IL GUARDIAN SI INTERROGA SU COME HA FATTO L’ITALIA A SALVARSI DAGLI ATTACCHI TERRORISTICI: BRAVI O FORTUNATI?
L’ESPERIENZA DEGLI ANNI DI PIOMBO, L’USO DELLE INTERCETTAZIONI, LA SCARSITA’ DI IMMIGRATI DI SECONDA GENERAZIONE
Perchè negli ultimi anni l’Italia è stata risparmiata da grandi attentati terroristici?
Se lo domanda il quotidiano britannico The Guardian, che ascoltando diversi esperti individua una serie di fattori che, tutti insieme, hanno reso il nostro Paese meno esposto alla minaccia del terrorismo islamico.
Innanzitutto c’è l’esperienza maturata, sia dal punto di vista legale che investigativo, durante gli anni di piombo.
“Abbiamo imparato una lezione molto dura durante i nostri anni di terrorismo”, spiega al Guardian Giampiero Massolo, direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis) dal 2012 al 2016.
“Da quegli anni abbiamo capito quanto sia importante mantenere un dialogo costante a livello operativo tra l’intelligence e le forze dell’ordine. La prevenzione è la chiave di un controterrorismo efficace”.
Poi c’è la questione del controllo del territorio: “Un’altra caratteristica — aggiunge Massolo — è avere un buon controllo del territorio. Da questo punto di vista, l’assenza di luoghi paragonabili alle banlieu parigine nelle grandi città italiane e la predominanza di città medio-piccole rende più facile il monitoraggio della situazione”.
Un altro fattore centrale — spiega Francesca Galli, assistente universitaria alla Maastricht University ed esperta di politiche di antiterrorismo — “è che l’Italia non ha una consistente popolazione di immigranti di seconda generazione che sono stati radicalizzati o che potrebbero esserlo”.
A questa considerazione segue un corollario: l’assenza di italiani di seconda e terza generazione che potrebbero essere suscettibili alla propaganda dell’Isis consente alle autorità italiane di focalizzarsi su chi non ha la cittadinanza, che può quindi essere deportato al primo segnale di pericolo, spiega Arturo Varvelli, ricercatore ed esperto di terrorismo dell’Ispi, secondo cui da gennaio l’Italia ha già espulso 135 individui.
C’è poi la questione delle intercettazioni telefoniche, uno strumento su cui le autorità italiane contano molto, scrive il Guardian.
Da noi, infatti, a differenza che nel Regno Unito, le intercettazioni possono essere usate come prove nei processi e — in casi collegati a mafia e terrorismo — possono essere ottenute sulla base di attività sospette e non di prove solide.
L’infiltrazione e la distruzione delle reti terroristiche — scrive ancora il Guardian — richiede la rottura di relazioni sociali e persino familiari molto strette, proprio come nella lotta a Camorra, Cosa Nostra e ‘Ndrangheta.
Spiega ancora Galli: “le persone sospettate di jihadismo sono incoraggiate a dissociarsi dal gruppo e cooperare con le autorità italiane, che utilizzano i permessi di residenza e altri incentivi. Allo stesso tempo c’è la consapevolezza della pericolosità di tenere in carcere i sospetti terroristi, dal momento in cui la prigione è vista come un territorio particolarmente fertile per il reclutamento e la radicalizzazione (un po’ come avveniva con i capi mafia).
“Abbiamo una certa esperienza nel fronteggiare i network criminali”, conclude la ricercatrice, “e abbiamo molti agenti sotto copertura che fanno un grande lavoro di intercettazione delle comunicazioni”.
L’articolo passa in rassegna alcuni esempi di come vengono gestiti, in Italia, gli individui sospettati di attività terroristiche.
L’esempio più recente è quello di Youssef Zaghba, il 22enne italiano di origini marocchine identificato come uno dei tre attentatori del London Bridge.
Scrive il Guardian:
Ogni volta che Youssef Zaghba atterrava a Bologna, c’era qualcuno che lo aspettava in aeroporto. Non era un segreto in Italia che il 22enne […] era sotto stretta sorveglianza. “Venivano a parlargli in aeroporto. Poi, durante il suo soggiorno, ufficiali di polizia venivano un paio di volte al giorno a controllare”, ha raccontato al Guardian la madre del giovane, Valeria Collina. “Erano amichevoli con lui. Gli dicevano: ‘Hey, figliolo, dimmi cosa hai fatto ultimamente. Cosa ti sta succedendo? Come stai?'”.
[…] Franco Gabrielli, il capo della polizia italiana, ha raccontato degli sforzi dell’Italia per allertare il Regno Unito: “Abbiamo la coscienza pulita”.
Scotland Yard, dal canto suo, ha detto che Zaghba “non era un soggetto attenzionato nè per i servizi dell’MI5 nè per la polizia”.
La notizia, nelle ultime ore, dell’arresto in provincia di Alessandria della 26enne Lara Bombonati con l’accusa di terrorismo internazionale sembra ricalcare il ‘metodo’ descritto qui sopra.
Lara, che da almeno tre anni si faceva chiamare Khadija, era costantemente monitorata dalla Digos, che aveva iniziato a indagare su di lei dopo una denuncia di scomparsa da parte dei familiari, preoccupati dalla sua progressiva radicalizzazione.
(da “Huffingtonpost”)
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