Settembre 11th, 2018 Riccardo Fucile
OLTRE ALLA VERGOGNA DI PREMIARE GLI EVASORI FISCALI PERMETTENDO LORO DI SANARE IL DOVUTO PAGANDO IL 10%, IL CONDONO TOMBALE NON PORTERA’ PIU’ DI 3 MILIARDI”
Non più di 51 miliardi. Altro che i 650 miliardi di cui parlava il programma elettorale della Lega, quindi il contratto di governo, infine Armando Siri in un’intervista a Repubblica dello scorso 10 giugno.
A tanto, e non di più, ammontano i crediti potenzialmente riscuotibili dello Stato con qualche forma di “pace fiscale” secondo Carlo Cottarelli.
L’Osservatorio sui conti pubblici italiani, che attualmente Cottarelli dirige presso la Cattolica di Milano, ha in un rapporto – che verrà pubblicato oggi sul sito dell’Osservatorio – pazientemente rielaborato e riordinato la giostra di numeri che diversi esponenti del governo (tranne il ministro dell’Economia Giovanni Tria che continua ad opporsi a qualsiasi tipo di condono o simili) continuano invece a presentare all’opinione pubblica.
E’ in particolare la Lega ad insistere. La cifra dei 650 miliardi sbandierata dallo stesso Salvini nel suo programma elettorale e successivamente ripetuta in più di un’occasione, trarrebbe origine da una relazione in commissione Finanze della Camera del 9 febbraio 2016 dell’amministrazione delegato di Equitalia, Ernesto Maria Ruffini, che per la verità aveva parlato di 1058 miliardi.
Salvini ha ritenuto appropriato escludere i crediti dei soggetti nullatenenti per 314 miliardi, ma non è chiaro come sia arrivato a 650. Se infatti non andassero considerati neanche i soggetti falliti, i crediti per cui la riscossione è sospesa per forme di autotutela, le persone decedute e le imprese cessate, si scenderebbe a 500 miliardi e non 650.
Siri nel suo libro “Flat Tax, la rivoluzione fiscale in Italia è possibile” a pagina 150 riporta la cifra di 575 miliardi di crediti inesigibili, anche qui diversa dai 650 del suo segretario. Insomma, grande è la confusione sotto il cielo della Lega, e il rapporto dell’Osservatorio cerca di mettere ordine. Vediamo come.
Partendo dai numeri della relazione Ruffini (che si riferisce a dati di fine 2015) qual è l’importo dei crediti che potrebbero effettivamente essere riscuotibili?
Dei 1.058 miliardi, 217 sono stati annullati degli stessi enti creditori, perciò non sono più dovuti dai contribuenti.
E così l’ammontare dei crediti effettivi (il cosiddetto carico netto) era di 842 miliardi di euro a fine 2015.
Sempre secondo la relazione Ruffini, occorre poi escludere i soggetti deceduti e le ditte cessate (78,5 miliardi), i falliti (138 miliardi) e i 92 miliardi dei soggetti nullatenenti secondo l’Anagrafe tributaria.
Si arriva quindi a un carico effettivo in riscossione pari a 506 miliardi di euro. Ma non è finita: occorre sottrarre ancora 314 miliardi di crediti verso i quali sono già state implementate azioni di riscossione che non hanno avuto esito positivo, poi 34 miliardi non incassabili perchè coperti da varie misure volte a sostenere i debitori in difficoltà economica (ad esempio se si ha un debito inferiore ai 120mila euro, l’Agente di riscossione non si può rivalere sui beni immobili anche diversi dalla prima casa), quindi 25 miliardi di pagamenti che comunque sono già stati rateizzati nonchè 81 miliardi che sono già stati riscossi anche se non ancora contabilizzati.
Quindi, al netto di tutti questi fattori, i crediti veramente recuperabili ammontano, secondo Cottarelli, a 51 miliardi di euro. La cifra di quanto sarebbe riscuotibile è quindi meno di un decimo di quanto ipotizzato nel documento della Lega.
Un margine di incertezza, ammette il rapporto (materialmente redatto da Piergiorgio Carapella, uno dei ricercatori che lavorano con Cottarelli), potrebbe esistere per i 314 miliardi per cui si sono tentate riscossioni senza successo e si potrebbe pensare che, con uno sconto particolarmente forte, contribuenti recalcitranti potrebbero accettare di pagare una parte di quanto dovuto.
Visti però gli inutili tentativi di precedente riscossione, sarebbe ipotizzabile ricavare qualcosa da questa voci solo attraverso uno sconto davvero senza precedenti.
Il rapporto prende in considerazione anche una serie di dati più aggiornati di quelli considerati nel programma della Lega, ma non se ne esce: l’importo “aggredibile” non supera comunque i 50 miliardi, anzi ancora meno: quest’importo va ridotto per quanto incassato tramite dalla rottamazione delle cartelle esattoriali avviata dal governo Renzi, quella che prevede il saldo del debito fiscale con l’eliminazione degli interessi di mora e delle sanzioni: con tali provvedimenti si prevede di ottenere ulteriori 7,5 miliardi, che salirebbero a 10 tenendo conto dello stralcio degli interessi e delle sanzioni dall’ammontare totale dei crediti. È però aumentato (da 314 a 348 miliardi) il totale dei crediti per cui si sono tentate azioni di riscossioni, credito per cui esiste comunque un margine di incertezza.
In tutti i paesi avanzati, conclude lo studio, l’amministrazione fiscale può offrire sconti di pagamento dei tributi dovuti quando il contribuente non è in grado far fronte al debito. “Ma provvedimenti generalizzati – scrive il report – finiscono per premiare anche chi non vuole pagare, creando un incentivo a ritardare i pagamenti dovuti anche per il futuro. Questo incentivo è tanto maggiore tanto più generoso è lo sconto offerto a chi non ha pagato. E lo sconto offerto in questo caso è certamente generoso: il contribuente, stando ai progetti circolati, potrebbe pagare fino a solo il 6 per cento di quanto dovuto e anche la percentuale massima applicabile (25 per cento) sarebbe molto modesta, pari a quella di uno dei condoni più generosi applicati in passato, quello introdotto con la legge finanziaria del 2002. Con percentuali così basse nella maggior parte dei casi si condonerebbero non solo interessi e penalità ma anche una buona parte di quanto dovuto originariamente”.
(da “La Repubblica“)
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Settembre 11th, 2018 Riccardo Fucile
UN PARERE LEGALE PER FORZARE LA MANO E RIVOTARE FOA… IL NODO BERLUSCONI E L’INSOFFERENZA DEL M5S
Si riparte, sulla Rai, da dove ci si era fermati. Con un nuovo tentativo (o meglio: una forzatura) su
Marcello Foa. Per “stanare” Berlusconi.
Sarebbe possibile, almeno giuridicamente riproporlo, nonostante il voto di inizio agosto in cui il presidente in pectore è stato bocciato dalla Vigilanza. Questa è la notizia. Ci sarebbero cioè i presupposti “legali” per la manovra politica.
Ne hanno già parlato Salvini e Di Maio, trovando una convergenza di fatto.
Il primo, con l’intento di mettere sotto pressione Silvio Berlusconi, i cui voti continuano a essere determinanti in Vigilanza. Il secondo con l’intento di chiudere una vicenda che rischia di produrre un danno di immagine: “Salvini — dice una fonte pentastellata vicina al dossier — è convinto di incassare il sì di Berlusconi. Facciamo questo tentativo, poi basta, perchè non possiamo rimanere appesi a Salvini, a sua volta appeso a Berlusconi, col servizio pubblico paralizzato e le nomine dei Tg in aria”.
Il problema finora è stato la fattibilità “normativa” dell’operazione su cui pendono già una valanga di esposti del Pd.
La novità è il parere della direzione affari legali e societari della Rai, arrivato nelle stanze che contano del governo. Viale Mazzini ufficialmente smentisce ciò che ad Huffpost confermano più fonti. Del resto sarebbe sorprendente che il parere non fosse stato chiesto considerate le implicazioni legali che il caso ha.
È questo: se la commissione di Vigilanza, per dirimere la questione, chiedesse al consiglio di amministrazione un parere sulla votazione del presidente “senza limitazione su tutti i membri del cda, ad esclusione dell’ad” a quel punto il cda dovrebbe indicare un nome. E quindi Foa. Votato per la seconda volta nel consiglio di amministrazione tornerebbe, di nuovo, in Vigilanza.
Ecco i presupposti della forzatura, in vista della riunione della commissione prevista per giovedì.
Non ci vuole Cassandra per prevedere un inferno di polemiche e di ricorsi in tribunale da parte del Pd. Spieghiamo meglio cosa accadrà giovedì: la maggioranza (questo è lo schema di gioco) scriverà una lettera al cda in cui chiede, per uscire dall’impasse di una azienda senza presidente da oltre un mese, di indicare un nome tra i membri del cda. Teoricamente potrebbe indicare come presidente anche un altro consigliere. Teoricamente, perchè è evidente che l’intera manovra è orchestrata per tenere viva la candidatura di Foa, perchè giuridicamente c’è già un parere che lo rende possibile.
Si materializzerebbe lo scenario di un secondo voto della commissione sul consigliere “nominato” dal governo, l’unico non votato nè dal Parlamento nè dai dipendenti Rai, come nel caso degli altri. Un atto ad altissimo impatto politico.
Siamo nel campo degli appigli interpretativi per giustificare una forzatura che comunque non mette il consiglio di amministrazione al riparo da contenziosi futuri, in sede civile e contabile. Sia come sia, lo scenario è questo.
E consente appunto, come in un gioco dell’oca, di tornare al punto di partenza, dove ci siamo lasciati a inizio di agosto. Perchè poi c’è sempre il nodo Berlusconi, i cui voti sono determinanti nel successivo passaggio in commissione di Vigilanza. Il leader della Lega è convinto che, alla fine, il Cavaliere piegherà le resistenze dei suoi, come gli aveva garantito nell’ultimo colloquio di inizio agosto.
Incontro che, al momento, non è in agenda. È possibile che i due si sentiranno nelle prossime ore, per un primo colloquio e per fissare la data dell’incontro.
Perchè è chiaro che il Cavaliere, a questo punto, vuole un confronto complessivo con l’alleato, diciamo così, di “metodo” che non riguarda solo la questione della Rai, ma le modalità e le forse di un percorso comune, il “se” e il “come”. La sensazione è che i rapporti con Arcore si siano complicati negli ultimi giorni, complice l’insofferenza della aziende del Biscione in relazione al voto di domani a Strasburgo sulla direttiva a favore del copyright.
Se i voti della Lega risultassero decisivi per la bocciatura, le conseguenze sarebbero molto rilevanti per le aziende televisive. E sarebbe complicato spiegare e digerire il fatto che un “alleato politico” ha causato un danno economico perchè, in materia, la pensa come i Cinque Stelle. Forse.
Perchè è altrettanto vero che, nel fantastico mondo del conflitto di interesse berlusconiano, anche il dossier Rai ha una sua importanza autonoma considerato lo stato di salute di Mediaset.
E non sarebbe la prima volta che Berlusconi porge l’altra guancia nell’ottica della limitazione del danno. In fondo la forzatura era disposto ad accettarla anche un mese fa. Ed è proprio quello che temono in parecchi, a partire da Gianni Letta. Non a caso gli hanno suggerito di incontrare il leader della Lega assieme a Tajani per imbastire una trattativa vera e non una resa incondizionata.
(da “Huffingtonpost“)
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Settembre 11th, 2018 Riccardo Fucile
“CONCENTRAZIONI TRE VOLTE SUPERIORI AI LIMITI DI LEGGE, I NOSTRI FIGLI A SCUOLA NON LI MANDIAMO”
Quantità di radon molto oltre i limiti consentiti in tre scuole del quartiere Tamburi di Taranto, già martoriato dall’inquinamento causato dall’Ilva, e scoppia la protesta delle mamme, che prima hanno manifestato davanti all’istituto e poi nell’atrio del Comune, contestando a viva voce il sindaco Rinaldo Melucci. Il radon è un gas che, in elevate concentrazioni e dopo lunghe esposizioni, può diventare cancerogeno.
Il monitoraggio è stato effettuato dall’Arpa, in applicazione della specifica legge regionale del 2016, in contemporanea ad altri istituti della città ionica. I risultati, però, ai Tamburi sono stati peggiori che in altri quartieri: da 800 a 1.000 becquerel per metro cubo nell’istituto Vico – De Carolis, laddove il limite previsto dalla legge è 300 Bq/m3. Tale dato ha allarmato le famiglie degli alunni, soprattutto in considerazione del fatto che nei plessi De Carolis, Vico e Deledda otto aule sono state chiuse e che l’inizio della scuola è previsto tra cinque giorni.
“Ci è stato riferito che anche in altre diciotto aule sono state riscontrate concentrazioni di radon superiore alla norma – ha detto Marco Di Pinto, padre di due scolari di 11 e 4 anni – Vogliamo capire se ci sono rischi per i nostri figli e anche a che cosa sono stati esposti finora. Dobbiamo sapere se dobbiamo effettuare delle analisi o se in massa dobbiamo chiedere il trasferimento in altre scuole”.
Per l’Arpa i risultati sono chiari: “I limiti sono stati superati – ha spiegato il dirigente Luigi Vitucci – abbiamo segnalato gli esiti del monitoraggio al Comune, che è proprietario degli immobili, e ora tocca a loro intervenire per risanare l’ambiente”. I dati utili per capire il problema e risolverlo – come è stato chiarito dall’Arpa – sono stati messi a disposizione dell’amministrazione nel luglio scorso. A distanza di due mesi, però, gli interventi nelle aule non sono ancora stati effettuati. E questo ha scatenato la rabbia di una cinquantina di famiglie dei Tamburi, che si sono date appuntamento davanti al De Carolis e poi hanno raggiunto il palazzo comunale.
Il primo cittadino Rinaldo Melucci era impegnato in una riunione con la commissaria per le bonifiche dell’Ilva, Vera Corbelli, e, quando è sceso nell’atrio, è stato contestato. Per l’amministratore si tratta di un’aggressione bella e buona, per i cittadini che lo aspettavano di una contestazione legata alla mancata informazione sul problema radon.
La questione sarà affrontata nella mattinata di mercoledì 12 settembre, nel corso di una riunione a cui parteciperà una delegazione di genitori, il dirigente scolastico del Vico-De Carolis, rappresentanti dell’Arpa, dell’Asl e il sindaco Melucci, “per valutare al meglio l’esistenza o meno di un’emergenza e gli accorgimenti da adottare”. “A latere del tavolo tecnico – fa sapere l’amministrazione comunale – ci si riserva di verificare la sussistenza di reati a carico di soggetti che con frequenza e modalità sospette mirano a turbare la comunità prescindendo da qualsiasi considerazione scientifica”.
La gente dei Tamburi, del resto, è stremata da anni di inutile lotta contro l’inquinamento provocato dall’Ilva e spaventata dall’accordo per la cessione ad Arcelor Mittal firmato il 6 settembre.
Anche per questo la rabbia scoppia con facilità . Nonostante in questo caso, l’acciaieria non sia apparentemente responsabile degli sforamenti di materiale radioattivo.
“Non bisogna fare allarmismo – ha spiegato ancora Vitucci – il radon è un materiale naturalmente presente nel terreno e, proprio per questo, la Regione Puglia ha avviato un monitoraggio sull’intero territorio”.
Per mettere in sicurezza le scuole, in realtà , bastano pochi interventi di isolamento della pavimentazione e aereazione. Ma i genitori vorrebbero notizie certe su quando saranno effettuati. “Altrimenti non manderemo i bambini a scuola” hanno detto all’unisono molte mamme.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 11th, 2018 Riccardo Fucile
SI GUADAGNA DI PIU’ IN LOMBARDIA, TRENTITO ED EMILIA
Difficile dire con precisione quanto guadagna un dipendente italiano. 
Naturalmente rispondere a questa domanda non è semplice dal momento che lo stipendio dipende dal tipo di professione che si ricopre.
Per farsi un’idea delle retribuzioni basta guardare il Jp Salary Outlook 2018, realizzato dall’Osservatorio JobPricing, tramite i dati forniti dalla società di consulenza HR Pros.
Come rilevato dal report, nel 2017 lo stipendio medio di un dipendente in Italia è stato pari a 29.380 euro lordi, che al netto corrispondono a circa 1.580 euro mensili.
Un dato che preoccupa poichè mette in risalto una lenta crescita delle retribuzioni nel nostro Paese, visto che nel 2015 il livello medio si era assestato a 1.560 euro.
Un altro problema da risolvere riguarda la differenza che c’è tra lo stipendio dei dipendenti del Nord e del Sud Italia; chi è occupato nel Settentrione, infatti, guadagna il 7,1% in più di chi lo fa nelle zone centrali del Paese e il 17,3% in più degli occupati al Sud o nelle Isole.à
A tal proposito, però, bisogna sottolineare che anche il costo della vita decresce scendendo nello Stivale.
Nel dettaglio, tra le Regioni dove i dipendenti guadagnano di più troviamo la Lombardia (31.718 euro lordi) seguita da Trentino Alto Adige (30.908 euro) ed Emilia Romagna (30.523 euro); viceversa agli ultimi tre posti abbiamo rispettivamente il Molise (25.197€), la Basilicata (24.883€) e la Calabria (24.453€). Come è ovvio ci sono dei lavori dove si guadagna di più e altri dove invece la retribuzione è più bassa; secondo il report realizzato da JobPricing, ad esempio, la RAL media più alta a livello settoriale è quella relativa al mondo della finanza (41.000 euro), mentre con 23.778 euro lordi chiude la classifica il settore agricolo.
(da agenzie)
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Settembre 11th, 2018 Riccardo Fucile
LE ALTERNATIVE DEI RENZIANI: RINVIARE IL CONGRESSO, TROVARE UN CANDIDATO ALTERNATIVO A ZINGARETTI (DELRIO SE ACCETTA), SOSTENERE ZINGARETTI
Goffredo De Marchis su Repubblica oggi racconta che Matteo Renzi si sta preparando per il
congresso del Partito Democratico con una due giorni a Salsomaggiore per anticipare la Leopolda e con un’idea: quella di ricandidarsi alla guida del PD.
«Io non volevo solo partecipare alle feste, volevo avere il potere di farle fallire», dice Jep Gambardella.
In realtà il primo obiettivo della corrente somiglia alla filosofia del protagonista della Grande Bellezza, anche fa parte del gioco politico. Evitare il congresso. Niente primarie, niente conta. Rimane segretario Maurizio Martina, poi si vede.
Così vengono salvati gli equilibri attuali. Ma è un’impresa quasi impossibile.
La macchina è partita, nessuno capirebbe una marcia indietro.
Per colpire il bersaglio comunque occorre far sentire il proprio peso, la propria forza. Prima che venga svuotata dagli avversari. Senza candidato o, peggio ancora, con tanti potenziali candidati buttati lì nella mischia quotidiana, i renziani rischiano di diventare un esercito in rotta. Perciò serve un segnale.
Non si poteva aspettare l’appuntamento della Leopolda, che per tradizione è aperto, non di partito.
Renzi aveva detto la settimana scorsa a Barbara Palombelli di non avere intenzione di ricandidarsi, anche se aveva anche precisato di non aver ancora deciso se votare Zingaretti.
Secondo Repubblica invece l’ex segretario avrebbe una serie di piani alternativi: il primo, appunto, è quello di rimandare il congresso. Il secondo è trovare un candidato alternativo a Zingaretti: il nome forte, al netto dei test volanti su altri candidati (Matteo Richetti, Teresa Bellanova, Anna Ascani, Ettore Rosato), rimane Graziano Delrio, sempre che accetti.
Ma resta in piedi la scelta clamorosa, sorprendente e sicuramente più gradita al popolo renziano: la candidatura di “Matteo”.
Per quello Renzi nelle feste continua a non dire chiaramente che lui starà un passo di lato: «Non importa quello che faccio» ma anche «pensavano di essersi liberati di me, si sbagliavano».
Terza ed estrema alternativa: sostenere Zingaretti. Stringere un patto con le altre correnti, fare una propria lista di appoggio e spingere il governatore del Lazio. S
empre che lui accetti, sempre che ci siano le condizioni per una piroetta tanto azzardata.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 11th, 2018 Riccardo Fucile
IL DECRETO GENOVA E IL TENTATIVO DI AGGIRARE LA NORMATIVA VIGENTE… E NEL DECRETO NESSUN TRACCIA DI NAZIONALIZZAZIONE DI AUTOSTRADE
Il via libera per affidare direttamente la ricostruzione del ponte di Genova a Fincantieri è
all’esame della commissione europea. E i primi dubbi iniziano ad emergere.
In sostanza si sta valutando se l’affidamento a Fincantieri (controllata al 71,6% da Fintecna, finanziaria del ministero dell’Economia) possa costituire un aiuto di Stato.
Per questo i contatti tra Roma e Bruxelles sono frenetici. Una delegazione tecnica del ministero dei Trasporti ha incontrato lo staff politico (i gabinetti) dei tre responsabili europei di concorrenza, trasporti e mercato interno.
Poco prima a Bruxelles c’è stato un primo incontro per verificare proprio se sia possibile derogare al Codice degli Appalti, come vorrebbe fare il governo, e assegnare immediatamente senza gara la ricostruzione del ponte Morandi a un soggetto pubblico come Fincantieri.
La direttiva Ue sugli appalti pubblici del 2014 prevede ‘in situazioni eccezionali’ la possibilità di aggiudicare appalti con procedura negoziata senza previa pubblicazione, bisogna dunque vedere se il crollo del ponte di Genova sia compatibile con questo punto poichè la legislazione europea sugli appalti pubblici in linea generale prescrive invece gare aperte per evitare qualsiasi discriminazione.
In mattinata, non a caso, il ministro Toninelli aveva lanciato un avvertimento: “Nessuno oggi può ritenere non eccezionale un caso abnorme come il crollo del ponte di Genova”. Resta però il problema che Fincantieri è controllata da Fintecna, finanziaria del ministero dell’Economia.
Al momento si tratta ancora ma il ministero dei Trasporti sta già studiando anche una strada alternativa per aggirare i dubbi della commissione. Si pensa a una procedura ristretta a tre, quattro o cinque soggetti, viene spiegato.
Tutto però dipenderà da come sarà scritta la norma nel ‘decretone’ che sarà presentato venerdì durante il consiglio dei ministri, ovvero se e quali società , oltre Fincantieri, saranno in possesso dei criteri richiesti.
Autostrade italiane dovrà pagare la ricostruzione e sarà il soggetto appaltatore, poichè le concessioni non saranno revocate a stretto giro e neanche della nazionalizzazione ci sarà traccia nel decreto di venerdì.
Attorno a questo punto si è consumato lo scontro tra M5s da una parte e Lega e il governatore Giovanni Toti dall’altra. Gli annunci fatti dai grillini sull’onda dell’emotività hanno trovato la frenata del Carroccio.
Alla fine si andrà avanti sulla strada procedura di caducazione o decadenza della convenzione, ma ci vorranno diversi mesi. Nessuna revoca immediata e come ha detto oggi il sindaco Bucci: “Il mio unico obiettivo è ricostruire il ponte in fretta e con la maggiore qualità possibile”.
Dello stesso avviso il governatore Giovanni Toti: “Se battaglie nazionali dovessero ritardare di un’ora la costruzione del ponte, ci troverebbero ferocemente contrari perchè prima va ridato il ponte ai genovesi, poi si può discutere di concessioni e di altre cose”. E nel frattempo Autostrade resterà il soggetto appaltatore.
Nel provvedimento saranno invece inseriti aiuti per il pagamento dei mutui a famiglie e imprese, attraverso le agevolazioni fiscali. E la nomina del commissario straordinario per la ricostruzione.
Nei prossimi giorni il ministro convocherà tutti i concessionari delle infrastrutture, chiedendo un programma dettagliato degli interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione, con specifica quantificazione delle risorse destinate a realizzare un programma di riammodernamento delle infrastrutture.
La commissione d’inchiesta sul crollo del ponte consegnerà invece i risultati “tra il 15 e il 18 di settembre”. Nel frattempo però i lavori per la ricostruzione del ponte saranno affidati con il decreto di venerdì e molto dipenderà dalla trattativa con Bruxelles.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 11th, 2018 Riccardo Fucile
CRESCONO I MALPANCISTI NEL M5S. NON TUTTI SONO PRONI A UNA POLITICA RAZZISTA
Un segnale dell’insofferenza dl alcuni settori M5s al razzismo e all’arroganza di Salvini anche se, per opportunità interna, tutto viene riportato all’interno della linea del governo
”Attaccare i giudici è una prassi da Prima Repubblica, va rispettata l’autonomia della magistratura e il ministro Bonafede è stato chiaro su questo punto. Io posso capire la frustrazione di Salvini per aver ereditato una condizione di cui lui non ha diretta responsabilità , ma è giusto rispettare le sentenze e restituire il maltolto al popolo italiano”
Lo ha detto il senatore M5S Gianluca Ferrara, intervistato dal Mattino sul rapporto con la Lega.
ispondendo ad una domanda sugli attacchi a Fico per la sua presenza alla Festa dell’Unità , osserva che “il presidente della Camera è libero di andare dove vuole e dire ciò che reputa opportuno, non deve chiedere il permesso al ministro degli Interni”.
Sull’immigrazione, rimarca che “coloro che scappano da guerre o persecuzioni hanno il sacrosanto diritto di essere accolti in maniera dignitosa in tutta Europa”, risponde.
E quanto agli F-35, osserva che “bloccare il progetto” è “una battaglia storica del M5s a cui non rinunceremo. Non esistono obblighi o penali se non acquistiamo tutti e 90 aerei, noti per il costo elevatissimo (180 milioni cadauno considerando il retrofit) e l’inefficienza” e “non acquistarli è un segnale di cambiamento”. Infine, sulle politiche economiche sottolinea: “Per noi il Sud è prioritario e il reddito di cittadinanza sarà un grande ausilio. Per il resto il nostro faro è la Carta Costituzionale”.
(da agenzie)
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Settembre 11th, 2018 Riccardo Fucile
LE BALLE DI DI MAIO SULLA NORMATIVA NEGLI ALTRI PAESI EUROPEI… IN REALTA’ L’ITALIA E’ UNO DEI PAESI DOVE SI LAVORA DI MENO DI DOMENICA
«I posti di lavoro a rischio per l’intero settore sarebbero tra i 30 e i 40mila»: Claudio Gradara,
presidente di Federdistribuzione, in un’intervista rilasciata oggi al Corriere della Sera rilascia una prima stima sulle possibili conseguenze dello stop alle aperture domenicali annunciato dal MoVimento 5 Stelle al governo.
Gradara spiega che la liberalizzazione aveva fatto segnare un aumento dell’1% per i prodotti alimentari e del 2% per i non alimentari e che oggi i grandi gruppi cominciano a frenare sugli investimenti in Italia in attesa di scoprire che forma avrà il provvedimento legislativo annunciato dai grillini.
Che parte da promesse mirabolanti, visto che sostiene che impedirà il lavoro domenicale anche alle piattaforme di e-commerce su internet, ma non si capisce in che modo questo possa valere dal punto di vista legislativo per aziende come Amazon.
Ad oggi, secondo l’elaborazione dell’Ufficio Studi della CGIA su dati Eurostat e Istat, sono 4,7 milioni gli occupati che lavorano nei festivi; di questi, 3,4 milioni sono dipendenti.
Com’era prevedibile, i lavoratori che lavorano di più la domenica sono quelli di alberghi e ristoranti e del commercio. Il lavoro domenicale è stato normato dal governo Monti nel 2011, con il decreto Salva Italia: i provvedimenti sul settore abolivano ogni vincolo su orari e giorni di apertura dei negozi, nel solco della promozione della concorrenza.
Quella liberalizzazione — ha detto ieri il vicepremier Luigi Di Maio — sta distruggendo le famiglie italiane. Bisogna ricominciare a disciplinare orari di apertura e chiusura”. Sulla nuova norma per adesso non c’è intesa all’interno della maggioranza: il vicepremier ha annunciato un deciso stop alle aperture festive e domenicali. La Lega vorrebbe limitare le aperture a 4 domeniche a dicembre, più altre 4 nel resto dell’anno. Il M5S pone invece il tetto a 12 domeniche in un anno.
Il presidente di Confimprese Mario Resca invece segnala addirittura 400mila posti a rischio, mentre Enrico Postacchini di Confcommercio si dice pronto a discutere le limitazioni con il governo, a dimostrazione del fatto che le associazioni datoriali non sono unanimi sul provvedimento.
Anche le coop del consumo sono possibiliste sullo stop al lavoro domenicale, mentre Francesco Pugliese,amministratore delegato dei supermercati Conad, è già sulle barricate: «La Gdo, la grande distribuzione organizzata, ha circa 450.000 dipendenti — dice — La domenica è il secondo maggior giorno di vendite e incide per il 10% dei ricavi. Se si riduce l’orario di apertura dei supermercati — senza contare gli altri negozi — sarà inevitabile ridurre la forza lavoro, probabilmente nella misura di 40/50mila posti».
Per quanto riguarda il confronto con il resto d’Europa, i paesi in UE a non avere restrizioni sugli orari di apertura sono 16 su 28.
In Germania la legge sui negozi prevede che rimangano chiusi la domenica, nei festivi e dalle 20 alle 6 di mattina. Ci sono eccezioni per gli esercizi nelle stazioni e per i chioschi notturni e sono previste aperture straordinarie durante le manifestazioni locali; i dipendenti non possono lavorare mai più di otto ore, possono rifiutarsi di lavorare la domenica e hanno diritto a un giorno di recupero.
In Francia l’allora ministro di Hollande Emmanuel Macron stabilì numerose deroghe al generale divieto di lavoro domenicale, sono state istituite Zone Turistiche Internazionali (18 solo a Parigi) e delle Zone Commerciali (la grande distribuzione in periferia) dove le attività possono restare aperte.
In Spagna le regole sono cambiate nel 2012, quando i negozi sono stati autorizzati a restare aperti 90 ore a settimana e a lavorare almeno dieci giorni festivi l’anno.
Il Regno Unito invece è la capitale del free shopping senza limiti di orario.
Dati alla mano intanto segnala che l’Italia è uno dei paesi in cui si lavora di meno di domenica rispetto al resto d’Europa
(da agenzie)
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Settembre 11th, 2018 Riccardo Fucile
GLI STUDI CONFERMANO CHE LA CHIUSURA PORTERA’ ALLA PERDITA DI POSTI DI LAVORO E A MINORI ACQUISTI… I DIRITTI DEI LAVORATORI SONO GIA’ TUTELATI DALLA NORMA VIGENTE
Nella mente superfissa dei penta grillini tener chiusi i negozi la domenica e durante i festivi può migliorare le condizioni dei lavoratori e, magari, offrire un po’ di sostegno agli esercizi commerciali più piccoli, che faticano di più a reggere la concorrenza dei perfidi centri commerciali.
Si tratta di una fallacia logica, che potrebbe avere effetti recessivi non da poco in un paese già caratterizzato da scarsa crescita economica e ridotti livelli occupazionali. Come ricordato dall’ Istituto Bruno Leoni «L’evidenza economica a oggi disponibile presenta la possibilità di aprire la domenica come: positiva per l’efficienza delle imprese, positiva per le prospettive occupazionali e positiva per i servizi resi ai consumatori» .
L’inganno della spesa che si sposta
Il primo e più rilevante inganno riguarda l’invarianza del fatturato rispetto alle chiusure nei festivi: se i negozi sono chiusi alla domenica, i consumatori effettueranno i propri acquisti durante gli altri giorni della settimana.
Questo assunto potrebbe al limite valere per alcuni beni di prima necessità , ma è certamente falso per tutti i consumi non indispensabili, che si realizzano solo perchè le aperture nei festivi li rendono possibili: il pane e la pasta, se non puoi comprarli alla domenica fai in modo di acquistarli in settimana, lo shopping estemporaneo e il pasto nel food court del centro commerciale sono opportunità di consumo che la chiusura forzata con molta probabilità farà sparire danneggiando sia gli acquirenti che i venditori.
Tra le evidenze riscontrate da Christos Genakos e Svetoslav Danchev nello studio “ Evaluating the Impact of Sunday Trading Deregulation” CEP Discussion Paper No 1336 del marzo 2015, si registra una crescita del fatturato a seguito della deregolamentazione degli orari di apertura.
Sebbene l’aumento delle ore lavorate comporti anche un aumento dei costi variabili, gli autori evidenziano come d’altro canto i costi fissi possano essere ammortizzati su un fatturato maggiore e come in generale, la possibilità di testare la convenienza delle aperture nei festivi costituisca una opportunità positiva per le imprese.
Dunque è falso che sia indifferente o inutile tenere aperti i negozi alla domenica, come peraltro la logica elementare suggerirebbe, visto che operatori privati e razionali ad oggi trovano conveniente svolgere quest’attività .
Se viene meno l’ipotesi di traslazione della spesa verso i giorni lavorativi, cade anche l’idea che il sacrificio dei lavoratori nei festivi sia ingiusto e ingiustificato e che, dunque, le chiusure domenicali possano essere considerate una misura di tutela del diritto al riposo di questi ultimi.
In realtà , tale diritto viene difeso garantendo ai lavoratori il rispetto delle condizioni contrattuali che prevedono già i turni, i giorni di riposo e gli incrementi di retribuzione per il lavoro in giorni festivi, oltre al diritto a rifiutare di lavorare in tali giorni per categorie e condizioni specifiche, come genitori di bambini molto piccoli
I risvolti per l’occupazione
Un altro elemento che sembra sfuggire alla logica superfissa dei nostri apprendisti stregoni della politica economica riguarda i risvolti occupazionali: ridurre gli orari di apertura comporterà inevitabilmente un fabbisogno minore di lavoro, dunque la nobile intenzione di garantire il meritato a riposo a chi ha già un lavoro, avrebbe la non trascurabile conseguenza di precludere delle opportunità a chi invece non ha un lavoro stabile.
Secondo l’ultima rilevazione Istat disponibile sui trend di composizione dei lavoratori dipendenti tra permanenti vs a termine, si può osserviamo una chiara tendenza verso l’aumento della seconda categoria che, assieme ai lavoratori indipendenti, risulta più esposta ai rischi derivanti da una contrazione della domanda di lavoro, come quella che verrebbe originata dalla limitazione alle aperture durante i giorni festivi.
Per avere un’idea di quali sono le grandezze in gioco possiamo fare riferimento alle elaborazioni CGIA (dati Eurostat e Istat), secondo le quali gli occupati che lavorano nei festivi sono 4.7 milioni di cui 3,4 come dipendenti.
Inoltre, volendo inquadrare la situazione occupazionale complessiva del nostro paese, possiamo osservare come l’Italia registri un tasso di occupazione del 58.2%, di 10 punti inferiore alla media dei paesi OECD tra i quali si colloca al terz’ultimo posto, seguita solo da Grecia e Turchia
Volendo riassumere, considerando che i trend più recenti vedono una crescita della componente dei lavoratori dipendenti a termine rispetto a quelli permanenti, l’idea di ridurre la domanda di lavoro inserendo limitazioni alle aperture degli esercizi commerciali durante i festivi avrebbe con ogni probabilità effetti negativi sull’occupazione, penalizzando peraltro le categorie di lavoratori più deboli.
Sui costi della demagogia
Provando a trarre qualche conclusione, si può dire che
– la tutela del riposo dei lavoratori sia una foglia di fico volta a mascherare l’intento di penalizzare gli operatori più grandi e competitivi a beneficio dei più piccoli: i diritti dei lavoratori sono infatti tutelati dalla normativa che disciplina le condizioni contrattuali in merito ai turni, i giorni di riposo, gli incrementi di retribuzione per il lavoro in giorni festivi, oltre al diritto a rifiutare di lavorare in tali giorni per categorie e condizioni specifiche.
– l’evidenza empirica disponibile conferma gli effetti positivi della deregolamentazione degli orari di apertura sull’occupazione in primis e, in misura parziale, sul fatturato delle aziende coinvolte
– Le chiusure domenicali, se mai applicate, avranno l’effetto di ridurre i consumi, con danno per gli acquirenti e per i venditori e di colpire la domanda di lavoro, danneggiando l’occupazione; entrambi i fenomeni contribuiranno a rallentare la crescita economica del nostro paese, che è già di per sè asfittica.
(da “NextQuotidiano”)
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