accertamenti su Bison.
La paura di Borrelli era che l’imprenditore si rivolgesse direttamente alla donna. Al telefono gli dice: “Aldo, non pensare con il cervello tuo. Un anno fa com’eri? Disperato, dovevi pagare 50 milioni di euro. Ok? Eri disperato… incasinato. Non sapevi da dove uscire e ne stiamo uscendo anche benissimo. Stai tranquillo. Dobbiamo lasciarla stare perchè lei è stata bypassata”.
Il ricorso aveva, infatti, tolto la competenza alla funzionaria. “Ma se tu vai da lei, lei ci fa saltare tutto, perchè va dal direttore generale” aggiunge Borrelli.
La funzionaria integerrima verrà trasferita. Lo dice Borrelli a Bison durante una cena: “Siamo riusciti a toglierci dai coglioni la Boneschi. E’ a Treviso dall’1 gennaio (2016, ndr), ma l’abbiamo messa sotto un direttore provinciale che la odia… infatti sta piangendo da due giorni”. E Bison commenta: “Chi semina vento raccoglie tempesta”.
Il colonnello chiacchierone e il giudice
Dal filone riguardante Cattolica Assicurazioni emerge il ruolo che avrebbero avuto il tenente colonnello della Finanza Vincenzo Corrado e il giudice tributario Cesare Rindone, componente della Commissione tributaria regionale, nell’abbattimento del debito verso l’Erario. Il loro obiettivo era di far assumere in Cattolica un loro amico, dipendente comunale a Verona.
Anzi, Corrado aveva prospettato anche una sua assunzione, in caso si fosse congedato dalla Finanza. Sorprendentemente l’ufficiale e il giudice ne parlavano al telefono. Annotano i finanzieri che li ascoltavano nell’ottobre 2016: “Rindone, nella paura di essere intercettato, si altera per il linguaggio troppo esplicito utilizzato dal Corrado, che sembra che voglia qualcosa in cambio”. Il giudice dice: “Fai parlare me. Tu devi capire che quando si parla di ste robe qua, anche se in questo momento mentre io e te parliamo c’è il maresciallo che ci sta ascoltando… la cosa che dobbiamo proprio escludere è che tu voglia qualcosa, mi sono spiegato”. E Corrado: “No sto facendo un favore allo Stato, all’Erario, anche perchè rischia di non incassare un cazzo se va in contenzioso”. Peccato che poi abbia ricevuto la promessa di un Rolex Daytona, simile a quello che gli fu consegnato per il pubblico ufficiale David. E abbia accettato. “Però un oggettino… cioè una cosa similare mi piace! Non è che non mi piace… Cioè… Cioè….”.
Ex assessore indagato
Dalle carte dell’inchiesta veneziana spunta un filone inedito, legato alle intercettazioni sul Mose. Il gip Scaramuzza scrive che l’imprenditore Pierluigi Alessandri della Sacaim nel 2013 avrebbe pagato una mazzetta da 100mila euro all’ex assessore comunale veneziano Enrico Mingardi, per lavori stradali a Mestre.
Sono passati quattro anni dalle confessioni, ma di questa inchiesta non si sapeva nulla. Mingardi ha commentato: “E’ una follia, un’enormità . Il Comune non si occupò di quell’appalto e fu aggiudicato nel 2011 quando non ero più assessore da 6 mesi perchè Massimo Cacciari mi aveva tolto le deleghe. Non contavo più nulla”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 20th, 2017 Riccardo Fucile
CASO MAUGERI, LE MOTIVAZIONI DELLA CONDANNA A SEI ANNI
Nessuna attenuante. Sono durissime le parole dei giudici che hanno condannato a sei anni Roberto Formigoni per il caso Maugeri.
Nessuna attenuante, perchè dal processo sono emersi “gravi fatti posti in essere dalla più alta carica politica della Regione Lombardia per un lungo periodo di tempo, con particolare pervicacia”, con “palese abuso delle sue funzioni” e “in modo particolarmente callido e spregiudicato, per fini marcatamente di lucro e con grave danno per la Regione”.
In cinque anni, sei milioni di euro.
Il Tribunale di Milano “ritiene che le utilità corrisposte a Formigoni in esecuzione dell’accordo corruttivo, tra il 2006 ed il 2011, siano stimabili nell’ordine di almeno sei milioni di euro, a fronte di circa 120 milioni di euro e di circa 180 milioni di euro che, nello stesso periodo, vengono erogati dalla Regione rispettivamente a Fondazione Salvatore Maugeri e Ospedale San Raffaele”.
La cronologia della corruzione.
Secondo i giudici “sotto il profilo cronologico si sottolinea il quasi parallelismo tra le erogazioni” a Fondazione Maugeri e al San Raffaele e “le erogazioni delle utilità “. Il Tribunale fa una serie di esempi come “le vacanze di Capodanno 2006/2007 (…) coeve all’intervento di Formigoni per la reintroduzione delle funzioni non tariffabili” che hanno comportato un incremento dei rimborsi alla Maugeri.
Oppure, sostiene il collegio, l’ex governatore “fruisce del grosso delle utilità (vacanze e viaggi, contanti, villa in Sardegna) dal Capodanno 2007 in poi.
Proprio in quell’anno (…) – si legge sempre nelle motivazioni – si verifica l’intervento di Formigoni per garantire che la legge no profit venga approvata con un testo favorevole” all’ente con sede a Pavia e al San Raffaele “che avevano, all’epoca, più pressanti necessita finanziarie.
E’ significativo, in particolare – proseguono i giudici – che la giunta regionale recepisca le modifiche alla legge sui no profit favorevoli alle due fondazioni in data 22.6.2007 e che Daccò acquisti Ojala (imbarcazione poi utilizzata quasi esclusivamente da Formigoni) proprio in data 28.6.2007”.
Pagato con viaggi e vacanze di lusso.
“Gli ingenti capitali investiti”, sottolinea il Tribunale parlando del faccendiere Pierangelo Daccò e dall’ex assessore Antonio Simone “per garantire a Formigoni vacanze in località esclusive, disponibilità di imbarcazioni di lusso, uso di dimore di pregio, un altissimo tenore di vita, cene di rappresentanza e viaggi su aerei privati sono del tutto esorbitanti un qualsiasi normale rapporto di amicizia (sia pure con persone molto facoltose) e trovano, viceversa, sotto il profilo quantitativo e temporale, una logica spiegazione proprio nella remunerazione che i privati riconoscono al pubblico ufficiale quale corrispettivo al mercimonio delle funzioni”. Per i giudici, “l’evidenza delle prove raccolte smentisce in radice la tesi della difesa di Formigoni, secondo cui le c.d. ‘utilita del Presidente’ non sarebbero aItro che omaggi e regalie rientranti nell’ambito di un normale rapporto di amicizia tra Formigoni e Daccò”.
Formigoni, anni di vacanze dorate sugli yacht di Daccò: le riviste di gossip negli atti del processo
L’inventario delle regalie. In un capitolo delle quasi 700 pagine di motivazioni, vengono esaminate una ad una “le utilità percepite dal Presidente Formigoni, suddividendole in alcune macrocategorie per comodità espositiva: imbarcazioni; vacanze di Capodanno ed altri viaggi; villa in Arzachena – Località Li Liccioli; denaro contante; finanziamento elettorale di 600.000 euro”.
A differenza di quanto sostenuto dall’accusa, che ha contestato all’ex governatore una corruzione da oltre 8 milioni, per i giudici (che hanno confiscato a suo carico 6,6 milioni come prezzo delle presunte tangenti) “non rientrano nel novero delle utilità di Formigoni le cene in ristoranti di lusso organizzate da Daccò in onore del Presidente della Regione”.
“Pur avendo tali cene, indubbiamente, un ritorno in termini di immagine per Formigoni – si legge nelle carte – esse rispondevano anche al tornaconto di Daccò, che in questo modo accreditava (soprattutto agli occhi dei funzionari della Regione e dei Direttori Generali) la sua immagine di imprenditore del settore Sanità molto vicino al Presidente”.
Le altre condanne e le assoluzioni.
Il 22 dicembre la decima sezione penale (giudici La Rocca-Minerva-Formentin) hanno condannato l’ex Governatore a 6 anni per corruzione, mentre i pm chiedevano nove anni. I giudici hanno condannato anche il faccendiere Pierangelo Daccò (9 anni e 2 mesi), l’ex assessore lombardo Antonio Simone (8 anni e 8 mesi), l’ex direttore amministrativo della Maugeri Costantino Passarino (7 anni) e l’imprenditore Carlo Farina (3 anni e 4 mesi). Assolti invece l’ex direttore generale della sanità lombarda Carlo Lucchina, l’ex segretario generale del Pirellone Nicola Maria Sanese, l’ex dirigente regionale Alessandra Massei, l’ex moglie di Simone Carla Vites e Alberto Perego, amico storico dell’ex presidente lombardo.
(da agenzie)
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