Giugno 3rd, 2017 Riccardo Fucile
NUOVA INTESA SULLA LEGGE ELETTORALE PER RENDERLA PIU’ DIGERIBILE AL M5S… MA RESTANO I CAPILISTA BLOCCATI E NON CI SARANNO PREFERENZE
Tutto in una notte. Tecnicismi e trattative per rimediare a un problema che aveva mandato nel panico i partiti e soprattutto molti parlamentari M5S che avevano minacciato di far saltare l’accordo sulla legge elettorale.
In pratica era emerso che alcuni vincitori dei collegi uninominali rischiavano, nel calcolo della ripartizione dei seggi, di restare fuori dal Parlamento.
Che fare quindi? Un nuovo patto riducendo il numero dei collegi e aumentando così la quota degli eletti con il sistema proporzionale nei listini bloccati.
In sostanza, adesso il nuovo accordo stretto tra Pd, Forza Italia, M5S e Lega Nord prevede più nominati: più eletti nelle liste bloccate.
I punti del nuovo patto sono tre: i collegi uninominali della Camera scendono da 303 a 232 (compresi quelli del Trentino Alto Adige e Val d’Aosta), i collegi del Senato da 150 passano a 116.
Le circoscrizioni proporzionali, dove viene presentata una lista con il capolista bloccato, da 27 diventano 29.
Le multicandidature passano da tre a una.
Come diretta conseguenza i candidati nei collegi, essendo di meno, hanno maggiori possibilità di essere eletti.
E i nomi di peso possono essere candidati anche nel listino bloccato così da garantire loro il posto in Parlamento attraverso la ripartizione proporzionale dei seggi. L’aumento delle circoscrizioni crea inoltre due capilista bloccati in più per ciascun partito, garantiti al 100%.
Non è un caso se le due circoscrizioni saranno in Veneto e Lombardia, regioni dove la Lega Nord e più forte. Ed è per questo che Matteo Salvini ha dato il via libera.
Il nuovo sistema aumenta poi la quota degli eletti nelle liste proporzionali. Secondo i calcoli infatti il 35% del Parlamento dovrebbe essere eletto nei collegi uninominali, la restante parte, circa il 65%, nelle liste bloccate dove i candidati vengono pescati in proporzione ai voti presi dal partito e sulla base del posto in lista in cui vengono collocati.
La nuova legge dà quindi sempre più potere alle segreterie dei partiti che scelgono i candidati nei collegi e l’ordine del listino proporzionale.
Listino che adesso può avere un minimo di un candidato per un massimo di sei.
Ciò può aiutare i piccoli partiti, che se vogliono eleggere un nome in particolare nel collegio uninominale potranno presentare un solo candidato nel listino così gli altri eletti passeranno in automatico ai candidati nei collegi anche se non sono arrivati prima.
I 5Stelle hanno presentato due emendamenti in particolare. Uno per inserire le preferenze e l’altro per il voto disgiunto.
È certo tuttavia che non saranno approvati e che i grillini non faranno le barricate. Basti pensare alle parole di Francesco Paolo Sisto di Forza Italia, che citando una frase di Aldo Moro del ’59, parla di “convergenze parallele”: “Questo è il punto di sintesi più alto. Pur essendoci una distanza politica tra i partiti abbiamo trovano punti di convergenza”.
La convergenza è tangibile nell’aumento dei nominati.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 3rd, 2017 Riccardo Fucile
BUFERA SU STEFANIA PUCCIARELLI, CONS. REG. DELLA LIGURIA, CHE ALLA FINE CHIEDE SCUSA
La casa prima agli italiani, agli altri «un forno gli darei»: questo il commento che appariva sotto a un post pubblicato sulla pagina Facebook di Stefania Pucciarelli , consigliera regionale della Lega Nord in Liguria, secondo la quale l’assegnazione degli alloggi popolari alla Spezia è andata al 40% a cittadini stranieri.
La consigliera ha messo “mi piace” al commento, scatenando l’ira del collega Francesco Battistini (ex M5S), che ha riportato tutto sulla sua bacheca (sulla pagina della Pucciarelli, post e commento non compaiono più): «Chissà se il “forno” di cui parla questo soggetto è lo stesso di cui parrebbe si sia parlato in commissione dopo l’audizione dell’associazione dei Genitori di Omosessuali?»; il riferimento è alla vicenda che ha visto protagonista Giovanni De Paoli , un altro consigliere regionale del Carroccio.
«Oggi quel forno è pronto ad accogliere anche le “bestie straniere” (qui il riferimento è alla risposta del governatore Toti a un follower ) che accedono ai bandi di edilizia popolare o a sfrigolare con qualche falso povero? Il “mi piace” del consigliere Pucciarelli è comunque indicativo di un pensiero evidentemente condiviso ed estremamente pericoloso, una roba inaccettabile e da condannare»
Le reazioni
«La consigliera regionale della Lega Nord Stefania Pucciarelli su Facebook ha messo un like al post di un cittadino che agli stranieri invece di un alloggio assegnerebbe un forno».
Lo afferma il capogruppo del Pd in Consiglio regionale Raffaella Paita, sottolineando che «accade pochi giorni dopo il commento di Toti a un cittadino che, sempre su Facebook, gli chiedeva `Ma quando le rimpatriamo queste bestie straniere?’. Toti ha risposto: `Appena andiamo al governo’, senza avanzare la minima riprovazione di fronte alla parole bestie usata per identificare gli stranieri».
«Non è un caso. Nel dna di questa destra – osserva Paita – c’è il germe dell’intolleranza che riemerge spontaneo al più piccolo calo di autocontrollo». «Avendo toccato il tasto delle prossime elezioni, non posso evitare di chiedere a Pierluigi Peracchini, il candidato della destra che si professa cattolico praticante, se si dissocia dal like sui forni agli immigrati messo da Pucciarelli. Attendo una risposta», conclude.
Le scuse di Pucciarelli
Nel pomeriggio la consigliera ha pubblicato un post di scuse sulla sua pagina Facebook. «Il commento che potete vedere qua sotto è stato rimosso. Il mio mi piace ad esso è frutto di una mia distrazione. Non ho letto interamente il contenuto del commento. E ho messo “mi piace” con leggerezza. Di questo mi scuso, e prendo doverosamente le distanze da simili affermazioni» ha scritto Pucciarelli.
(da “il Secolo XIX”)
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Giugno 3rd, 2017 Riccardo Fucile
VATICANO: “DISASTRO PER L’UMANITA'”
“Sono stato eletto dai cittadini di Pittsburgh, non da quelli di Parigi”, aveva scandito giovedì Donald Trump annunciando l’uscita degli Stati Uniti dall’accordo sul clima firmato nel 2015 nella capitale francese e usando la città della Pennsylvania come simbolo dell’America profonda che il 9 novembre lo ha voluto alla Casa Bianca. Ma poche ore più tardi è la stessa Pittsburgh a ribellarsi alla decisione del presidente degli Stati Uniti.
“Uscire dall’accordo di Parigi non solo è un male per l’economia ma indebolisce l’America — ha detto il sindaco Bill Peduto, promettendo “di seguire le linee guida dell’accordo per la nostra gente, la nostra economia e il nostro futuro”.
Una mini-rivolta che dà la stura alla protesta cui hanno aderito decine di città e Stati dalla East alla West Coast.
Alimentata anche dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres e appoggiata dal Vaticano e dalle associazioni di medici e scienziati statunitensi.
La conferenza dei sindaci americani, molti dei quali tra i 464 primi cittadini di tutto il mondo che nel dicembre del 2015 volarono a Parigi in sostegno dell’accordo, “sostiene con forza la necessità di affrontare i cambiamenti climatici e l’accordo di Parigi”, ha dichiarato il sindaco di Phoenix, Greg Stanton.
E subito dopo la dichiarazione di Trump, decine tra sindaci e governatori si sono dichiarati “pronti alla battaglia” contro “la folle azione” di Trump, come ha dichiarato il governatore della California, Jerry Brown.
Al suo fianco il governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, che ha firmato oggi un ordine esecutivo per aderire alla New United States climate Alliance, una coalizione che unirà gli Stati che si impegnano a mantenere l’accordo.
Ad opporsi al presidente ci sono 61 sindaci, rappresentanti di circa 36 milioni di cittadini . Le amministrazioni di Los Angeles, New York, Boston e Chicago, spiegano in una lettera aperta che si “proseguirà per la nostra strada”, con una serie di “trasformazioni verso le energie rinnovabili e l’efficientamento energetico”.
I ribelli si impegnano a “comprare e creare domanda per auto e camion elettrici”, a “ridurre le emissioni” e a “creare una economia pulita”, per “difendere la giustizia ambientale”.
“Se il presidente ha intenzione di rompere le promesse fatte ai nostri alleati, consacrate dallo storico accordo di Parigi, noi invece costruiremo e rafforzeremo relazioni in tutto il mondo per proteggere il pianeta da devastanti rischi climatici”, si legge ancora nella lettera.
Reazioni estremamente allarmate sono arrivate anche dalle associazioni di medici, specialisti e scienziati americani: si è formato persino il nuovo consorzio “sulla salute e il clima”.
L’uscita Usa dall’accordo “aumenta decisamente le probabilità che gli sforzi globali degli altri paesi per ridurre le emissioni di monossido di carbonio non siano sufficienti ad evitare conseguenze catastrofiche per la salute umana”, ha affermato Jack Ende, presidente dell”American College of physician’.
L’APA, in una nota, ricorda inoltre che le malattie respiratorie, le minacce alla sicurezza alimentare, la diffusione di malattie portate dagli insetti nonchè i disastri naturali “colpiscono particolarmente gli anziani, i bambini e la popolazione più vulnerabile”.
“Se il cambio di clima non verrà invertito si perderanno decenni di miglioramenti medici per la salute”, ha aggiunto il direttore dell’Associazione sulle malattie polmonari, Harold Wimmer. “Il cambio del clima è già in corso, la salute umana sta peggiorando e le conseguenze saranno ancora più drammatiche senza l’accordo di Parigi”, ha messo in guardia il nuovo Consorzio Medico sulla Salute e il Clima, che include le associazoni Usa dei pediatri, degli allergologi e dei medici.
A incoraggiare la protesta intervengono anche le Nazioni Unite: “Il riscaldamento climatico è innegabile, ed è una delle minacce più grandi nel mondo attuale e per il futuro del nostro pianeta — è il monito del segretario generale Guterres — invito i governi di tutto il mondo a rimanere impegnati nell’attuazione dell’intesa e per quanto riguarda gli Usa sono convinto che gli Stati, le città , il mondo dell’industria e la società civile scommetteranno sull’economia verde, che è l’economia del futuro”.
Un giudizio negativo arriva anche dallo Stato del Vaticano: “Un disastro per l’umanità e per il pianeta”, è il giudizio di monsignor Marcelo Sanchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze.
Una “decisione terribile” vista l’importanza dell’America che potrebbe dare il cattivo esempio ad altre nazioni, sottolinea Sorondo secondo cui “quello che muove il presidente statunitense sono i gruppi petrolieri che lo hanno appoggiato nella campagna elettorale e che hanno influenza su di lui. Gruppi che già accusavano il Papa su questi temi e a cui non interessa il clima. Qui c’è una scelta che non è razionale, nel senso che non è scientifica e che viene fatta solo per interesse economico”.
“Il mondo è una casa comune, una dimora per tutti i membri della famiglia umana. Pertanto, nessuna persona, nazione o popolo può imporre in modo esclusivo la propria comprensione del pianeta”, ha ribadito il Vaticano nel messaggio inviato a tutti i musulmani in occasione del Ramadan e firmato dal cardinale Jean Louis Tauran e da monsignor Miguel Angel Ayuso Guixot, presidente e segretario del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Un messaggio che si ispira all’enciclica di Papa Francesco Laudato si in cui si ricorda che il Pontefice “attira l’attenzione sui danni causati all’ambiente, a noi stessi e ai nostri simili, dai nostri stili di vita e dalle nostre decisioni”.
Direttamente interessata dalla decisione è la Russia. In mattinata era stato Andrei Belusov a preparare il terreno: “E’ assolutamente evidente che senza la partecipazione degli Usa gli accordi di Parigi saranno inattuabili“, aveva detto il consigliere del Cremlino. Poco dopo è arrivato l’intervento di Vladimir Putin in persona: “L’accordo di Parigi è un buon documento, ma la Russia non l’ha ancora ratificato perchè sta aspettando che vengano sistemati alcuni dettagli tecnici”, ha detto il presidente russo parlando al forum economico di San Pietroburgo.
“Io adesso non vorrei giudicare il presidente Trump”, ha proseguito Putin, ma “secondo me poteva evitare di uscire dagli accordi perchè si tratta di un’intesa di massima e difatti avrebbe potuto cambiare gli obblighi degli Stati Uniti nel quadro degli accordi di Parigi”.
A neanche 24 ore dall’annuncio del presidente, l’amministrazione dirama una nota che corregge parzialmente il tiro: “L’America resta impegnata sul fronte dell’alleanza transatlantica e degli sforzi per proteggere l’ambiente“, è la rassicurazione — spiega la Casa Bianca — che Trump ha dato ad Angela Merkel, Emmanuel Macron, Theresa May e Justin Trudeau nei colloqui telefonici avuti dopo la decisione di ritirare gli Usa dall’accordo di Parigi. “I leader si sono detti d’accordo nel continuare il dialogo e nel rafforzare la cooperazione sulle questioni ambientali e su altri temi”, si legge nel comunicato.
Anche il segretario di Stato, Rex Tillerson, cerca di minimizzare il clamoroso strappo del presidente americano spiegando che Washington non interromperà gli sforzi per ridurre i gas serra. “Gli Stati Uniti hanno uno straordinario record in materia di riduzione di emissioni, è qualcosa di cui possiamo essere orgogliosi e che abbiamo fatto in assenza dell’accordo di Parigi”, ha detto Tillerson che fino all’ultimo ha cercato di convincere Trump a non uscire dall’accordo.
(da “la Repubblica”)
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Giugno 3rd, 2017 Riccardo Fucile
PER COPRIRE I VUOTI, I GESTORI ASSOLDANO PARENTI E FAMILIARI…MA DOVE SONO QUEGLI ITALIANI BISOGNOSI CHE ACCUSANO GLI STRANIERI DI PORTAR VIA LORO IL LAVORO?
L’estate già bussa alle porte, col primo weekend lungo della stagione e il tutto esaurito in tutti gli alberghi, eppure in Riviera romagnola mancano ancora all’appello migliaia di lavoratori stagionali: 3 mila solo in provincia di Rimini, circa 500 a Cesenatico, un altro paio di migliaia sparsi per le località balneari della regione.
Per la prima volta, il divertimentificio d’Italia si trova alle prese con un fenomeno che cozza con la crisi del mercato del lavoro, e invoca il ritorno di bagnini, camerieri e baristi allontanati da questi lidi da stagioni sempre più brevi, oltre che dalla maggiore appetibilità di impieghi provvisori in montagna, dove si lavora sia d’estate sia d’inverno.
A complicare le cose ci si è messa anche l’abolizione dei detestati voucher, che copriranno pure forme di sfruttamento vero e proprio, ma erano strumenti preziosi per figure professionali come queste.
Il presidente della cooperativa di bagnini Rimini Sud, Mauro Vanni, cerca di analizzare il fenomeno inedito: «Tempo fa, gli stagionali venivano dal nostro meridione, poi sono cominciati ad arrivare dall’Europa dell’Est, gente priva di preparazione specifica e di cultura dell’accoglienza, ma che serviva comunque a riempire i vuoti lasciati dai ragazzi delle nostre parti, figli dei gestori dei bagni, che avevano cominciato a fare altre cose».
Dice Vanni che non è neanche sempre questione di compensi bassi, non dappertutto — «qui si parte dai 1.500 euro al mese» —, ma di richiami allettanti provenienti da altri Paesi: «I giovani sono sempre più attratti dal Nord Europa, dove possono imparare l’inglese o un’altra lingua, e nel frattempo possono arrotondare lavorando come camerieri».
Di fronte a un’emorragia del genere, le aziende familiari della Romagna rimediano facendo ricorso alla manodopera più comoda che si conosca, quella reperibile in casa, cioè i parenti, più o meno stretti: «Le faccio l’esempio del mio stabilimento balneare, dove lavoriamo io, mia moglie e i miei tre figli. Sono loro ad aiutarci in casi come questi».
Apparentemente fila tutto liscio fra le interminabili distese di ombrelloni che si estendono da Comacchio giù fino a Cattolica, ma sotto la sabbia cova un problema cui solo la struttura familiare delle imprese turistiche romagnole sa porre rimedio, chiamando in aiuto parenti che si improvvisano stagionali.
Mattia invece ha scelto di restare, e da sei anni torna al bagno del Grand Hotel Cesenatico per lavorarci d’estate.
Sui motivi che tengono lontani dalla Riviera tanti giovani ha idee precise: «Il problema sono le cifre basse dei compensi, ecco perchè si preferisce andare all’estero, dove magari impari pure una lingua. Perchè ho scelto di rimanere qui? Diciamo che sono un abitudinario».
Stipendi troppo esigui, ma non solo: «È anche questione di professionalità , quando uno senza esperienza si accontenta di lavorare per 800 euro al mese, ecco che le cose si complicano per tutti gli altri, soprattutto per gli italiani».
Nel gioco al ribasso, gli italiani che, complice la crisi degli ultimi anni, erano tornati a farsi vivi rimpiazzando negli impieghi stagionali gli stranieri che avevano riempito i posti di bagnino e cameriere, hanno deciso di lasciare il campo per dirigersi verso altri lidi, più remunerativi: «Io d’inverno vado in Inghilterra, ma conosco molta gente che non viene più in Riviera d’estate e preferisce andare a lavorare in Nord Europa, oppure nelle località di montagna, dove la stagione è doppia, estate e inverno».
A risentire di più della carenza degli stagionali sono bagni, ristoranti, pizzerie e hotel di caratura piccola e media, l’ossatura stessa della macchina turistica romagnola.
Va un po’ meglio negli alberghi da 4 stelle in su, ma solo perchè i posti sono più appetibili per compenso.
Rimane la strana sensazione che l’ultima crisi, per quanto sanguinosa, almeno qui non abbia colpito tanto a fondo da far scattare la corsa a qualsiasi lavoro, per provvisorio e stagionale che sia, lasciando vacanti migliaia di posti.
(da “La Stampa”)
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Giugno 3rd, 2017 Riccardo Fucile
A SETTEMBRE DUE COMMEMORAZIONI PER IL DECENNALE DELLA MORTE DEL TENORE…LA VEDOVA ORGANIZZA L’EVENTO ALL’ARENA, GLI EMILIANI CELEBRANO IN DUOMO
Unico, certo. Ma curiosamente «sdoppiato» nelle incombenti celebrazioni per i dieci anni dalla morte, un concertone con i suoi «Friends» all’Arena di Verona e la «Messa da Requiem» di Verdi a Modena.
In fin dei conti, com’era lui, il grande tenore d’opera degli anni d’oro reinventatosi popstar per allungare e allargare la carriera in quelli dell’inevitabile declino vocale. Pavarotti uno e due, insomma, Luciano bifronte, sul palco con Karajan e con Zucchero (però non insieme, per fortuna).
Il 6 settembre saranno dieci anni da che se n’è andato, nell’emozione mediatica, con i funerali in diretta tivù, le Frecce Tricolori nel cielo di Modena e le polemiche postume sull’eredità , non solo quella artistica.
Inevitabile che se ne riparli, e magari ne parli pure chi non ne sa nulla.
È di ieri l’altro l’annuncio che ci si metterà anche Hollywood, con un documentario «autorizzato» e griffato Ron Howard, già Richie Cunningham di «Happy Days» e oggi grande regista, quello di «Apollo 13» e «Il codice Da Vinci», due Oscar per «A Beautiful Mind».
È poi approdato in libreria «Pavarotti e io» (Aliberti editore), cioè i ricordi, affettuosi, del peruviano Edwin Tinoco, valletto, maggiordomo, amico, erede, compagno di merende e di briscole e infine quasi figlio adottivo del tenorissimo. E chissà cos’altro arriverà .
Però intanto sul decennale si litiga. La bomba è scoppiata un paio di mesi fa, quando la Fondazione Pavarotti, in pratica la vedova, Nicoletta Mantovani, ha annunciato che il concertone commemorativo, che si era sempre fatto a Modena con alterni risultati, si sarebbe spostato «nella meravigliosa cornice» (testuale) dell’Arena di Verona. «L’arena è riconosciuta come il tempio della lirica all’aperto, ci è parsa una scelta appropriata», ha spiegato la signora Pavarotti.
A Modena non l’hanno presa affatto bene. Vabbè che la città non ha mai saputo sfruttare quel brand planetario che una casuale, fortunata distribuzione divina di corde vocale le ha regalato, però Pavarotti è nato lì, è morto lì e non aveva mai pensato di poter vivere altrove.
Le polemiche sono state violentissime, specie quando il sindaco, Gian Carlo Muzzarelli (ovviamente Pd, a Modena Pci e derivati governano ininterrottamente dal ’45), ha ammesso di aver avuto da Nicoletta la notizia del trasloco un quarto d’ora prima che fosse annunciata ai media, e con un messaggino.
Ne è nato uno psicodramma cittadino.
Il sindaco, attaccato da tutte le parti, si è detto «profondamente amareggiato e deluso». L’opposizione gli ha rinfacciato «lo scippo» in Consiglio comunale e sui giornali. I social sono stati inondati di commenti arrabbiati o sarcastici o tutti e due insieme. Qualcuno ha fatto però notare che il budget per l’evento all’Arena si aggira sui due milioni di euro, quello disponibile a Modena grattando il fondo di ogni possibile barile, di 150 mila, quindi in sostanza non c’è mai stata gara.
Intanto il sindaco di Verona, Flavio Tosi, spargeva sale sulle ferite definendo Modena «un paesello». Lo strapaese longanesiano, insomma.
Sta di fatto che il concerton de’ concertoni si farà il 6 settembre all’Arena, probabilmente con la diretta sui Raiuno e con «una parte del ricavato devoluto in beneficenza», così il sito della Fondazione.
Ci saranno, di sicuro, Placido Domingo e Josè Carreras, i due superstiti dei tre tenori, poi si parla di Zucchero, dei prezzemolini del Volo e di altri soliti noti, ma il cast è ancora in corso di definizione.
Di certo, sarà tutto orientato sul fronte del Pavarotti 2, quello canzonettaro.
Le prevendite stanno andando benissimo.
Intanto a Modena, superato lo choc, si medita la controffensiva.
Anche qui, per ora, di definitivo non c’è niente, men che meno di ufficialmente annunciato. Però pare si stia facendo strada l’idea che si possa, e magari pure si debba, concentrarsi sul Pavarotti 1, insomma il tenore.
Si parla di una commemorazione anticipata, il 5. Da tenersi nel Duomo cittadino, un gioiello romanico che convertirebbe un ateo, e con un cavallo di battaglia del Pav, la «Messa da Requiem» di Verdi.
Insomma, qualcosa di classico, solenne e rigoroso (e, dai nomi che girano, notevoli, anche di ottimo livello musicale). Poi, replica con una serie di iniziative intorno al 12 ottobre, che del tenorissimo era il compleanno.
Pavarotti duale. Com’era lui, appunto.
(da “La Stampa”)
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Giugno 3rd, 2017 Riccardo Fucile
ZAIA: “SONO RAZZISTI FRUSTRATI, LEONI DA TASTIERA, LO RIFAREI MILLE VOLTE, SE AVESSE AVUTO LA MAGLIA DELL’INTER NON AVREBBERO AVUTO NULLA DA RIDIRE”… “IL VENETO HA 517.000 IMMIGRATI, GENTE PERBENE”
Non è stata apprezzata la foto che Luca Zaia, presidente del Veneto, ha postato sul suo profilo: nello scatto è in posa accanto a Isaac Donkor, giocatore di colore dell’Inter in prestito al Cesena.
E questo, all’elettorato di destra xenofobo, proprio non è andato giù.
Così sotto la foto sono comparsi centinaia di insulti, rivolti sia al calciatore sia al governatore.
“Ma ‘sto qua è appena arrivato con il barcone dall’Africa, altro che Inter”, scrive un utente. “Pare un profugo, perdi punti”, scrive un altro. E ancora: “Pur di vincere arriverà il giorno in cui andrete a elemosinare voti a loro”.
Commento, quest’ultimo, cui Zaia ha risposto: “Caro, il Veneto, che amministro, ha 517mila immigrati regolari, gente perbene. Siamo la terza regione in Italia per numero di immigrati. Chi viene qui con un progetto di vita e sposa i nostri valori è benvenuto. Spero di essere stato chiaro”.
Infine, interpellato da Ansa, il governatore ha detto: “Lo rifarei mille volte. Forse – ipotizza – le critiche dipendono dal fatto che nella foto con me non aveva la maglia dell’Inter? Se l’avesse avuta non avrebbero aperto bocca”.
Il presidente del Veneto critica quello che definisce “il mondo dei leoni da tastiera”, che sfoga rabbia e frustrazioni sui social. “Gli utenti si dividono in tre categorie – rileva – la prima è quella dei distratti che commentano a prescindere, vedendo un uomo di colore; la seconda è di quelli che fanno la morale al leghista puntando sulla dietrologia; la terza, più disgustosa, è quella dei razzisti”.
Isaac Donkor, 23 anni originario del Ghana, è arrivato in Italia nel 2003 ed è ormai cittadino italiano.
Degli insulti ricevuti su Facebook non si stupisce: “Ci sono abituato e non ci faccio più caso. Se non rispondo è perchè non vale la pena sprecare energie per certa gente. Non rovineranno il mio ritorno a casa per le vacanze, perchè è da qui che vengo”
La sua intera famiglia vive da tempo nel trevigiano ed è impiegata in un mobilificio e in un allevamento della zona.
“I social network sono un festival dell’incoerenza – conclude il presidente del Veneto – la gente che scrive queste cose è la stessa che non sa usare l’italiano. Questa gente è come le api impollinatrici: oggi è toccato a Isaac, ieri a Bebe Vio e prima ancora al dj Fabo”.
(da agenzie)
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Giugno 3rd, 2017 Riccardo Fucile
SEMBRAVA IMPOSSIBILE FAR PEGGIO DEL PORCELLUM E INVECE… QUESTA LEGGE E’ “UN PACCO”
Ci fosse ancora Giovanni Sartori avrebbe già intitolato alla Banda bassotti il “pacco” che ci vorrebbero rifilare chiamandolo “legge elettorale”.
Sembrava impossibile far peggio del Porcellum e invece eccoci qui.
Almeno la creatura suina di Calderoli aveva il pregio di dichiararsi in trasparenza: cari elettori se volete potete votare per queste liste preconfezionate, altrimenti statevene pure a casa.
Orrido, ma chiaro e trasparente. Tanto è vero che fu il suo stesso autore a definirla una porcata, nessun sotterfugio, tutto alla luce del sole.
Qui invece si congegna un imbroglio da banda del buco.
Si dice, caro elettore ti ridiamo finalmente la possibilità di scegliere, avrai il tuo candidato di collegio con l’uninominale!! Straordinario; e però poi ci infilano un codicillo che stabilisce che il voto non va affatto a quel candidato ma a una diversa lista bloccata. Siamo all’apoteosi del raggiro persino naif, alla Totò, Peppino e la banda del Torchio.
Si giunge all’ipotesi tipica della truffa conclamata, forse con l’unica attenuante che è così spacciata che potrebbe essere solo uno scherzo; ioci causa diremmo, se non fosse che davvero ne vorrebbero fare la legge fondamentale della repubblica.
Con quale ardire lo chiamino “collegio uninominale” resta un mistero, visto che l’elettore crede di votare per quel candidato ma in realtà il voto va pacificamente e per direttissima ad un altro, in una lista bloccata.
Siamo al più classico “pacco napoletano”, quello che una volta ti vendevano in autostrada con l’immagine dello stereo o del videoregistratore, ma dentro c’erano solo pietre e vecchi giornali. Ti voltavi, ma erano già scappati.
Dalla Germania, se avessero tempo e voglia di seguire le nostre piccole cose, ci avrebbero già querelato per diffamazione, per la nostra sfrontataggine di chiamarlo “sistema tedesco”, quando con la loro legge elettorale non c’entra un fico secco.
Che poi i nostrani segretari di partito siano tutti d’accordo, da Renzi, a Grillo, a Berlusconi, non sorprende affatto, atteso che avrebbero di nuovo potere assoluto su un Parlamento di nominati.
Come deassoluto tutto i partiti furono d’accordo per il porcellum tenendolo vent’anni e se non fosse intervenuta la Corte costituzionale starebbe ancora lì, con noi oggi costretti amaramente a rilevare che sarebbe persino meglio, piuttosto che il grottesco che ora ci propongono
Farebbero cosa saggia a dire che si sta scherzando che quel codicillo e’ scappato all’ineffabile onorevole Fiano in un eccesso di zelo, mostrandolo a Renzi dandogli di gomito come faceva Franco Franchi con Ciccio Ingrassia; insomma si inventino qualcosa e buttino nel cestino la patacca che vogliamo credere nessun Presidente della Repubblica potrebbe mai promulgare.
Se la Corte costituzionale ha bocciato il porcellum perchè non consentiva la scelta all’elettore, cosa volete che faccia di una norma che pretende addirittura di codificarne il tradimento?
Il guaio è che la bocciatura della Consulta potrebbe avvenire solo a cose fatte, a voto avvenuto, ritrovandoci nuovamente con un Parlamento incostituzionalmente eletto.
No, non può succedere e non avverrà . Sarebbe troppo tra tragico e farsesco. Dovesse invece avvenire e diventare legge, l’unica risposta plausibile di un corpo elettorale ancora minimamente dignitoso, sarebbe solo, spiace dirlo, la diserzione di massa. Almeno saremmo noi a dire: abbiamo scherzato, ricominciamo da zero.
In realtà c’è un solo modo oggi per fare una legge elettorale decente ed è quello di seguire la strada costituzionalmente e comunitariamente obbligata, indicata a chiare lettere dagli indirizzi comunitari e della sentenza della Consulta sull’Italicum.
Si dimentica infatti troppo spesso che il Consiglio di Europa ha diffidato gli Stati membri ad astenersi dal modificare alla vigilia del voto le ultime scelte di fondo in materia elettorale effettuate dai rispettivi parlamenti.
Ebbene la nostra ultima scelta di fondo è stata quella di tenere insieme rappresentanza e governabilità con un primo turno a riparto proporzionale e un ballottaggio per un premio di governabilità .
È del tutto falso affermare che la Consulta avrebbe bocciato questa scelta, avendo invece censurato soltanto che anche al secondo turno non ci fosse una soglia di validità per accedere al premio, chiarendo espressamente che il ballottaggio in sè va benissimo.
Ed allora la scelta obbligata, tra direttiva europea e sentenza della Corte, e’ semplicemente quella di applicare anche al ballottaggio la soglia prevista per il primo turno e se mai sostituire le appiccicose preferenze con un semplice, ma questa volta vero, collegio uninominale.
Tutto qui. La stessa maggioranza che approvò l’Italicum non si vede perchè non dovrebbe rivotarlo con la sola correzione voluta dalla Corte.
Avremmo così molto agevolmente la sintesi più avanzata tra rappresentanza e possibile governabilità . Troppo bello, troppo saggio e troppo semplice; quindi non si farà .
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 3rd, 2017 Riccardo Fucile
LA REGOLA CHE GLI OVER 40 POSSONO ESSERE PRESENTATI SOLO IN SENATO METTE A RISCHIO
Emanuele Buzzi, che ieri ha fatto scatenare Beppe Grillo con il racconto del terrore di non essere rieletti da parte di alcuni big M5S che ha scatenato le proteste grilline sull’accordo sulla legge elettorale, oggi torna sull’argomento sul Corriere della Sera sottolineando come i pessimi rapporti tra Grillo e Fico siano soltanto la punta di un iceberg di preoccupazione per la rielezione.
Che parte dalla regola dei 40enni, la quale impone che gli esponenti over 40 siano candidati soltanto a Palazzo Madama.
Da segnalare che Fico, trentasettenne all’epoca della prima elezione, ora rientrerebbe in quest’altra coorte anagrafica.
L’attenzione è focalizzata principalmente sul Senato, perchè molti pentastellati che ora sono deputati dovrebbero traslocare – se rieletti – nell’altro ramo del Parlamento.
A preoccupare è soprattutto la situazione in cinque Regioni: Lazio, Lombardia, Puglia, Sicilia e Campania.
I motivi sono molto differenti e variano a seconda della zone anche a seconda del peso elettorale dei Cinque Stelle.
In Sicilia, per esempio, si teme un boom elettorale anche nei collegi uninominali. Con al momento la possibilità di finire vincenti ed esclusi dall’Aula. E a rischio potrebbero finire volti noti tra i pentastellati come Mario Michele Giarrusso (secondo i rumors tra i più inquieti nelle ultime ore) o ex capogruppo come Nunzia Catalfo e Vincenzo Santangelo.
Ovviamente sarebbe dolorosissimo se il parlamento dovesse non avvalersi più del contributo fondamentale di una mente come Santangelo, quello che qualche tempo fa denunciava il complotto del Nuovo Ordine Mondiale.
Nell’articolo si parla dei rischi anche in altre regioni, tra l’altro nominando Carla Ruocco che però è campana.
A Roma e dintorni, invece, si preannuncia un listino (e dei collegi) troppo affastellati e con molti, troppi big (dalle deputate Carla Ruocco e Roberta Lombardi, agli ex esponenti del mini-direttorio romano, Paola Taverna a Stefano Vignaroli).
In Campania tutta da studiare la distribuzione dei papabili senatori – compreso il leader ortodosso Fico – nei vari collegi.
In Puglia e Lombardia, invece, a incidere è il peso elettorale del Movimento (più risicato che in altre zone, alle Regionali i consensi si sono fermati sotto il 20 per cento).
E se nel tacco d’Italia a metterci la faccia nelle sfide più difficili saranno – con buona probabilità – Barbara Lezzi e Maurizio Buccarella, al Nord la partita sembra più complessa.
Insomma, il rischio è che una legge-schifezza tenga fuori dal parlamento tanti big. Vedi a volte l’eterogenesi dei fini.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 3rd, 2017 Riccardo Fucile
AFFONDO DELL’EDITORIALISTA VICINO AL MOVIMENTO
A furia di sentirsi dire che devono accettare i compromessi e “sporcarsi le mani”, i 5Stelle stanno facendo entrambe le cose con la legge elettorale. E non è un bel vedere. Ieri Beppe Grillo ha silenziato i mormorii interni, soprattutto di Roberto Fico e Paola Taverna che definivano il testo dell’accordo “un nuovo Porcellum”, richiamando tutti i “portavoce” (i parlamentari 5Stelle) all’ordine di “rispettare il mandato” ricevuto dagli iscritti al blog, i quali “hanno votato a stragrande maggioranza il modello tedesco con oltre il 95% delle preferenze”. Verissimo.
Peccato che il maxi-emendamento “Merdinellum” non c’entri nulla col modello tedesco plebiscitato dalla base grillina: a parte lo sbarramento al 5% e i seggi metà uninominali e metà proporzionali — due trovate non proprio geniali che non c’è bisogno di copiare dalla Germania: ci possono arrivare persino dei politici italiani — tutto il resto è diverso.
E non è vero, come scrive il blog di Grillo, che “le differenze con il modello tedesco sono dovute alle diversità dell’assetto costituzionale tra la Germania e l’Italia” (in Germania il numero dei parlamentari elettivi è variabile, in Italia fisso). Non solo, almeno.
1) In Germania, per la Camera elettiva (Bundestag), gli elettori hanno due schede e danno due voti, che possono essere disgiunti: uno al candidato uninominale di collegio, uno al listino bloccato proporzionale di circoscrizione (che può essere anche di un altro partito). Qui invece avremmo una sola scheda per ogni ramo del Parlamento e non sceglieremmo alcun candidato: dovremmo barrare il simbolo di un partito e così implicitamente votare il candidato del nostro collegio (indicato a sinistra della scheda) e il listino bloccato dello stesso partito (a destra).
2) In Germania, una volta calcolati quanti deputati porta al Bundestag ciascuna lista sopra il 5% in base ai voti ottenuti nel proporzionale, vengono anzitutto eletti i candidati uninominali: quelli scelti direttamente dagli elettori, che sono poi gli unici sicuri di essere eletti. Poi, se avanzano posti, entrano quelli del listino bloccato, dal numero 1 in giù fino a esaurimento. Qui invece si parte dal primo del listino, che diventa un capolista bloccato e nominato in automatico dal capo, infatti è l’unico sicuro di essere eletto. Invece quello davvero scelto dai cittadini all’uninominale non è affatto certo di entrare in Parlamento: deve mettersi in fila. E, se nella sua circoscrizione il suo partito ha diritto a un solo parlamentare, il vero eletto viene certamente escluso perchè il seggio se l’è già fregato il nominato.
3) In Germania ogni candidato può presentarsi al massimo in un collegio uninominale e in un listino proporzionale. Qui invece, oltrechè in un collegio uninominale, può infilarsi pure in tre listini proporzionali, con altrettanti paracadute per garantirsi l’elezione qui, o lì o là .
Tutti e tre i punti del Merdinellum sono la negazione di quanto ha sempre predicato il M5S contro il “Parlamento dei nominati” (vedi antologia a pag. 2), ma anche dei suoi interessi.
A chi servono infatti la precedenza dei nominati sugli eletti, il divieto di voto disgiunto e le multicandidature-paracadute? Ai partiti che devono garantire l’elezione sicura ai servi del capo, di solito impopolari e invotabili, anche perchè spesso sono in Parlamento dalla notte dei tempi.
Non certo ai 5Stelle, che non hanno di questi problemi: non sono inseguiti da eserciti di veterani a caccia di un posto, perchè non ricandidano nessuno dopo due mandati; stando ai sondaggi, raddoppieranno i loro posti in Parlamento, mentre i partiti dimagriranno tutti; hanno una ventina di big molto popolari e facilissimi da far rieleggere, seguiti da un truppone di peones vecchi e nuovi che nessuno conosce (più che “uno vale uno”, regna “l’uno vale l’altro”); sono gli unici, col sistema peraltro caotico e poco rappresentativo delle primarie online, a non far scegliere al vertice i candidati (gli altri partiti affideranno la selezione ai capi, compreso il Pd che non potrà neppure inscenare la farsa delle “parlamentarie”, salvo aprire i gazebo a ferragosto).
In compenso avrebbero tutto da guadagnare dal voto disgiunto: c’è chi, votando per abitudine, sarà attratto dal simbolo del suo vecchio partito nella quota proporzionale; però magari nel collegio, dovendo scegliere fra un manigoldo berlusconiano, una vecchia muffa pidina e un giovanotto tipo Di Battista, Di Maio, Fico, si salverà la coscienza e voterà il più fresco e nuovo.
Se poi fosse vero che Renzi vuole finalmente schierare candidati altamente innovativi e qualificati rottamando gli inguardabili veterani, come promette da una vita senza mai mantenere, dovrebbe intendersi a meraviglia con i 5Stelle per una serie di elementari modifiche che riducano al minimo i nominati e diano il massimo potere possibile agli elettori (ricordare al Bomba le sue promesse in tal senso è purtroppo un esercizio ozioso).
Il minimo sindacale sono quelle per passare dal Merdinellum al vero modello tedesco: doppia scheda con possibile voto disgiunto per ogni Camera; divieto di multicandidature; assegnazione dei seggi a partire dagli eletti nell’uninominale, anzichè ai nominati nel proporzionale.
Il massimo sarebbe rendere più democratico il modello tedesco prevedendo la preferenza nei listini proporzionali, così che siano i cittadini, scegliendo un candidato fra i tanti, a decidere chi saranno gli eletti negli altri posti disponibili di ogni circoscrizione.
L’ansia di non far saltare l’accordo con Pd e FI e di non rinviare il voto anticipato è comprensibile. Ma con gli elettori non si scherza: l’ultimo che il 4 dicembre li ha presi in giro non se n’è più riavuto.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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