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DELIRIO DI MAIO CONTRO TRIA: “SE NON CAMBIA, LO CAMBIAMO”

Settembre 18th, 2018 Riccardo Fucile

DUE PARTITI, DUE LEADER, DUE AGENDE, UN’INCOMPATIBLITA’ SOSTANZIALE: I NODI VENGONO AL PETTINE

“Pretendo”, dice Luigi Di Maio al ministro Giovanni Tria, col tono dell’unico interprete del popolo sovrano, cui è stato promesso il reddito di cittadinanza, senza mai spiegare il “come” secondo la retorica che, se si vuole, i soldi si trovano.
E se non si trovano, perchè il titolare di via XX settembre non cambia atteggiamento, si cambia ministro.
Così spiegano fonti di governo vicine al vicepremier, nell’ambito di ragionamenti in cui è labile il confine tra inconsapevolezza e tattica, nel tentativo di mettere sotto pressione il ministro del Tesoro.
“Pretendo”, perchè nella parola c’è il senso di una campagna verso la propria base, dopo mesi in cui il dividendo politico dell’operazione governo l’ha incassato Salvini, a costo zero sulla pelle dei migranti.
E non a caso, su Tria, gli spifferi bellici non hanno la stessa intensità , perchè è complicato andare a spiegare all’altra base — il Nord produttivo e delle imprese — che ci si può permettere una crisi di Governo sulla manovra, magari col casus belli del reddito di cittadinanza, che l’elettore medio leghista considera un sussidio di Stato a chi non fa nulla nella vita, o magari ha già  un lavoro in nero.
Nelle pretese c’è la fotografia di un cortocircuito: un sistema di coalizione mai nato, come se il Governo fosse una sorta di ente terzo a cui si chiede di fare qualcosa ma che nei fatti, come sistema appunto, non c’è.
Ci sono due partiti, due leader, due agende di priorità , due velocità , due diversi andamenti dei sondaggi.
Uscendo dalla riunione sulle Olimpiadi, Giancarlo Giorgetti, si è sfogato con qualche collega perchè “così non si va avanti”. Abituato al pragmatismo di governo, il sottosegretario vede tutti i limiti di un non governo.
Nazionalizzazioni, giustizia, opere pubbliche: è evidente che, dopo l’entusiasmo iniziale, la quotidiana fatica del governo ha mostrato come ci sia una incompatibilità  sostanziale, di approccio e cultura politica, tra le due forze.
E nel pasticcio sulle Olimpiadi cresce anche il germe del sospetto, con Di Maio che se la prende col Coni, ma in verità  pensa che si stata orchestrata un’imboscata sull’asse lombardo-veneto, tra i governatori leghisti Zaia e Fontana e il sindaco di Milano Sala che ha immediatamente appoggiato la loro proposta.
Però poi non può dire più di tanto, in quanto prigioniero delle contraddizioni proprie di chi, due anni fa, non volle le Olimpiadi a Roma e a Torino rischierebbe di far cadere la giunta, perchè un pezzo del Consiglio comunale è contrario alla posizione favorevole del sindaco Appendino.
Quanto si possa andare su questo schema è domanda che non si pone solo Giorgetti, che pur interpreta nella Lega l’umore diffuso di un vasto fronte, soprattutto del Nord, favorevole a un ritorno al voto, una volta varata la finanziaria, con i sondaggi che vedono il centrodestra oltre il 40 per cento.
Chi ci ha parlato in questi giorni spiega: “Anche nel ’94 si votò a breve distanza tra Europee e Politiche. In parecchi suggeriscono di andare all’incasso quando siamo al massimo, perchè poi arriva un punto in cui si può solo scendere”.
Ragionamenti. Scenari. Magari irrealizzabili. Ma che raccontano di una sensazione di paralisi del Governo, arrivati al dunque del primo, vero, passaggio politico della legislatura – la manovra — dopo mesi di chiacchiere in cui, in un fuoco di artificio di annunci, il Parlamento ha varato solo due provvedimenti: il decreto Dignità  e il Milleproroghe.
Più volte, anzi diciamo che è una costante, sulla manovra è stato in onda il medesimo film, con diversi protagonisti: il ministro dell’Economia che stringe i cordoni della borsa, i partiti che chiedono più spesa.
Il problema nell’Italia del 2018 è la tenuta dei conti ma soprattutto la reazione dei mercati, col rischio di contagio sui paesi meno solidi.
Chi è di casa al Quirinale è certo che Tria “non metterà  mai la firma sul disastro dell’Italia”, superando il limite del rapporto deficit-Pil che consente di evitare la procedura di infrazione e, di conseguenza, il gran falò dei mercati.
Anche perchè quella cifra diventata una specie di linea del Piave, l’1,6, è essa stessa frutto di un compromesso.
I “falchi” di Bruxelles vorrebbero concederne assai meno, perchè comunque stiamo parlando di diversi punti sopra lo 0,9 previsto.
Anche in questo caso, nel negoziato, si sconta l’assenza di un Governo.
Ai suoi tempi, Renzi riuscì a negoziare margini, nell’ambito di uno scambio sulla questione dei migranti: più gioco sui vincoli di bilancio in cambio di accoglienza. Discutibile o meno, un’operazione politica.
È indubbio che l’atteggiamento tenuto dall’attuale governo sullo stesso dossier non ha aiutato l’impostazione del negoziato economico.
Dice Tria, in sostanza: io garantisco fino all’1,6, poi facciano loro se sono capaci.
Ci vorrebbe però un premier, in grado di imbastire una trattativa con i partner europei. Non due leader in perenne campagna elettorale.

(da “Huffingtonpost”)

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TRIA IRRITATO PER LO SGRADEVOLE ATTACCO DI DI MAIO, MA NON HA ALCUNA INTENZIONE DI MOLLARE SUL DEFICIT ALL’ 1,6%

Settembre 18th, 2018 Riccardo Fucile

METTERE IN DISCUSSIONE LA SERIETA’ DEL LAVORO DEL MINISTRO SI RITORCE CONTRO DI   MAIO E AGITA GLI INVESTITORI INTERNAZIONALI… LE SPESE SI FANNO SE ESISTONO LE COPERTURE, NON SI PUO’ PROMETTERE A VANVERA PER CARPIRE VOTI AI PIRLA

Un attacco sgradevole, con toni da commissariamento e soprattutto con un aggettivo, “serio”, che fa male perchè letto come una delegittimazione del lavoro sulla manovra che si sta cercando di portare avanti con fatica nonostante le richieste di 5 Stelle e Lega restano ancora imponenti.
Quando Luigi Di Maio affida all’Ansa le sue parole di fuoco contro il ministro dell’Economia, Giovanni Tria (“Un ministro serio i soldi li deve trovare”), il sentiment che circola nelle stanze di via XX settembre è quello dell’irritazione.
Troppo facile – è il ragionamento – pretendere misure costose, insistendo sul deficit oltre il 2% e lavandosi le mani sulle coperture che servono e che ancora non ci sono.
Le dichiarazioni in chiaro del vicepremier pentastellato alzano ulteriormente la temperatura dello scontro dentro il governo sulla legge di bilancio.
Non è la prima volta che Tria finisce sotto attacco, ma anche questa volta la linea del Tesoro per ora non cambia.
Tria resta fermo nelle sue convinzioni, risoluto nel ribadire che alzare l’asticella del deficit oltre l’1,6% non si può e soprattutto non si deve fare.
Al massimo si può pensare a uno scostamento fino all’1,7%, ma non certamente pensare di andare oltre il 2 per cento.
Posizione, quella del ministro dell’Economia, che era stato lui stesso a ribadire nel corso del supervertice che si è tenuto ieri a palazzo Chigi.
È lì che Tria ha tirato su il mattone portante per costruire un fortino il quanto più possibile resistente alla pressione impetuosa di Di Maio e a quella, per una volta più soft nei toni, di Matteo Salvini.
“Se forziamo il deficit i mercati ce la faranno pagare”, avrebbe detto il ministro quando la temperatura intorno al tavolo a cui erano seduti anche il premier Giuseppe Conte e alcuni sottosegretari, ha toccato un livello preoccupante.
Quanto il fortino di Tria riuscirà  a tenere è una delle variabili – forse la principale – da cui dipenderà  la forma finale che assumerà  la legge di bilancio.
Per ora le convinzioni già  manifestate recentemente restano le stesse. Il ministro è convinto che non sia questa la strada da cui iniziare la stesura del testo e nemmeno l’esito che bisogna inseguire.
Bruxelles e i mercati, che nelle scorse settimane si sono dimostrati sensibilissimi quando Tria è stato messo sotto assedio da Lega e 5 Stelle, sono sempre lì e non si aspettano nè vogliono una manovra onerosa che metta a repentaglio gli impegni presi dall’Italia su debito e deficit.
All’indomani del vertice, intervenendo al Forum Bloomberg a Milano, Tria ha scelto, ancora una volta, parole di rassicurazione: “Il governo italiano – ha detto – pur mantenendo il proprio impegno europeo, traccerà  un percorso bilanciato che tenga conto dei diversi bisogni sociali e dei requisiti economici per creare una base solida per una crescita a lungo termine”.
La distanza rispetto alle liste della spesa di Salvini e Di Maio è ampia, marcata, ad oggi senza la prospettiva di un punto di contatto nè tantomeno di sintesi.
L’esito del vertice di ieri ha certificato questo quadro, che era atteso e dal quale nessuno dei tre attori in campo ha indietreggiato.
Solo che una manovra va scritta, e anche in tempi brevi, e se prima non si scioglie il grande nodo politico, cioè quali misure prevedere e come trovare le relative coperture, il pallino resta sempre lì.
Ecco perchè, spiegano alcune fonti leghiste, l’esito del vertice ha lasciato intatti i problemi.
Nonostante i toni trionfalistici con cui Conte, Di Maio e Salvini hanno indicato nei tagli alla spesa l’exit strategy, nel governo c’è la convinzione diffusa che procedere su questa via è difficile e soprattutto non porta a quello che serve, cioè trovare i tanti miliardi che servono per finanziare misure come la flat tax e il reddito di cittadinanza, ritenuti cavalli di battaglia irrinunciabili.
Alcune fonti rivelano che anche Tria sia consapevole del fatto che questa caccia al tesoro, oltre che a scatenare malumori, alla fine si concluderà  con un bottino esiguo. Ma questa è storia di ieri. La narrazione pentastellata del ministro dal braccino corto o, peggio, di un ministro poco serio e non capace, scoperchia definitivamente il grado di deterioramento dei rapporti tra Di Maio e Tria.

(da “Huffingtonpost”)

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SOLDI LEGA, IL VERO MOTIVO DELL’ACCORDO SUI 49 MILIONI

Settembre 18th, 2018 Riccardo Fucile

LA RIDICOLA CIFRA DI 600.000 EURO L’ANNO (IN 80 ANNI) PERMETTE ALLA LEGA DI VERSARE LA RATA AUTONOMAMENTE, EVITANDO INTRUSIONI INVESTIGATIVE NEI CONTI DELLE FONDAZIONI E DELLE ASSOCIAZIONI LEGATE AL CERCHIO MAGICO DI SALVINI

Alla fine l’accordo è arrivato: 48,9 milioni di euro da restituire ai cittadini italiani in comode rate e senza interessi.
Una soluzione che rivela una crepa nell’impalcatura difensiva della Lega di Matteo Salvini. Un po’ come è accaduto con la costituzione di parte civile contro Umberto Bossi, ritirata all’ultimo momento.
Il senso di questa retromarcia ha il sapore della sconfitta politica per il vicepremier: nonostante le accuse più volte rivolte ai magistrati, dimostra la volontà  di chiudere al più presto una vicenda di cui si sta parlando troppo, e che rischia di produrre altre conseguenze negative per lui e i suoi colleghi.
Il procuratore capo di Genova, Francesco Cozzi, la presenta come una richiesta dei legali del Carroccio.
Di sicuro alla Lega è stato concesso di restituire i 49 milioni di euro frutto della truffa sui rimborsi in rate da 100mila euro da versare ogni due mesi.
In pratica, lo Stato impiegherà  81 anni per recuperare il suo credito. Un affare?
La procura pensa così di ottenere l’intero tesoro senza dover investire tempo e risorse per andarlo a cercare.
La Lega è evidentemente convinta di aver chiuso così la vicenda dei rimborsi elettorali del periodo 2008-2010 percepiti illecitamente, parte dei quali utilizzati anche dall’attuale ministro dell’Interno.
Con la decisione di versare autonomamente quanto dovuto allo Stato, il Carroccio e il suo segretario dovrebbero evitare intrusioni investigative nei conti non solo del partito ma soprattutto in quelli delle associazioni e fondazioni legate al cerchio magico del ministro dell’Interno.
Proprio quelle che raccontiamo in questa inchiesta. Il senso dell’accordo è dunque semplice: non saranno più i magistrati a dover andare a caccia dei denari riconducibili alla Lega, come imponeva la sentenza della Cassazione sul sequestro, ma sarà  la Lega stessa a mettere il denaro a disposizione della procura senza dover spiegare per filo e per segno da dove arrivano quei soldi.
Tutto questo sempre che in appello la sentenza di condanna per truffa non venga ribaltata: scenario che permetterebbe a Salvini di non dover restituire più nemmeno un euro allo Stato.
In realtà  i soldi, quelli che il ministro dell’Interno invitava a sequestrare fino all’ultimo centesimo, non ci sono più.
Da quando è iniziata l’indagine sulla truffa, il denaro è infatti gradualmente sparito. E così, nonostante la decisione del riesame autorizzi la procura di Genova a mettere le mani non solo sui conti del partito ma anche su quelli riconducibili ad esso, sarà  ora molto difficile per lo Stato recuperare i 48,9 milioni di euro.
Fino a poco tempo fa la Lega poteva in realtà  disporre di parecchia liquidità . Quella donatale dai piccoli sostenitori e dai suoi parlamentari, come ama ricordare il suo leader. Ma anche quella versata dalle aziende.
Ed è qui che emergono alcune sorprese. Perchè nella lista ricostruita dall’Espresso compaiono nomi di grosse società  italiane e di una multinazionale.
Rappresentanti delle cosiddette èlite, le stesse che Salvini non perde occasione di contrapporre al popolo. Di più.
Tra i finanziatori cercati dalla Lega c’è anche un manager indagato dall’antimafia, un’impresa implicata in un processo sullo smaltimento di rifiuti e un grande gruppo alimentare interessato a ottenere un permesso urbanistico in un comune governato dal Carroccio.
Fare la radiografia delle finanze leghiste non è semplice. Ci sono i conti del partito e quelli delle società  controllate, ma esiste anche una galassia di associazioni, fondazioni e onlus poco note.
Sigle ufficialmente non legate al Carroccio, ma che ora gli investigatori potrebbero far ricadere sotto la categoria delle realtà  «riconducibili». Ognuna di esse ha infatti almeno un conto corrente che il partito potrebbe aver usato per finanziarsi. E che dunque, almeno teoricamente, potrebbe essere analizzato dagli investigatori per cercare di restituire ai cittadini italiani quei quasi 49 milioni di euro rubati.
Qualche esempio? C’è l’associazione “a/simmetrie”, la “Scuola di formazione politica” ideata da Armando Siri, sottosegretario alle Infrastrutture e ideologo della flat tax.
La fondazione federalista “Per l’Europa dei Popoli” dell’eurodeputato Mario Borghezio. Scorrendo l’elenco riassunto nel grafico alla pagina precedente balza all’occhio la Lega per Salvini Premier.
Una new company creata l’anno scorso con l’obiettivo ufficiale di sancire l’esistenza di una nuova Lega, non più secessionista ma nazionalista, non più anti-meridionali ma anti-stranieri. O forse, insinuano i maligni, un semplice tentativo di blindare le nuove entrate dai sequestri della magistratura.
Fatto sta che la nuova Lega ha avuto di sicuro in pancia almeno gli euro raccolti quest’anno grazie alle donazioni del 2 per mille.
Dove sono finiti? Chissà . Risposta valida anche per i denari ricevuti da un’altra creatura dotata di conto autonomo: Noi con Salvini, creata nel 2015 e morta nel giro di un paio d’anni.
Di certo uno dei canali usati dal vicepremier per incamerare finanziamenti senza farli passare dai conti ufficiali della Lega è stata l’Associazione Più Voci.
Fondata nel 2015 a Bergamo da tre uomini del partito – Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, che rivestono ruoli amministrativi, e Giulio Centemero, tesoriere e deputato – l’associazione è finita sotto l’occhio degli investigatori dopo che L’Espresso, nell’aprile di quest’anno, ne ha rivelato l’esistenza raccontando come nel giro di un anno abbia ricevuto parecchi soldi. Donazioni di imprese private: 250 mila versati dal costruttore romano Luca Parnasi, arrestato poco dopo per corruzione, e 40 mila euro bonificati da Esselunga.
Di sicuro il conto della Più voci è nel mirino della guardia di finanza perchè ritenuto riconducibile al partito. Del resto il fondatore è il tesoriere della Lega, e alcune somme entrate nelle casse dell’associazione sono finite poco dopo a società  e cooperative del Carroccio.
Ci sono per esempio i bonifici effettuati a favore della Mc, impresa che edita il giornale online Il Populista ed è controllata direttamente dalla Fin Group, di proprietà  della Lega Nord. E quelli indirizzati all’iban di Radio Padania, la storica emittente di via Bellerio.
Resta un solo quesito irrisolto. Chi sono gli altri finanziatori dell’associazione?
Il dubbio nasce dalle intercettazioni a carico di Parnasi. In uno dei dialoghi captati dai carabinieri di Roma, l’imprenditore sostiene che almeno dieci imprese abbiano finanziato la Più voci.
Quindi, detto di Esselunga e della società  Pentapigna di Parnasi, ne mancano in teoria otto all’appello.
Interpellato sulla questione, Centemero non ha fornito i nomi ma ha detto che «tra il 2015 e il 2018 ci sono stati erogati contributi per 328.400 mila euro».
Insomma, ci sono almeno altri 40 mila euro donati alla Più Voci da imprenditori tenuti segreti in nome della privacy.
Non proprio una prova di trasparenza per il governo del cambiamento. E neppure di legalità : sopra i 5 mila euro i finanziamenti ai partiti vanno dichiarati al parlamento, e quindi ai cittadini. Parnasi ha detto, intercettato, che i suoi 250 mila euro servivano per la campagna elettorale di Parisi. Non dunque per la libertà  d’informazione, come ha assicurato Centemero rispondendo alla nostra richiesta di chiarimenti. Quindi, se Parnasi dice il vero, quei soldi dovevano essere dichiarati.
Per finanziarsi la Lega ha usato anche dei modi molto semplici: ha organizzato delle cene con le aziende. Eventi molto simili a quelli messi in piedi quattro anni fa da Matteo Renzi, che per questo era stato attaccato duramente da chi oggi è al potere.
Il leader del Pd ingrassa con le cene da mille euro mentre mette a dieta gli italiani, aveva commentato Salvini.
Mentre Beppe Grillo riassumeva così il senso di quelle iniziative: «L’elettore tipo del Pd è ormai un broker, un finanziere o un ex della banda della Magliana».
Va detto che la legge non vieta a un partito di organizzare cene di finanziamento: basta appunto dichiarare al Parlamento qualsiasi donazione superiore ai 5 mila euro.
Il problema, come per il caso precedente, è la trasparenza promessa dall’attuale governo. E la presenza di alcuni nomi che sembrano contraddire certi mantra cari a Salvini, tipo quello della Lega rappresentante del «popolo contro le èlite», delle «piccole imprese contro le multinazionali».
Già , perchè alla cena in questione, avvenuta il 19 ottobre del 2015 alla Fonderia napoleonica di Milano, un’ antica fabbrica usata oggi anche per feste private, nell’elegante quartiere dell’Isola, fra i tanti invitati a finanziare il partito c’era per esempio Luigi Patimo, responsabile per l’Italia del colosso iberico Acciona, gruppo composto da un centinaio di società  presenti in 65 nazioni del mondo e attive nei più svariati settori, dalle costruzioni ai trasporti, dalla logistica fino alla concessioni stradali.
Senza dimenticare i servizi idrici, la cosiddetta gestione privata dell’acqua contro cui gli alleati a 5 Stelle combattono da anni, tanto da aver inserito la ripubblicizzazione nel contratto di governo firmato da Salvini. Ma non è solo questo a colpire, quando si analizza il profilo di Patimo.
Il manager della multinazionale spagnola è infatti anche indagato per corruzione dall’antimafia di Reggio Calabria insieme a Marcello Cammera, responsabile dei lavori pubblici nel municipio dello Stretto, imputato per concorso esterno alla ‘ndrangheta nel processo Gotha.
Una storia giudiziaria intricata, nella Calabria in cui alle ultime elezioni il partito di Salvini ha collezionato un risultato che nessun padano avrebbe mai immaginato. Va detto che la notizia dell’indagine a carico di Patimo è emersa sui giornali nel 2016, dunque dopo la cena nel centro di Milano.
E che, ad ogni modo, essere indagato non significa aver commesso un reato. La questione è politica. Anche perchè, nonostante i sospetti dell’antimafia, Patimo continua a essere socio in un’azienda, la Profilo Srl, di un importante esponente leghista del governo: Armando Siri.
Quanto ha versato il manager della multinazionale nelle casse della Lega? Perchè? Chi erano gli altri manager e imprenditori presenti a quella cena?
Quanto ha raccolto in totale il partito? Come sono stati usati quei soldi?
Abbiamo inviato queste domande a Patimo, a Siri e alla responsabile dell’ufficio stampa della Lega, Iva Garibaldi. Ma nessuno ci ha risposto.
I documenti in possesso dell’Espresso si fermano a qualche giorno prima della cena. Frammenti di un evento che pare aver coinvolto decine di imprese, ma di molte delle quali non abbiamo dati sufficienti per citarle.
Tra gli invitati possiamo menzionare con sicurezza, oltre a Patimo, altri tre rappresentanti aziendali. C’è Dante Bussatori del Gruppo Elios, impresa piacentina che si occupa di bonifiche ambientali, attualmente sotto processo a Novara per una vicenda di finti smaltimenti. «Sono stato invitato a decine di questi eventi, ma per principio non partecipo mai a queste inutili cene», taglia corto il manager di Elios. Nella lista di invitati c’è anche Daniele D’Alfonso della Ecol Service di Milano, attiva nello stesso settore. D’Alfonso non ha risposto alle nostre domande, mentre lo ha fatto Gabriele Gazzano della Editel, impresa edile della provincia di Cuneo, confermando di aver ricevuto l’invito ma di non aver poi partecipato nè finanziato il partito.
Le carte raccontano che le donazioni dovevano finire su un conto corrente aperto dalla Lega presso Banca Prossima, istituto di credito del gruppo Intesa Sanpaolo, sequestrato di recente dai magistrati con soli 6 mila euro a disposizione.
Dove sono finiti gli altri denari raccolti?
Su quel conto non sono affluite solo le donazioni offerte a quella cena dalle imprese, ma anche altri fondi leghisti: lo rivela un documento compilato dalla Uif, l’autorità  italiana che si occupa di antiriciclaggio.
Il 16 gennaio del 2017 il partito, già  allora guidato da Salvini e amministrato da Centemero, sposta infatti 145 mila euro dal conto Unicredit a quello aperto presso Banca Prossima.
Niente di strano, se non fosse che in quel periodo sulla stampa erano usciti degli articoli che davano notizia dell’indagine per riciclaggio avviata dalla procura di Genova. Riciclaggio che – è tuttora l’ipotesi degli inquirenti – la Lega avrebbe compiuto facendo perdere traccia dei soldi frutto di reato (la truffa ai danni dello Stato, la stessa per cui deve restituire i quasi 50 milioni), spostandoli all’estero e facendone infine rientrare una parte in patria. Tutto questo per evitare il sequestro, sospettano gli investigatori.
Dei 48,9 milioni che in teoria dovrebbero rendere allo Stato, al momento la guardia di finanza è riuscita a sequestrarne poco più di 3.
Le confische hanno riguardato i conti nazionali e quelli regionali del partito. La Lega Nord ha però anche le sezioni provinciali e cittadine, e questi conti pare che non siano ancora stati toccati. Analizzandoli con cura gli inquirenti potrebbero fare qualche scoperta interessante.
È il caso della Lega Mantovana, che lo scorso 4 luglio – secondo una fonte interna al partito – ha beneficiato di un bonifico molto particolare: 10 mila euro provenienti dalla Lega nazionale, a cui erano stati versati poco prima da una delle più grandi aziende della zona, la Pata.
Sarebbe stato proprio il gruppo del patron Remo Gobbi a chiedere che quei soldi finissero alla sezione mantovana.
Perchè questo strano giro di denaro? E come mai Pata ha voluto che i soldi andassero alla sede locale del partito?
Secondo la fonte, a cui abbiamo garantito l’anonimato per evitargli ritorsioni da parte dei colleghi, il motivo è duplice: da una parte renderne più complicato il sequestro, visto che si tratta appunto di una sezione locale non ancora toccata dalle confische, dall’altra incentivare i dirigenti locali a concedere un permesso a cui l’azienda delle patatine fritte tiene molto.
Pata ha infatti annunciato pubblicamente qualche mese fa di voler ampliare il proprio stabilimento di Castiglione delle Stiviere, Comune governato proprio dalla Lega e feudo elettorale del neodeputato Andrea Dara, che della cittadina è vice sindaco e assessore all’Ambiente.
Un investimento da 10 milioni di euro, che porterà  la società  a occupare altri 35 mila quadrati. Condizione necessaria: l’approvazione, da parte del Comune, del cambio di destinazione d’uso del terreno da agricolo a industriale.
Un’accusa pesante, insomma, fatta peraltro in modo anonimo. Per questo abbiamo chiesto un commento sulla vicenda sia alla Pata che ad Antonio Carra, segretario provinciale della Lega a Mantova. Domande rimaste senza risposta.

(da “L’Espresso“)

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IL SINDACO CHE “RINGRAZIA” IRONICAMENTE BARBARA LEZZI PER NON ESSERE PASSATA NEL PAESE DEL TERREMOTO

Settembre 18th, 2018 Riccardo Fucile

MONTECIFONE E’ IL PAESE DEL MOLISE MAGGIORMENTE COLPITO DAL SISMA DI AGOSTO: “GRATO PER NON AVERMI FATTO PERDERE TEMPO E NON AVER DOVUTO ASCOLTARE FRASI DI CIRCOSTANZA SENZA ALCUN IMPEGNO CONCRETO”

“Le sono profondamente grato di aver ritenuto di non fermarsi a Montecilfone, epicentro del sisma e comune maggiormente colpito. Le sono grato perchè ha avuto la delicatezza di non farmi perdere tempo: non intendeva prendere, e non ha preso, nessun impegno concreto con la mia gente e correttamente ci ha risparmiato le solite frasi di circostanza e gli impegni generici non vincolanti”: su Facebook il sindaco di Montecilfone (Campobasso), Franco Pallotta, sfotte il ministro per il Sud, Barbara Lezzi, ieri in visita a Palata e Guglionesi, alcuni dei comuni più colpiti dal terremoto di agosto.
“Grazie ministro — termina il primo cittadino — grazie da me e da Montecilfone”.
Nello status Pallotta ricorda che Montecilfone è stato “epicentro del sisma e comune maggiormente colpito” dal terremoto che verso la metà  di agosto ha funestato il Molise.
Il presidente dell’Ingv Carlo Doglioni a colloquio con l’ADN Kronos spiegò all’epoca che si trattava di “un terremoto molto simile in termini di natura a quello di San Giuliano di Puglia del 2002″ e spiegava come la faglia fosse la stessa del sisma che colpì il Molise 16 anni fa.

(da “NextQuotidiano”)

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ITALIANI DEL SUD “INVASORI” AL NORD E ALL’ESTERO: IL MEZZOGIORNO SI SVUOTA IN SILENZIO

Settembre 18th, 2018 Riccardo Fucile

LA FUGA: DAL 2001 SONO SCAPPATI 1.800.000 ITALIANI DALLE REGIONI MERIDIONALI

E chi glielo dice adesso a Salvini? Chi gli dice, mentre attende operoso al respingimento dei neri d’Africa, i nuovi invasori, che negli ultimi sedici anni circa un milione e ottocentomila italiani sono fuggiti dalle proprie case per cercare un lavoro e un futuro altrove?
Siamo in presenza di una invasione biblica oppure del più possente processo emigratorio dal dopoguerra ad oggi?
In sedici anni abbiamo perso 288mila giovani, il nostro futuro è scappato all’estero, per metà  laureati e per l’altra metà  ragazzi in età  lavorativa (15-34 anni), e il resto è andato a cercare fortuna al nord.
E il Nord regge solo grazie al Sud, perchè il saldo demografico del settentrione è appena pari in ragione dello svuotamento del meridione e degli arrivi dall’estero, regge dunque grazie all’emigrazione interna, allo spostamento e alla scheletrizzazione di una porzione di Paese che solo tra trent’anni avrà  un’età  media altissima, sopra i 51 anni. Un grande ospizio a cielo aperto.
Sembra un effetto ottico, un paradosso del quale non ci siamo proprio accorti. Perchè ogni occhio e ogni sforzo è destinato a fronteggiare l’immigrazione africana, e ogni polemica indirizzata alla paura di perdere la nostra identità , le nostre ricchezze, i nostri averi.
E Matteo Salvini, da vero ministro della paura, sul tema è maestro indiscutibile. L’Europa si sta rompendo per via della contesa sui barconi da accogliere e poi da smistare. Muri si alzano, e intanto…
Intanto siamo in presenza di una grande e silenziosa fuga, del tutto conosciuta ma scriteriatamente negata, sottovalutata, incompresa.
Sono anni che lo Svimez (e da ultimo questo appena pubblicato) nei suoi rapporti avverte che il Mezzogiorno di questo passo morrà  presto. L’Istat annuncia che tra qualche anno, non più di cinque, un migliaio di paesini creperanno per inedia. E che si fa?
Dovremmo andare alle frontiere e conoscere i volti di chi parte, magari coi voli low cost, o sui bus a lunga percorrenza, sui treni, i pochi, chiamati eurocity invece di ammassarci, telecamere in spalla, a Lampedusa o al porto di Catania e registrare ore e ore in favore del dramma nazionale il centinaio di disperati bloccati al molo.
Non pensiamo ai milioni che partono, non li vediamo, non c’è polizia a respingerli. Dove vanno?
Il sud si svuota e si dirige in massima parte verso il nord che mantiene intatto il suo declino demografico, nel senso che non lo acuisce, solo grazie a questa trasfusione di sangue nazionale.
Prima gli italiani, già ! Un milione e 800mila italiani hanno intanto lasciato casa in questi ultimi sedici anni, ottocentomila non sono più ritornati.
E, novità  disperante, chi è partito non ha più la forza economica di aiutare i parenti rimasti. Non solo non ci sono rimesse, ma, per incredibile che possa apparire, i figli andati via spesso hanno bisogno di un aiuto economico dei genitori o dei nonni per campare.
Si capovolge il senso dell’addio, del sacrificio verso una vita nuova.
Abruzzo e Basilicata perdono oltre il trenta per cento di chi ogni anno si laurea. E la percentuale si fa enorme se si conta la regressione degli iscritti.
Molti sono quelli che rinunciano all’università , e dei pochi che arrivano alla laurea tanti sono quelli che partono. La Calabria si riduce all’osso, come la Sicilia. E cosa accade?
Tre milioni di poveri, gente senza arte nè parte, senza un’ora di occupazione, abita al Sud. Seicentomila le famiglie meridionali i cui componenti non hanno un’occupazione, nemmeno saltuaria.
Ma il dato più sconfortante è che di poveri al Nord ce ne sono quasi altri due milioni e insieme fanno cinque i milioni dei diseredati.
E altre 470mila famiglie senza reddito. A cui si aggiunge la gente in transito: i nuovi disperati emigranti.
La fuga dal Sud è così massiccia perchè non solo non c’è più ricchezza, ma anche la precarietà , quel regime sospeso che confina col piccolo sussidio, sta divenendo una chimera.
Il Sud ha visto sparire 580 mila iscritti all’anagrafe ricompresi tra i 15 e i 34 anni. E dove sono andati? In dieci anni i ragazzi che hanno perso il lavoro sono stati 311mila. E ora che fanno?
Questa grande striscia di capitale umano scompare senza che nessuno alzi la voce, si interroghi, ponga almeno in fila i problemi.
Quale il più grande? Se è vero che non possiamo assumerci la responsabilità  di dare vita e lavoro a tutti coloro che corrono via dalla fame, dall’Africa e dagli altri territori del mondo in guerra, è indiscutibile che senza gli stranieri i danni alla nostra economia (l’8,9 per cento del nostro Pil, pari a quello della Slovenia, è frutto dei nuovi lavoratori venuti dall’estero, molti con mezzi di fortuna) sarebbero più gravi ancora, e la vita delle nostre famiglie (vogliamo fare il conto del sostegno sociale offerto dalle badanti dell’est?) più fragile e depauperata.
E siamo sicuri che senza i clandestini, coloro a cui Salvini vorrebbe dare un biglietto di solo ritorno, i nuovi schiavi adibiti nell’agricoltura, l’impresa agricola avrebbe retto i prezzi miserabili stabiliti dalla grande distribuzione a cui i produttori debbono attenersi?
Salvini non lo sa, e il guaio è che nessun altro sembra saperlo.
Siamo tutti concentrati a fermare l’invasione mentre si realizza la più spettacolare, drammatica e definitiva evasione di massa.

(da “il Fatto Quotidiano“)

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GRILLO E IL PROGETTO DI NUOVO PONTE PER GENOVA DELL’ARCHITETTO CHE NON HA MAI PROGETTATO UN VIADOTTO

Settembre 18th, 2018 Riccardo Fucile

LO STUDIO DELL’ARCHITETTO OPERA LAVORI PER RISTRUTTURAZIONI DI APPARTAMENTI, PALESTRE E RUSTICI

Un paio di giorni fa Beppe Grillo ha postato sul suo blog un progetto di nuovo ponte per Genova dell’architetto Stefano Giavazzi.
L’architetto sul suo sito non mostra progetti di ponti ma solo lavori per ristrutturazioni di appartamenti, palestre e ristrutturazioni di rustici
C’è questo nel portfolio-vetrina sul sito web dell a«F+G Associati», lo studio dell’architetto Stefano Giavazzi di Bergamo che ha firmato il progetto alternativo per la ricostruzione del viadotto in un video apparso sul blog di Beppe Grillo, in quella che il guru M5s ha salutato come un’ipotesi «a dir poco geniale».
Per capire chi sono i progettisti «F+G» basta leggere il profilo dello studio e la descrizione della filosofia di progettazione intrisa di «inesorabilmente», citati ad intervalli regolari.
Un occhio all’efficienza energetica e al «comportamento sostenibile legato inesorabilmente alla qualità  della nostra vita» attraverso l’architettura considerata «fenomeno culturale legato inesorabilmente al corretto sviluppo costruttivo».
Un tripudio che non si placa neanche nella definizione delle attività  dello studio (legate «inesorabilmente alla ricerca e sperimentazione») e degli obiettivi: offrire «un approccio integrato ai problemi multidisciplinari legati inesorabilmente all’architettura».
«Basta Formalismi di chiglie, vele, pennacchi, ingegneria auto celebrativa. Ora occorre progettare con lo sguardo rivolto al futuro», scrive Giavazzi stesso passando alla presentazione del nuovo viadotto avveniristico, a più livelli, niente abbattimenti, che insisterebbe sull’area del secondo torrente più grande della città .
Il video su Youtube ha superato le 150mila visualizzazioni, il tutto mentre Genova aspetta risposte su modi e tempi di abbattimento e ricostruzione dopo il crollo del 14 agosto.

(da “NextQuotidiano”)

argomento: Costume | Commenta »

BONISOLI, IL MINISTRO DELL’ARTE CHE SI ANNOIAVA DURANTE L’ORA DI STORIA DELL’ARTE

Settembre 18th, 2018 Riccardo Fucile

QUESTA CI MANCAVA: UN MINISTRO DEI BENI CULTURALI (CHE DOVREBBE TUTELARE L’ARTE) CHE RITIENE CHE L’INSEGNAMENTO DI STORIA DELL’ARTE SIA INUTILE

Il ministro dei Beni Culturali si chiama Alberto Bonisoli. Ieri era a Genova e in un incontro con storici dell’arte, rispondendo a una riflessione avanzata da un funzionario circa la inutilità  dell’insegnamento della Storia dell’arte al liceo, ha dichiarato: “Anch’io la abolirei. Al liceo era una pena per me, quindi la capisco e condivido il suo disagio profondo”.
Non sappiamo se fosse sarcasmo nè se le sue parole fossero una protesta contro la marginalità  della materia che, nel piano di studi, trasforma una buona intenzione in una cattiva pratica, oppure una semplice battuta per stemperare una discussione e un confronto difficile.
Mettiamo pure che quest’ultima ipotesi sia la verità .
L’avesse detta un tubista, un tronista, un dentista, un idraulico, oppure Calenda, o Renzi o lo stesso Salvini, faceva parte del plausibile, del possibile, di questo mondo che cambia così velocemente che persino i pensieri corrono senza governo, senza prudenza.
Ma se il ministro che deve tutelare l’Arte in Italia, ritiene — pur scherzando — che l’insegnamento della Storia dell’Arte sia inutile e faccia pena, immagino perchè noiosa pratica di studio, allora il sospetto che dell’Arte al ministro dell’Arte freghi nulla viene.
E spaventa pure un po’.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

argomento: arte | Commenta »

EPIDEMIA DI POLMONITE NEL BRESCIANO, SCOPERTA LA CAUSA: NON E’ COLPA DEI MIGRANTI MA DI ALCUNE AZIENDE DELLA PADAGNA

Settembre 18th, 2018 Riccardo Fucile

L’ASSESSORE REGIONALE: “LA CAUSA NON E’ NELL’ACQUA DEGLI ACQUEDOTTI, MA NELLE TORRI DI RAFFREDAMENTO DELLE AZIENDE”.., 9 AZIENDE SU 14 RISULTATE POSITIVE AL BATTERIO DELLA LEGIONELLA

Scoperta la causa dell’epidemia di legionella nella Bassa Bresciana.
Il batterio non era presente negli acquedotti dei principali comuni colpiti ma nelle torri di raffreddamento delle aziende. Lo ha detto l’assessore al Welfare della Regione Lombardia, Giulio Gallera, sull’emergenza polmonite contratta da oltre 400 residenti della zona e con 42 casi di positività  alla legionella.
“I risultati dei campionamenti effettuati da ATS Brescia – ha spiegato Gallera – ci permettono di stabilire definitivamente che la causa non si trova nell’acqua degli acquedotti, bensì nelle torri di raffreddamento delle aziende”.
“Tranquillizzo tutti cittadini – ha aggiunto l’assessore al Welfare della Lombardia – sul fatto che possono continuare a bere e utilizzare in tutta tranquillità  l’acqua della rete idrica”.
I numeri dell’emergenza, a distanza di due settimane dai primi casi, sembrano chiari. Su 14 torri di raffreddamento presenti tra Montichiari, Carpenedolo e Calvisano, nove sono risultate positive al batterio della legionella.
Mentre i campionamenti effettuati nel fiume Chiese hanno rilevato sei positività  su 12 casi analizzati.
Da qui l’obbligo, verso i sindaci dei paesi interessati, di emettere ordinanze urgenti per sanificare le torri di raffreddamento risultare positive in fase di campionamento.
“Entro fine anno – ha annunciato Gallera – approveremmo in Giunta regionale un provvedimento per censire tutte le torri di raffreddamento in Lombardia, norme puntuali per la loro periodica sanificazione e controlli e sanzioni da parte di ATS in caso di mancata ottemperanza”.
Nel frattempo la Procura di Brescia, che ha aperto un fascicolo contro ignoti per epidemia colposa, è in attesa dei risultati dell’autopsia disposta la scorsa settimana su due pazienti per i quali si sospetta la morte per legionella. Un 69enne morto all’ospedale di Gavardo, nel Bresciano, e un anziano deceduto alla clinica Poliambulanza in città  a Brescia.

(da agenzie)

argomento: denuncia | Commenta »

THURAM: “SONO PREOCCUPATO PER L’ESCALATION DI RAZZISMO IN ITALIA”

Settembre 18th, 2018 Riccardo Fucile

L’EX CALCIATORE FRANCESE DA ANNI CON LA SUA FONDAZIONE LOTTA CONTRO IL RAZZISMO E PER UNA MAGGIORE GIUSTIZIA SOCIALE

”Sono molto preoccupato per quello che sta accadendo in Europa, segnali di razzismo inquietanti. Il razzismo non è uno scherzo. E’ un pericolo. Il razzismo è violenza allo stato puro”.
E’ quanto ha dichiarato Lilian Thuram, ex calciatore francese che da anni, con la sua Fondazione, lotta per una maggiore giustizia sociale e in particolar modo contro il razzismo.
A Lione è stato ‘ambasciatore’ del dèfilè di danza, dedicato quest’anno alla Pace, che si è svolto nell’ambito della XVIII Biennale de la danse.
”Purtroppo sembra quasi che, per le persone come me, di colore, non esista alcuna ‘legittimità ‘. Si dice che ci siano in Europa troppi stranieri… – ha aggiunto – ma tutto, a volte, è solo collegato al colore della pelle. E poi non possiamo chiuderci in Europa, come auspicano le destre – ha proseguito -. Il mondo non è nostro, è di tutti. Bisogna accettare l’idea che la ricchezza possa essere condivisa”.
Thuram vive ormai da anni lontano dall’Italia (ha giocato nel Parma e nella Juventus) ma ha confessato che si vergognerebbe di vivere, oggi, in un Paese come il nostro.
”La stessa cosa sarebbe accaduta in Francia con Marine Le Pen – ha detto -. Se avesse vinto alle presidenziali, mi sarei vergognato di essere francese. Bisogna lavorare con le scuole, con i giovani – ha esortato il calciatore – con tutta la società . Battersi, lottare, denunciare. Lo ripeto, sono molto preoccupato e la situazione può peggiorare. Il calcio? Sì, il razzismo esiste anche nei campi da gioco – ha concluso Thuram. – In fondo il calcio è la metafora, lo specchio della società ”.

(da Globalist)

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