Giugno 18th, 2017 Riccardo Fucile
SEGUONO REPUBBLICANI CON 126, SOCIALISTI 46, FRANCE INSOUMISE CON 26, ULTIMO IL FRONT NATIONAL CON 8
Una maggioranza assoluta per far partire il cantiere delle riforme. Nonostante siano più modesti di quelli annunciati dai sondaggi in questi ultimi giorni, i dati pubblicati dopo la chiusura delle urne confermano quanto anticipato una settimana fa dopo il primo turno delle elezioni legislative.
Secondo le prime proiezioni, per i prossimi cinque anni l’emiciclo del Palais Bourbon sarà dominato dal gruppo dei marcheurs. I deputati macroniani dovrebbero aggiudicarsi 362 seggi su 577, superando abbondantemente i 289 necessari per avere la maggioranza parlamentare.
Un risultato importante, che costringe gli avversari a spartirsi il resto dell’emiciclo. Ai Rèpublicains dovrebbero andare 126 deputati, mentre il Partito Socialista se ne aggiudica 46, una ventina in più alla France Insoumise, dietro con 26 seggi.
Male il Front National, che con 8 rappresentanti non riesce nemmeno a raggiungere i quindici parlamentari necessari per formare un gruppo parlamentare.
Tra le conferme di questo secondo turno, c’è anche quella sull’astensionismo, che raggiunge il picco del 56%. Un dato record, secondo molti analisti provocato dal disinteresse dei francesi nei confronti di queste elezioni, stanchi dopo otto mesi di campagna elettorale tra primarie e presidenziali.
Quella di Macron è una vittoria schiacciante, che conferma il momento di grazia che sta vivendo in questo periodo il neo eletto presidente. La macchina macroniana messa a punto poco più di un anno fa avanza come un rullo compressore, livellando il panorama politico francese, che resta impotente dinanzi al dinamismo dimostrato dal presidente in questo primo mese di governo. I timori sollevati nei giorni scorsi dall’opposizione in merito ai pericoli che potrebbero derivare da una maggioranza così ampia, e per certi versi così inesperta, non sembrano aver spaventato gli elettori.
Ormai Macron è pronto per avviare il cantiere delle riforme, sicuro di poter contare su una maggioranza che non ostacolerà i disegni di legge che verranno presentati in Parlamento. Tra questi, priorità a quelli sul lavoro e sulla moralizzazione della vita pubblica, le due proposte faro del programma presentato durante la campagna presidenziale che dovrebbero approdare in Assemblea già questa estate.
Per i suoi avversari, i prossimi mesi saranno quelli della riorganizzazione, tra riunioni di partito, congressi e ristrutturazioni interne. Orfana di un leader capace di imporre una linea politica coerente, la destra repubblicana potrebbe scindersi in due gruppi, tra chi promette un’opposizione forte alle proposte dell’esecutivo e chi, invece, è incline a un atteggiamento più conciliante. L’unico partito capace di attuare un minimo di ostruzionismo parlamentare si ritrova così impantanato nelle sabbie del dibattito interno.
In piena crisi anche il Front National di Marine Le Pen. Nonostante la leader frontista entrerà per la prima volta in Parlamento avendo stravinto nel suo feudo del Pas-de-Calais con il 58% dei voti, il partito fatica a riprendersi dopo la sconfitta incassata alle ultime presidenziali. I dissidi interni emersi in queste ultime settimane hanno portato l’estrema destra francese al collasso, incapace di riorganizzarsi in tempo per queste elezioni.
A sinistra, poi, regna l’incertezza e la confusione. La France insoumise di Jean-Luc Mèlenchon, che ha vinto nella quarta circoscrizione di Marsiglia contro la marcheuse Corinne Versigny totalizzando il 34% delle preferenze, potrebbe allearsi con il partito comunista, formando un unico gruppo in Parlamento. Un matrimonio riparatore, visti gli attriti verificatisi in passato tra il tribuno della gauche e l’estrema sinistra, necessario però a compattare una forza di opposizione stabile e convincente.
Dal canto suo, i socialisti pagano il prezzo del precedente governo Hollande, il più impopolare nella storia della quinta Repubblica. Dopo aver appreso i risultati, il segretario generale del partito, Jean.-Cristophe Cambadèlis, ha annunciato le sue dimissioni.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 18th, 2017 Riccardo Fucile
LA ZECCA PADANA NON GRADISCE LA “GUIDA PER I RIFUGIATI” IN QUATTRO LINGUE… SUI SOCIAL: “PERCHE’ LEGGI?”…”GUARDA CHE LA LIRA NON C’E’ PIU'”… “MA QUANDO MAI HAI SPESO SOLDI TUOI?”
Il segretario della Lega Nord Matteo Salvini si scaglia contro la Feltrinelli di Como e contesta la decisione della libreria di distribuire gratuitamente la guida per i rifugiati in quattro lingue «Welcome to Italy».
Il messaggio è affidato a Twitter: «Non darò più una lira agli amici dei clandestini». Immediata la risposta della libreria, affidata sempre ai social: «Spiace per Salvini, ma nella vostra libreria come in tutte le Feltrinelli d’Italia distribuiamo gratuitamente fino a esaurimento scorte la guida per rifugiati e migranti in quattro lingue».
Il cinguettio di Matteo Salvini ha scatenato le reazioni della rete. Il riferimento alla «lira» non ha mancato di suscitare ironia, con messaggi della serie «vien da pensare che l’ultima volta che sei entrato in libreria giravano i sesterzi», oppure «sia stata ai tempi del baratto».
Contro il segretario del Carroccio si sprecano i messaggi ironici sul riferimento alla lira e anche sulla sua frequentazione delle librerie, della serie: «Perchè, leggi?», in molteplici varianti, ma anche: «Ma quando mai hai speso i soldi tuoi? Sai solo mungere e noi siamo i munti».
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 18th, 2017 Riccardo Fucile
LA LISTA UNICA SI ALLONTANA: “NESSUN DIALOGO CON IL PD”
Una mattinata piena di folla e di partecipazione al Teatro Brancaccio di Roma per l’assemblea convocata dai Comitati del No al referendum istituzionale, un’area sostenuta da Sinistra Italiana, la formazione più a sinistra nello schieramento parlamentare.
Una mattinata segnata, da parte degli oratori e della platea, da umori fortemente polemici nei confronti dell’altra area della sinistra, quella che fa riferimento al Campo Progressista di Pisapia e a Mdp di Bersani: ogni volta che l’ex sindaco di Milano veniva citato partivano fischi e contestazioni.
Un umore del quale ha fatto le spese il senatore di Mdp Miguel Gotor: dalla platea una signora è salita sul palco, urlando : «Tenetevelo D’Alema!».
Gotor non si è lasciato intimidire e ha concluso l’intervento, guadagnando applausi, che sono diventati corali durante l’intervento di Pippo Civati, che ha invitato ad un destino unitario.
Ma i tre interventi politicamente qualificanti dell’assemblea, quelli di Tomaso Montanari, Anna Falcone e Nicola Fratoianni — rispecchiavano lo stesso impianto: invocazione alla Lista unitaria di tutta la sinistra, ma rivendicazione della “chiarezza” e della distanza rispetto a tutti coloro (Pisapia-Bersani) possano immaginare un futuro segnato da un dialogo col Pd.
Clima poco amichevole anche nei confronti di Massimo D’Alema, che ha voluto essere presente in prima fila, peraltro in un contesto politico e assembleare che somigliava molto a tutto ciò che l’ex presidente del Consiglio ha combattuto per una vita: “gauchismo” e “minoritarismo”.
(da “La Stampa“)
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Giugno 18th, 2017 Riccardo Fucile
VIMERCATE: COME AMMMINISTRATORE ORGANIZZA UNA KERMESSE IN CUI SI AUTOASSEGNA SPAZI E PATROCINIO DEL COMUNE
La pubblicità è in giro da settimane: Freadomland, una tre giorni-vetrina per editori indipendenti… concerti, spettacoli teatrali, ospiti importanti… da Moni Ovadia ad Antonio Rezza, da David Riondino a Stefano Disegni.
E su manifesti, articoli, volantini, sempre compare la dicitura «con il patrocinio del Comune» e tanto di stemma.
In programma dal 30 giugno al 2 luglio, a Vimercate.
A organizzare tutto la Sagoma Srl, casa editrice di Carlo Amatetti e della compagna Arianna Mauri. Che però sono anche consiglieri comunali grillini, proprio a Vimercate, la più popolosa cittadina lombarda governata dai 5 Stelle.
I due consiglieri-editori a marzo hanno chiesto al Comune che amministrano di avere il patrocinio per la loro Freadomland e per usare sala d’onore del Municipio, auditorium, biblioteca e piazze. Tutto gratis.
Intanto hanno preparato regolamento e tariffario per concedere a pagamento quegli stessi spazi agli editori e alle associazioni che parteciperanno.
La società ha assicurato che il denaro serve come contributo per le spese sostenute dagli organizzatori.
Solo che «non ci sono ad oggi atti che concedono il patrocinio – spiega il consigliere di opposizione di Noi per Vimercate Alessandro Cagliani – e Amatetti, che siede in Consiglio, non può non saperlo. Per cui di fatto sta cedendo, a pagamento, spazi comunali per una iniziativa privata della sua società . E sta dicendo di avere il patrocinio del Comune che di fatto non ha. Scandaloso per un movimento che fa della legalità e della trasparenza la sua bandiera. Già pare poco opportuno che un consigliere di maggioranza chieda patrocinio e spazi per una sua attività privata, che poi le “sub conceda” senza averne titolo è a nostro avviso illegale».
Così venerdì sera Cagliani e gli altri consiglieri di opposizione (Lista Civica Noi per Vimercate, Pd, Forza Italia e Civica Mascia Sindaco) in Consiglio comunale hanno chiesto le dimissioni della coppia.
«Se non arriveranno procederemo per vie legali», rivelano Mariasole Mascia (Pd) e Cristina Biella (Forza Italia).
La discussione è stata rinviata a domani sera. E il sindaco Francesco Sartini anticipa: «Tre le questioni: Freadomland è una manifestazione di alto livello, quindi avrebbe le caratteristiche per il patrocinio comunale. Seconda questione: di opportunità . Proprio per evitare strumentalizzazioni avevamo tenuto in sospeso la domanda. Ne parleremo in giunta martedì. Tra l’altro in quella seduta delibereremo la concessione di patrocinio ad altre due iniziative previste nello stesso weekend che ugualmente stanno facendo pubblicità dichiarando di avere il patrocinio comunale anche se non è stato ancora deliberato. La terza questione riguarda Amatetti: sarebbe stato necessario un comportamento più attento anche nell’uso dello stemma comunale, proprio per il ruolo che il consigliere riveste».
Ma il diretto interessato non valuta le implicazioni politiche e replica solo: «La risposta del Comune non arrivava per cui ho dovuto muovermi con la pubblicità . Le somme chieste per usare gli spazi servono per cercare di andare almeno in pareggio con le spese. Cose che le opposizioni sanno, benissimo».
(da “il Corriere della Sera“)
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Giugno 18th, 2017 Riccardo Fucile
INVECE CHE COMBATTERLO, FAVORISCONO IL LAVORO NERO E SFUGGONO AI CONTROLLI… DIVENTANO NEGOZIABILI E NON DEFINISCONO LA PRESTAZIONE
A molti la protesta della Cgil pare incomprensibile, a tutti quelli che credono al ritornello che “non sono tornati i voucher, ma un po’ di regole ai lavoretti erano necessarie o sarebbe tornato tutto nel sommerso”.
Per quanto false, queste genere di considerazioni si sentono a ciclo continuo tra radio e tv. Sono balle di chi mente sapendo di mentire.
Il governo Gentiloni ha cancellato i voucher per decreto perchè Matteo Renzi aveva paura del referendum previsto per giugno — come dargli torto, visti i precedenti — e poi li ha ripristinati con un altro violento abuso, cioè infilati in una manovra correttiva sui è stata posta la fiducia.
Questi nuovi voucher hanno alcune modifiche che dovrebbero farli sembrare migliori: limite di 5000 euro all’anno per lavoratore, non più di 2500 dallo stesso committente; sanzioni pesanti come l’obbligo di assunzione a tempo indeterminato per il committente che sfonda il tetto (curiosamente l’obbligo non vale se a imbrogliare è lo Stato, cioè la pubblica amministrazione…), aumenta la paga reale per il prestatore d’opera, che sale di fatto da 7,5 a 9 euro all’ora e non è neppure rigida, ma può essere più alta; colf e badanti pagate dalle persone fisiche con il “libretto di famiglia” hanno anche più diritti, tra cui quello al riposo giornaliero e alle pause settimanali.
Tutto bene, dunque? Assolutamente no.
Se non credete alla Cgil, leggetevi il focus prodotto dall’Ufficio parlamentare di Bilancio, che è un’autorità davvero indipendente che analizza e commenta la politica economica. Scorprirete che di ragioni per protestare in piazza ce ne sono parecchie.
La più seria è che questi nuovi voucher hanno lo stesso difetto di quelli vecchi: nati per combattere il lavoro nero, sembrano costruiti per incoraggiarlo e rendere ancora meno efficaci i controlli.
Il committente imprenditore o commerciante può comprare la prestazione da remunerare in voucher dal sito dell’Inps, ma se poi il lavoro non sviene svolto entro tre giorni da quello indicato, può bloccare il pagamento.
Perchè questo lasso di tempo per comunicazioni che avvengono nel tempo di un clic? Poichè siamo in Italia, sappiamo come finirà : se entro il terzo giorno non sono arrivati i controlli, basta disdire il voucher e pagare in nero.
Al prossimo giro si ricomincia. E il lavoratore non protesterà perchè i contanti li ottiene subito, il pagamento via voucher deve avvenire entro il 15 del mese successivo a quello della prestazione.
Perchè? Non si sa, così, per complicare un po’ la vita a chi già se la passa abbastanza male da accettare lavori pagati in buoni e senza contratto.
Torna poi un altro dei peccati originali dello strumento: non viene mai specificato cosa sia una prestazione occasionale e accessoria.
Risultato: qualunque tipo di lavoro può di fatto essere pagato a voucher.
In Paesi più civili del nostro ci sono limiti: in Lituania, per esempio, si pone come limiti nell’agricoltura che i lavoratori pagati a voucher si dedichino solo a prestano manuali senza ricorso a macchinari, che richiedono professionalità più specifiche e comportano qualche rischio.
In Italia invece no: nell’agricoltura, dove la norma permette di pagare a voucher solo studenti sotto i 25 anni e pensionati. Cioè veri lavoratori occasionali, ma non c’è limite alle mansioni che il datore di lavoro può richiedere.
E’ chiaro che così si espongono proprio i lavoratori con meno esperienza e meno tutele ai rischi che in agricoltura non mancano. Ma sicuramente di questo parleremo al primo incidente, come succede sempre in questi casi.
C’è un ultimo punto, forse il più subdolo: i voucher avevano come pregio e difetto di essere chiari nel loro ammontare, 10 euro di costo per il committente, 7,5 al lavoratore. Unità di misura precisa e inderogabile.
Adesso invece i voucher diventano negoziabili: minimo 9 euro all’ora al lavoratore, ma si può salire. E qui sta il problema: se la tariffa oraria sale ed è flessibile, può essere negoziata, adattata alle esigenze dell’impresa o del settore.
In pratica i voucher non servono più soltanto a regolare le parti più residuali del mondo del lavoro, ma diventano una delle opzioni a disposizione del datore di lavoro.
Una alternativa ai contratti veri.
E indovinate cosa sceglierà chi ha come alternativa un pagamento a cottimo e un rapporto rigido con tutele e costi più alti?
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 18th, 2017 Riccardo Fucile
“IL PM DEVE MORIRE MALE”… “UCCIDERE UN MAROCCHINO E FINGERE CHE ABBIA PRESO LA PISTOLA AL MARESCIALLO”… BOTTE AGLI STRANIERI, MULTE PER VENDETTA E RAPPORTI SESSUALI ESTORTI
“Il pm Iacopini deve morire. E male anche”. Parola di brigadiere. Questo per capire l’aria che tirava nella caserma di Aulla (Massa-Carrara). Ma c’è un’altra frase intercettata che racchiude l’inchiesta: “Dove non arriva la giustizia, arriva l’ingiustizia”.
È la morale dei carabinieri indagati in Val di Magra. In pratica: orinare nei letti degli immigrati, picchiarli, violentarli. Poi discorsi mafiosi, contravvenzioni fatte per vendetta. E uno stillicidio di frasi razziste.
Per non dire degli accertamenti in corso per scoprire se la mazza d’acciaio sequestrata non abbia ucciso qualcuno.
Le 203 pagine dell’ordinanza che ha portato a 4 arresti (uno in carcere e 3 ai domiciliari) e a 4 divieti di dimora sono il ritratto di 4 caserme — quella di Aulla interamente indagata, ma anche quelle di Albiano Magra, Licciana e Pontremoli — che sembrano un regno a sè.
Noi come la mafia.
Ecco la conversazione tra due carabinieri intercettata il 16 dicembre 2016: “Quello che succede all’interno della macchina… rimane all’interno della macchina, non deve scoprirlo nessuno, dal brigadiere in su. È cosa nostra, proprio come la mafia!”.
Il linguaggio mafioso è all’ordine del giorno. Scrive il giudice Ermanno De Mattia: “Dalle intercettazioni emerge che il maresciallo Leoni viene accusato dagli altri di essere un ‘infame’ perchè non aveva coperto i commilitoni che avevano smarrito un caricatore della pistola”.
Da qui un colloquio definito dal gip “particolarmente inquietante”: “Nell’ufficio di Leoni c’era una pistola sul tavolo”. E l’altro: “Era da prendere e sparare al marocchino”. Ancora: “Con la pistola di quell’altro… Poi gli metti la pistola di Leoni in mano e dici… il maresciallo ha lasciato la sua pistola sul tavolo, il marocchino l’ha presa e io gli ho dovuto sparare”.
Negri bestie.
Piccola antologia di frasi razziste delle caserme della Val di Magra: “I negri sono scimmie”, “i negri devono magnare banane”, “mettere le mani addosso ai marocchini mi fa schifo perchè puzzano”, “Se avessi i missili sbriciolo lui e la sua famiglia”. Parole e tante botte.
Un carabiniere, riferisce il gip, si vantava delle bravate su Facebook. “C’è un negro — dice un appuntato — gli ho messo la pistola in bocca. Ho detto che se devo andare in galera ci vado per qualcosa”. E un pestaggio continuo, a sentire le intercettazioni: “Qui menavamo di brutto”, “Lo hanno gonfiato come una zampogna”. “Con il teaser gli ha dato tre scariche elettriche”. Seguono cori da stadio: “Stupendo!”, “Grande!”. C’è perfino un marocchino costretto a pulire il proprio sangue che ha macchiato il citofono della caserma.
Fino alla violenza sessuale, un dito nell’ano a un arabo con la scusa di cercargli droga nell’intestino, quando i regolamenti chiedono una radiografia. Botte anche ai polacchi: “Metti la mano qua”, registra la cimice, quindi il rumore di un colpo, un altro. Il ragazzo implora: “Signore!”.
Multe e gomme tagliate.
Il 3 febbraio 2016 i militari trovano un’Alfa senza contrassegno assicurativo. Tirano fuori un coltello e bucano le gomme. Fino a episodi grotteschi: “Gliel’avevamo promesso a quella sarta… che ti chiede 50 euro per un risvolto dei pantaloni”. E scatta la sanzione della “cintura”: “L’abbiamo seguita… avrà fatto 500 metri senza cinture…”. Sanzioni date per vendetta, dicono i pm, e decine di verbali falsi. Dove si inventerebbero reazioni, fughe e occultamenti di droga. Roba che un innocente si becca anni di galera.
Il caso “cazzo di gomma”. “Quando se fa la pattuglia c’è un momento per lavora’ e un momento per farci i cazzi nostri”, teorizza un carabiniere. E si va a cena fuori zona.
A dicembre viene sequestrata la merce di un ambulante. Il pezzo più pregiato è il “cazzo di gomma… che però se l’è fregato un collega, ci ha fatto pure le foto al piantone”.
Altri passatempi sono meno innocui: “L’appuntato dopo aver contestato a una marocchina di aver guidato con una patente non valida in Italia, per annullare il verbale otteneva un rapporto sessuale a casa di lei”; ciliegina sulla torta: “Nell’orario di lavoro”.
C’era anche tempo per denunciare una falsa rapina e coprire il figlio di un appuntato che ha perso il Samsung S6.
Moglie pestata a sangue. Un carabiniere “picchia la moglie al ristorante”. Lei, disperata, al telefono gli dice: “Io sono tutta rotta, mi fa male la colonna vertebrale per i pugni che mi hai dato. Ho la faccia piena di bernoccoli”.
L’avvocato minacciato.
L’inchiesta parte da un avvocato italiano che aveva denunciato i pestaggi subiti dal suo cliente. Ma al telefono, racconta il legale, il maresciallo lo “invita” a ritirare le accuse: “Ci vediamo per strada”. Aggiungendo poi: “Ti lascio a piedi”, cioè ti ritiro la patente. Addirittura un marocchino ha testimoniato che i carabinieri gli avrebbero chiesto di incendiare l’auto dell’avvocato.
L’amico maggiore.
Il carabiniere si vanta: “Ho parlato con il maggiore amico mio… ‘io non faccio nessuna richiesta’”. Insomma, l’alto ufficiale avrebbe garantito protezione. Millanterie? Una cosa è certa, i carabinieri indagati erano pronti a vendicarsi: “Finita ‘sta storia non c’è pietà per nessuno”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 18th, 2017 Riccardo Fucile
L’AGENZIA REGIONALE PREPOSTA AL TURISMO E’ DIRETTA DA CARLO FIDANZA CHE NON VA D’ACCORDO CON L’ALTRO FDI BERRINO… DA QUI LA DECISIONE DI TOTI E BUCCI DI DIROTTARE I CONTRIBUTI TURISTICI ATTRAVERSO UNA SOCIETA’ CHE NON C’ENTRA UNA MAZZA… IL PRESIDENTE DEL COLLEGIO SINDACALE CHE AFFERMA “TUTTO IN REGOLA” E’ CASUALMENTE IL COORD. PROV. DI SAVONA DI FORZA ITALIA: LA FARSA CONTINUA
È destino che la società informatica della Regione Liguria provochi sempre qualche imbarazzo ai presidenti di piazza De Ferrari.
Era accaduto per Claudio Burlando quando si chiamava Datasiel e succede oggi per Giovanni Toti con la società diventata Liguria Digitale.
Situazioni diverse ma che, comunque, generano polemiche e, anche per chi non li vuol vedere, qualche problema di opportunità .
All’epoca del centro sinistra nel mirino era finita la convenzione siglata tra Datasiel e le Asl, prevista da una legge regionale, che fissava anche per Datasiel una percentuale del 4 o 7% del valore di aggiudicazione da parte di società esterne, di gare finalizzate all’acquisto di servizi.
In sostanza Datasiel svolgeva, retribuita, la funzione di centro acquisti per conto delle Asl.
Un po’ come oggi fa Liguria Digitale nella versione di Toti e di Marco Bucci, che della società informatica è stato amministratore unico fino a pochi mesi fa, quando è diventato il candidato, in quota Lega, del centro destra per la corsa a sindaco di Genova.
Solo che oltre che occuparsi di high tech, app, programmi, hardware, software, la Regione le fa svolgere compiti sicuramente più divertenti ma forse meno specialistici: comprare otto chilometri di moquette rossa per il red carpet da guinness tra Portofino e Rapallo, ordinare la focaccia al formaggio al consorzio di Recco, le bibite per l’infiorata e comprare un po’ di pubblicità sulla rivista dei vigili del fuoco diretta dal giornalista Mediaset Andrea Pamparana.
Nonostante sia difficile rintracciare questa mission sul sito della società , la comunicazione a fini turistici sarebbe uno dei compiti affidati a Liguria Digitale che gestirà addirittura una vera e propria campagna da oltre un milione di euro.
“Tutto assolutamente regolare e trasparente” ha spiegato due giorni fa un comunicato della società firmato non dal direttore generale Enrico Castanini, bensì dal presidente del collegio sindacale Santiago Vacca, il quale è, tra le altre cose, il coordinatore provinciale savonese di Forza Italia, il partito di Toti.
Non si capisce se per questa funzione di centro acquisti Liguria Digitale incassi una percentuale come ai tempi di Burlando (uno scambio di mail con Carlo Brozzo e Sara Bozzo dell’ufficio stampa e relazioni esterne, e due telefonate con la segreteria del direttore generale Enrico Castanini, non sono bastate ad ottenere una risposta) ma è certo che le sue “azioni” in Regione contino di più dell’Agenzia in Liguria, la struttura che si occupa di promozione turistica e che, apparentemente, avrebbe dovuto occuparsi della mission promozionale invece affidata agli informatici degli Erzelli.
Ma forse una spiegazione è possibile trovarla nelle dinamiche interne alla maggioranza di centro destra.
A capo di In Liguria c’è infatti Carlo Fidanza, politico lombardo (eurodeputato), esponente di Fratelli d’Italia vicinissimo a Giorgia Meloni.
Fidanza non va molto d’accordo con l’altro “fratello”, l’assessore al turismo Gianni Berrino.
Lo scarso feeling con la giunta e l’indipendenza di Fidanza avrebbero così fatto convergere le scelte su Liguria Digitale e Bucci.
Tra l’altro, la società informatica pare stia realizzando il nuovo sito di In Liguria che era stato rinnovato appena un anno e mezzo fa.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 18th, 2017 Riccardo Fucile
BILANCIO DEI PRIMI DODICI MESI DELLA SINDACA MENO AMATA DAI ROMANI: L’80% DELLA RACCOLTA RIFIUTI ANCORA IN MANO AI PRIVATI, CALA LA DIFFERENZIATA, 300 GUASTI AL GIORNO AI BUS ATAC
Se un anno di Virginia Raggi lo si giudicasse dalle strade attorno casa sua, si potrebbe nutrire il sospetto che la città abbia trovato il sindaco giusto. Piccoli e ordinati contenitori per la differenziata, raccolta porta a porta, un via vai continuo di mezzi. Se non fosse per la piaga delle buche e delle radici, certe vie di Borgata Ottavia sembrano uscire da uno spot di pubblicità progresso. Purtroppo l’attenzione al decoro in certi angoli dell’Urbe abitati dai politici è una tradizione dell’Ama che non conosce colore. L’illusione di un’altra Roma dura lo spazio di qualche centinaio di metri, ciò che separa la realtà dalla rappresentazione. Basta imboccare Via di Casal del Marmo e Roma riprende le sembianze note ai più. È di questi giorni l’ennesima emergenza rifiuti.
Il poltronificio
Per capire quanto disti un anno di realtà dalla rappresentazione che ne fanno i suoi vertici, proviamo a fare un bilancio del governo Cinque Stelle della Capitale partendo dai numeri. Per valutarli abbiamo chiesto più volte un incontro al sindaco Raggi, la quale ha rifiutato senza spiegazioni.
Partiamo proprio dalle ordinanze del sindaco: su 227 atti ben 149 — i due terzi – hanno a che fare con nomine, revoche o deleghe assegnate ad assessori e dirigenti.
Stessa cosa è avvenuta in Giunta: su 258 delibere, 75 — più di un terzo – riguardano l’assunzione di personale esterno.
La Raggi ha passato gran parte del tempo da sindaco a occuparsi di poltrone: la sua giunta ha messo a contratto 102 collaboratori esterni, dodici in più di quelli nominati da Ignazio Marino, quindici in più dell’era Alemanno.
Si dirà : il primo anno serve a scegliere persone di fiducia. Per lei è stata un’operazione particolarmente complessa, e va oltre la fisiologia del cosiddetto spoil system.
Nonostante i tentativi (quattro), alla macchina comunale del Campidoglio mancano ancora il capo di gabinetto e due assessori (Lavori pubblici e Servizi sociali).
In un anno sono cambiati il vicesindaco, l’assessore all’Ambiente, quello all’Urbanistica, due volte il titolare del Bilancio. Solo all’Ama si sono avvicendati quattro amministratori delegati e due direttori generali. E non è finita qui: entro la fine dell’anno c’è da rinnovare il consiglio di amministrazione di tutte le società partecipate per le quali è stato introdotto l’obbligo dei tre componenti.
L’Ama non cambia
L’Azienda dei rifiuti è la chiave del successo o del fallimento del governo Cinque Stelle della città .
Lo smaltimento dei rifiuti a Roma costa quattro volte quello di Milano, perchè Ama è in grado di trattarne appena il 20 per cento: il resto lo paga ai privati e per trasportare l’immondizia in giro per l’Europa.
Fra promesse di “modelli spagnoli”, “chilometri zero” e “riutilizzo totale degli scarti” nell’ultimo anno la situazione è persino peggiorata.
Nel tentativo disperato di tenere al riparo le strade dai rifiuti ingombranti e da certa maleducazione, la percentuale di raccolta differenziata è scesa al 42 per cento, un punto in meno di un anno fa e in controtendenza rispetto al +8 per cento degli ultimi anni fa.
Il nuovo piano industriale ridurrà gli investimenti: invece dei 300 milioni previsti per la creazione di nuovi ecodistretti e l’acquisto di mezzi, ne resteranno solo 110 per i mezzi. Nel frattempo l’unica decisione concreta è stata quella di affossare il progetto per il nuovo impianto di compostaggio a Rocca Cencia, inviso ai residenti.
Da maggio a oggi ci sono stati tre strani incendi in altrettanti impianti di trattamento dei rifiuti: a Castelforte, Viterbo e Malagrotta.
Di recente il ras del settore Manlio Cerroni ha annunciato che i due impianti dell’indifferenziata a Malagrotta non tratteranno più 1250 tonnellate di immondizia al giorno, ma solo 800. L’Ama sta tentando di aprirne uno nuovo a Ostia, ma a ottobre si vota nel Municipio e i vertici del M5S della zona sono contrari.
Risultato: negli ultimi giorni nei quartieri a est della Capitale la situazione della raccolta è di nuovo al collasso. Sull’azienda incombe poi il rischio del dissesto finanziario: poichè il Comune sta pensando di togliere all’Ama la gestione diretta della tariffa sui rifiuti, il pool di otto banche capeggiato da Bnl minaccia la cancellazione di un finanziamento di 600 milioni. Alla faccia del chilometro zero, seicento milioni è quanto l’azienda stima di spendere nei prossimi quattro anni per far smaltire ai privati quattro milioni di tonnellate di rifiuti.
Il piano dell’ex numero uno Daniele Fortini prevedeva entro il 2021 di far salire all’80 per cento la quantità di rifiuti trattata direttamente da Ama. Per la gioia dei privati l’ultimo piano industriale approvato — quello deciso dalla ormai ex numero uno Antonella Giglio — ha abbassato quella stima al 29 per cento. Non solo: secondo quanto raccontano fonti interne all’azienda, starebbe aumentando anche il numero di appalti affidati con trattativa diretta invece che con regolare gara.
Riordino no grazie
Fra le promesse della Raggi c’è quella di rimettere a posto i conti disastrati della Capitale. In campagna elettorale ha insistito su un tema popolare: la rinegoziazione del debito monstre in mano alle banche.
Finora si è limitata a far votare al Consiglio comunale 143 delibere per il pagamento di debiti fuori bilancio su un totale di 179. Delibere votate quasi tutte a cavallo di Natale e che valgono circa cento milioni di euro: la Corte dei Conti ora indaga sospettando danni erariali.
La giunta ha discusso 25 delibere sulle società partecipate dal Comune, ma del piano di razionalizzazione della megaholding pubblica c’è solo un progetto sulla carta. Per scriverlo, l’assessore Massimo Colomban – un grosso imprenditore veneto mandato dai vertici in soccorso alla Raggi – si è affidato a Paolo Simioni, già amministratore dell’aeroporto di Venezia, nel mirino delle opposizioni per i 240mila euro di stipendio pagato quota parte da ciascuna delle tre grandi società , Atac, Acea e Ama. Il piano – ambiziosissimo – prevede di scendere da 40 controllate a 10-12 aziende, e la dismissione di parte delle quote di Adr, Centrale del Latte e della stessa Acea.
In realtà gli atti rilevanti votati finora in consiglio comunale sono solo due: il via libera preliminare allo stadio della Roma e l’adozione di un nuovo regolamento sugli ambulanti che aggira l’obbligo di gara previsto dalla direttiva Bolkenstein già ribattezzato “salva Tredicine” dal nome della famiglia proprietaria di decine di camion e bancarelle.
Su 179 delibere, due hanno riguardato l’urbanistica e i trasporti, una sola la cultura, una la scuola. L’unico atto sulla scuola degno di nota è però frutto di una proposta della capogruppo Pd Michela Di Biase che consente alle mamme di consegnare il latte materno negli asili nido.
Annunci e sostanza
Se ci accontentassimo degli annunci la Raggi si meriterebbe un dieci.
Prendiamo le strade. Il sindaco rivendica un piano buche e porta con sè le fotografie di alcuni tratti rifatti, ma nel frattempo per ovviare alla scarsa manutenzione, in tre arterie della città – Aurelia, Cristoforo Colombo e Salaria – è stato imposto il limite a trenta all’ora.
Intendiamoci, governare una città come Roma non sarebbe facile per nessuno. A marzo la Raggi ha rimesso in strada 15 filobus nuovi fermi da tempo nei garage dell’Atac.
Nel giro di 24 ore quattro mezzi erano già fuori uso per problemi tecnici. «Cuciniamo con quel che abbiamo», si difese la sindaca.
La sindrome dell’annuncite è direttamente proporzionale alla scarsità delle risorse. Mentre l’Atac conta più di trecento guasti al giorno ad altrettanti mezzi, l’assessore alla Mobilità Linda Meleo porta in giunta un piano per l’introduzione di sei nuove linee del tram, tre funivie e il prolungamento della linea B della metropolitana.
Peccato che l’unica certezza sia il caos attorno al futuro della linea C, le cui ruspe fanno mostra di sè ai fori imperiali. A novembre dell’anno scorso il consiglio comunale ha votato una mozione straordinaria per lo scioglimento di Roma Metropolitane, la società che gestisce il cantiere.
Nel frattempo fra sindaco, consiglieri e assessori si è aperto il dibattito su dove fermare il tracciato: se al Colosseo, al Corviale o al Flaminio. Il solito Colomban, una sorta di commissario prefettizio della Raggi, ha spento il dibattito durante una riunione della Commissione trasparenza: Roma Metropolitane va avanti, mozione o non mozione.
Fra le mura solenni dell’aula Giulio Cesare si consumano scontri epici non solo con l’opposizione del Pd e di Fratelli d’Italia, ma anche nella maggioranza bulgara del Movimento.
Da un lato il sindaco e il braccio destro Daniele Frongia, sostenuti da Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, dall’altra i consiglieri romani guidati da Roberta Lombardi e Marcello De Vito.
Quando il gruppo si ricompatta, il dissenso è soffocato. Ne sanno qualcosa Cristina Grancio e Gemma Guerrini, entrambe vicine all’espulsione per essersi opposte al progetto sullo stadio della Roma. In mezzo gli uomini mandati da Davide Casaleggio e Beppe Grillo a evitare il peggio: il già citato Colomban e il neopresidente dell’Acea, l’avvocato genovese Luca Lanzalone, delegato dal sindaco anche alla trattativa sullo stadio.
I troppi no
I tecnici Colomban e Lanzalone appaiono come la quintessenza del realismo grillino.
Per chi come la Raggi amministra la cosa pubblica e non ha sufficiente esperienza politica dire no è più semplice di un sì. Ad una olimpiade, a un nuovo impianto di trattamento dei rifiuti o allo scavo della metropolitana.
Ma talvolta i no possono essere fatali all’immagine della città . Ne sanno qualcosa gli abitanti dell’Eur abituati alla vista di un ecomostro a pochi metri dalla nuvola di Fuksas. Fu uno dei primi atti della giunta Raggi: la revoca del permesso a costruire per il restauro delle torri. Sembrava la fine di una storia tutta italiana: dopo anni di tira e molla con gli altri azionisti, Cassa depositi e prestiti e Telecom si erano unite nel progetto per la costruzione della nuova sede del gigante telefonico. Il no dell’allora assessore Paolo Berdini ha offerto all’azienda l’alibi perfetto per rinunciare ad un progetto nel frattempo giudicato troppo costoso.
(da “La Stampa”)
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Giugno 18th, 2017 Riccardo Fucile
PREMIATO DAL COMANDANTE GENERALE DELL’ARMA A REGGIO CALABRIA… CONTA IL MERITO NON IL COLORE DELLA PELLE, MA FORSE E’ PER QUELLO CHE AI RAZZISTI LO IUS SOLI NON PIACE
È Manraj Singh, di origini indiane, il migliore del corso allievi carabinieri che stamattina ha prestato giuramento a Reggio Calabria.
Ad appuntargli le mostrine al collo, secondo l’usanza, sono stati il ministro dell’Interno, Marco Minniti, e il comandante generale dell’Arma, generale Tullio Del Sette.
Minniti ha poi citato Manraj a Bologna, durante l’intervento al festival della Repubblica delle Idee.
Dopo aver assistito alla proiezione del video di Repubblica sullo ius soli, il ministro ha raccontato la storia del giovane: “La sua è una vicenda emblematica: è diventato cittadino a 18 anni, perchè non prima? Al giuramento i genitori erano lì vicino, orgogliosissimi. Fare buona integrazione è fare un buon servizio al Paese”.
(da “La Repubblica“)
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