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LE MANI DELLE COOP DI DESTRA SUL BUSINESS DEI MIGRANTI

Ottobre 1st, 2018 Riccardo Fucile

NEL 2017 CHIUSI 34 CENTRI DI ACCOGLIENZA, TRA LE PERSONE ARRESTATE PERSONAGGI CON LEGAMI POLITICI SOVRANISTI E RAPPORTI CON LA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA

Ci sono i piccoli boss locali. E poi i colossi del sociale che macinano decine di milioni. Tutti con gli amici giusti, in contesti dove la politica pesa, senza distinzioni di schieramento
Se Mafia Capitale era il cancro che infettava Roma corrompendo politica e amministrazione, è vero che il suo sistema si ripete, in piccolo, in tutta Italia.
Il cuore del business dei migranti si chiama Cas, sigla delle strutture gestite da privati attraverso bandi delle prefetture.
Nati nel disastro della disorganizzazione dell’emergenza, con la politica che non ha potuto o in alcuni casi voluto occuparsi del fenomeno, i Cas sono spuntati come funghi. A fine anno erano 9.132 (il 99,8% delle strutture di prima accoglienza) e gestivano 148.502 richiedenti asilo (il 93,5% del totale).
I Cas sono spesso semplici case risistemate, senza grandi pretese. Hanno un vantaggio: i piccoli numeri sono più gestibili e hanno un minor impatto sul territorio. E uno svantaggio: non sono gli Sprar, organizzati dagli enti locali e sottoposti a un sistema di controlli molto più rigido.
Aggiungeteci che nel 2017 lo Stato ha elargito qualcosa come 1,68 miliardi di euro ai Cas, come poteva finire?
Accanto a cooperative, onlus e organizzazioni serie, che da sempre si occupano del sociale, sono arrivati i predoni. Che spesso sono legati a chi è al potere in quei territori.
A differenza di quel che vuole la vulgata, chi intasca i famigerati 35 euro per richiedente asilo sfruttando situazione e migranti, prime vittime del sistema, può dunque avere un diverso colore politico. Anche sovranista.
Prendete il caso Fondi, nel cuore del Sud Pontino, l’area in provincia di Latina che si spinge fino al confine con Caserta. Quarantamila abitanti, sede del più importante mercato ortofrutticolo all’ingrosso del centro Italia, è da almeno 15 anni la roccaforte laziale della destra, soprattutto di Forza Italia.
Gli affari a Fondi non riguardano solo frutta e verdura. Due Onlus, Azalea e La Ginestra, dal 2015 gestivano i centri di accoglienza per richiedenti asilo con un giro d’affari di quasi sei milioni di euro.
Nel 2016 scoppia una rivolta, gli ospiti scendono in strada, si ribellano, qualcuno chiama la Polizia. I magistrati di Latina decidono però di capire meglio cosa accade nei centri gestiti da piccoli imprenditori locali, famiglie fondane conosciute.
La squadra mobile scopre le condizioni disumane di quelle case di accoglienza: sovraffollamento, 1,66 euro spesi per fornire due pasti, vestiti recuperati qui e lì nei cassonetti dei rifiuti.
La Onlus più attiva è la Senis Hospes. L’anno scorso ha incassato 20 milioni
In altre parole una cresta sui finanziamenti destinati a rendere la vita perlomeno dignitosa a chi aveva scelto l’Italia per sfuggire a guerre e persecuzioni. Pochi giorni fa il pm Giuseppe Miliano ha chiuso l’inchiesta, chiedendo il rinvio a giudizio.
In città  i movimenti dell’ultra destra intanto cercavano di fatturare politicamente. Forza Nuova annunciava manifestazioni contro le vittime, dimenticando di raccontare fino in fondo chi fossero i carnefici.
Uno di questi, Luca Macaro, ha una storia interessante. Candidato nella lista Progetto Fondi, che appoggiava insieme alla Lega Lazio il candidato della destra Franco Cardinale, un padre — anche lui coinvolto nella gestione del centro di accoglienza, ma non indagato — che su Facebook metteva la classica manina tesa a mo’ di saluto romano e cliccava like sul profilo proprio dei camerati di Forza Nuova.
Una passione per i migranti, quello della famiglia Macaro, recentissimo. Scorrendo il profilo Facebook di Luca Macaro fino a qualche anno fa erano ben altri gli interessi: movida fondana e aperitivi.
Il colosso che finanzia Fi  
Se le due Onlus laziali in fondo erano piccole imprese, un vero e proprio gigante dell’accoglienza è invece il gruppo Senis Hospes / MediHospes, il gestore del centro di Borgo Mezzanone in provincia di Foggia.
Travolto dallo scandalo nato dopo l’inchiesta giornalistica dell’Espresso, non si è perso d’animo. E, soprattutto, non è mai uscito dal giro. Secondo i dati del Viminale nel 2017 ha gestito 15 centri, da Pordenone a Messina, per un totale di 2.067 ospiti e un incasso superiore a 20 milioni di euro.
Anche qui amicizie e legami puntano a destra. Nelle dichiarazioni depositate alla Tesoreria della Camera dei deputati relative alle elezioni del 2013 il gruppo Senis Hospes risulta nell’elenco dei donatori del Popolo delle libertà  di Silvio Berlusconi, con un versamento di 15 mila euro.
Il presidente del gruppo, Camillo Aceto, ha poi staccato personalmente un assegno da 5 mila euro a Maurizio Lupi, che poco dopo diverrà  ministro delle Infrastrutture.
Ma i rapporti tra Aceto e Lupi erano prima di tutto ideologici, grazie al legame dei due con il movimento cattolico Comunione e Liberazione.
In Sicilia c’è l’Udc
Raccontano le cronache che a Trapani, con il picco del flusso di migranti, i vecchi Ras si siano messi a rastrellare case, cascine, piccole strutture. Posti letto da utilizzare per l’accoglienza.
Nulla a che vedere con lo spirito umanitario che pur contraddistingue una parte dell’isola. Nel 2016 le indagini portarono ad arrestare anche un sacerdote, don Sergio Librizzi, con pesanti accuse di molestie sessuali e di affari illeciti con i richiedenti asilo (condanna a 9 anni appena tornati in Appello dopo un passaggio in Cassazione).
Le indagini, però, non si sono fermate.
Da un’intercettazione spunta una nuova pista, che conduce lo scorso luglio a un arresto eccellente. L’ex deputato regionale dell’Udc, Onofrio Fratello, finisce in manette con l’accusa di aver gestito una capillare rete di strutture attraverso prestanome.
L’ex deputato regionale era stato condannato per mafia il 13 dicembre 2006 ed era sottoposto a una vigilanza sui movimenti patrimoniali. Da Cosa nostra al business sulla pelle di chi fugge dall’inferno di Tripoli il passo è stato breve.
Profondo Nord e politica  
Prima la Dc, poi il Pdl. Simone Borile, la politica, la masticava da sempre. Così come la monnezza, il suo primo business nel Veneto dei padroncini. Poi sono arrivati i migranti e ha intuito il nuovo filone. Le cose, però, non sono andate bene.
Lo scorso marzo la Finanza di Padova ha sottoposto a sequestro preventivo 3 milioni di euro per la sua attività  con i rifiuti. Quindi è arrivata l’inchiesta sulla gestione dei migranti dei centri di Cona e Bagnoli, dove è indagato. E anche in questo caso le indagini erano partite dalle proteste degli ospiti.
Ispezioni e contestazioni  
Centinaia di bandi, controlli difficoltosi, che spesso arrivano dopo le inchieste giornalistiche o le proteste degli ospiti.
Nel 2017 solo il 40% di queste strutture ha ricevuto un’ispezione e, in 36 casi, si è arrivati alla revoca dell’affidamento per gravi inadempienze. Le contestazioni sono state 3.000 e le penali applicate ammontano a 900.000 euro.
Numeri in fondo piccoli se si pensa all’intero sistema.
Recita la Relazione sul sistema di accoglienza, appena resa pubblica: «Nell’indire le gare finalizzate al superamento degli affidamenti diretti, i prefetti hanno affrontato oggettive difficoltà  riconducibili all’inidoneità  di molti immobili proposti, non rispondenti agli standard previsti od offerti da soggetti non qualificati o addirittura collegati ad ambienti malavitosi».
Anche per questo dallo scorso 1° dicembre il ministero ha assegnato un prefetto al coordinamento delle ispezioni e si è concordato con l’Anticorruzione uno schema unico dei capitolati d’appalto per rendere omogenei requisiti e standard. Sarà  però difficile e ci vorrà  tempo per liberarsi dei predoni.
Un’idea sarebbe partire dal Lazio, la regione più critica. Se a livello nazionale la media delle contestazioni per centro visitato è stato di 0,79, qui siamo a 2,38: tre volte tanto.
Forse non è un caso se a Roma tutti ricordano la frase di Salvatore Buzzi, il Ras delle coop alleato con il nerissimo ex Nar Massimo Carminati: «Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno».

(da “La Stampa”)

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PONTE MORANDI, ORA LEGA E M5S LITIGANO SU CHI DESIGNARE: AL LEGHISTA GEMME, IL M5S OPPONE IL FISICO CINGOLANI

Ottobre 1st, 2018 Riccardo Fucile

E TOTI E TONINELLI SE LE DANNO DI SANTA RAGIONE… UNO SPETTACOLO PENOSO SULLA PELLE DEI GENOVESI: MA NOMINATE UNO CHE SAPPIA ALMENO COME RICOSTRUIRE UN PONTE INVECE CHE I VOSTRI AMICHETTI

“Nelle prossime ore, formalizzerò la nomina del commissario per la ricostruzione” del ponte Morandi a Genova. Lo annuncia il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in un post su Facebook.
Ma ci potrebbe essere un colpo di scena, nella nomina del supercommissario per la ricostruzione del ponte Morandi.
Il premier Giuseppe Conte, cui spetta la firma di un nuovo decreto che assegni il cruciale incarico, starebbe valutando anche un secondo nome, in verità  a lui e ai Cinque stelle più gradito: quello di Roberto Cingolani, fisico, 56 anni, direttore scientifico dell’Istituto italiano di tecnologia.
E l’aspettativa per la scelta del presidente del consiglio cresce proprio perchè invece negli ultimi giorni era dato quasi per certo l’incarico a Claudio Gemme, 70 anni, manager Fincantieri, proposto dalla Lega (il vicepremier Matteo Salvini ne aveva tracciato il profilo, suggerendolo a Conte e all’altro vicepremier Luigi Di Maio) e che però aveva suscitato alcune perplessità  proprio per un potenziale conflitto di interesse visto che il governo vuole far costruire il ponte proprio a Fincantieri.
Gemme aveva subito chiarito di essere pronto a rassegnare immediatamente le dimissioni dall’azienda in caso di nomina.
Sarebbe il M5S a spingere invece, sul filo di lana, la figura di Roberto Cingolani. Milanese, ma genovese d’adozione perchè ha fatto crescere l’Istituto italiano di tecnologia, eccellenza scientifica mondiale che ha sede proprio a Morego, nella Val Polcevera disastrata dal crollo del Morandi.
Dalla sua, Cingolani non avrebbe profili di conflitto di interessi, sarebbe più giovane, avrebbe l’esperienza in relazioni internazionali e sarebbe presto “libero” perchè l’incarico che ha all’Iit scade tra due mesi.
Come tutto quello che riguarda Genova, dopo il crollo del ponte Morandi, e proviene dal governo: fino all’ultimo non è detta l’ultima parola, perchè il braccio di ferro tra Lega (Claudio Gemme) e M5S (Roberto Cingolani) non conosce quiete
Oggi intanto il ministro Toninelli replica a Toti che ieri lo aveva invitato a lasciare perdere “ponti dove giocare a bocce e fare grigliate”.
Il minsitro risponde così. “Mi spiace che in Regione Liguria ci sia qualcuno che sta facendo polemiche sperando di sfruttare politicamente una situazione drammatica quando, in questo momento, stiamo facendo umilmente il nostro lavoro per stare vicino ai genovesi e per dare loro velocemente un ponte che significa dignità . Chi fa polemiche sta sbagliando, non ama i genovesi”.
Sul nome del manager di Fincantieri Claudio Andrea Gemme come commissario per la ricostruzione non c’è alcun ripensamento. Lo assicura oggi il vicepremier Matteo Salvini, al termine dell’incontro con gli sfollati di ponte Morandi, a Certosa (Genova)
“Spero che la nomina del commissario arrivi oggi ma tra cavilli, ricorsi e controricorsi non si sa mai”, aggiunge il vicepremier Matteo Salvini.
Continua la tragica farsa sulla pelle degli sfollati, mentre i genovesi si chiedono perchè, invece dei loro amichetti, il governo non nomina uno che sappia almeno come si ricostruisce un ponte.

(da agenzie)

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NESSUNO DEI COMPAGNI DI SCUOLA ALLA FESTA DEL BAMBINO AUTISTICO: E’ L’ITALIA CIVILE CHE POI SI LAMENTA DELL’INCIVILTA’ DEGLI ALTRI

Ottobre 1st, 2018 Riccardo Fucile

LA MAMMA DEL BIMBO: “DEI 23 DELLA CLASSE SOLO UNO E’ VENUTO ALLA FESTA, DAGLI ALTRI NEANCHE UN MESSAGGIO”… POI UN INVITO INASPETTATO

Una storia di discriminazione nei confronti di un bambino di 4 anni denunciata dalla mamma del piccolo. E’ successo a Cavezzo, in provincia di Modena.
Tutto era pronto e c’era grande attesa per festeggiare i 4 anni del bimbo. La sala era stata addobata con palloncini colorati, la tavola imbandita con cose da mangiare e da bere, le candeline pronte per la torta. Mancavano solo gli invitati che però non si sono mai presentati.
O meglio dei 23 compagni di scuola del piccolo solo uno si è presentato accettando l’invito gli altri invece hanno disertato in massa la festa senza neanche avvertire i genitori del bambino. E il motivo starebbe nel disturbo dello spettro autistico di cui soffre il piccolo festeggiato.
E’ successo a Cavezzo, in provincia di Modena. A denunciare l’accaduto è stata la madre su Facebook.
“Per fortuna – ha detto la mamma del piccolo – mio figlio proprio a causa della sua malattia non ha capito cosa è successo. Soltanto 5 genitori mi hanno risposto, tutti gli altri hanno ignorato il messaggio, mentre una sola mamma ha portato il suo bambino alla festa”.
“Voglio che questa storia – ha aggiunto la donna nel suo sfogo sui social – diventi virale”. E così è stato, visto che la notizia è arrivata agli organizzatori del Kids Festival, una manifestazione dedicata ai più piccoli, che hanno deciso di inviatre il bimbo autistico a Milano.
Durante il festival milanese per il piccolo è stato organizzato un compleanno davvero speciale. Per tutto il giorno ha giocato con gli altri bambini, ha scartato i regali, donati anche dagli organizzatori, dalla guardia di Finanza e dalle guardie del Parco nazionale. E alla fine non è mancata la torta con le candeline.
Durante l’evento la mamma ha tenuto un discorso e ha raccontato il calvario della sua famiglia. “Mio figlio fino ai 15 mesi era un bimbo come tutti gli altri. Poi ha iniziato a non guardarci più, a isolarsi, a urlare. Arrivare alla diagnosi non è stato semplice, abbiamo dovuto anche subire le critiche di chi pensava fossimo cattivi genitori, non in grado di educare nostro figlio”.
“Alcune mamme della classe di mio figlio – ha raccontato parlando del compleanno disertato – non mi rivolgono più la parola, nessun messaggio di solidarietà  nemmeno dalla scuola. Ma dopo che ho pubblicato il video sui social sono arrivati tanti messaggi di solidarietà  e l’invito, inaspettato, di partecipare al Kids Festival. E’ stata una bellissima giornata”.

(da agenzie)

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L’ETERNA DISCUSSIONE SUL NUMERO DEI PARTECIPANTI ALLE MANIFESTAZIONI DI PIAZZA

Ottobre 1st, 2018 Riccardo Fucile

LA VERITA’ SUI QUATTRO GATTI DEL M5S A PALAZZO CHIGI, QUELLI A OMAGGIARE SALVINI A BARI E SULLA MANIFESTAZIONE DEL PD A PIAZZA DEL POPOLO

Il giorno dopo la manifestazione del Partito Democratico a Roma molti simpatizzanti ed elettori del MoVmento 5 Stelle si affannano a dire che in Piazza del Popolo non c’era nessuno.
Oppure che quelli che erano in piazza erano pochi, così pochi da essere la dimostrazione che il PD orma è un partito da zerovirgola o da 12%.
Il PD è scomparso alle urne, e anche in piazza i suoi iscritti ed elettori si vergognano di farsi vedere.
Secondo il Partito Democratico alla manifestazione di ieri contro il governo c’erano 70mila persone. Un numero molto alto, perchè la capienza stimata massima di Piazza del Popolo è tra le 60mila e le 64mila persone.
I Dem però sottolineano che anche il primo tratto di via del Corso era piena di manifestati. E molti altri erano in piazzale Flaminio da dove stavano per entrare in piazza.
In un’altra nota inviata alle agenzie qualche minuto prima il PD Parlava di circa 50mila presenze. Persone arrivate con duecento pullman, sei treni, autobus speciali e mezzi propri. Comunque sia dalle foto della manifestazione di ieri era davvero difficile dire che Piazza del Popolo fosse vuota.
Eppure secondo Libero è stata “la domenica delle salme”. Un flop “terrificante” con “diecimila zombi del PD” in marcia su Roma.
Il Direttore del Fattoquotidiano.it Peter Gomez ha postato ieri su Twitter un commento dove mette in dubbio l’affluenza dichiarata dagli organizzatori della manifestazione.
Quello che è stato definito “tentativo di sminuire una manifestazione democratica è pacifica” è stato subito scoperto dai militanti PD che hanno postato altre foto dove si vede che effettivamente la piazza era affollata (anche se non stracolma).
È la solita guerra delle cifre, condita da gustose bufale
Il gioco è sempre quello di dire che in piazza c’erano i proverbiali “quattro gatti”. Ed in effetti è facile distorcere la realtà  pubblicando foto della manifestazione scattate però quando ancora in piazza non c’era nessuno o quando il grosso dei manifestanti doveva ancora arrivare.
Quindi sì: ad un certo punto ieri pomeriggio in piazza del Popolo c’era poca gente. Quindi quelle foto sono vere. Ma al tempo stesso non raccontano davvero quanta gente c’era in piazza.
Ed è vero che c’erano spazi vuoti (o occupati da gazebi e transenne) ma non si può certo dire che in piazza c’erano solo 10mila persone.
C’è allora chi ricorda che anche se in piazza c’erano 50mila persone gli italiani sono 60 milioni, quindi quelli di ieri erano una minuscola ed insignificante minoranza.
Non risulta però ci siano mai state manifestazioni cui ha partecipato la totalità  degli italiani. E non ci sono mai state manifestazioni politiche che siano riuscite a portare in piazza una percentuale “significativa” del corpo elettorale.
Un’altra strategia allora è quella di spiegare che ieri a Roma non c’era la “società  civile” ma solo i dirigenti del partito e i militanti. Un modo per dire che quelli del PD se la cantano e se la suonano.
Il che del resto si può dire di qualsiasi manifestazione politica (o sindacale) organizzata.
Ora però bisogna chiarire una cosa. I militanti (o gli elettori) sono esponenti della società  civile, ovvero sono cittadini italiani “comuni”.
A meno che non si voglia sostenere che gli elettori del PD non sono davvero cittadini italiani perchè appoggiano un partito che lavora “contro il Popolo”.
Poi però la memoria corre alla sera di qualche giorno fa quando il governo a 5 Stelle si affacciò su Piazza Colonna per annunciare l’approvazione della Manovra del Popolo.
La foto che tutti hanno visto è quella di Di Maio affacciato dal balcone di Palazzo Chigi su una selva di bandiere del MoVimento 5 Stelle mentre dalla piazza partivano cori e urla di incitazione per la grande vittoria del governo.
Vista dal basso la scena era diversa. Le due manifestazioni non sono certo paragonabili (e quella del M5S è stata “convocata” ad un’ora decisamente tarda), ma a “sostenere” Di Maio e i suoi c’erano un centinaio di persone.
E la maggior parte degli astanti non erano esponenti della “società  civile” e tanto meno i futuri beneficiari del Reddito di Cittadinanza o della Pensione di cittadinanza. A festeggiare il giorno storico per l’Italia c’erano soprattutto senatori e deputati del MoVimento 5 Stelle.
Tutti rigorosamente in giacca e cravatta, come si usa nelle grandi occasioni. Non è stata quindi una manifestazione spontanea nè una chiamata a raccolta del popolo a 5 Stelle.
Semplicemente era la claque organizzata per poter consentire ai Di Maio, Fraccaro, Bonafede e altri di prendersi il “meritato applauso”.
Certo che se ad applaudire alla Manovra del Popolo ci sono praticamente solo i parlamentari che prendono diecimila euro al mese di stipendio la cosa fa sorridere.
Eppure quasi nessuno ha raccontato quello che è successo davvero sotto Palazzo Chigi. Anzi si è sottolineata la “novità ” del popolo che per la prima volta festeggia l’approvazione del DEF e si è discusso al limite sul fatto che Di Maio abbia “rotto il tabù” del discorso dal balcone. Ma ad ascoltarlo non c’era praticamente nessuno.
Una storia già  vista per la spettacolare visita di Salvini a Bari.
Senza quella tifoseria organizzata sotto il palazzo, composta peraltro dai quei parlamentari che dovrebbero avere un ruolo “centrale” nella politica del M5S, la notizia dell’approvazione del DEF avrebbe avuto tutt’altra risonanza.
Le sarebbe mancata la dimensione “di popolo” che appunto è il tema sul quale viene costruita la narrazione della primo documento di economia e finanza approvato da un governo a 5 Stelle.
Perchè altrimenti si sarebbe parlato immediatamente del deficit al 2,4%, dei tagli alla spesa o del maggior debito che gli italiani dovranno ripagare.

(da “NextQuotidiano”)

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GERMANIA, PREPARAVANO ATTENTATI AGLI STRANIERI PER IL 3 OTTOBRE: ARRESTATI SEI NEONAZISTI

Ottobre 1st, 2018 Riccardo Fucile

I TERRORISTI STAVANO PROCURANDOSI ARMI SEMIAUTOMATICHE E SAREBBERO ENTRATI IN AZIONE DURANTE LA FESTA DELLA RIUNIFICAZIONE DELLA GERMANIA

Sei neonazisti sono stati arrestati in Germania, con l’accusa di avere fondato un gruppo terroristico. Secondo la polizia, pianificavano attentati contro stranieri.
Gli arresti sono avvenuti in Sassonia e in Baviera.
I terroristi si erano dati il nome di “Rivoluzione Chemnitz”, dal nome della città  della Sassonia teatro di una vera “caccia allo straniero”, scattata nell’agosto scorso dopo la morte di un medico tedesco di 35 anni
Gli arrestati appartengono agli ambienti neonazi, agli hooligan e agli skinhead.
Si tratta di giovani di età  compresa fra 27 e 30 anni. Secondo le indagini della procura federale, che ha emesso i mandati di arresto, il gruppo aveva già  provato a procurarsi armi semiautomatiche.
Fra gli obiettivi ci sarebbero stati stranieri e anche politici di orientamento diverso dal proprio.
Alle operazioni di polizia hanno partecipato oggi circa 100 agenti. Cinque delle persone arrestate avevano già  preso parte agli scontri di Chemnitz, e sono accusate di aver aggredito e ferito diversi cittadini stranieri sul posto in quell’occasione.
L’attacco a Chemnitz doveva valere come prova generale per altri agguati pianificati per il 3 ottobre, data in cui in Germania si festeggia la Riunificazione.

(da agenzie)

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GIORGIA MELONI FA LA LA SOVRANISTA CON I SOLDI DELL’EUROPA: IN BELGIO CREA UNA ASSOCIAZIONE PER RICEVERE FONDI DELL’ODIATA UE

Ottobre 1st, 2018 Riccardo Fucile

UN SISTEMA PER OTTENERE FINANZIAMENTI… ALLO STESSO INDIRIZZO REGISTRATA UNA FONDAZIONE AMMINISTRATA DA ESTREMISTI DI DESTRA INDAGATI PER SPIONAGGIO A FAVORE DELLA RUSSIA.. SOVRANISTI AL SERVIZIO DEGLI EX COMUNISTI

La piccola Rue des Allies, a Charleroi, in Belgio, dista poche decine di chilometri dal cuore dell’Unione europea.
Le casette primi ‘900, coi mattoncini rossi, ricordano la storia industriale di questa cittadina della Vallonia, una storia di lotte operaie.
Da qualche tempo però il civico 15 di Rue des Allies si è trasformato in una enclave nera. Anzi, nerissima. Con fili che portano a Mosca e a politici accusati di spionaggio a favore della Russia di Putin.
Dallo scorso aprile Luca Romagnoli ha trasferito a questo indirizzo di Charleroi la sede della sua creatura politica. Romagnoli, ex Fiamma tricolore, poi Destra sociale, oggi è vicino a Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni.
La fondazione di cui   è presidente si chiama Identitès & Traditions Europèennes, in sigla Ite, ed è amministrata da un board di cui fa parte anche Bela Kovacs, eurodeputato ungherese meglio conosciuto in patria come KGBela.
Per i magistrati di Budapest, infatti, Kovacs è un agente sotto copertura del Gru, il servizio segreto militare di Putin.
Nella Ite di Romagnoli militava, fino al suo arresto, anche il polacco Matheusz Piskorski, finito in carcere con l’accusa di essere una spia, pure lui, al servizio dell’intelligence russa.
A ben guardare, comunque, Romagnoli non è l’unico italiano con un domicilio politico a Charleroi.
Allo stesso indirizzo troviamo anche il partito politico europeo – con annessa fondazione – appena creato da Fratelli d’Italia.
L’Alliance pour l’Europe des Nations (Aen) presieduta da Giorgia Meloni, così come la collegata Fondation pour l’Europe des Nations, sono state iscritte alla camera di commercio belga a fine agosto, pochi giorni prima dell’arrivo di Steve Bannon ad Atreju, alla festa di Fratelli d’Italia.
Nella casa di Rue des Allies 15 sono registrate in tutto 12 società .
Niente altro, però, che possa in qualche modo ricondurre al mondo della politica. C’è l’ufficio di un contabile, Patrick Gorloo, una ditta di commercio al dettaglio,
una piccola agenzia di comunicazione, un elettrotecnico e una profumeria.
La fondazione presieduta da Romagnoli è a sua volta l’emanazione dell’Alleanza europea dei movimenti nazionalisti, Aemn, fondata nel 2009 a Budapest da partiti di estrema destra ungheresi, belgi, italiani e svedesi.
Un gruppo eterogeneo, in cui Bela Kovacs è senza dubbio la figura di maggior peso politico. Esperto di relazioni internazionali, poliglotta, fino all’avvio delle indagini era un esponente di spicco dello Jobbik, partito magiaro forte di un 20 per cento alle ultime elezioni, che fa opposizione, da destra, a Viktor Orbà¡n.
Per due volte il Parlamento europeo   ha votato – nel 2015 e nel 2017 – la decadenza dell’immunità  parlamentare per Kovacs.
Un anno fa a Bruxelles è arrivato un dossier che lo vede accusato di frode in bilancio e utilizzo di documenti contraffatti. Ma la prima inchiesta, avviata subito dopo le elezioni del 2014, parla   di «spionaggio ai danni delle istituzioni dell’Unione europea».
Secondo quanto ricostruito dalla stampa ungherese, Kovacs avrebbe agito per conto dei servizi militari russi, il Gru, con «l’obiettivo finale di creare un fronte anti Ue nel Parlamento europeo», riporta il sito di news Magyar Idok.
Questo sarebbe stato il vero obiettivo politico della sua frenetica attività  a Bruxelles, secondo l’accusa, tra le sedute del Parlamento   e l’attività  dell’Aemn e della fondazione   di Rue des Allies.
KGBela non è l’unico del gruppo di Charleroi sospettato di legami con Putin. Il polacco Matheusz Piskorski, noto in patria per le sue posizioni di estrema destra, risulta tra i membri dell’associazione Identitès & Traditions Europèennes di Romagnoli almeno fino   al 2014.
Due anni dopo, le autorità  di Varsavia hanno arrestato Piskorski con l’accusa di spionaggio a favore della Russia. Quando lo ammanettano i suoi colleghi di partito gridano al complotto, lanciando appelli di solidarietà .
Appelli raccolti non solo dall’estrema destra: oltre ad Antonio Razzi, anche l’europarlamentare di Forza Italia Alberto Cirio si è attivato inviando lettere alle autorità  polacche, parlando di arresto politico.
Al pari di Cirio ci sono altri berlusconiani in qualche modo legati al crocevia nero di Charleroi. Dai documenti depositati a Bruxelles si scopre infatti che nel novembre 2017 Francesco Graglia, consigliere regionale forzista in Piemonte si è registrato come membro sostenitore dell’Aen di Giorgia Meloni.
Tra gli amministratori della collegata Fondation pour l’Europe des Nations, troviamo invece, insieme a due esponenti di Fratelli d’Italia – Marco Scurria e il senatore Stefano Bertacco, veronese – anche il forzista torinese Fabrizio Bertot, deputato a Bruxelles fino al 2014.
«Movimenti interessanti quelli che qui da Roma e da Atreju possono prendere corpo verso l’Europa delle Nazioni e delle Identità !», ha commentato entusiasta Bertot su Facebook dopo il discorso di Bannon alla festa di Fratelli d’Italia.
Lo stesso Bertot che nel recente passato si era più volte pubblicamente schierato contro le sanzioni a Mosca.

(da “L’Espresso”)

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2,4% INCOMPATIBILE, L’EURO NON CREDE A TRIA: “LA SPESA PUBBLICA RENDE VOTI MA ALLA FINE IL POPOLO ITALIANO CAPIRA’ CHI PAGA”

Ottobre 1st, 2018 Riccardo Fucile

“TRANQUILLI, IL DEBITO SCENDERA'”, MA NESSUNO CREDE ALLE FAVOLETTE DI TRIA… PIAZZA AFFARI AZZERA I GUADAGNI, BANCARI IN FORTE CALO, LO SPREAD SOPRA QUOTA 270

C’è più di un motivo per tenere sotto la lente i mercati finanziari nel primo giorno di ottobre.
Cambia proprio da oggi la strategia della Bce, che dimezzerà  gli acquisti di titoli di Stato dell’area euro, ma è anche il giorno del Def all’Eurogruppo.
La Borsa tiene, con Piazza Affari in crescita attorno all’1% in scia all’accordo commerciale fra Usa e Canada per gran parte della giornata, ma sono poi proprio le parole che arrivano dal Lussemburgo ad azzerare i guadagni.
Allo stesso modo lo spread, dopo un’impennata iniziale fino a 288 punti, si era quietato sotto quota 270 per poi superare tale soglia.
“Cercherò di spiegare ai ministri che cosa sta accadendo in Italia” aveva detto ai giornalisti il ministro Tria arrivando all’Eurogruppo, aggiungendo che il suo messaggio sarà  di stare “tranquilli”, anche perchè nel 2019 “il debito scenderà “.
Una tranquillità  che non si respira tra i ministri e i commissari europei.
Sono dure, anche se ancora attendiste, le dichiarazioni dei commissari Ue. “Quello che so è che il deficit è del 2,4% non solo per il 2019, ma per i tre anni che vengono, ed è una deviazione molto, molto significativa rispetto agli impegni che sono stati presi” afferma il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici, secondo cui il 2,4% è “incompatibile” rispetto alle regole Ue. “Quello che noto è che il Governo italiano predilige la spesa pubblica e la spesa pubblica può rendere popolari, ma alla fine gli italiani capiranno totalmente la verità , chi paga”…
“Non vedo come queste cifre siano compatibili con le nostre regole, lavoro con Tria che vedrò oggi, lavoriamo sulla base di 1,6%. Con il 2,4% è chiaro che il deficit strutturale non sarà  guardato per niente nello stesso modo”, ha affermato ancora Moscovici, ribadendo che “non è interesse dell’Europa provocare una crisi in Italia”, per cui “vedrò Tria con spirito di dialogo”.
Ma “ci sono due obblighi” che tutti i Paesi devono rispettare. “Primo, ridurre il deficit nominale sotto il 3%, e secondo ridurre lo strutturale che permette di ridurre debito”. Per il vice presidente Valdis Dombrovksis, inoltre, bisogna aspettare il testo della manovra per giudicare, ma “il piano di bilancio italiano non sembra rispettare le regole”.
Anche Parigi esprime tutta la sua preoccupazione per il Def italiano. “Ci sono regole e sono uguali per tutti perchè i nostri futuri” di Paesi dell’Eurozona “sono legati” ha detto il ministro dell’economia Bruno Le Maire rispondendo a una domanda sull’Italia. La Francia ha annunciato che il suo deficit/Pil salirà  al 2,8% nel 2019, per finanziare un importante piano di sgravi fiscali, ma ha anche preso l’impegno di tornare nei ranghi nel 2020.
“Noi riduciamo il debito, rispettiamo le regole e stiamo sotto il 3% non per soddisfare la Commissione Ue ma perchè crediamo che ridurre la spesa pubblica, introdurre riforme sia buono per i francesi”, ha aggiunto.
Il presidente dell’Eurogruppo, il portoghese Mario Centeno non nasconde che “l’attenzione di tutti è sull’Italia” e prevede un “negoziato lungo”.

(da “Huffingtonpost”)

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HANDELSBLATT, IL GIORNALE ECONOMICO DELLA GERMANIA: “L’ITALIA E’ SUL BARATRO”

Ottobre 1st, 2018 Riccardo Fucile

“SENZA CORREZIONI ALLA MANOVRA RISCHIATE DI FINIRE COME L’ARGENTINA”

“Un paese sul baratro”. Il giornale economico tedesco Handelsblatt lancia l’allarme Italia, in un articolo che traccia uno scenario molto preoccupante: se il governo non corregge la rotta sui mercati la situazione può finire fuori controllo.
L’eurozona, in questo caso, non potrebbe più salvare il Paese e l’Italia finirebbe fuori dall’euro, nella situazione dell’Argentina.
“La Commissione europea ha fallito con la sua politica della generosità . Se il governo di Roma non correggesse il suo corso, un procedimento a causa del deficit troppo alto sarebbe inevitabile. Forse per questo è addirittura troppo tardi”, si legge. “Il premio di rischio sui titoli italiani sale, le banche sono sotto pressione, e la fuga di capitali è da tempo iniziata.
È possibile che il crollo sui mercati vada fuori controllo. Come nel caso di una recessione o di un rincaro dei tassi – continua l’analisi -. Per l’eurozona questo significherebbe una prova senza precedenti: dovrebbe possibilmente reggere anche per la prima volta l’uscita di un paese dall’euro”.
Secondo Handelsblatt, in uno scenario del genere, “all’eurozona non resterebbe altro che isolarsi: dovrebbe proteggere gli altri Stati membri e le banche, dall’essere coinvolti nella spirale deflazionistica. Per l’Italia non ci sarebbe più alcuna ancora di salvezza nell’unione monetaria. Quello che questo significa si può vedere in Argentina – è la conclusione -: iperinflazione, disoccupazione, impoverimento. Il prezzo per la negazione della realtà  lo pagano tutti, non solo coloro che lo provocano”.

(da “Huffingtonpost”)

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FINANCIAL TIMES: “ALLARME ITALIA, GIOCHI PERICOLOSI SUL DEFICIT”

Ottobre 1st, 2018 Riccardo Fucile

“E’ COME METTERE UN DITO NELL’OCCHIO DEI PARTNER EUROPEI”… “SE TRIA SI DIMETTESSE LA SITUAZIONE POTREBBE DIVENTARE ESPLOSIVA”

La scelta del governo gialloverde di fissare al 2,4 per cento il rapporto debito-Pil è “una strada rischiosa” che equivale a “mettere un dito nell’occhio” degli altri Paesi europei.
Se poi il ministro dell’Economia Giovanni Tria dovesse dimettersi la situazione “diventerebbe esplosiva”.
A scriverlo è il Financial Times, uno dei più autorevoli quotidiani economici, che titola sul “gioco pericoloso” dei leader politici italiani, aggiungendo che   “l’irresponsabilità  fiscale e l’atteggiamento di sfida potrebbero aggravare i problemi di Roma”.
“La politica di bilancio aggressiva – sottolinea il quotidiano britannico – ignora non solo i precedenti impegni di Roma con l’Ue ma anche le raccomandazioni del suo stesso ministro delle finanze”.
Ma “nonostante il trionfalismo del governo, la bozza di bilancio approvata la scorsa settimana non è una ragione di festeggiamenti”.
Al contrario: ci sono   “rischi gravi e reali, che derivano tanto dall’atteggiamento e dal comportamento di Roma quanto dagli attuali obiettivi economici”, perchè il 2,4% di deficit va “ben al di là  del tipo di cifra con che l’Ue e i mercati possano accettare”.
Dopo aver sottolineato che “se l’Italia diventa un violatore flagrante delle regole” neanche la Bce potrà  più intervenire, il quotidiano rileva che “la possibilità  di uno scontro con le autorità  europee agiterà  solo di più i mercati”, dove gli investitori avevano sperato nella capacità  di moderazione del ministroTria.
Ma se lui dovesse dimettersi, “una situazione altamente infiammabile potrebbe diventare esplosiva”.
Per questo, conclude il Ft, “prendersi a cornate con l’Ue potrebbe ritorcersi contro entrambe le parti. Bruxelles lo sa. E’ il momento che lo realizzino anche i leader politici a Roma”.

(da agenzie)

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