Destra di Popolo.net

DENUNCIATI PER RAZZISMO 11 LEONI DA TASTIERA

Settembre 27th, 2018 Riccardo Fucile

SE LA PRENDEVANO SU FB CONTRO ALCUNI RIFUGIATI VISTI SULL’AUTOSTRADA

Adesso vediamo se saranno puniti o se finirà  a tarallucci e vino perchè il razzismo è stato sdoganato dal governo del cambiamento
Undici persone, tra cui una donna, sono state identificate e denunciate dalla Questura di Imperia, per aver pubblicato su Facebook commenti a sfondo razziale.
La vicenda risale al 21 settembre scorso, quando un’automobilista in transito sull’A10, pubblicò un post con cui segnalava la presenza di migranti in autostrada.
Gli autori, segnalati all’autorità  giudiziaria, sono quasi tutte persone incensurate. Dovranno rispondere del reato di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa.

(da agenzie)

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DI MAIO STRILLA CONTRO LA NOMINA DI ERMINI AL CSM, MA VIENE SMENTITO DA UN SUO DEPUTATO: “COLPA NOSTRA, LO ABBIAMO VOTATO NOI”

Settembre 27th, 2018 Riccardo Fucile

COLLETTI: “A LUGLIO LO ABBIAMO FATTO ENTRARE NELLA ROSA DEI DESIGNATI CONCORDATA CON GLI ALTRI PARTITI, DI CHE CI LAMENTIAMO ORA?”… IL M5S HA VOTATO PER UN LEGALE SOCIO DELLO STUDIO CHE DIFENDE GRILLO

Luigi Di Maio va all’attacco su Facebook del vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura appena eletto. Nel mirino c’è David Ermini, deputato del Partito Democratico molto vicino a Matteo Renzi, del quale il vicepresidente del Consiglio contesta l’indipendenza: «Ma dov’è l’indipendenza? E avevano pure il coraggio di accusare noi per Foa che non ha mai militato in nessun partito. È incredibile. Ermini è stato eletto a marzo, si è fatto 5 anni in parlamento con il Pd lottando contro le intercettazioni: la riforma che abbiamo bloccato era proprio la sua. Ora lo fanno pure presidente. Il Sistema è vivo e lotta contro di noi».
Ma c’è un problema: subito dopo l’uscita di Di Maio a prendere la parola su Facebook è il deputato del MoVimento 5 Stelle Andrea Colletti, che dice: «La colpa dell’elezione di Ermini quale vicepresidente del CSM non è dei togati e laici che lo hanno votato. È nostra, come M5S, la colpa di averlo votato, nonostante fosse un politico vicinissimo a Renzi. Abbiamo sbagliato — io mi sono rifiutato di votarlo — prendiamone atto e facciamo tesoro dei nostri sbagli».
Di cosa parla Colletti? I membri del CSM vengono eletti per due terzi dai magistrati e per un terzo dal Parlamento. Il Consiglio elegge il vicepresidente, che ha pieni poteri visto che la carica di presidente del CSM è del presidente della Repubblica, tra i membri designati dal Parlamento.
Ebbene, i membri del Parlamento sono stati designati alla fine di luglio 2018 (ovvero scelti con voto dopo un accordo tra i partiti, tra cui il M5S) e all’epoca Colletti su Facebook scriveva in un post oggi introvabile: «Noto con (dis)piacere — ha scritto — che almeno due nomi provengono da Firenze, come avveniva nei vecchi metodi della consorteria toscana di Renzi e Company».
Colletti spiega nei commenti su Facebook il motivo del suo dissenso: «tale nome me lo sarei aspettato da uno dei sodali di Renzi, vorrei proprio sapere chi ha fatto questi nomi e con quali criteri».
Il ragionamento di Colletti, in chiaro dissenso da Di Maio, è il seguente: se non volevamo Ermini vicepresidente bastava evitare di farlo entrare nella rosa di designati dal parlamento a luglio. Inutile lamentarsi adesso.
Insieme a Di Maio a farsi sentire è anche il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede: anche lui critica l’elezione di Ermini, e questo è piuttosto irrituale per il ministro della Giustizia: “Prendo atto che all’interno del CSM, c’è una parte maggioritaria di magistrati che ha deciso di fare politica! Ovviamente nulla di personale nei confronti del neo eletto vice presidente del CSM, David Ermini, a cui faccio i migliori auguri di buon lavoro”.
Quello che Bonafede “dimentica” di dire in nome della #trasparenzaquannocepare è che il M5S aveva un suo candidato: alla terza votazione, quando per l’elezione era sufficiente la maggioranza semplice, 11 preferenze sono andate ad Alberto Maria Benedetti e 2 sono state le schede bianche.
Genovese, Benedetti è anche socio esterno dello studio Carbone e D’Angelo: gli avvocati nominati dal Tribunale di Genova per difendere il curatore della vecchia associazione del M5S contro la nuova di Grillo e Di Maio.
Benedetti era gradito al M5S (che l’ha fatto designare tra i membri laici del CSM), anche se non è un politico.
Per quello Bonafede e Di Maio sono così arrabbiati.

(da “NexQuotidiano”)

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TRIA NON MOLLA, COME SU UNA INESORABILE LINEA DEL PIAVE

Settembre 27th, 2018 Riccardo Fucile

“FINO ALL’1,9% IL QUADRO REGGE CON QUALCHE RISCHIO, OLTRE C’E’ IL DISASTRO”… MA A DIMETTERSI NON CI PENSA (PER ORA)

Ma Tria regge, come su una inesorabile linea del Piave.
Anche se, nei Palazzi della politica, a poche ore dal vertice sulla manovra, vengono dipinti scenari apocalittici, nel senso che “o cambiano i saldi, o cambia il ministro”.
È un’ipotesi, quella delle dimissioni, che al momento l’interessato non contempla. Del resto: perchè dovrebbe dimettersi un ministro che ha giurato sulla Costituzione di tutelare l’interesse della nazione, come quello ad esempio di non farla bruciare nello spread?
Ha lavorato fino a tarda notte col suo staff, Giovanni Tria, perchè tardi è arrivato il decreto su Genova.
E al Tesoro filtra una sicurezza olimpica: la calma dei numeri: fino all’1,9% il quadro regge, con qualche rischio, di più ci si avvicina al disastro.
Perchè il contesto è chiaro, al netto delle roboanti dichiarazioni pentastellate, tese a mettere pressione, ma che rivelano anche una certa difficoltà , propria di un partito che, in questi mesi, ha perso consensi, mentre la Lega incassava dividendi.
È bastata la voce delle dimissioni, per registrare un ribasso in Borsa e un certo nervosismo sui mercati.
E infatti Di Maio, in tutte le sue dichiarazioni, molto muscolari, non ha mai accennato all’eventualità  che il titolare di via XX settembre possa essere sostituito con leggerezza.
Ecco il punto: chi può permettersi di “cacciare” Tria e aprire una crisi di Governo a sessione di bilancio aperta, accendendo il gran falò dei mercati?
È questo che preoccupa non pochi dentro la Lega, con Luca Zaia che da giorni si è attaccato al telefono predicando prudenza.
E ottenendo ascolto e condivisione da Giancarlo Giorgetti. Complicato, molto complicato spiegare al Nord produttivo che una sorta di remake del 2011 possa essere una linea politica, con il reddito di cittadinanza come casus belli.
Perchè certo si potranno fare comizi contro l’Europa, ma nel frattempo scappano gli investitori.
È una pressione forte, quella del Nord, che spinge il lavorio su una mediazione possibile, perchè, dicono fonti di governo, “tra l’1,6 e il 2,4” ci sono ragionevoli vie di mezzo e “certo non ci si può appiccare a un decimale in più o in meno”.
È una classica prova di forza a oltranza quella che andrà  in scena a palazzo Chigi. Prevertice, poi il Consiglio dei ministri, insomma “si fa notte”.
Il punto vero è Di Maio. Fonti di governo leghiste così fotografano queste ore: “Ha il problema che non può permettersi di non incassare sul reddito di cittadinanza, il che significa che sotto al 2,2% di deficit non può assolutamente scendere. Ne va della sua leadership e della tenuta del suo Movimento”.
E non a caso vengono fatti circolare, nella pretattica di queste ore, piani B, su un eventuale successore di Tria.
Uno di questi prevede l’interim a Giuseppe Conte con qualche delega in più a Paolo Savona, come in una specie ritorno alla casella di partenza, ai tempi della formazione del Governo, prima del cortocircuito con Mattarella.
Perchè poi, in fondo, la storia è tutta qui e la manovra costringe a sciogliere un nodo finora lasciato nell’ambiguità , ovvero il rapporto con l’Europa e con i mercati. Giorgetti lavora per mediare, ma se Di Maio forzerà  sulla linea “o 2,4 o morte”, Salvini, dicono i suoi, ce la metterà  tutta ma non si immolerà  a difesa di Tria lasciando solo il suo alleato, soprattutto perchè l’alleato è un competitor da cui non farsi scavalcare sul terreno dell’anti-europeismo e dell’opposizione all’establishment che frena il cambiamento. Chissà .
O forse anche questo è un bluff, come in una partita di poker, per spaventare l’altro giocatore, in questo caso Tria. In attesa che qualcuno dica “vedo”.

(da “Huffingtonpost”)

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ECCO IL DECRETO PATACCA GENOVA: SOLO 17 MILIONI AL PORTO CHE NE PERDERA’ 500, NESSUN NOME DEL COMMISSARIO

Settembre 27th, 2018 Riccardo Fucile

AL TRASPORTO LOCALE SOLO 20 MILIONI CONTRO GLI 80 PROMESSI, AGLI AUTOTRASPORTATORI SOLO 20 MILIONI INVECE CHE I 180 GARANTITI … MA ALLA FINE IL PONTE NON SI SA CHI LO PAGA

Un documento di 41 pagine, non solo, come previsto dedicate alla tragedia di Genova, ma l’attenzione ovviamente è lì.
Ecco il testo del “Decreto Genova” bollinato dopo molti problemi ieri sera dalla Ragioneria di Stato. Non c’è il nome del commissario straordinario, che dovrà  essere indicato entro dieci giorni, “sentito il presidente della Regione”, il che sembrerebbe una concessione parziale alle richieste del governatore Toti.
Autostrade paga ma non ricostruisce
All’articolo 1, capoversi 6 e 7 si stabilisce che Autostrade entro 30 giorni deve pagare “in quanto responsabile dell’evento” ma non può ricostruire. “Nel caso in cui Autostrade non pagasse o ritardasse le spese di ricostruzione del ponte sarà  lo Stato ad anticiparle, attingendo al Fondo per il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale. Per assicurare il celere avvio delle attività  del Commissario, in caso di mancato o ritardato versamento da parte del Concessionario, a garanzia dell’immediata attivazione del meccanismo di anticipazione, è autorizzata la spesa di 30 milioni annui dal 2018 al 2019″.
Il commissario straordinario affida, ai sensi dell’articolo 32 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, la realizzazione delle attività  concernenti il ripristino del sistema viario, nonchè quelle propedeutiche e connesse, ad uno o più operatori economici che non abbiano alcuna partecipazione, diretta o indiretta, in società  concessionarie di strade a pedaggio, ovvero siano da queste ultime controllate o, comunque, ad esse collegate, anche al fine di evitare un indebito vantaggio competitivo nel sistema delle concessioni autostradali. L’aggiudicatario costituisce, ai fini della realizzazione delle predette attività , una struttura giuridica con patrimonio e contabilità  separati.”
Scendono a 30 milioni i fondi per il porto
Viene estesa l’area delle imprese che possono ottenere risarcimenti, mentre diminuisce la cosiddetta zona franca urbana. Si prevedono solo 30 milioni per il porto rispetto ai 90 della prima stesura.
Il commissario straordinario dovrebbe disporre di 20 milioni e potrà  nominare sub commissari.
Un testo che dalle prime reazioni non sembra soddisfare le istituzioni locali, specie per le poche risorse distribuite e in partocolare per le pochissime distribuite per il porto, azienda primaria della città .
Secondo le prime stime, di fatto, al porto di Genova non verranno trasferiti 30 milioni, ma solo 17, secondo il decreto, perchè gli altri 13 rimanevano già  (l’1% dell’Iva) allo scalo.
A dare una dimensione dell’irrisorietà  dello stanziamento, è il confronto con la stima delle perdite: le categorie portuali stimano, in difetto, di perdere 500 milioni all’anno. Con il decreto gliene verrebbero rifondati 30 milioni.
La cifra sta creando molta irritazione, e preoccupazione, anche perchè, secondo i primi annunci del governo, gli stanziamenti non avrebbero dovuto soltanto sanare le perdite, ma anche aiutare le banchine a rilanciarsi.
La mazzata all’autotrasporto
Rispetto alla bozza del 21 settembre, Genova ha perso 160 milioni. Gliene sono rimasti 20 milioni, per il 2018.
Il confronto con la versione precedente evidenzia come siano stati confermati i 20 milioni sul 2018, ma siano stati cancellati 80 milioni per il 2019 e 80 milioni per il 2020.
Vengono dunque cancellati precisi impegni di finanziamento, presenti invece nelle prime versioni del decreto. La categoria dell’autotrasporto è una di quelle più colpite dall’effetto del crollo del Morandi, segnando un -30% del proprio fatturato.
Il trasporto pubblico locale
La versione definitiva del dl Genova abbatte anche i finanziamenti destinati al trasporto pubblico locale, fondamentali in una città  strozzata dal traffico, dove le strade sono intasate e i mezzi pubblici sono uno dei pochi antidoti agli ingorghi. Dagli 80 milioni, previsti nelle prime versioni del provvedimento, rimangono 20 milioni, per il 2018.
Il supercommissario
Una postilla è stata aggiunta, tra le versioni precedenti e la definitiva: il supercommissario per la ricostruzione sarà  nominato con un decreto successivo, “sentito il presidente della regione Liguria”. Recepita dunque la protesta del governatore della Liguria, che denunciava l’estromissione, nella redazione del decreto, degli enti locali.
Le stime complessive
Complessivamente il decreto porta, per il 2018, a Genova 87 milioni, che diventano 120 milioni con i denari portati in città  con l’ordinanza della Protezione civile, che è valsa 33 milioni.
Nel 2019 arriveranno a Genova, sempre per effetto del decreto, 112 milioni di euro, in totale. Pesare questi stanziamenti comincia ad innervosire gli operatori e gli amministratori: diversi economisti hanno stimato al 15% la perdita del Pil genovese nel 2019, per un valore di 4 miliardi di euro.
Distanze siderali tra la voragine economica aperta dal crollo del ponte e l’azione del decreto per ripararla.
Alla fine, il ponte, chi lo paga?
Per rendere sostenibile il decreto la Ragioneria dello Stato è intervenuta facendo istituire un fondo di garanzia, che nelle precedenti versioni non era previsto.
Perchè i superpoteri del commissario e le sue eventuali scelte di estromissione di concessionarie possano comunque essere sostenute economicamente, è dunque previsto un fondo per cui il decreto impegna a versare 30 milioni annui, fino al 2029. Totale: 330 milioni in undici anni. U
n importo molto simile al valore della costruzione del ponte.
E molti osservatori si chiedono: alla fine il ponte lo paga lo Stato?

(da “La Repubblica”)

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“IL GOVERNO ITALIANO HA MINACCIATO PANAMA DI CHIUDERE I SUOI PORTI A TUTTE LE NAVI PANAMENSI, HO LA MAIL CHE LO PROVA”: L’ACCUSA DELL’ARMATORE DELL’AQUARIUS

Settembre 27th, 2018 Riccardo Fucile

LA MAGISTRATURA ITALIANA HA IL DOVERE DI INDAGARE SULLE GRAVI AFFERMAZIONI DI CHRISTOPH HEMPEL E DI DENUNCIARE I RESPONSABILI

Il governo italiano avrebbe minacciato Panama di non far entrare nei suoi porti nessuna nave panamense se non fosse stata ritirata la bandiera alla Aquarius.
E’ la pesante accusa mossa dall’armatore della nave Christoph Hempel, titolare della Jasmund shipping di Brema, che ha noleggiato la nave a Sos Mediterranee e Msf
In una intervista a Euronews, Hempel ricostruisce così la vicenda: ” Mi è arrivata all’improvviso una email che mi informava che l’Aquarius doveva essere rimossa dal registro di Panama poichè i loro interessi nazionali erano a rischio sotto la pressione del governo italiano, L’Italia minaccia infatti che tutte le navi battenti bandiera di Panama non saranno autorizzate ad entrare nei porti italiani”.
L’armatore della nave fa sapere di aver chiesto alla Germania di poter iscrivere la nave nel suo registro.
Dopo l’accordo raggiunto ieri tra Francia, Spagna, Portogallo e Germania, la Aquarius è ancora in alto mare. Le operazioni di trasbordo dei 58 migranti salvati su una motovedetta che dovrà  sbarcarli nel porto di La Valletta sono rese impossibili dalle condizioni meteo e Malta ha condizionato il suo assenso alla garanzia che il trasbordo avvenga in acque internazionali e che i 58 migranti siano immediatamente trasferiti nei quattro Paesi che hanno dato la loro disponibilità .
Tra i migranti a bordo ci sono anche alcune famiglie della classe media libica fuggiti perchè non si sentono più sicuri.
Sono partiti portandosi dietro bagagli e addirittura il cane.
Aloys Vimard, responsabile a bordo dell’Aquarius di Medici Senza Frontiere, dice: “Vedere così tanti bambini, bagagli e anche un cane ci ha colpito molto”. Tra loro, anche Malak, la signora libica di 44 anni, con 5 figli, fratello, ed il cane Bella al seguito.
Ad indurla a fuggire, è stato il rapimento – un mese fa, a Tripoli, del marito che “lavora nel commercio alimentare” e “ha i soldi”, racconta a Le Monde.
Per accedere alla barca in legno, domenica scorsa, ha sborsato l’equivalente di 5000-6000 euro. “Non si poteva viaggiare in modo totalmente improvvisato”, gli fa eco Ibissem, quarantenne libica partita con marito e due figli.
Modellista per una società  italiana di costumi da bagno e intimo, ha lasciato tutto anche lei dopo il rapimento di un figlio, poi liberato dietro lauto riscatto.
“In Libia – deplora – siamo morti che respirano. Dovevamo partire, non c’era altra opzione”.
Per l’Onu 5.000 famiglie hanno dovuto lasciare le proprie case a Tripoli dall’inizio degli scontri di fine agosto.

(da Globalist)

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SALVINI SCATENA L’ODIO DEI FANS CONTRO L’INSEGNANTE DI CASTEL DEL RIO

Settembre 27th, 2018 Riccardo Fucile

LA VERGOGNA DI UN MINISTRO DEGLI INTERNI CHE DIFFONDE UNA BUFALA SENZA PRIMA APPURARNE LA VERIDICITA’… POI CI PENSA LA FOGNA A INSULTARE UN’INSEGNANTE CHE NON C’ENTRA NULLA

Ieri pomeriggio i leghisti e i fan di Salvini si sono scoperti vittime di un’azione sovversiva portata avanti da un’insegnante di scuola media (sicuramente comunista). La storia è quella della professoressa di italiano di una scuola media inferiore di Castel Del Rio (Bologna) che avrebbe assegnato ai suoi alunni un compito su «Come facciamo a cacciare Salvini».
A denunciare il fattaccio, che poi si è rivelato essere una bufala, è stato il consigliere consigliere regionale della Lega Nord in Emilia-Romagna Daniele Marchetti.
La storia infatti è diversa, non è stata l’insegnante ad assegnare come tema da svolgere in classe il «Come facciamo a cacciare Salvini?» ma è stato uno degli alunni a proporlo come domanda.
L’esercizio — proposto dall’antologia con il titolo “La macchina dei desideri” — era quello di raccontare le proprie domande e i propri desideri ai compagni di classe, tant’è che tra le domande emerse durante l’esercizio c’è stato chi ha chiesto “come risolvere la desertificazione?” oppure “come possiamo avere macchine con un’energia che non inquina”.
Gli alunni avevano il compito di trascrivere le domande sul quaderno. Come ha appurato il direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale Stefano Versari l’insegnante ha chiesto agli studenti di non trascrivere la domanda su Salvini, ma uno degli alunni (forse distratto, o forse troppo diligente) l’ha riportata sul quaderno dove poi la frase è stata letta dai genitori.
Prima ancora che la verità  venisse accertata   Salvini non ha perso tempo e ha rilanciato prontamente la “notizia”.
«A Castel del Rio, Bologna, — scrive il Capitano su Facebook — una insegnante di italiano delle medie avrebbe chiesto agli studenti: “Come facciamo a cacciare Salvini?”».
Il ministro dell’Interno ha l’accortezza di usare il condizionale, ma se avesse aspettato le verifiche da parte della dirigenza scolastica non avrebbe potuto raccontare ai suoi elettori di essere stato «accomunato a inquinamento, desertificazione, guerra e malattie…».
Poi promette di andare fino in fondo e conclude con «un abbraccio a quei bimbi da parte di un papà  che lavora per una scuola senza pregiudizi politici». Tanto è bastato. Il resto lo hanno fatto gli altri, a partire dal sottosegretario alla Cultura Lucia Borgonzoni che ha dichiarato che la frase su Salvini «è di una gravità  inaudita».
Anche dopo che la fake news è stata rettificata Marchetti non demorde e scrive che l’ufficio scolastico regionale «cerca di minimizzare» e spiega che l’insegnante «doveva vigilare».
Non si capisce su cosa, visto che la domanda è stata fatta da un alunno e che la docente aveva chiesto agli studenti di non appuntare quella frase sul quaderno degli esercizi.
Anche il Miur vuole fare chiarezza e il ministro dell’Istruzione Bussetti (in quota Lega) ha chiesto all’Ufficio scolastico regionale per l’Emilia Romagna di avviare una visita ispettiva per appurare i fatti.
Mentre il segretario della Lega di Imola, Fabio Morotti chiede di «prendere immediati provvedimenti contro quella professoressa» qualora ne venisse accertata la responsabilità .
Ma è ovviamente su Facebook che si scatena la caccia alla professoressa. I fan del Capitano hanno già  scoperto il movente: il comunismo. E la cura in questi casi è una bella dose di olio di ricino virtuale.
Sono i comunisti a fare il lavaggio del cervello ai nostri figli. Poco importa poi che probabilmente l’alunno la frase l’abbia sentita in casa, in famiglia, e che l’insegnante non c’entri nulla. Ormai è lei il capro espiatorio, con buona pace della libertà  d’espressione degli alunni.
C’è chi dà  la colpa al fatto che gli insegnanti arrivano tutti o quasi tutti dal Sud, quindi “assistenzializzati e fancazzisti” ma al tempo stesso “forse anche in buona parte comunisti”.
Torna fuori la vecchia Lega, quella che considerava terroni tutti quelli che vivevano sotto il Po (quindi anche i bolognesi).
Non è della stessa opinione un consigliere comunale di Giarre (Catania) che invece che ai terroni dà  la colpa agli insegnanti che impauriti da Salvini “tentano di manipolare anche i bambini”.
Non manca chi recrimina sul fatto che a scuola gli insegnanti, soprattutto quelli delle materie “umanistiche”, cerchino di “inculcare una cultura di sinistra” descrivendo i crimini dei nazifascisti ma senza parlare delle foibe (e allora le foibe??).
Ma siamo sicuri che a Castel del Rio vada tutto bene? Non sarà  il caso di accertare se in quella scuola media “vi sono stati fatti di cristianofobia” come ad esempio “l’abolizione dei festeggiamenti per il Natale o per Pasqua”? Meglio sincerarsene.
Salvini non è più solo ministro, Capitano o “papà ”. È anche martire, tant’è che la vicenda viene subito accostata ai tentativi di far togliere il crocifisso dalle scuole. Prima tolgono Gesù e poi se la prendono con Salvini (il suo profeta). Dove andremo a finire di questo passo?
C’è solo un modo per lavare quest’offesa. Licenziamento in tronco, radiazione dall’incarico, sbattere l’insegnante in mezzo ad una strada a lavare vetri o a pulire cessi nei centri di accoglienza.
Qualcuno azzarda anche l’interdizione dai Pubblici Uffici (manco avesse rubato 49 milioni di euro di fondi pubblici).
E non manca chi propone di andare davanti alla scuola media di Castel del Rio a “chiedere” come cacciare quella professoressa.
E anche oggi Salvini è riuscito a fare la vittima continuando a cementare il suo consenso nell’odio per i buonisti. Un odio alimentato come spesso accade da una fake news.

(da “NextQuotidiano“)

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A PADOVA NON SI AFFITTA A “QUELLI DI COLORE”

Settembre 27th, 2018 Riccardo Fucile

L’ORDINARIO RAZZISMO DEI PADOVANI, UNA VOLTA I MERIDIONALI, OGGI GLI IMMIGRATI… SANT’ANTONIO, PRENDILI A CALCI IN CULO

Qualche decennio fa, quando il Nord Italia era meta di immigrazione da parte degli italiani del Sud in molte grandi città  era la norma leggere cartelli dove si specificava che “non si affitta ai meridionali”.
Puro e semplice razzismo, alimentato oggi come allora dalla diffusione di stereotipi e dalla strumentalizzazione di fatti di cronaca.
Oggi ai terroni si affitta forse più volentieri ma il razzismo è rimasto lo stesso.
A Padova, dove l’anno scorso divenne un caso l’annuncio di un appartamento in affitto dove era esplicitamente scritto «non si affitta a immigrati e meridionali».
Seguirono giorni di intenso dibattito sui giornali dove i cittadini di Padova venivano chiamati a rispondere alla fatidica domanda: “i padovani sono razzisti?”.
La vicenda venne derubricata come un “caso isolato”, in fondo Padova è una città  universitaria e di studenti ne ha accolti da ogni parte del mondo.
Insomma secondo molti quell’annuncio era più l’eccezione che la regola in una città  dove di appartamenti in affitto (spesso in nero e spesso in appartamenti malmessi) ce ne sono per tutti.
Ma forse l’assoluzione è arrivata troppo presto. Perchè anche oggi, nel 2018, per un lavoratore di colore, un negro, è difficilissimo trovare casa.
A raccontare la storia di ordinario razzismo è un ragazzo italiano, Giorgio, che ha pubblicato su Facebook il racconto della surreale ricerca di un appartamento assieme ad un su amico.
La ricerca della casa inizia a luglio, un periodo ideale per trovare un appartamento in affitto visto che c’è il solito ricambio degli studenti che, finita l’università , cambiano città .
Giorgio e il suo amico trovano senza difficoltà  un appartamento, versano la caparra, firmano il precontratto e si mettono alla ricerca di un terzo coinquilino.
La casa è dietro la stazione dei treni, il quartiere è l’Arcella, spesso definito “ghetto” e considerato malfamato ma in realtà  felicemente multietnico.
Incontrano Alagie, un ragazzo gambiano «simpatico, lavoratore, cuoco amatoriale». Decidono di presentarlo al proprietario che inizialmente accetta ma poi accade quello che nessuno si aspetta in una città  che sostiene di non essere razzista, in Paese che dice che non siamo razzisti. «Ah ma è nero?» chiede il proprietario «se mi aveste detto che era nero, vi avrei detto subito di no, senza farvi perdere tempo».
Quando il razzismo non è più una novità  e diventa la norma
Mentre Giorgio non sa come rispondere l’affittuario e l’agente immobiliare non si perdono d’animo, la soluzione è semplice «basta trovare un altro inquilino e la casa è vostra». Ovviamente basta che non sia nero.
Perchè il problema non è certo Alagie, ma il colore della sua pelle. La ricerca continua, tanto sarà  un caso, in una città  che non è razzista, di trovare un proprietario razzista. Ad ogni buon conto i tre mettono in chiaro che con loro c’è un nero, lavoratore.
Niente da fare; al telefono c’è chi mette le mani avanti prima ancora che possano presentarsi: «Siete italiani? Il proprietario non affitta a CERTI TIPI di stranieri».
E si capisce bene che quei “certi tipi di stranieri” non sono gli studenti Erasmus. «Grazie, non diamo soldi a un razzista», è la risposta.
Le agenzie hanno i contratti di lavoro di tutti e tre e Alagie ha anche fornito una lettera di presentazione da parte dei suoi coinquilini precedenti, la busta paga e pure una dichiarazione scritta da parte di una coppia di padovani che ha voluto garantire per lui. Non basta.
Perchè dopo il nuovo affittuario si prende tre settimane di tempo per pensarci su e alla fine la risposta è sempre la stessa, quella del messaggio WhatsApp pubblicato qui sopra che Giorgio ha condiviso su Facebook: «hanno detto che non vogliono il ragazzo di colore nonostante ci siano le garanzie».
Su Facebook Giorgio si chiede «dov’è la novità ?». La risposta, dopo tre mesi di ricerca e tre mesi di risposte negative è che non c’è nessuna novità .
Perchè il razzismo è diventato la norma. È quel razzismo di chi dice che gli stranieri che vengono per lavorare e che non sono clandestini sono ben accetti, a patto di non trovarseli come vicini di casa o come inquilini.
È il razzismo di chi pretende dagli immigrati ogni sorta di garanzia, che puntualmente non bastano mai. Perchè, come è successo a Aboubakar Soumahoro, anche quando sono italiani non lo sono abbastanza.

(da “NextQuotidiano”)

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L’ALLEANZA DI GOVERNO PERDE LA BATTAGLIA AL CSM: ERMINI VICEPRESIDENTE

Settembre 27th, 2018 Riccardo Fucile

ELETTO AL TERZO SCRUTINIO IL DEPUTATO PD… SCONFITTO IL CANDIDATO DEL M5S

David Ermini, 59 anni, deputato del Pd per due legislature e avvocato penalista, è il nuovo vicepresidente del Csm.
È stato eletto al terzo scrutinio, con 13 voti, dall’assemblea plenaria di Palazzo dei marescialli, presieduto dal capo dello Stato.
Il suo incarico durerà  4 anni. Tra i vertici dell’organo di autotutela della magistratura non ci sarà , quindi, un uomo vicino al governo gialloverde ma un esponente dell’opposizione.
Subito dopo l’elezione ha, però, chiarito che nel corso del mandato non farà  politica: “Ho già  chiesto la sospensione dal Partito democratico perchè ritengo che quando si assume un incarico istituzionale si deve avere la possibilità  di essere liberi”, ha affermato Ermini al termine dell’elezione, che ha dedicato al padre, “ha fatto l’avvocato per tutta la vita e che oggi, se ci fosse, sarebbe più felice di me”.
La sua nomina ha suscitato lo scontento di Luigi Di Maio che su Facebook ha scritto: “È incredibile! avete letto? Questo renzianissimo deputato fiorentino del Pd è appena stato eletto presidente di fatto del consiglio superiore della magistratura. Lo hanno votato magistrati di ruolo e i membri espressi dal parlamento. Ma dov’è l’indipendenza?”.
Ovvero l’indipendenza esiste solo se votano il candidato di Di Maio.
Nato a Figline Valdarno (Firenze) 58 anni fa, si è laureato all’Università  del capoluogo toscano con una tesi sul diritto di voto degli italiani all’estero. La sua prima esperienza politica risale agli anni Ottanta come consigliere comunale di Figline Valdarno, incarico che ha rivestito anche tra il 2001 e il 2006. Nel 2004, e fino al 2009, Ermini è stato capogruppo della Margherita alla Provincia di Firenze durante la presidenza di Matteo Renzi e, tra il 2009 e il 2013, presidente del consiglio provinciale di Firenze.
È stato per la prima volta eletto deputato nel 2013, e il 16 settembre 2014 nominato responsabile Giustizia del Pd guidato da Renzi.
Dal 2015 al 2017 è stato commissario regionale del Pd Liguria. Rieletto deputato nelle file del Partito democratico il 4 marzo scorso, il 19 luglio Ermini è stato scelto dalle Camere tra gli 8 laici della nuova consiliatura di Palazzo dei Marescialli, che terminerà  il suo mandato nel 2022.
In passato, Ermini ha svolto funzioni di vicepretore onorario e di giudice sportivo presso la Figc per il settore giovanile.

(da “Huffingtonpost”)

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FOA PRESIDENTE RAI CON I VOTI DI SILVIO E LE ACCUSE DI BROGLI

Settembre 27th, 2018 Riccardo Fucile

PASSA CON 27 VOTI, MA TRE IN MENO DEL PREVISTO… PARTE LA SPARTIZIONE DELLE POLTRONE NEI TG

Chiusa sbattendo i pugni sul tavolo la pratica Marcello Foa la controrivoluzione gialloverde è pronta a partire.
La mission è cambiare volto, cambiar pelle, persino dna al servizio pubblico televisivo. Finiti i tempi delle pecorelle, sfumano anche le immagini edulcorate, i richiami al non è mai troppo tardi del maestro Manzi, la tv didattica, la narrazione sbandierata e mai realizzata dalla passata gestione.
Il voto blindatissimo della maggioranza ha rimesso la chiesa al centro del villaggio, cioè Foa sulla poltrona rivendicata da Matteo Salvini: 27 voti a favore, tre in meno del previsto, con 3 contrari, una nulla e una scheda bianca.
La caccia ai traditori si è già  aperta. Ma volano parole pesanti, accuse di broglio.
L’ACCUSA.
Le malelinque sostengono infatti che, incassato il sostegno di Forza Italia, nonostante i numeri fossero ormai arcisicuri, i leghisti abbiano preteso un voto, per così dire, controllato. A scanso di possibili franchi tiratori. Brogli mascherati.
“Se è vero, come mi è stato riferito da alcuni colleghi che la votazione per Foa è stata taroccata — tuona Michele Anzaldi, segretario della Vigilanza — con due voti nulli trasformati in favorevoli saremmo davanti ad un caso gravissimo, ho chiesto un immediato accesso agli atti. Foa per essere eletto deve aver ricevuto 27 Si e non altro. Se le 27 schede non ci sono, se sono 25 o 26 siamo di fronte ad un falso”.
Una doppia bocciatura sarebbe stata imperdonabile. E Salvini in questa votazione ci ha messo la faccia più di tutti gli altri.
Il Pd incassa una sonora sconfitta (i dem non hanno partecipato al voto e continuano a minacciare azioni legali), così come LeU che la sua contrarietà  l’ha espressa.
Tanto per cambiare i dem si dividono. Michele Anzaldi, l’ultimo a darsi per vinto, a metà  pomeriggio se la prende con Rita Borioni, consigliere Rai in quota dem colpevole a suo dire per non aver depositato il ricorso e impugnato la delibera del Cda che designava per la seconda volta alla presidenza Foa.
Un errore, sostiene il deputato renziano, che potrebbe costare carissimo. “Con la sospensiva del Tar — ha detto in sintesi Anzaldi — intervistato da Repubblica.it — avremmo bloccato subito una nomina del tutto illegittima”.
Parole di fuoco che non risparmiano neanche l’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai. Dietro le quali si cela lo scontro tutto interno al partito della Nazareno , il sospetto che la Borioni abbia agito per nome e per conto del presidente Orfini in cambio di uno strapuntino. Un inciucio insomma. Così sta messo il Pd.
IL VOTO DI SILVIO
Nell’audizione del pomeriggio Marcello Foa ha mostrato il suo volto più moderato e dialogante. Uno che piace alla gente che di questi tempi piace. Cravatta arancione e pochette, modi accomodanti e garbati, un giornalista innamorato della sua professione, uno dei tanti figli e figliastri di Indro Montanelli, uno che non sembra neanche lontano parente dell’ex ad del Corriere del Ticino, il Marcello Foa sovranista e anti-vax che passava il suo tempo a twittare e ritwittare cinquettii imbarazzanti, anche contro il presidente della Repubblica.
Tipo quello sulla lobby dei discendenti di Carlo Magno che determinerebbe i destini del mondo
In Vigilanza Rai Foa si presenta come un “liberale di cultura antica”, un “garante del pluralismo e della qualità  del giornalismo”, assicura di essere un uomo fuori dai partiti – “non ho mai militato in un partito politico, non ho mai cercato un appoggio politico per fare carriera” – promette una Rai che “sia di tutti i cittadini italiani”.
Le sue parole “convincono” Forza Italia a votarlo e a farlo passare in Vigilanza, anche se il piano era già  ben definito al tavolo Berlusconi-Salvini. Alla fine i 27 sì arrivano con i voti di Lega, M5S, Forza Italia e Fratelli d’Italia.
SI PARTE DAI TG
Il neo presidente dovrà  fare al più presto le nomine dei Tg. A cominciare dalle testate cosiddette in scadenza. Già  venerdì potrebbero arrivare i primi nomi. Le sostituzioni più urgenti sono quelle di Roberto Pippan a RadioRai (avrebbe dovuto già  andare in quiescenza) e di Vincenzo Morgante alla Tgr (dal primo ottobre firmerà  per Sat2000). Dato ormai quasi per certo Matano al Tg1 (nomina che piace a tutti, anche a Casini), è bagarre al Tg2 dove ieri si è tenuta un’affollata assemblea.
In pole c’è Luciano Ghelfi ma Forza Italia (in particolare Tajani) spinge per Antonio Preziosi, ex direttore di RadioUno e corrispondente da Bruxelles.
Per RaiSport c’è in pole position sempre Jacopo Volpi. Tutto invariato e tutti confermati al Tg3 e a RaiNews24.
Come dire che qualcosa della vecchia gestione Rai resterà .

(da “Huffingtonpost”)

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