Agosto 31st, 2018 Riccardo Fucile
LA TESI DI TRAVAGLIO: PRIMA O DOPO LE EUROPEE CI SARA’ LA STRAPPO
Matteo Salvini punta a rompere il governo Lega-M5S per andare presto alle elezioni? Ne è convinto Marco Travaglio, che ieri lo ha scritto in un editoriale sul Fatto Quotidiano, pronosticando che prima o dopo le Europee il leader del Carroccio andrà a far cadere Conte per lucrare elettoralmente la sua crescita di popolarità .
Per questo ieri Travaglio esortava i grillini ad anticipare Salvini, per non essere presi in contropiede dalle decisioni del Capitano.
Il quale, secondo Tommaso Ciriaco su Repubblica, è convinto di guadagnare dal braccio di ferro con l’Europa sulla manovra che si sta prospettando dopo le dichiarazioni sul 3% di questi giorni che hanno messo il punto sulla missione diplomatica di Tria con Bruxelles.
Questo perchè, appunto, il leader del Carroccio potrebbe lasciare i grillini nel loro dilemma sull’Europa che porta al voto anticipato, magari insieme all’Europa
Nella Lega ormai se ne discute apertamente: «Matteo ci sta pensando, Matteo è pronto a ribaltare il tavolo». Il diretto interessato pubblicamente parla d’altro. Di migranti, soprattutto. Ma si muove come fosse a un passo da Palazzo Chigi.
Un esempio? Ignora le lamentele di Conte dopo il summit con Orban e pianifica una serie di missioni verso Est: Cina, Israele, Russia.
E ancora, Budapest e Vienna, Sudafrica ed Egitto. L’obiettivo è completare il programma entro l’anno.
Di fatto, un tour da premier. Quello in carica, intanto, studia contromosse.
Smentisce di aver espresso preoccupazioni per le tensioni tra alleati, ma di fatto conferma tutto: l’incontro con Giorgetti, la cabina di regia, il prossimo incontro sulle politiche migratorie. La situazione, d’altra parte, rischia di sfuggirgli di mano. Perchè i fronti aperti, ormai, sono due: uno interno, uno a Bruxelles.
Una ricostruzione che secondo il Giornale è monca. Perchè il MoVimento 5 Stelle potrebbe sì rompere con Salvini ma non certo per tornare alle elezioni, anche perchè non converrebbe ai grillini: in questo parlamento, grazie ai numeri, sono l’ago della bilancia. Nel prossimo, chissà .
Per questo secondo Adalberto Signore Di Maio e soci potrebbero rompere con la Lega per riproporre un accordo al Partito Democratico, stavolta di legislatura.
Un’idea che però troverebbe ancora le stesse resistenze (e le stesse motivazioni) da parte del PD, o per lo meno da parte dell’ala renziana del PD.
Di tutt’altro avviso è il Corriere della Sera, secondo il quale ci sono impedimenti oggettivi che non permettono al ministro dell’Interno di puntare dritto alle urne.
Il 5 settembre infatti il Tribunale del riesame di Genova affronterà , su rinvio della Cassazione, il tema del sequestro dei conti leghisti dopo la condanna per truffa ai danni dello Stato di Umberto Bossi e Francesco Belsito.
In Lega l’umore diffuso è il pessimismo: «Il sequestro potrebbe essere confermato e magari allargato anche ai conti correnti delle segreterie regionali. In sostanza, sarebbe sequestrata la Lega. Che rimarrebbe materialmente senza più un singolo euro».
Per questo il quotidiano immagina che Salvini abbia bisogno di tempo: perchè dovrà costruire un nuovo partito.
O meglio: il capo leghista dovrà scegliere se fondare un nuovo partito con il perimetro politico della Lega attuale, oppure porsi come il federatore unico di tutta l’area politica che non è centrosinistra e non è Movimento 5 Stelle.
In un modo o nell’altro il piano comunque potrebbe andare in porto: «Dopo le elezioni europee di maggio, potrebbe avere un senso – ragiona un deputato sempre con il Corriere –. Con in mano risultati abbaglianti, senza più una concorrenza nel centrodestra, Salvini potrebbe verosimilmente tentare la corsa alla presidenza del Consiglio da solo». Al voto subito dopo le Europee, quindi?
(da “NextQuotidiano”)
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Agosto 31st, 2018 Riccardo Fucile
“FU SEQUESTRO DI PERSONA, ABUSO E OMISSIONE DI ATTI D’UFFICIO”
L’atto d’accusa contro il ministro dell’Interno Matteo Salvini passa a Palermo. Il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio ha consegnato questa mattina un plico sigillato con il fascicolo d’inchiesta a un ufficiale della Guardia Costiera, perchè lo consegni al procuratore della Repubblica di Palermo Francesco Lo Voi.
Il primo passaggio, verso il tribunale dei ministri che dovrà valutare le accuse contro Salvini per il blocco di 177 migranti sulla nave Diciotti, rimasti dieci giorni al porto di Catania.
Patronaggio contesta cinque ipotesi di reato: sequestro di persona, sequestro di persona a scopo di coazione, arresto illegale, abuso d’ufficio e omissione d’atti d’ufficio.
Lo Voi ha quindici giorni di tempo per valutare tutto l’incartamento e decidere se confermare o ridimensionare l’impianto accusatorio.
Quindi, il caso sarà ufficialmente nelle mani dei tre giudici che compongono il tribunale dei ministri di Palermo, entro 90 giorni potranno fare altri accertamenti e ascoltare le “parti interessate”.
Il ministro Salvini ha già annunciato che vorrà essere interrogato. Potrebbero chiedere un’audizione anche le “parti offese” dei reati, ovvero i migranti.
“Alcuni vogliono costituirsi parte civile contro il ministro dell’Interno – dice l’europarlamentare Eleonora Forenza (gruppo Gue-Ngl) che ieri è entrata nell’hotspot di Messina dove sono ospitati 38 migranti”.
Le contestazioni
Il fascicolo d’inchiesta trasmesso alla procura di Palermo è accompagnato da una memoria che sintetizza le contestazioni ipotizzate nei confronti di Salvini e del suo capo di gabinetto Matteo Piantedosi.
Queste:
Articolo 289 ter del codice penale. “Sequestro a scopo di coazione”. Secondo la ricostruzione del procuratore Luigi Patronaggio, il ministro dell’Interno avrebbe tenuto in ostaggio 177 persone per “costringere” l’Unione Europea alla redistribuzione dei migranti contro la convenzione di Dublino.
Articolo 605. “Sequestro di persona”.
Per aver tenuto 177 migranti ristretti per dieci giorni, senza alcuna ragione secondo l’accusa, sulla nave Diciotti della Guardia Costiera.
Articolo 606, “Arresto illegale”.
Il trattenimento illegittimo dei migranti sull’imbarcazione della Guardia Costiera configura per il pm anche una forma di arresto non autorizzato.
Articolo 328. Omissione di atti d’ufficio.
Per non avere indicato il porto di sbarco (il cosiddetto “Port of safety”) alla Guardia Costiera, che lo chiedeva dopo il salvataggio. Catania era solo uno scalo tecnico.
Articolo 323. Abuso d’ufficio.
Per aver violato, in almeno otto casi, disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e altre norme internazionali, articoli della Costituzione e del Testo unico sull’immigrazione.
“L’abuso d’ufficio”
Ecco le norme violate, che secondo l’accusa fanno configurare il reato di abuso d’ufficio.
Articolo 5 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.
“Nessuno può essere privato della sua libertà “. Peraltro nel nostro ordinamento non è previsto l’arresto dell’immigrato clandestino. Salvini avrebbe violato l’articolo 13 della Costituzione (“La libertà personale è inviolabile”).
E anche l’articolo 10 comma tre della Costituzione, che prevede il diritto di asilo allo straniero “al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche”.
Al ministro dell’Interno viene contestata dalla procura di Agrigento anche la violazione del regolamento di Dublino che stabilisce i criteri per le richieste di “protezione internazionale”. Sulla Diciotti, questo diritto è rimasto sospeso persino per i minori non accompagnati e per le donne vittime di stupri.
Sarebbe stato violato anche l’articolo 10 ter del Testo unico sull’immigrazione: prevede che i migranti vengano “tempestivamente informati” del diritto all’asilo.
Il procuratore Patronaggio ipotizza pure la violazione dell’articolo 47 della legge 7 aprile 2017 (Legge Zampa), che prevede il rilascio del permesso di soggiorno ai minori non accompagnati. I 29 della Diciotti hanno potuto lasciare la nave solo dopo l’ispezione del procuratore.
Contestata anche la violazione dell’articolo 60 della Convenzione di Istanbul e l’articolo 7 del decreto legislativo del 19/11/2007, numero 251: norme che prevedono la massima tutela per le donne che hanno subito violenza. Le 11 eritree abusate nei campi libici potevano avere subito lo status di rifugiati
Infine, l’ottava violazione contestata a Salvini: non aver indicato subito il porto di sbarco. E’ previsto da norme internazionali, come il “Safety of life” del 1974, ma anche dalla procedura di coordinamento fra Viminale e Guardia costiera (la “Sop 009/2015”).
(da agenzie)
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Agosto 31st, 2018 Riccardo Fucile
IL SEQUESTRO PER COARTAZIONE PREVEDE DA SOLO UNA PENA DA 25 A 30 ANNI DI GALERA.. E LA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE DEI PROFUGHI POTREBBE COSTARE A SALVINI DIVERSI MILIONI DI EURO
Matteo Salvini oggi su Twitter ha scritto che rischia trenta anni di carcere “per aver difeso il diritto alla sicurezza degli Italiani”. Il ministro dell’Interno non ha spiegato per quale motivo rischia una pena così lunga per la vicenda del naufragio della nave Diciotti. Il motivo è che il pubblico ministero Luigi Patronaggio ha aggiunto altri due possibili reati ai tre che contesta a Salvini nella vicenda.
Al sequestro di persona, all’abuso d’ufficio e all’arresto illegale infatti si sono aggiunti l’omissione di atti d’ufficio e il sequestro di persona a scopo di coartazione: proprio per quest’ultimo reato si rischia una pena da venticinque a trent’anni di carcere in base all’articolo 289 del Codice Penale.
L’omissione di atti d’ufficio è invece un reato previsto dall’articolo 328 del codice penale: da 6 mesi a 2 anni di carcere per il pubblico ufficiale che rifiuta «indebitamente un atto del suo ufficio» che va «compiuto senza ritardo».
Il procuratore Luigi Patronaggio ha effettuato ulteriori accertamenti e verifiche anche per quanto riguarda l’identificazione e la tutela dei diritti delle persone offese e per problemi di carattere tecnico-giuridico, per assicurare ai migranti che erano a bordo della Diciotti la la piena tutela legale e la possibilità di costituirsi in giudizio contro il ministro dell’Interno.
Oggi sono arrivati gli atti dell’inchiesta alla procura di Palermo. Gli uffici diretti da Francesco Lo Voi avranno 15 giorni per inviare tutto al Tribunale di ministri che avvierà la sua istruttoria decidendo entro 90 giorni (più eventuali sessanta) se archiviare o trasmettere nuovamente le carte al procuratore della Repubblica che dovrà inoltrare l’autorizzazione a procedere al Senato.
Il reato di omissione di atti d’ufficio viene contestato perchè il ministro ha ignorato la richiesta della Guardia costiera di un porto sicuro, indicando Catania solo come scalo tecnico. Anche il rifiuto di fornire cure ai naufraghi potrebbe rientrare in questa casistica di reato. Il sequestro a scopo di coartazione viene contestato invece perchè secondo i magistrati il titolare del Viminale avrebbe impedito lo sbarco per fare pressione sull’Ue in direzione della ridistribuzione dei migranti.
Sono stati intanti convalidati i fermi, disposti dalla Procura di Palermo, dei quattro scafisti dell’imbarcazione soccorsa dalla Guardia Costiera il 16 agosto scorso. Accusati di associazione a delinquere finalizzata alla tratta di uomini e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di violenza sessuale, sono stati identificati grazie alle testimonianze dei profughi per giorni trattenuti sulla nave Diciotti.
I pm di Palermo hanno raccolto le testimonianze dei primi 13 migranti fatti sbarcare per emergenze sanitarie a Lampedusa e poi dei minori che, dopo giorni, sono stati fatti scendere a Catania.
(da agenzie)
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Agosto 31st, 2018 Riccardo Fucile
LEGA E M5S ALLA FINE DIFENDONO LA LOBBIE DELLE SOCIETA’ INTERESSATE, TUTTO COME PREVISTO… ANCHE PERCHE’ VI SONO RESPONSABILITA’ DEL MINISTERO DI TONINELLI
Ilario Lombardo sulla Stampa firma oggi un prezioso retroscena che ci racconta cosa sta succedendo nel governo sulla revoca delle concessioni ad Autostrade, che dopo essere stata indicata come obiettivo prioritario da parte del M5S ora sembra essere molto più lontana.
Perchè Di Maio e i suoi si sono convinti che una decisione del genere dal punto di vista giuridico potrebbe portare a molte conseguenze negative.
Meglio la trattativa, con i Benetton e con gli alleati del governo che intanto si stanno saldando in un’alleanza con il sindaco di Genova Bucci e il governatore Toti. L’obiettivo sarebbe così ridimensionato, con il tentativo di revocare solo la A10:
«Il punto di caduta — ha confidato Di Maio — deve essere almeno la revoca della concessione della A10», l’autostrada che ingloba il ponte di Genova crollato il 14 agosto.
Non solo: il governo punta anche a una revisione del contratto di concessione «più favorevole ai cittadini», nella speranza magari di strappare tariffe più basse.
Il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, che si muove sempre in assoluta sincronia con Di Maio, è impensierito dall’attivismo della Lega e del governatore della Liguria Giovanni Toti che spingono per coinvolgere comunque il concessionario nella fase di ricostruzione.
Ma Toninelli e Di Maio sono preoccupati anche dalla ricaduta che avranno sul braccio di ferro con Autostrade le inchieste che puntano alle responsabilità dei dirigenti del ministero dei Trasporti avvertiti qualche mese fa sulla scarsa sicurezza del ponte.
Lo scenario si complica e i 5 Stelle hanno cominciato a capire che la via della mediazione potrebbe essere la meno complicata.
Il Movimento parla di nazionalizzazione, gli alleati leghisti di mantenere la gestione privata delle autostrade
Dopotutto era stato il sottosegretario grillino ai Trasporti, Michele Dell’Orco ad anticipare alla Stampa dieci giorni fa «una soluzione mediana»: «una nazionalizzazione graduale», «a partire, magari, proprio da quel tratto della A10 ligure».
È un’ipotesi che piace a Conte, che ben conosce i pericoli di impantanarsi in lunghe cause giudiziarie senza esiti certi.
(da “NextQuotidiano”)
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Agosto 31st, 2018 Riccardo Fucile
ULTIME VITTIME I GENITORI DI SALVINI CHE POTRANNO RINGRAZIARE PUTIN PER AVER FATTO UNA LEGGE CHE VIETA L’ESTRADIZIONE DEI CRIMINALI
Veloci e leggeri come gatti e con le fedine penali rigorosamente immacolate. Quando li hanno arrestati, ieri mattina all’alba, avevano i bagagli già pronti per partire dopo il loro ennesimo colpo.
Stavolta, un colpo eccellente: in cinque avevano svaligiato la casa dei genitori del ministro dell’Interno Matteo Salvini, a Milano.
E così anche Salvini – sempre solerte nel denunciare i presunti crimini commessi dai migranti – si è accorto dell’esistenza della silenziosa mafia georgiana, organizzazione criminale in continua ascesa, che gestisce il business milionario dei furti in abitazione in tutta Europa.
Eserciti criminali capeggiati da boss con il passaporto russo, protetti da una legge nazionalista voluta da Vladimir Putin, che impedisce le estrazioni nei Paesi stranieri in caso di mandato di cattura internazionale
Anche in questo caso i ladri arrestati dalla Questura di Milano fanno parte – secondo gli inquirenti – della criminalità organizzata georgiana. I loro nomi sono finiti in un ampio fascicolo coordinato dai pubblici ministeri milanesi David Monti e Laura Pedia, che da tempo si stanno occupando di questo ancora poco conosciuto fenomeno criminale ormai radicato in tutta Europa e soprattutto in Italia.
Chi sono i ladri dell’Est
Si fanno chiamare “i russi”, ma i loro passaporti sono quasi sempre falsi, proprio come i loro modi cortesi. Entrano ed escono dalle prigioni italiane, dove sono accolti con timore e deferenza, e dove non restano mai a lungo.
Per regolare i conti non usano il piombo: bastano i pestaggi, feroci e silenziosi, interrotti un attimo prima che la vittima perda i sensi. Quando la vendetta lo richiede, però, sguinzagliano i loro cecchini migliori. Mirano dritti alla testa e poi svaniscono nel nulla.
Sono “vory v zakone”, ladri nella legge, padrini della mafia russa devoti a un codice criminale nato nei gulag sovietici e sopravvissuto fino a oggi
In Italia alcuni di loro hanno trovato una patria d’adozione. E soprattutto, terreno fertile per costruire un impero che si finanzia grazie a un settore immune alla crisi: quello dei furti.
Una volta monopolio della piccola delinquenza comune, ora l’industria dei furti è stata conquistata dalle mafie straniere, che con il rigore di organizzazioni militari gestiscono eserciti di ladri sparpagliati in tutta Europa.
A contendersi il mercato – come ricostruito dall’Espresso – ci sono in particolare tre mafie internazionali. Nel nostro Paese i “signori dei furti” acquistano ville, riciclano i soldi, programmano summit criminali.
Si calcola che il giro d’affari delle razzie dei beni di lusso – oro, gioielli e oggetti preziosi – solo in Italia ammonti a decine di miliardi di euro all’anno.
Un business redditizio e dai rischi contenuti: quando i ladri vengono catturati, spesso scontano nelle prigioni italiane pochi mesi di detenzione e poi vengono rimpatriati nei Paesi d’origine, dove il reato associativo non viene quasi mai riconosciuto. E dunque tornano subito liberi.
Chi è il “generale Jango”
«Siamo ladri, noi! Siamo una piccola forza. Ci facciamo sentire solo se abbiamo qualcosa di importante da dire. La verità è dalla nostra parte». Così parlava – intercettato – un affiliato del clan di Kutaisi, potente organizzazione criminale della Georgia che oggi conta in Italia una delle sue più influenti succursali. La provincia pugliese, per esempio, è il regno di Merab Dzhangveladze, detto Jango, ritenuto il generale della mafia georgiana a capo di una holding dedita a furti e riciclaggio. Entra ed esce dal carcere, oppure sconta i domiciliari nella sua villa di Bari. Però le sue detenzioni sono sempre molto brevi. Perchè per i tribunali italiani, a dispetto della sua fama internazionale, “Jango” continua a rimanere un semplice ladro.
Eppure le forze dell’ordine ne sono sicure: il suo esercito è sterminato. Sotto di lui i luogotenenti impartiscono ordini ai soldati semplici, detti “bravi ragazzi”, batterie di ladri attive in tutta Italia e nel resto d’Europa. Spesso per la polizia italiana sono fantasmi, mimetizzati fra decine di alias indecifrabili e protetti da uno stile di vita irreprensibile. Parlano poco, ma le loro storie sono impresse sulla pelle.
Quattro lettere tatuate con inchiostro blu significano “ho ucciso un poliziotto”. Le rose dei venti indicano la gerarchia criminale dei ladri. Una stella vuol dire “vendetta compiuta”.
«Per i “vory”» spiega all’Espresso Alfredo Fabbroncini, dirigente della II Divisione della direzione centrale anticrimine del Servizio Centrale Operativo, «l’attività illecita è considerata sacra: rimanere per più di un anno a piede libero è un disonore».
Non attirare l’attenzione delle forze dell’ordine, invece, è una delle regole auree. E sarà per questo che l’unico fatto di sangue di cui i clan georgiani si sono macchiati in territorio italiano rimane l’omicidio del connazionale Revas Tchuradze, assassinato a Bari sei anni fa per aver incautamente cercato di scalzare un clan rivale. Da allora, i “bravi ragazzi” sono rimasti in silenzio, ma il loro disegno criminale si è allungato come la tela di un ragno. Altre centrali operative della mafia georgiana risultano attive a Catanzaro, Roma, Reggio Emilia, Torino. In Piemonte, in particolare, sono state scoperte palestre dello scasso dove i ladri si allenano a forzare serrature senza lasciare tracce.
I Carabinieri del Nucleo Investigativo di Novara – i primi ad aver intuito la portata del fenomeno criminale – sotto la guida del pubblico ministero milanese Luigi Luzi si sono spinti ancora più in là : negli ultimi cinque anni hanno arrestato oltre 200 persone e recuperato refurtiva per 10 milioni di euro per un giro d’affari di quasi 100 mila euro al giorno. Soldi che finiscono direttamente nella cassa comune della cupola georgiana, la “obshak”, che a sua volta va a finanziare la “Organizacija”, la mafia russo-georgiana. Se la manovalanza criminale mantiene il profilo basso, infatti, i loro capi hanno ambizioni sfrenate. E vogliono proteggere l’impero con ogni mezzo.
Il boss Djemo vive protetto in Lettonia
Negli ultimi anni i poliziotti dell’Interpol hanno notato per esempio una strana coincidenza: molti “vory georgiani stanno acquisendo la cittadinanza russa. Uno stratagemma che avrebbe un unico scopo: evitare l’estradizione in caso di mandato di cattura internazionale. Il Paese governato da Vladimir Putin per norma costituzionale ha reso quasi impossibile la consegna dei criminali russi alle autorità straniere. E così, quando la polizia italiana fa scattare gli arresti, loro sanno dove andarsi a rifugiare.
Aveva cercato di ottenere con mezzi illeciti il passaporto russo anche Dzhemal Mikeladze, detto Djemo, origini georgiane, considerato dalla polizia internazionale uno dei ladri nella legge più pericolosi in circolazione, sospettato di essere fra i mandanti dell’esecuzione del capo dei capi della mafia russa Aslan Usoyan, detto “nonno Assan”, assassinato a Mosca 5 anni fa. Secondo le carte dei magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia, il padrino venuto dall’Est «è riuscito con successo a mettere radici anche nel mondo criminale italiano, costituendo un’associazione per delinquere di stampo mafioso transnazionale senza precedenti nel nostro Paese». Il core business di Djemo e dei suoi uomini sono – neanche a dirlo – i furti, le estorsioni e il riciclaggio.
Un anno fa, con fatica, la Russia ne ha consentito l’estradizione in Italia. Ha atteso il processo dal carcere di Bari, assistito da un pool di avvocati internazionale. I giudici, però, non considerando sufficienti le prove a suo carico, lo hanno condannato soltanto a pene minori.
E così oggi, secondo quanto risulta all’Espresso, dopo meno di 9 mesi di detenzione, Djemo è già volato via dall’Italia. Ora vive in Lettonia protetto da una scorta privata: su di lui incombe la vendetta per la morte di nonno Assan.
A piede libero, in questo momento, si trova anche quello che l’Interpol considera uno degli astri nascenti della mafia georgiana: Besik Kuprashvili, detto Beso, 38 anni, finito in carcere per la prima volta in Puglia quando era un semplice “soldato”, liberato dopo pochi mesi e poi catturato ancora in Lombardia, stavolta nelle vesti di capo mafia. Condannato a 2 anni e 3 mesi dal Tribunale di Milano per il solo reato di furto, è stato rimpatriato a Tbilisi quasi subito. Qui, sottoposto a un nuovo processo, è stato dichiarato non colpevole per insufficienza di prove. Immediatamente scarcerato, oggi Beso è tornato a essere un fantasma.
Manovalanza da Tirana e Durazzo
A spartirsi con i georgiani il redditizio business dei furti, poi, ecco il ritorno dei padrini di Tirana. La mafia albanese – al momento è considerata la cupola straniera più potente e radicata in Italia – insieme al narcotraffico e alla tratta di esseri umani di recente è tornata ad occuparsi proprio dei reati predatori, soprattutto nel Centro Nord.
La manovalanza criminale viene fatta arrivare da Tirana, Durazzo e dalla piccola città di Milot, dove fanno base le cosche più attive in Italia. Onorano tre capisaldi: rispetto, lealtà e famiglia. Per questo il “kanun”, il codice della malavita albanese, prevede l’omicidio come forma di vendetta per la morte di un familiare. Non a caso, i ladri che fanno parte delle organizzazioni albanesi sono quasi sempre legati da vincoli di sangue. A Terni, è stata smantellata un’organizzazione composta esclusivamente da fratelli e cugini.
«Agiscono in piccoli gruppi, spesso slegati fra di loro — spiega all’Espresso il tenente colonnello della Direzione Investigativa Antimafia Marcello Manca. «Non di rado per via dei loro introiti attirano l’attenzione di famiglie più potenti, che cercano a loro volta di controllarli».
L’enorme disponibilità economica dei clan, del resto, permette alle batterie di ladri di sfoggiare equipaggiamenti all’avanguardia: nel Nord Italia gli investigatori dell’Arma hanno scoperto che prima di ogni colpo i professionisti del furto preparano il terreno attraverso “jammer”, disturbatori di frequenze che mandano in tilt gli allarmi e impediscono ai telefoni di ricevere o trasmettere onde radio. E poi non parlano mai ai cellulari, ma utilizzano potenti ricetrasmittenti.
Le intercettazioni telefoniche che li riguardano si contano sulle dita di una mano: fra queste ci sono quelle effettuate dalla Procura di Milano. «Abbiamo la fila di ragazzi che vogliono venire a rubare in Italia», diceva uno dei ladri intercettati su richiesta del pubblico ministero David Monti, «tanto ti fai 24 ore di galera e poi sei già fuori».
L’esercito delle Pink Panther
Il carcere non trattiene mai a lungo neppure le “pantere dei Balcani”, un’organizzazione transnazionale fondata nei primi anni Novanta da ex combattenti di origine serba e oggi composta da circa 200 affiliati.
Secondo le stime della polizia, negli ultimi 10 anni hanno fatturato oltre 360 milioni di euro. Parlano fluentemente diverse lingue, hanno passaporti di tutti i Paesi e non si sporcano mai le mani di sangue.
Per anni i Pink Panthers – soprannominati così in onore del celebre film di Blake Edwards – sono stati considerati soltanto una leggenda del crimine. Ma i loro colpi sono reali. Agiscono in maniera velocissima: blitz che durano dai 30 ai 60 secondi. Le loro specialità sono i furti nelle località di lusso.
Sono sospettati, per esempio, dello “storico” raid al Festival di Cannes dove furono rubati circa 100 milioni di euro di pietre preziose. Per individuare le prede usano spesso i social network: prendono di mira chi sfoggia in rete i propri gioielli, come la star di Instagram Kim Kardashian, rapinata a Parigi nella suite di un hotel forse proprio da alcuni membri della gang. Ai vertici della piramide c’è una primula rossa: Ivan Milovanovic, serbo di 43 anni. In Italia il gruppo criminale gode di coperture importanti: a Roma vive il loro luogotenente Mitar Marijanovic, 68 anni, arrestato nel marzo 2012 dopo aver svaligiato due gioiellerie nel centro storico della Capitale e finito di nuovo in manette poche settimane fa. Stavolta – con la complicità di due pregiudicati italiani – progettava una rapina in villa nella zona della Camilluccia. Secondo gli investigatori, questo indicherebbe che le “pantere” stanno diversificando i loro affari, tessendo legami con la malavita locale.
«Oggi», fanno sapere dal Servizio Centrale Operativo «l’esercito delle Pink Panthers si sta riorganizzando ed è più attivo che mai».
Da Nord a Sud, del resto, mentre tutti gli altri reati risultano in calo, i furti continuano a rimanere una nota dolente per il Viminale. Dati alla mano, nell’ultimo anno le denunce ammontano a quota un milione e 261mila. Quasi stazionarie rispetto a un anno fa. I furti in abitazione, in particolare, sono stati 194.880. In pratica, 534 episodi al giorno. E così l’Italia si conferma terreno di caccia per i re dei ladri.
(da “L’Espresso”)
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Agosto 31st, 2018 Riccardo Fucile
“DISTANTE COME POLITICA, PRINCIPI E VALORI”… “LA VERA EMERGENZA SONO LE MAFIE”
“Viktor Orbà¡n? È quanto di più lontano ci sia dalla mia testa, come politica, come principi e come valori”.
Lo ha detto il presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico, parlando con i giornalisti a margine di una visita in un bene confiscato alla camorra ad Afragola, in provincia di Napoli.
La terza carica dello Stato torna sulla polemica scaturita dopo l’incontro con il vicepremier leghista Matteo Salvini del premier ungherese avvenuta a Milano. Incontro contro il quale hanno manifestato diecimila cittadini contrari all’asse sovranista Salvini-Orbà¡n e alle loro politiche anti migranti. “Fermare l’immigrazione è possibile”, era stato il loro slogan.
L’incontro aveva scuscitato malumori nell’alleato 5 Stelle del Carroccio. “Orban è uno di coloro che non vogliono la redistribuzione dei migranti e mettono l’Italia in difficoltà “, aveva dichiarato a caldo il deputato grillino Andrea Colletti.
Prima del vertice del resto erano stati i capigruppo 5S del Parlamento a prendere le distanze.
“Il vertice tra Matteo Salvini e Viktor Orban va considerato come un incontro solo ed esclusivamente politico e non, dunque, istituzionale o governativo” avevano precisato il deputato Francesco D’Uva e il senatore Stefano Patuanelli.
“I Paesi che non aderiscono ai ricollocamenti e tutti quelli che nemmeno si degnano di rispondere alla richiesta d’aiuto dell’Italia – avevano aggiunto – per noi non dovrebbero più ricevere i fondi europei. E tra questi, al momento, c’è anche l’Ungheria”.
(da agenzie)
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Agosto 31st, 2018 Riccardo Fucile
ASSIDUO FREQUENTATORE DEL LOCALI DELLA MOVIDA HA SOTTOPOSTO UNA RAGAZZA DI PARMA A VIOLENZE BRUTALI PER 5 ORE
Federico Pesci è un uomo molto conosciuto a Parma. Proprietario di una catena di negozi di abbigliamento sulla via Emilia Est, assiduo frequentatore dei locali della movida, appassionato di motociclette e fidanzato.
Ora il suo nome si legge sui tutti giornali, legato alla cronaca: è accusato di aver sottoposto una 21enne a 5 ore di torture e violenze, con la complicità del nigeriano Wilson Ndu Anihem.
“Questa è una follia. Uno come me in galera?”, ha dichiarato alle telecamere mentre veniva arrestato dalla polizia con l’accusa di violenza sessuale e lesioni pluriaggravate. “Violenze inaudite”, le definiscono gli inquirenti, che hanno mostrato alla stampa una borsa contenente gli strumenti con cui la 21enne parmigiana è stata torturata.
Le ferite riportate su tutto il corpo le sono valse 45 giorni di prognosi. Il pronto soccorso di Parma ha dichiarato di non essersi mai trovato di fronte a una donna con delle lesioni di quel tipo: “Ha subito delle violenze brutali”.
Quella brutalità ora indigna e sconvolge i parmigiani, che conoscono Pesci, lo hanno riconosciuto sulle foto dei giornali e ora stanno inondando di insulti le bacheche dei suoi profili social.
Secondo quanto ricostruito il 18 luglio il 46enne parmigiano aveva contattato tramite alcuni messaggi la ragazza, invitandola ad uscire la sera.
La 21enne aveva accettato e dopo una serata in un locale i due si erano spostati nell’attico dell’uomo. Qui Pesci ha chiamato al telefono Anihem chiedendogli di portare della droga, ma una volta arrivato nell’abitazione del 46enne sono iniziate le prolungate violenze ai danni della giovane.
Mentre tutto questo avveniva Pesci continuava a contattare degli spacciatori di sua conoscenza che lo rifornivano di droga direttamente nell’abitazione.
Quando la 21enne è stata finalmente liberata, lo stesso 46enne, come nulla fosse successo, ha contattato un taxi per farla riaccompagnare a casa.
La ragazza, sotto choc, non ha inizialmente detto nulla a nessuno ma i genitori si sono accorti che era successo qualcosa dagli evidenti segni presenti sul suo corpo, dai dolori insopportabili e dalla impossibilità ad alimentarsi.
Trasportata al Pronto Soccorso, i medici le hanno dato una prognosi di 45 giorni ed è immediatamente partita la segnalazione alla Squadra Mobile. Gli agenti hanno così identificato i presunti responsabili e per loro è arrivato alla fine l’arresto.
Pesci è un commerciante piuttosto conosciuto a Parma, attivo nel mondo della moda e noto anche nei locali della movida cittadina.
Di “una vicenda agghiacciante, terribile”, ha parlato il sindaco di Parma Federico Pizzarotti.
“Difficile – ha scritto su Facebook – anche da leggere fino in fondo. Sia fatta giustizia senza se e senza ma. A nome di tutta la comunità parmigiana e della sua gente, ci stringiamo attorno alla ragazza che ha subìto forme di violenza indicibili. #Parma faccia scudo attorno a questa giovane donna e non la lasci mai sola. Ora c’è bisogno del sentimento forte e compatto di tutta la nostra piccola, grande comunità “.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 31st, 2018 Riccardo Fucile
UN 30 ENNE CINGALESE ERA STATO ARRESTATO CON L’ACCUSA DI AVER ABUSATO DI UNA RAGAZZINA SCAPPATA DA UNA COMUNITA’
Era finito in manette con l’accusa di violenza sessuale. Violenza che però, non aveva mai commesso.
Questa la disavventura capitata a un 30enne immigrato cingalese, arrestato lo scorso 29 agosto a Milano dopo che una 14enne scappata da una comunità l’aveva accusato di aver abusato di lei. A ricostruire la vicenda è il Corriere della Sera:
“Scappata per la ventesima volta da una comunità , la ragazza racconta alla madre adottiva di essere stata abusata da uno di tre giovani conosciuti sul bus. Quando però gli atti arrivano in Procura, il pm Francesco Cajani in tre ore dispone che la Squadra mobile svolga l’audizione protetta della ragazza”
È qui, dopo un lungo colloquio la psicologa, che viene fuori la verità :
“Emerge che davvero la ragazza, che sembra molto più grande (come subito detto dal cingalese), gli si era descritta 18enne; che insieme avevano bevuto solo una birra a testa, e che lui non sapeva degli psicofarmaci di lei (quindi nessuno sfruttamento di stati di inferiorità ); che dopo il rapporto lei aveva chiesto a lui il numero di telefono per risentirsi, e lui gliel’aveva dato; e, soprattutto, che a irritarla era poi stato che lui, diversamente da quanto dettole, aveva moglie.
«Risulta evidente» – scrive allora il pm – che l’arresto «è avvenuto fuori dai casi previsti dalla legge».
E così, al posto ella convalida dell’arresto, il pm Francesco Cajani ha ordinato la scarcerazione dell’uomo.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 17th, 2018 Riccardo Fucile
UN ARRIVEDERCI A PRESTO ALLE MIGLIAIA DI AMICI CHE CI SEGUONO E CHE HANNO FATTO DI QUESTO BLOG INDIPENDENTE UNO DEI PIU’ SEGUITI NEL SUO SETTORE
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