Giugno 4th, 2017 Riccardo Fucile
VINCE LA “DEMOCRAZIA DIRETTA”, QUELLA ORCHESTRATA DALLE SEGRETERIE DEI PARTITI
I capilista bloccati restano, perchè non ci saranno le preferenze.
La precedenza per ottenere i seggi ce l’avranno i vincitori dei collegi uninominali sai che soddisfazione.
E’ su questa base che regge l’inciucio tra Pd, Cinquestelle e Forza Italia sulla riforma elettorale.
La commissione Affari costituzionali della Camera ha cominciato a votare gli emendamenti e dovrebbe concludere l’esame del testo entro domani in modo da approdare in Aula il 6 giugno come da calendario.
Uno degli emendamenti già approvati, a firma di Alan Ferrari del Pd, prevede il taglio dei collegi uninominali che passano da 303 a 225: in questo modo viene superato il problema dei collegi cosiddetti “soprannumerari”, cioè dei vincitori nei collegi che rischiavano di non essere eletto.
Per farla più semplice in questo modo in ciascuna circoscrizione avranno la precedenza nell’elezione al Parlamento i vincitori nella parte uninominale, mentre successivamente saranno selezionali i nomi nel listino bloccato di 2-6 nomi.
In pratica i partiti hanno già deciso chi deve uscire dall’uninominale e pure chi dal proporzionale l’elettore potrebbe stare pure a casa, tanto il suo parere non conta una mazza.
A favore dell’emendamento di Ferrari, comunque, hanno votato Pd, Forza Italia, M5s e Lega Nord mentre contro si sono espressi Articolo 1-Mdp, Alternativa Popolare, i centristi dei Civici e Innovatori e di Democrazia Solidale-Centro Democratico, i fittiani di Direzione Italia e gli ex M5s di Alternativa Libera.
Tutte le opposizioni protestano perchè ritengono questa modifica — che ridisegna i collegi e che quindi dà preferenza ai candidati dell’uninominale — incostituzionale. L’emendamento Ferrari, infatti, dà una delega al governo di 12 mesi per disegnare i collegi (la delega in genere è di 30-45 giorni), ma come norma di chiusura prescrive che se si va a votare prima della definizione dei nuovi collegi, si adottano quelli usati per il Senato con il Mattarellum tra il 1994 e il 2001.
I piccoli partiti sottolineano che questi collegi furono disegnati nel 1993, sulla base del censimento del 1991, con dati demografici diversi dagli attuali.
“Soprattutto — spiega Gian Luigi Gigli, eletto con Scelta Civica e ora in Democrazia Solidale — una pretesa che calpesta il dettato costituzionale. L’articolo 56 della Costituzione, infatti, prevede che la ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni sia effettuata dividendo per 618 il numero degli abitanti, quale risulta dall’ultimo censimento generale della popolazione e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione”.
Esultano sia gli orlandiani sia i Cinquestelle: “Ora il sistema è tedesco” scrive l’esilarante Danilo Toninelli.
“Il capolista bloccato non esiste più: riparte dai collegi vincenti e si passa poi alla lista del proporzionale” dice l’altro ballista del Pd Ettore Rosato.
Nei fatti i capilista bloccati in realtà resteranno: saranno comunque i primi beneficiari del proporzionale.
Ci sarà l’eliminazione delle pluricandidature, ma non il voto disgiunto.
In questo senso è stato bocciato un emendamento di Mdp firmato da Alfredo D’Attorre.
Alternativa Popolare aveva cercato di introdurre un meccanismo che il sistema tedesco autentico ha, cioè il fatto che se un partito non raggiunge il 5 per cento ma conquista tre collegi uninominali ha diritto a quei seggi. Ma l’emendamento di Dore Misuraca è stato respinto.
Diversi partiti critici del testo del relatore Emanuele Fiano avevano insistito sul fatto che questo testo non c’entrasse nulla con il sistema tedesco, cosa su cui lo stesso Fiano aveva concordato.
Mdp aveva proposto anche l’inserimento delle preferenze nel listino (che a quel punto avrebbe davvero cancellato i capilista bloccati), ma anche questa proposta è stata respinta.
Poco prima del voto, l’esponente di Mdp Arcangelo Sannicandro è stato protagonista di un battibecco infuocato con Fiano e Roberto Giachetti.
Il parlamentare ha accusato Pd, M5S, Fi e Lega di essere “ladroni di democrazia” perchè contrari alle preferenze, suscitando le proteste di Fiano e di altri membri della commissione.
Mazziotti alla fine ha riportato la calma invitando Sannicandro ad evitare parole offensive. Questi ha voluto avere la parola finale con una sferzata ironica: “Allora li chiamerò dispensatori di democrazia”.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2017 Riccardo Fucile
FA FINTA DI DIMENTICARE CHE LE NORME VIGENTI OBBLIGANO LE ONG A TOCCARE IL PORTO PIU’ VICINO… BASTA DEMAGOGIA PER I FESSI, CARO MINNITI, SEI MINISTRO DI UN GOVERNO, VAI A DIRLO AI TUOI COLLEGHI EUROPEI CHE LI RESPINGONO INVECE DI FARE IL BULLO COI DEBOLI E TACERE COI FORTI
Pensavamo che Minnitti avrebbe spiegato come mai non è riuscito ancora ad assicurare alla giustizia il “russo Igor” nonostante la più costosa opera di rastrellamento della storia della Repubblica italiana. Magari appellandosi alle doti di apnea del ricercato capace di respirare sott’acqua con una cannuccia delle bibite.
Invece il mascellare ministro degli Interni, dedito a sparare fumogeni al popolo italiano sul tema “la legalità è di sinistra”, salvo non riuscire neanche a impedire che in piazza San Carlo a Torino entrassero decine di venditori abusivi di bibite in bottiglie di vetro, causa prima del ferimento di centinaia di tifosi, ci parla, in una intervista di Milena Gabanelli, delle sue doti di grande stratega per fermare il flusso di profughi in Italia provenienti dalla Libia.
Ecco alcune delle sue risposte:
Nel dopo Gheddafi, lei è il primo ministro che va a trattare con fazioni e tribù per bloccare le partenze verso l’Italia. Quanto stiamo pagando?
«Al momento 200 milioni dall’Ue e 200 dall’Italia, ma aumenteranno perchè il confine sud della Libia è il confine sud dell’Europa, ed è sul quel terreno che si contrasta il traffico di esseri umani e terrorismo».
Non avrebbe più senso allora concentrare li tutte le risorse, invece di trattare su tanti tavoli?
«Se vuoi fermare le partenze occorre fare in modo che il governo libico prenda il controllo delle acque territoriali, e quindi formiamo la guardia costiera a nord e rimettiamo a posto le loro motovedette. Poi devi stroncare il traffico di esseri umani. Faccio un esempio: la carovana che arriva dal sud della Libia deve passare attraverso numerosi check point, ed è probabile che paghi un dazio. Per rendere questo sconveniente dobbiamo addestrare e pagare anche le guardie di frontiera al sud, e su questo abbiamo fatto un accordo con i ministri dell’interno di Libia, Niger e Ciad».
Ma le guardie di frontiera sono intrecciate con tutte le fazioni e non rispondono solo ad al-Serraj con cui parlate voi.
«Lo sappiamo perfettamente, ma lui controlla la Tripolitania, da dove partono i flussi, e comunque stiamo parlando anche con tutti gli altri, visto che l’idea di una stabilizzazione militare è una drammatica illusione. L’unica strada è quella di un “rammendo” sul territorio».
La fa Minniti da solo questa opera di «rammendo»?
«In questo contesto contano molto i rapporti personali, ma non sono solo, ho a fianco il governo e anche un investimento dell’Ue».
Quale investimento?
«La scorsa settimana io e il mio collega tedesco abbiamo mandato alla commissione europea la richiesta congiunta di intervento finanziario significativo per il controllo dei confini del sud. L’Italia farà da apripista con il Mediterraneo centrale. E’ la prima volta che succede questo, ed è l’unico modo per mettere ciascuno di fronte alle proprie responsabilità ».
In Turchia si tratta solo con Erdogan, in Libia comandano in tanti, inclusi i trafficanti… a meno di pagarli uno per uno.
«Non c’è bisogno di arrivare a questo. Abbiamo portato le 3 tribù più potenti del Sahara a fare la pace dopo essersi combattute per anni, e questo può fare da volano per una ipotesi di stabilizzazione. Dopodichè mi è nota la fragilità di quell’accordo, ma l’alternativa qual è? Se qualcuno ce l’ha la metta in campo, e mi misurerò con quella. Intanto poche settimane fa Unhcr ha aperto alla Libia, e con i 90 milioni della Commissione Europea, l’accoglienza verrà dirottata li».
Tutta l’Africa subsahariana è in movimento; augurandoci di fermare le partenze dalla Libia, i flussi poi si sposteranno sulle coste egiziane, e al Cairo non abbiamo un ambasciatore.
«Mi auguro che i rapporti diplomatici riprendano presto perchè l’Egitto è un Paese cruciale, sia nei rapporti con la Libia, sia per l’immigrazione, sia per il terrorismo».
Parliamo dell’oggi: per le attività di soccorso al largo delle coste libiche sono nati sospetti che alcune ong possano avere legami con i trafficanti e ci sono indagini aperte. Lei che idea si è fatto?
«L’idea che bisogna aspettare le conclusioni, senza generalizzare o sottovalutare. Nel frattempo la commissione senato ha prodotto un documento che verrà tradotto in un progetto operativo su come le ong dovranno coordinarsi con la nostra guardia costiera».
Tante navi di nazionalità diverse (Panama, Malta, Paesi Bassi, Belize, Gibilterra) operano soccorsi in quella zona, ma tutte sbarcano i migranti in Sicilia, è un problema?
«Io vorrei che una nave, una soltanto, si dirigesse in un altro porto europeo, certo non risolve i nostri problemi ma sarebbe il segnale di un impegno solidale dell’Europa. Io mi batterò per questo, perchè è inaccettabile separare il momento del soccorso da quello dell’accoglienza, ed è un’ipocrisia dire: salvo una vita in mare, ma che fine fa poi quella vita è un problema di un solo Paese. L’Italia».
Intanto in Italia sbarcano migliaia di persone, ad oggi il 30% in più rispetto all’anno scorso. Il sistema dell’accoglienza qui si appoggia tutto sul terzo settore, e non funziona. Non sarebbe ora di fare la scelta strategica di una gestione pubblica della prima accoglienza?
«Abbiamo puntato sulla ripartizione dei flussi in piccoli gruppi che mandiamo ai comuni in proporzione al numero degli abitanti, la gestione è affidata solo ad associazioni scelte con requisiti stringenti e piccoli appalti, per evitare infiltrazioni della criminalità . Abbiamo accorciato i tempi da 2 anni a 6 mesi per stabilire chi ha diritto a restare e chi no, e ridotto da 4 a 3 i gradi di giudizio».
Ma la sostanza non cambia. Ogni giorno ne arrivano 1000 e non sapete dove metterli, li stipate qua è là per le impronte digitali e una visita medica, poi li disperdete nei comuni sapendo che un 60% dovrà essere rimpatriato, con il rischio che molti di loro spariscano nel nulla. Io credo che la prima accoglienza debba essere gestita dal pubblico nei suoi numerosi e immensi immobili, senza pagare affitti a terzi. E avviare lì dentro il processo di identificazione, corsi di lingua e formazione, attraverso l’assunzione di personale specializzato. Trascorsi i 6 mesi, solo chi ha diritto alla protezione, viene affidato ai comuni secondo il vostro modello. Non crede che ci sarebbe un maggiore controllo, meno difficoltà di inserimento sul territorio, oltre ad essere un’opportunità di lavoro anche per noi?
«Il suo è un modello razionale ma troppo costoso, e il contributo dell’Europa su questo non è all’ordine del giorno. Per me è più importante che l’Europa si spenda dall’altra parte del Mediterraneo. Se non ce la faremo a fermare i flussi, allora ne riparleremo».
Dall’intevista emerge la solita visione da gendarme di provincia di Minniti.
1) Il problema di chi fugge da guerre e persecuzioni si risolve ricacciandoli indietro, non agendo sulle cause.
2) Il filo spinato sulle nostre coste è anti-estetico, meglio stenderlo nel deserto libico, così non lo vede nessuno.
3) Continua a parlare di scafisti quando i primi a incassare tangenti dai disperati sono le autorità libiche, in primis la Guardia costiera che chiude due occhi. E a cui regaliamo motovedette e 200 milioni cash.
4) Alla intelligente domanda della Gabanelli “anche se chiudiamo il corridoio libico, il flusso troverà sbocco in Egitto”, Minniti rivela la sua pochezza. non sa che dire, poi dirotta sulla necessità di avere buoni rapporti con un regime di assassini (e questo sarebbe un uomo di sinistra?)
5) Minniti appartiene a quella schiera di soggetti fuori dal mondo che pensa che lo spostamento per guerre e fame sia pilotato dagli scafisti che forniscono le barche, non ha capito che è un fenomeno che va bloccato alle origini, ma ristabilendo condizioni di vita, di libertà e di lavoro che facciano venire meno la necessità vitale e inarrestabile di spostarsi. Se i nostri immigrati di inizio ‘900 non avessero patito la fame in Italia non sarebbero mai emigrati in America.
Consiglio finale: si legga qualche libro di storia invece che il bignami su come entrare in polizia.
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Giugno 4th, 2017 Riccardo Fucile
OGNI ANNO UN MILIONE DI LORO RISCHIA LA VITA PER SCAPPARE DAL SUD SUDAN, IN FUGA DA GUERRA CIVIE E FAME, MOLTI VENGONO UCCISI NEL TRAGITTO
La quiete apparente sulla strada sterrata che collega il villaggio sud-sudanese di Isohe a Tsertenya, frontiera con l’Uganda, è interrotta dalle grida di donne e bambini.
Dagli arbusti secchi della savana sbucano sagome nere scheletriche. In lontananza, si materializza un camioncino. Inizia una corsa confusa e disperata nella canicola poco sopra l’Equatore. Non c’è posto per tutti.
Chi riuscirà a salire, dopo giorni di fuga dai villaggi sud-sudanesi distrutti dalla guerra tra ribelli e forze governative, sarà ormai a pochi chilometri dalla salvezza: l’Uganda.
Chi rimarrà a terra, dovrà tornare a nascondersi, mangiare piante selvatiche e aspettare il prossimo turno.
Un business redditizio gestito dai pochi uomini della regione non coinvolti nel conflitto civile che sta lacerando il Sud Sudan con oltre 50 mila morti già accertati.
Ogni giorno circa 3 mila persone scappano da guerra e fame verso i campi di rifugiati del Nord dell’Uganda. Una crisi umanitaria infinita.
Secondo l’Unhcr, il numero di profughi sud-sudanesi ha superato il milione solo in Uganda che, con una popolazione di 39 milioni di persone, si è trasformato nello Stato con più rifugiati in Africa e tra i primi tre al mondo.
Dalla frontiera di Tsertenya-Palabek quasi tutte le mattine ne passano un centinaio.
Le autorità lo sanno e predispongono il primo cordone per accoglierli ed iniziare le pratiche di registrazione.
Con le poche forze rimaste scendono a piedi nudi dal camioncino. Alcuni portano sedie in plastica, le donne taniche gialle per l’acqua, gli anziani delle galline, c’è chi ha persino una bicicletta. Nessuno ha una valigia.
I pochi averi sono avvolti in lenzuola bucate e scolorite. Non sono viaggiatori, bensì migranti, costretti a lasciare capanne di terra e fango da cui mai avrebbero voluto separarsi.
Li attendono i cooperanti di un’agenzia umanitaria incaricata da Unhcr alla registrazione e alla distribuzione di generi di prima necessità prima di essere trasportati con degli enormi pullman nei campi profughi ugandesi.
Un’immagine che si ripete nelle continue crisi umanitarie che attanagliano questa regione dell’Africa. Nome e cognome, le impronte digitali prese con un inchiostro blu. Alcuni non sanno l’età , molti sono bambini non accompagnati: i genitori sono stati uccisi dai miliziani nei villaggi. Ricevono una saponetta, tre confezioni di biscotti energetici. Le donne un pacco di assorbenti.
Grace, una madre di 32 anni, senza marito e con sei figli al seguito, apre con i denti l’involucro di biscotti. Il più piccolo dei suoi figli ha la pancia vuota, non mangia da giorni e reclama.
«La mia famiglia è stata decimata dai ribelli — racconta la donna —, se fossimo rimasti, i prossimi saremmo stati noi. La notte è impossibile dormire per il rumore degli spari, la mattina quando ti svegli, a terra trovi solo cadaveri. Negli ultimi mesi abbiamo mangiato solo erba, non c’è cibo, siamo stremati. Speriamo in Uganda di poter stare al sicuro e che i miei figli possano mangiare ed andare a scuola».
Storie di disperazione con il comune denominatore della guerra e della fame condivise sui pullman che li porta a Palabek, distretto di Lamwo, Nord dell’Uganda.
Un campo appena nato, che può contenere fino a 50 mila persone, costruito dall’Unhcr per sopperire al flusso continuo di rifugiati. Le strutture di Bidi Bidi e Palorinya sono al collasso: oltre 450 mila persone in totale.
Nuove città -limbo abitate da anime in transito. A pochi chilometri da Palabek si inizia ad intravedere un’immensa distesa bianca, che contrasta con la terra rossa e la vegetazione verde rigogliosa.
Sono le tende che ospitano i rifugiati. Alcuni dei profughi, soprattutto bambini, vengono subito trasferiti nell’ospedale mobile: vaccinati e intubati quelli malnutriti. Altri si mettono in fila per ricevere il primo pasto.
A tutti viene consegnata una carta d’identità che gli permetterà di muoversi in Uganda. La prima notte la passano in tenda, uomini separati da donne e bambini. In un’altra anziani e disabili. Il giorno dopo ad ognuno viene assegnato un fazzoletto di terra da 30×30 metri e dei semi per coltivare. Lì sorgerà la loro nuova casa, una piccola oasi immersa in un deserto di dolore.
«Stavo andando con mio marito a cacciare topi nella savana, poi all’improvviso a Pajok sono arrivati i militari dell’esercito e si è scatenato l’inferno — ricorda Ayaa, una madre con 4 figli appena arrivata a Palabek – mio marito è stato arrestato, io sono riuscita a nascondermi con i miei figli. Ho aspettato ore prima che i militari se ne andassero, quando sono uscita a terra c’erano decine di cadaveri. Ho gli incubi tutte le notti». Accanto a lei c’è Ocan, prima di fuggire da Pajok faceva il maestro di scuola.
«I bambini mi hanno avvisato che stavano entrando i militari, li ho fatti uscire di corsa, ma era troppo tardi, nella fuga molti sono stati colpiti dai proiettili — ricorda sconvolto —, ho visto i corpi a terra degli amici dei miei figli. Non tornerò mai più in Sud Sudan».
(da “La Stampa”)
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Giugno 4th, 2017 Riccardo Fucile
“IL MIO MOTTO IN POLITICA E’ UN CULO, UNA CAREGA”
“La mia convinzione in politica è ‘un culo, una carega’”. Luca Zaia, tirato per la giacchetta dopo la foto con un giocatore di calcio di colore che gli è costata un bel po’ di insulti sul web, esce allo scoperto.
Per rassicurare che non c’è nessuna svolta sul tema degli extracomunitari, non ha velleità di fare il leader del centrodestra, nè tantomeno di distinguersi da Matteo Salvini, segretario sempreverde della Lega Nord.
“Ognuno deve fare una cosa per volta. E farla bene. Ovvero, sedersi su una sedia (la carega, ndr) alla volta. Sono contro la bulimia degli incarichi”.
Eppure l’istantanea con Isaac Donkor, giocatore dell’Inter in prestito al Cesena, non poteva passare inosservata.
E Zaia, che l’ha postata sul suo sito, non poteva non saperlo. Anche se dichiara: “Ho solo fatto una foto con un ragazzo che vive in Italia da tanti anni e parla veneto. Io sono da sempre contrario allo ius soli e continuo ad esserlo. Perchè penso che la cittadinanza bisogna meritarsela e che non sia sufficiente neppure vivere in un paese per ottenerla automaticamente”.
In parole povere? “Non può diventare un fatto d’ufficio, dopo 10 anni di residenza in Italia. Anche perchè la diamo a cittadini stranieri a cui i Paesi stranieri tolgono la loro quando ricevono quella italiana”.
Però non si dice contrario alla cittadinanza provvisoria. “Ma solo a chi è integrato e lavora. Se vogliamo io sono oltre lo ius soli”.
Bastano queste parole per sostenere che nella Lega sono in corso mutazioni ideologiche, magari per strizzare l’occhiolino ai tanti stranieri che voteranno alla prossime amministrative?
Zaia nega e spergiura che non è così e che non è iniziata la partita per una nuova leadership. “Io sono troppo concentrato sul Veneto e sul referendum per l’autonomia che si terrà il 22 ottobre. Salvini è il mio segretario, l’ho appoggiato al Congresso. Io sono un uomo di squadra e la mia squadra è la Lega”.
Niente di nuovo sotto il cielo padano, verrebbe da dire.
Anche perchè Zaia sa che chi esce dalla linea — è sempre stato così — rischia l’isolamento e non va da nessuna parte.
“Luca è un leghista furbo” ha detto di lui Flavio Tosi, l’ex segretario espulso, nonchè attuale sindaco uscente di Verona. Può dire di conoscere molto bene il suo ex amico-nemico che gli soffiò sul filo di lana la candidatura a governatore del Veneto.
E quel connubio leghista-furbo è un binomio che può avere diverse declinazioni, tutte perfettamente aderenti al personaggio: leghista-moderato, leghista-accorto, leghista-di-governo.
In una parola, il trevigiano Luca Zaia, da alcuni indicato come l’unica alternativa a Matteo Salvini e da altri come l’unico leghista che potrebbe ambire a unire il centrodestra, è un leghista a basso potenziale. Rassicurante. Ecumenico anche quando dice “prima i veneti”.
Capace di apparire non razzista anche quando fa approvare leggi regionali che creano corsie preferenziali negli asili o nell’assegnazione di case popolari per chi vive da più di dieci anni in regione.
L’astuzia di Zaia è dimostrata dalle tappe raggiunte e dal modo con cui è riuscito a superarle.
Proveniente dal mondo delle discoteche è stato presidente della provincia di Treviso dal 1998 al 2005. Poi atterrò direttamente alla vicepresidenza della giunta regionale (governatore era Giancarlo Galan), senza passare per i seggi elettorali.
Tre anni dopo un altro capolavoro di destrezza politica, quando nel maggio 2008 riuscì allo stesso tempo a smarcarsi da Galan e a diventare ministro dell’Agricoltura. In quell’occasione aveva soffiato il posto all’amico di partito Giampaolo Dozzo, il sottosegretario ormai convinto di fare il grande salto, che pianse di rabbia.
Il ritorno a Venezia, nel 2010, fu un indubbio segno di forza. Innanzitutto nel centrodestra, dove Bossi, che era ancora Bossi, convinse Berlusconi a far schiodare Galan da palazzo Balbi, per incarichi ministeriali.
Ma anche in casa leghista, dove Tosi si sentiva già un predestinato per la poltrona di Doge, che gli venne sfilata sotto il naso. Che l’uomo ci sappia fare è indubbio, vista la rielezione a mani basse nel 2015 e l’indice di gradimento sempre altissimo quale presidente della Regione, anche a distanza di due anni dal voto.
Zaia è convinto sostenitore del modello veneto, dalla sanità al volontariato, dall’impresa alla protezione civile.
Perfino nella disponibilità ad accogliere i profughi. È allo stesso tempo ideologico e pragmatico. Ogni due giorni invoca l’esercito per garantire sicurezza. E a ogni operazione anticrimine elogia Polizia e Carabinieri. E si vanta: “Governiamo bene. Abbiamo dimostrato di essere seri, di aver mantenuto i patti”.
Uno di questi — un vanto pontificato in ogni modo — era che il Veneto non metteva tasse ai veneti. “Siamo l’unica regione che lascia nelle tasche di famiglie ed imprese 1 miliardo e 159 milioni di euro per mancanza delle accise regionali sulla benzina, dei ticket regionali (si pagano solo quelli imposti da Roma) e dell’addizionale regionale Irpef”.
A marzo l’annuncio di una tassa per rastrellare 300 milioni di euro necessari all’ultimazione della Pedemontana Veneta, è stato bruciante.
Prima di tutti per il Governatore, che se lo è sentito rinfacciare da tutti. Poi è corso ai ripari, riuscendo a trovare nuove strade finanziarie. Il rischio della super-tassa è scomparso dall’orizzonte, anche perchè a ottobre Zaia aspetta i veneti alle urne per il referendum sull’autonomia che, nelle sue aspettative, dovrà trasformarsi in un plebiscito.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 4th, 2017 Riccardo Fucile
“IO ANTI M5S? SONO LORO A SFIDARMI”… “GRILLO A PARMA VERREBBE CONTESTATO”
«Rispetto a cinque anni fa le differenze sono molteplici. Oggi chi mi vota sceglie la persona, il gruppo, nel 2012 sceglieva il simbolo. Rimango coerente con lo spirito di realtà che ha caratterizzato questi anni: da una parte ci sono le competenze, dall’altra c’erano e ci sono idee senza sostenibilità economica e normativa»: Federico Pizzarotti, a una settimana dal primo turno delle Amministrative che lo vedono in corsa per il secondo mandato a Parma con la sua lista civica «Effetto Parma», traccia un bilancio.
Quando parla di spirito di realtà si riferisce alla battaglia sull’inceneritore che era stata il vostro simbolo?
«Una battaglia di questo tipo la si fa perchè ci si crede non solo perchè si ritiene di vincerla».
C’è qualcosa che le manca di quel periodo?
«No. L’entusiasmo è lo stesso. Abbiamo nuove energie da parte di attivisti che si stanno aggregando».
Cosa l’ha segnata di questi cinque anni?
«Tante cose più lavorative che mediatiche. Non il rapporto logoro con Il Movimento, ma alcune decisioni difficili in consiglio comunale o essere sbattuti sui giornali come indagato, una cosa che uno che si muove per il bene della sua città non tiene in conto quando si candida».
Si aspetta un comizio di Beppe Grillo a Parma?
«No. Già lo scorso anno non ha fatto comizi a Roma e Torino, in più questa è una piazza simbolica ma avrebbe trovato – certamente non tra le mie fila, ma tra i cittadini – persone che lo avrebbero contestato per come ha trattato la città ».
Come sarà sfidare i Cinque Stelle?
«Non sono io che sfido i Cinque Stelle, sono loro che sfidano me. Onestamente penso di non essere stato danneggiato dall’uscita dal Movimento: in chiave elettorale abbiamo più possibilità con una lista civica che con un partito che ha prima obiettivi nazionali e che ha abbandonato tante città in cui governava».
Il Movimento ora sta stringendo accordi con Pd e Forza Italia sulla legge elettorale, lei in passato è stato preso di mira per alcuni atteggiamenti giudicati dialoganti
«Questa è l’ennesima dimostrazione che la diatriba con me non era sul merito ma sulla persona. D’altronde anche i divieti sull’andare in tv, alcune regole cambiate ad hoc dimostrano come il Movimento sia cambiato. Cadono anche gli ultimi tabù per cercare di attrarre pezzi di establishment».
Che idea si è fatto delle sindache M5S Virginia Raggi e Chiara Appendino?
«Su Raggi si è scritto troppo e male. I media l’hanno attaccata per questioni più di pancia, quando avrebbero dovuto guardare alle promesse non mantenute o alle difficoltà nel creare una giunta compatta. Appendino è in secondo piano perchè ha avuto meno problemi interni e i media gli dedicano meno articoli sui mal di pancia, però ho visto che preso alcune decisioni che quando era all’opposizione aveva criticato. Ecco: bisogna fare attenzione a dire certe cose. Si fa in fretta a cavalcare le battaglie di associazioni e comitati: cose quando poi si è al governo ci si scontra con vincoli reali, cambi posizione e la gente non ti crede più. Il vantaggio di Appendino è che lei è in linea con l’establishment Cinque Stelle».
Cosa farà una volta concluso il suo impegno a Parma?
«Dieci anni fa non avrei mai detto che sarei diventato sindaco, ora non riesco a vedere tra dieci anni il mio destino. Guardo all’immediato, agli impegni che sto prendendo con la mia città . Abbiamo presentato un programma in 250 punti, i candidati di centrodestra e centrosinistra lo hanno solo depositato».
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 4th, 2017 Riccardo Fucile
ANNA PALOMBO TRA I CANDIDATI DELLA LISTA CIVICA A SOSTEGNO DEL SENATORE DEM CUOMO
Tra i candidati nelle liste che a Portici domenica prossima sosterranno l’aspirante sindaco Vincenzo Cuomo, senatore Pd che già in passato ha guidato il Comune vesuviano, ci sarà anche Anna Palumbo, madre di Noemi Letizia, la ragazza (oggi donna e madre) che deve la sua notorietà al fatto di aver frequentato da minorenne Silvio Berlusconi e di averlo avuto come ospite, il 26 aprile 2009, quando il leader di Forza Italia era anche presidente del Consiglio, alla festa per il suo diciottesimo compleanno in un locale di Casoria. All’epoca anche Anna Palumbo acquisì notorietà perchè furono diffuse alcune foto in cui appariva accanto alla figlia seduta al tavolo di Galliani e Confalonieri a una festa scudetto del Milan e per aver rivelato per prima, sempre insieme alla figlia, il nomignolo «papi» con il quale erano solite rivolgersi a Berlusconi le sue giovani amiche, compresa Noemi.
Di Anna Palumbo, poi, le cronache si occuparono ancora, quando, nel corso di accertamenti sui conti di Berlusconi disposti dai pm che indagavano sul caso Ruby, emerse un bonifico di ventimila euro a favore della mamma di Noemi Letizia disposto nel 2010 dal ragioniere Spinelli, che aveva la delega a operare sui conti di Berlusconi.
Quel trasferimento di denaro, però, seppure rivelato da una indagine, non fu oggetto di nessun accertamento giudiziario.
Qualche anno prima di conoscere Berlusconi, Anna Palumbo aveva scelto di dedicarsi alla politica, candidandosi, e riuscendo a essere eletta, al consiglio comunale di Portici – la cittadina dove vive – nella lista civica Progressisti per Portici, a sostegno del candidato sindaco Leopoldo Spedaliere, che oggi, con Mdp, è rivale di Cuomo.
Stavolta invece la lista in cui compare il nome della signora si chiama Cristiani uniti per la famiglia, un movimento cui sarebbe approdata in un percorso di fede e che vede tra i fondatori anche suo marito, Benedetto Letizia, detto Elio, che Berlusconi indicò come ex autista di Craxi (non lo è mai stato) per spiegare la sua amicizia con la famiglia di Noemi.
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 4th, 2017 Riccardo Fucile
IL BAMBINO DI SETTE ANNI RESTA IN COMA FARMACOLOGICO, MA C’E’ QUALCHE SEGNALE DI MIGLIORAMENTO
“La folla aveva travolto mio figlio, un uomo di colore che se ne è accorto e lo ha salvato”.
Lo ha raccontato la madre del bambino di 7 anni, di origini cinesi, ricoverato in coma farmacologico all’ospedale infantile Regina Margherita di Torino.
Il bambino si trovava insieme alla sorella in piazza San Carlo, quando è scoppiato il panico per un falso allarme.
Solo l’intervento di uno degli spettatori lo ha salvato. La famiglia non conosce il nome e l’identità dell’uomo, che per il momento rimane misteriosa.
“Ha urlato ‘c’è un bambino, c’è un bambino’.- ha detto la sorella — Poi ha cominciato a spostare la gente, tutta quella che poteva, e altri gli hanno dato una mano. Lo ha salvato”. “Vorremmo ringraziare le persone che lo hanno aiutato”.
Il bambino è in prognosi riservata all’ospedale infantile Regina Margherita nel reparto di rianimazione: ha un trauma cranico e toracico.
Le sue condizioni, apparse subito gravissime, sembrano essere migliorate nelle ultime ore.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 4th, 2017 Riccardo Fucile
“DA VENT’ANNI IL COPIONE E’ SEMPRE LO STESSO: CONTROLLARE GLI ELETTI FREGANDOSENE DEGLI ELETTORI”
Antonio Padellaro, ex direttore del Fatto Quotidiano, nella rubrica delle lettere che cura per il giornale oggi racconta del tassista Pino, che gli ha chiesto qualche tempo fa per chi avrebbe votato alle elezioni.
Padellaro rispose al tassista che avrebbe scandagliato vita, morte e miracoli dei candidati nel suo collegio per poi decidere.
Ma adesso ha cambiato idea:
Caro Pino, ti chiedo scusa perchè purtroppo mi sbagliavo di grosso. Credevo che il sistema elettorale concordato da Pd, Forza Italia e M5s,tedesco o non tedesco avrebbe eliminato lo sconcio del parlamento dei nominati(dichiarato incostituzionale dalla Corte) per restituire all’elettore il diritto di esprimere la propria volontà in modo pieno e consapevole.
Ci ritroviamo, invece e daccapo, con l’obbrobrio che Marco Travaglio ha battezzato su queste pagine, “Merdinellum”, dopo averlo scomposto pezzo per pezzo. La domanda è: perchè da circa vent’anni cambiano gli attori ma il copione è sempre lo stesso, selezionare e controllare gli eletti altamente fregandosene degli elettori?
Una prima risposta può essere: perchè nel frattempo la democrazia dei molti, inclusiva e partecipativa è stata trasformata, forzatura dopo forzatura, in una democrazia dei pochi, manovrata da un cerchio ristretto di capi carismatici e gestori che pur con un consenso minoritario intende governare una massa che considera confusa, dispersa e incapace di organizzarsi.
Lasciamo agli scienziati della politica un’analisi meno abborracciata di un fenomeno che in situazioni più serie e drammatiche sta dando vita alle democrazie illiberali (democrature) dell’Uomo forte (Putin in Russia, Erdogan in Turchia).
Restiamo nel cortile di casa nostra per domandarci ancora: che Berlusconi e Renzi cultori del partito personale cerchino di manovrare le cose a loro piacimento è comprensibile, ma come possono i Cinque Stelle fautori della democrazia diretta imporre i loro candidati agli elettori al pari degli altri partiti?
Grillo ha già risposto appellandosi alle primarie del movimento pur sapendo che qualche migliaio di clic (quando va bene) non possono certo sostituirsi a quegli otto o nove milioni di cittadini su cui secondo i sondaggi il M5s può ancora puntare.
Qualcuno sostiene che Grillo e il giovane Casaleggio scottati dalle numerose esperienze di eletti poi sfuggiti al loro controllo e quindi espulsi vogliano ora plasmare dei gruppi parlamentari il più possibile allineati.
Può darsi, ma una cosa è certa:con una legge elettorale siffatta, caro Pino, il partito di gran lunga più forte, quello degli astenuti, avrà un sostegno in più.
Il mio.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2017 Riccardo Fucile
COME SE NON FOSSE BASTATO IL DELIRIO DEL PRIMO… AL PEGGIO NON C’E’ MAI FINE
Il senatore Alberto Airola si è finalmente scusato per le affermazioni complottistiche e diffamatorie sulla vicenda di piazza San Carlo, con un curioso status virgolettato — chissà perchè — sul suo profilo Facebook.
Anche le scuse dimostrano che il senatore non sembra molto attento a quello che dice: sostiene che nessuno sapesse dare numeri precisi tra prefettura e questura, ma non spiega — visto che non glieli davano — perchè a suo parere questo dimostrasse che i dati altrui fossero falsi.
Ma siccome al peggio non c’è mai fine, ecco presentarsi nei commenti allo status di Airola il senatore audiofilo Mario Michele Giarrusso che, evidentemente invidioso della figuraccia di Airola, cerca di peggiorare la situazione (la propria, sicuramente) insultando e dando del venduto a chi critica Airola nei commenti.
Da segnalare che anche Airola è intervenuto nei commenti ribadendo che non aveva nessuna informazione per contestare i dati altrui, eppure lo ha fatto.
Airola inoltre dice con orgoglio di essere “lì (in prefettura?) e non certo per la partita”. È giusto ricordare che la sindaca Appendino invece era a Cardiff a vedere la partita.
(da “NextQuotidiano”)
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