Aprile 13th, 2020 Riccardo Fucile
LA NOTA DI PALAZZO CHIGI RISPONDE ANCHE A MENTANA
“Non c’è stata alcuna conferenza stampa a reti unificate. Palazzo Chigi non ha mai chiesto che la
conferenza stampa venisse trasmessa a reti unificate; e infatti è stata trasmessa solo da alcuni canali tv e solo per una parte e non interamente”.
Attraverso l’ufficio stampa di palazzo Chigi Giuseppe Conte torna ad rispondere a Matteo Salvini e Giorgia Meloni, stavolta prendendo spunto dalle affermazioni fantasiose dei due, che non vengono chiamati mai per nome e cognome. Ma l’obiettivo è chiaro lo stesso.
“Tutti gli interventi del presidente del Consiglio si sono sempre svolti secondo le consuete modalità e, in particolare, nella forma di conferenze stampa, salvo qualche rara eccezione — precisa la nota, che vuole spiegare come sia stata una decisione della tv mandare in onda l’intervento del premier -. Sin dall’inizio del primo mandato del presidente del Consiglio Conte, dal giugno 2018, Palazzo Chigi trasmette il segnale audio video in Hd mettendolo a disposizione di tutti e di tutte le reti televisive, le quali liberamente decidono se e cosa mandare in onda sui propri canali. Lo stesso è avvenuto in occasione delle dichiarazioni alla stampa di sabato 21 marzo (per le quali alcuni hanno parlato, del tutto impropriamente, di ‘diretta facebook’) e della conferenza stampa di venerdì 10 aprile (per la quale alcuni, anche qui del tutto impropriamente, hanno parlato di ‘discorso alla nazione a reti unificate’)”.
Di conferenza stampa in prima serata sul servizio pubblico per attaccare l’opposizione aveva parlato la Meloni, uno degli obiettivi della polemica di Conte sul MES.
Anche Enrico Mentana aveva parlato di discorso a reti unificate del premier.
“In particolare — continua la nota dell’ufficio stampa di palazzo Chigi — il 10 aprile il presidente del Consiglio ha tenuto una conferenza stampa, come tante altre volte avvenuto in queste settimane. E come ogni volta ha illustrato i provvedimenti adottati, ha spiegato e chiarito i fatti più rilevanti e ha risposto a tutte le domande dei giornalisti, tanto sull’emergenza Coronavirus quanto sul MES. Nell’occasione ha smentito vere e proprie fake news che rischiavano di alimentare divisioni nel Paese e di danneggiarlo, compromettendo il “senso di comunità ”, fondamentale soprattutto in questa fase di emergenza. In conclusione, anche questa volta non c’è stata richiesta, da parte della Presidenza del Consiglio, di trasmettere un discorso alla nazione a reti unificate”.
E anche qui l’obiettivo è facilmente intuibile: a diffondere la notte precedente vere e proprie bufale sul governo che aveva firmato il ricorso al MES erano le pagine facebook di Salvini, Meloni e Casapound.
“La decisione di trasmettere o meno le conferenze stampa del Presidente del Consiglio spettera’ — come e’ sempre stato — sempre e solo ai responsabili delle singole testate giornalistiche. Questi ultimi — si sottolinea — ono anche liberi di sostenere la singolare opinione secondo cui il presidente del Consiglio non dovrebbe smentire fake news e calunnie nel corso di una conferenza stampa rivolta al Paese, nè dovrebbe parlare di un tema rilevante e di interesse generale come il Mes”.
“Facciamo notare, infine, che Conte non avrebbe potuto evitare di affrontare il tema del Mes e chiarire le relative fake news veicolate dell’opposizione, visto che questo tema è poi stato oggetto delle domande poste dai giornalisti. A conferma del fatto che si tratta di argomento di interesse generale”, conclude la nota.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 13th, 2020 Riccardo Fucile
CHI SMENTISCE MA NON FORNISCE PROVE, CHI ORA SCOPRE PARTENZE MA LE HA TENUTE NASCOSTE
Mentre la Guardia costiera Italiana e l’agenzia Frontex negano di essere al corrente di naufragi nel Mediterraneo, emergono nuovi dubbi sulla sorte di almeno due barconi. Sia l’Italia che l’agenzia Ue per i confini non sono in grado di fornire informazioni circostanziate, limitandosi a ipotizzare “verosimilmente” un intervento della cosiddetta Guardia costiera libica. Che però non conferma e non smentisce.
Nelle ultime ore Alarm Phone ha perso i contatti con 3 delle 4 navi di fortuna in avaria che da giorni chiedono aiuto.
Dal quarto natante, quello con cui Alarm Phone è riuscita a parlare con un ultimo messaggio prima del blackout, una donna riferisce di 47 persone a bordo, senza più cibo nè acqua, di cui almeno 5 prive di sensi.
Nel drammatico audio raccolto da Alarm Phone si ascolta la testimonianza di una donna di 21 anni, incinta, a bordo di una delle imbarcazioni in avaria con il figlio di 7 anni. Le condizioni del mare stanno peggiorando e di loro non c’è ancora alcuna altra notizia certa.
Intanto la nave di soccorso Aita Mari, della ONG basca Salvamento Maritimo Humanitario, ha deviato la sua rotta di trasferimento da Siracusa verso la Spagna per recarsi sul posto e avviare le ricerche. Nel corso della navigazione ha individuato un gommone con 55 persone di cui 5 in stato di incoscienza.
Non si sa ancora se si tratta della barca dispersa o di un secondo gommone di cui non si avevano più notizie da ieri.
Ieri Sea Watch e Alrm Phone avevano parlato di un barcone ribaltato, fotografato da un aereo militare europeo. “Il mezzo ripreso da un velivolo Frontex e segnalato quale pericolo per la navigazione, era un gommone alla deriva, in area Sar libica, senza motore, verosimilmente oggetto, nei giorni scorsi, di un intervento di soccorso avvenuto da parte delle competenti autorità libiche, che hanno successivamente lasciato il natante vuoto alla deriva, traendo in salvo i migranti che si trovavano a bordo”.
Lo precisa la Guardia Costiera italiana “in merito al presunto naufragio di un gommone con migranti a bordo, reso noto ieri dall’Ong Sea Watch”.
Dalle immagini trasmesse “non si rileva la presenza di corpi, relitti o oggetti galleggianti in mare, nelle vicinanze del gommone nè nell’area circostante, che possano far pensare ad un recente naufragio”, conclude la Guardia Costiera.
La nota, dunque, conferma l’esistenza di foto e di informazioni note alle autorità ma rese pubbliche solo dopo l’intervento delle Ong e dei media.
La cosiddetta Guardia costiera libica, peraltro, non fornisce informazioni aggiornate sugli interventi in mare e nulla si sa della sorte dei migranti. Destino, a quanto pare, parzialmente noto alle autorità italiane ed europee che continuano a non divulgare informazioni se non quando costrette dalla pressione mediatica
Tuttavia manca all’appello almeno un barcone, due secondo le Ong. “Ventiquattro ore fa abbiamo perso il contatto con una barca: a bordo circa 55 persone”, spiega Alrm Phone che in base all’ultima posizione gps ricevuta ha realizzato una proiezione di traiettoria che tiene conto del vento e delle correnti.
“Non possiamo garantire che la barca sia lì, non sappiamo nemmeno se sono ancora vivi”, aggiunge l’organizzazione.
L’ufficio stampa di Frontex, interpellato dal giornalista Lorenzo D’Agostino, ha comunicato domenica sera di aver avvistato “quattro barche con migranti a bordo” da venerdì 10 aprile, ma nessuna comunicazione era stata resa pubblica prima di ieri sera. Una di esse, secondo quanto riportato dall’Agenzia europea, sarebbe quella arrivata autonomamente a Pozzallo. Altri due gommoni sarebbero stati nuovamente avvistati ieri, domenica 12 aprile, in area di competenza maltese. Non ci sarebbero stati ulteriori avvistamenti della quarta imbarcazione. Che tuttora risulta dispersa.
“A quale caso si riferisce l’avvistamento del gommone semiaffondato di domenica 12 aprile? Perchè Frontex – si domanda Sea Watch in un nota – ieri afferma che i due gommoni con persone a bordo alla deriva siano stati gli unici avvistamenti? Su che base le autorità commentano che non vi sia stato alcun naufragio senza confermare l’avvenuto soccorso del gommone in questione e fornire relative informazioni?”. Perciò “chiediamo conferma del fatto che queste persone siano vive”.
Il caso si trascina dietro il rischio di una nuova pesante indagine giudiziaria. “Se Frontex ha informato le autorità Ue e della zona Sar competente, siamo in presenza – sostiene Sea Watch – di una violazione del principio di diritto internazionale relativo all’obbligo di soccorso da parte delle autorità in questione, che non sono intervenute nonostante la presenza in mare da due giorni di imbarcazioni in pericolo”.
I tracciati dei voli aerei di Frontex, rivelati dal giornalista di Radio Radicale Sergio Scandura, confermano un’intensa attività di pattugliamento e ricerca, anche a bassa quota.
Ma mai da Frontex nè dalle Guardie costiere di Italia e Malta viene emessa alcuna tempestiva nota informativa per chiarire in tempo reale quale sia la situazione nel Canale di Sicilia e in Libia, da cui i barconi continuano a salpare approfittando del conflitto e dei “silenzi” delle autorità europee.
(da “Avvenire”)
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Aprile 13th, 2020 Riccardo Fucile
DA 56 ORE ITALIA, MALTA ED EUROPA SANNO DI LORO E NON HANNO MOSSO UN DITO: SCRITTA UNA DELLE PAGINE PIU’ INFAMI DELLA LORO STORIA
“C’è qualcuno che può aiutarci? Ci sono due persone morte a bordo qui. Il bambino è molto malato”.
La voce è di una donna di 21 anni, incinta, a bordo di una delle navi in avaria intercettate la notte scorsa dall’Alarm Phone della ong Mediterranea. Con lei, il figlio di 7 anni e altre 45 persone, tra cui 5 svenute, pare.
Sono oltre 80 ore che sono in mare nel Mediterraneo centrale. Le autorità sanno di loro da 56 ore, senza prestare soccorso.
La nave Aita Mari della ong basca Salvamento Maritimo Humatirio, ha raggiunto il natante dopo aver deviato la rotta di trasferimento da Siracusa verso la Spagna. Ma non ha personale medico nè di soccorso a bordo, sottolineano da Mediterranea.
Gli spagnoli avrebbero riferito di aver trovato “sei persone in stato di incoscienza e una donna incinta. E stata richiesta assistenza medica urgente”.
I quattro gommoni, uno con 72 migranti a bordo, uno con 47, uno con 55 e l’ultimo con 85, erano stati segnalati ieri alla ONG Sea Watch da Alarm Phone, il servizio telefonico per il soccorso ai migranti in difficoltà .
(da agenzie)
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Aprile 13th, 2020 Riccardo Fucile
NELLA MESSA DI STAMANE A SANTA MARTA: “NON TORNIAMO AL SEPOLCRO DELLA FAME, DELLA SCHIAVITU’, DELLE GUERRE, DEI BAMBINI SENZA EDUCAZIONE”
«Signore, aiuta i politici a scegliere il bene della gente», invoca Francesco nella messa di Pasquetta a Santa Marta. E precisa: «Quando non serviamo Dio, il Signore, serviamo l’altro dio, il denaro. Ricordiamo quello che Gesù ha detto: sono due signori, il Signore Dio e il signore denaro. Non si può servire ambedue».
Il Papa prega perchè i governanti e gli scienziati imbocchino la strada giusta alla crisi provocata dal coronavirus, prendendo decisioni che siano a favore della gente. «Adesso la scelta è tra la vita dei popoli e il dio denaro- afferma il Pontefice-. Se si sceglie il denaro, si sceglie la via della fame, della schiavitù, delle guerre, delle fabbriche delle armi, dei bambini senza educazione».
Quindi, prosegue Jorge Mario Bergoglio, «preghiamo oggi per i governanti, gli scienziati, i politici, che hanno incominciato a studiare la via d’uscita, il dopo-pandemia, questo “dopo” che è già incominciato: perchè trovino la strada giusta, sempre in favore della gente, sempre in favore dei popoli».
Poi, a partire dai brani delle Scritture proposte dall’odierna liturgia, osserva: «E’ vero che tanta gente non crede in Gesù perchè non lo conosce, perchè noi non lo abbiamo annunciato con coerenza; e questo è colpa nostra. Ma quando davanti alle evidenze si prende questa strada, è la strada del diavolo, è la strada della corruzione. Si paga e stai zitto».
E, prosegue, «anche oggi, davanti alla prossima, speriamo che sia presto, prossima fine di questa pandemia, c’è la stessa opzione: o la nostra scommessa sarà per la vita, per la risurrezione dei popoli o sarà per il dio denaro: tornare al sepolcro della fame, della schiavitù, delle guerre, delle fabbriche delle armi, dei bambini senza educazione. Lì c’è il sepolcro».
Perciò «il Signore, sia nella nostra vita personale sia nella nostra vita sociale, sempre ci aiuti a scegliere l’annuncio: l’annuncio che è orizzonte, è aperto, sempre; ci porti a scegliere il bene della gente. E mai cadere nel sepolcro del dio denaro».
Infatti, afferma commentando il Vangelo, «i sacerdoti, i dottori della Legge hanno scelto l’altra strada, quella che offriva loro il dio denaro e hanno pagato: hanno pagato il silenzio delle guardie e dei testimoni della Risurrezione. Non è una tangente: questa è corruzione allo stato puro, lì c’è il sigillo del sepolcro».
Papa Francesco conclude la celebrazione con l’adorazione e la benedizione eucaristica, invitando a fare la comunione spirituale.
Da qui la supplica diffusa da Vatican news: «Gesù mio, credo che sei realmente presente nel Santissimo Sacramento dell’altare. Ti amo sopra ogni cosa e ti desidero nell’anima mia. Poichè ora non posso riceverti sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io ti abbraccio e tutto mi unisco a Te. Non permettere che mi abbia mai a separare da Te».
(da agenzie)
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Aprile 13th, 2020 Riccardo Fucile
NELLE CASE DI RIPOSO DEL NORD CI SONO STATI PIU’ MORTI DI COVID CHE IN TUTTA LA GERMANIA
Ovviamente, ora il tentativo sarà di addossarli a pacchetto a qualche “mariuolo” e a risolvere
penalmente un problema che potrà avere forse sanzione, ma non soluzione, nè prevenzione giudiziaria.
Per la monumentale Caporetto politico-amministrativa che emerge da questi numeri, parlare di “modello italiano” è qualcosa che sta a metà tra il delirio e l’improntitudine. Inoltre continuare a chiedere, con i dovuti salamelecchi, che la giustizia faccia il suo corso e lasciare a domani la valutazione dell’accaduto significa avere la garanzia che domani sarà un inferno pari o peggiore di quello di oggi.
Il fenomeno, di cui la strage nelle residenze per anziani è la punta dell’iceberg, non è la conseguenza del dolo criminale di qualche direttore fuori controllo (da questo punto di vista il Trivulzio non è un caso a sè: nè in Lombardia, nè altrove), ma dello zelo burocratico e dell’irresponsabilità politica di istituzioni (anche tecnico-scientifiche) che hanno imposto un modello per cui i malati non andavano cercati, tracciati e isolati, di modo da non trasformare le case private e le strutture di cura in centri di propagazione della pandemia, ma al contrario andavano incrociati al momento del bisogno, “impacchettati” e rinchiusi a casa e in ospedale, senza che a casa potessero avere altra sorveglianza e assistenza che quella telefonica, per monitorare le eventuali “criticità ” e senza che le strutture sanitarie fossero minimamente attrezzate per gestire la bomba di contagio riversata nelle stanze e nelle corsie.
Ci si è mossi come se il solo pericolo da scongiurare fosse la saturazione delle terapie intensive e su questo si sono costruite epopee ultra-propagandistiche, tipo quella della Fiera di Milano, e intanto, anche quando le terapie intensive hanno iniziato a svuotarsi, hanno continuato a morire a centinaia e centinaia fuori dalle contabilità ufficiali.
Nè sarebbero potuto succedere altro se a tutti quelli, che denunciavano sintomatologie “non critiche” compatibili con il Covid-19, si è detto di chiudersi in casa con tutti i familiari, non isolando quindi singole persone, ma intere famiglie, costrette per lo più a convivere in spazi che impedivano ai coabitanti qualunque forma di distanziamento reciproco.
Intanto, “fuori” c’erano alberghi vuoti, con oltre 1 milione di camere e quasi 2,2 milioni di posti letto in cui si sarebbe potuto procedere, con un po’ di organizzazione, all’isolamento dei casi sospetti o accertati “non critici” e da non ospedalizzare.
Mentre il Governo continuava a blaterare sulla necessità di anteporre “la tutela della vita alle questioni economiche” a nessuno è venuto in mente, a quanto pare, di seguire una strada che avrebbe comportato un po’ di costi finanziari e organizzativi (dando per altro fiato a un settore economico che uscirà desertificato da questa pandemia), ma avrebbe evitato una marea di morti evitabili per contagi stupidamente intra-familiari.
E c’è da dire che salvo pochissime voci isolate, il sistema dei media italiani ha accuratamente evitato di evidenziare — non servono studi di epidemiologia, basta un minimo di diligenza giornalistica — che un modello di contenimento obbligatoriamente centrato sul distanziamento sociale era in clamorosa contraddizione con la scelta di disporre una reclusione coatta (più volte presentata come arma fondamentale per arginare il fenomeno) di sintomatici e di non sintomatici, di positivi e di non positivi.
Ancora oggi, quando lo scandalo è esploso delle sue pazzesche dimensioni e nella sua inquietante qualità negativa, le aperture di tg e giornali continuano a essere sulla guerra delle ordinanze e sui coprifuoco anti gita di Pasquetta.
Eppure ormai qualunque italiano ha una conoscenza diretta o indiretta di casi assurdi in cui un familiare sta male, non viene “tamponato”, poi peggiora, viene portato in ospedale, riconosciuto positivo e magari dimesso, per contagiare qualche altro familiare che poi si aggrava… finchè in questo circolo vizioso qualcuno muore.
Tutte le strategie sulla “fase due” rischiano di essere pregiudicate dagli errori della “fase uno”. Il disarmo della medicina territoriale e domiciliare, l’assenza di tracciamento e isolamento dei contagiati, l’attenzione ai soli casi cosiddetti critici possono rendere la riapertura, per quanto lenta, prodromica a una nuova chiusura.
A giocare contro una gestione razionale delle strategie di adattamento al pericolo dell’infezione — che come è ormai chiaro nè scomparirà , nè avrà una contagiosità “naturale” indipendente dalle strategie sociali atte a contenerla — è purtroppo anche un fenomeno paradossale di frammentazione e di verticalizzazione del governo dell’emergenza, in cui sono saltate le gerarchie di fonti e poteri, si è dissolto il ruolo del Governo e quello del Parlamento e a gestire la situazione rimane Palazzo Chigi e qualche ministero, con una pletora di strutture tecniche del tutto irresponsabili dal punto di vista istituzionale e, a valle, regioni e pure singoli comuni che vanno avanti ognuno per sè — il modo peggiore per combattere una pandemia.
(da “Stradeonline”)
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Aprile 13th, 2020 Riccardo Fucile
“PERSONE ABBANDONATE A SE STESSE, BOMBOLE DI OSSIGENO INTROVABILI, MEDICI DI BASE MANDATI ALLO SBARAGLIO SENZA PROTEZIONI”
“Circa 150 medici di famiglia nel bergamasco si sono ammalati di Coronavirus. Una carneficina”, racconta Simone Patanè, medico siciliano, specializzando in chirurgia pediatrica all’Università di Padova, che ha deciso di trascorrere le sue ferie a Bergamo come volontario della Croce Rossa Italiana.
“Ci si concentra spesso sull’emergenza che vivono gli ospedali in questo momento, ma il vero dramma della provincia di Bergamo, purtroppo, si è consumato sul territorio, nelle valli, nelle case delle persone”.
Simone, trent’anni, lavorava a Verona quando l’epidemia è divampata al Nord. Lì le misure restrittive adottate hanno imposto uno stop alle attività ospedaliere ordinarie e hanno limitato l’operatività dei medici alle sole urgenze chirurgiche.
“Non riuscivo a stare fermo di fronte a quella situazione — racconta lo specializzando — ho dato la mia disponibilità e in pochi giorni sono stato mandato a Bergamo. L’obiettivo era fermare l’epidemia al Nord per fermarla in tutta Italia e volevo dare il mio contributo”.
Quando Patanè è arrivato in Lombardia, la situazione era drammatica. “I medici di famiglia, nella fase iniziale dell’emergenza, si sono ritrovati a visitare nei loro ambulatori o a domicilio una moltitudine di pazienti affetti da Coronavirus senza adeguati DPI (dispositivi di protezione individuale). Sono stati mandati al massacro. Molti di questi si sono ammalati e i pazienti, che hanno così perso il medico curante di riferimento, hanno dirottato le loro richieste di intervento sul servizio di continuità assistenziale (guardia medica) e sui sostituti dei medici di famiglia”.
“Ogni giorno, per settimane, queste strutture hanno ricevuto centinaia e centinaia di telefonate, ma solo una minima parte delle richieste di aiuto ha trovato risposta, proprio perchè mancavano mascherine e tute protettive. Il risultato — afferma Simone — è stato che migliaia di persone malate sono rimaste sole, nelle proprie case, senza assistenza medica per diverse settimane e questo ha causato moltissime morti”.
Bergamo è una delle città più colpite dal virus sul territorio nazionale.
Secondo i dati della Protezione civile, i contagiati accertati ad oggi sono oltre 10mila, ma il numero potrebbe essere molto più alto perchè alle statistiche sfugge chi non è stato sottoposto a tampone.
Quanto al bilancio dei morti, l’Istat ha fotografato nel mese di marzo 2020 un aumento della mortalità nel Comune capoluogo del 385 per cento rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. In un’intervista a TPI, il sindaco Giorgio Gori ha stimato un numero reale di vittime da Covid-19 di oltre due volte e mezzo quello certificato ufficialmente.
Patanè dice di non aver mai temuto di ammalarsi. “La paura più grande non è quella di essere contagiati, ma di non riuscire ad aiutare i pazienti perchè attualmente non esistono protocolli terapeutici curativi e in casa è tutto molto più complesso”.
La gestione dell’emergenza è cambiata quando l’ATS (Agenzia di tutela della salute) di Bergamo ha attivato le cosiddette Usca (Unità speciali di continuità assistenziale), equipe di medici con il compito di fornire assistenza telefonica e domiciliare ai malati di Covid-19. In queste Unità sono confluiti alcuni dei medici volontari che la Croce Rossa Italiana ha messo a disposizione della Regione Lombardia, e tra questi, per due settimane, Simone Patanè.
La giornata tipo di Simone da volontario in servizio nelle Usca iniziava in albergo con la sorveglianza sanitaria telefonica, per poi procedere con le visite domiciliari. “Si finiva per coprire un territorio vastissimo della provincia a seconda dell’Usca di assegnazione — spiega il medico siciliano -. I turni non erano mai di sette ore come previsto e ogni Unità , ce ne sono sei ad oggi sul territorio provinciale, ha solo due medici. Per dare un’idea, l’Usca di Bergamo Est copre da sola 49 comuni. Mi sono ritrovato a fare da autista, corriere, tutto quello che poteva servire in quei momenti”.
“Ho conosciuto tanti giovani volontari provenienti da tutta Italia. Gente diversa da te sotto tantissimi punti di vista, eppure così simili nel condividere la stessa passione, la stessa umanità , la stessa voglia di aiutare”.
La situazione più angosciante — racconta — è stata l’impossibilità di reperire bombole di ossigeno per i malati. “Qualcosa non ha funzionato — spiega il giovane medico -. Nei primi giorni dell’emergenza ho chiamato decine di farmacie della provincia di Bergamo ma le scorte di ossigeno erano finite ovunque. Non è possibile che non si sia attivata una rete di sostegno da parte delle regioni meno colpite per fornire le bombole che servivano”.
Simone racconta la storia di una donna di cinquant’anni morta in casa, tra le braccia della figlia quattordicenne, in un paesino del bergamasco. “Quando sono arrivato la donna era morta. Dopo otto giorni di richieste di visita, la madre della ragazzina si era aggravata rapidamente. La famiglia non aveva visto un medico in quei giorni, non aveva avuto uno straccio di terapia da seguire (a eccezione dell’antibiotico, che da solo non serve a niente), nè un saturimetro, e le ambulanze non ritiravano i malati perchè gli ospedali erano al collasso. Il marito è andato in giro per tutto il paese a cercare bombole di ossigeno per la moglie, nelle farmacie e nelle case di riposo, ma non è servito a niente”.
Secondo lo specializzando, quando l’emergenza sanitaria sarà finita si dovrà tracciare un quadro per capire cosa non ha funzionato. “So che ci si è trovati di fronte a una situazione imprevista e sconosciuta, ma l’impressione è che ci siano stati troppi ritardi e intoppi nella macchina organizzativa della sanità a tutti i livelli: provinciale, regionale e nazionale”, afferma Patanè.
“Con la creazione delle Usca si pensa di aver raggiunto un’efficace gestione della crisi nel territorio, ma in realtà non è così. Noi abbiamo ricevuto e accolto una piccolissima parte delle richieste di aiuto dei cittadini e questo perchè i medici sono pochi, coprono territori vastissimi e i dispositivi vengono dati con il contagocce”.
I medici delle Usca hanno un turno di sette ore e cinque tute per ogni turno. “Sai che non puoi fare più visite a domicilio di quanti sono i dispositivi di protezione che hai a disposizione e sai che per raggiungere un paziente potresti dover fare 50 chilometri in auto, quindi scegli di andare da chi ha più bisogno di te. A distanza di settimane, si può dire che una parvenza di organizzazione adesso ci sia, ma nel momento in cui ci si doveva prendere cura delle persone più fragili, più esposte, questo non è stato fatto”.
Simone, che viene da una città all’ombra dell’Etna, Acireale, racconta di aver conosciuto in Lombardia tanti professionisti e volontari dietro a quelle mascherine. “È difficile rispettare i protocolli di protezione quando hai tute di due taglie più piccole rispetto alla tua e i copriscarpe riparano solo la suola, ma, nonostante le carenze e le difficoltà , la mia squadra ha sempre reagito di fronte alle emergenze e questo mi fa sperare per quello che potremo fare come Paese dopo questa epidemia. Magari ne usciremo più poveri di tasca, ma più forti nello spirito”.
(da TPI)
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Aprile 13th, 2020 Riccardo Fucile
MA L’IMPORTANTE E’ APRIRE UN PROFILO FACEBOOK
Dell’Ospedale Fiera Milano e dei 12/24 posti allargabili fino a 53 previsti oggi dalla struttura che
secondo Attilio Fontana ne doveva ospitare 600 abbiamo già parlato.
Lo abbiamo anche confrontato con le esperienze di Bergamo (sempre in Lombardia) e Napoli, dove si sono messe in piedi (o verranno messe in piedi a breve) strutture senza strombazzamenti e conferenze stampa con assembramento.
Sappiamo anche che la Giunta Lombarda ha avuto un piccolo problema di reperimento dei medici e i due pazienti ospitati all’inizio sono nel frattempo diventati tre.
Però l’ospedale Fiera di Milano ha nel frattempo aperto un profilo Twitter e una pagina facebook per pubblicizzare l’iniziativa…
(da agenzie)
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Aprile 13th, 2020 Riccardo Fucile
DUE CONTAGI ERANO STATI SCOPERTI A META’ MARZO
Ci sarebbe un terzo caso di Coronavirus nello stabilimento ex Ilva di Taranto. Si attende l’esito del tampone per un operaio di Massafra, nel Tarantino, addetto ai convertitori dell’Acciaieria 2 che ha lavorato sabato pomeriggio nel secondo turno ed è poi tornato a casa in serata.
Fonti sindacali dicono che ieri, 12 aprile, l’operaio si è sentito male e ha avuto la febbre, per essere poi trasportato in ambulanza al vicino ospedale Moscati, uno dei centri Covid della Puglia, dove è stato ricoverato.
Al test del tampone sono stati sottoposti anche tutti gli altri colleghi dell’operaio ricoverato, per i quali si attendono gli esiti. Intanto il reparto e lo spogliatoio usato dagli operai è stato sanificato e l’intera squadra non tornerà a lavoro almeno fino all’esito dei tamponi.
Il primo caso nello stabilimento della ArcelorMittal era stato rilevato a metà marzo, quando è risultato positivo un addetto al reparto di Produzione gas tecnici, dopo che si è sentito male proprio a lavoro. Dopo il ricovero al Moscati per una polmonite interstiziale, è stato dimesso ed è tornato a casa da pochi giorni. Il secondo caso ha riguardato un collega dello stesso reparto, che era già in quarantena a casa dopo la scoperta del primo caso.
Cresce la preoccupazione dei sindacati per i rischi di contagio tra gli operai dell’acciaieria, dove oggi sono a lavoro circa 3.200 dipendenti diretti e 1.500 delle ditte di appalto. Numeri da ridurre, secondo i sindacati, che chiedono di ridurre la produzione con l’impiego di non oltre 2 mila lavoratori.
(da agenzie)
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Aprile 13th, 2020 Riccardo Fucile
UN DATO CHE FA RIFLETTERE: 592 POSITIVI CHE DOVEVANO STARE IN QUARANTENA A CASA SONO USCITI LO STESSO
Il giorno di Pasqua ci ha provato il 10 per cento in più, ma nel complesso si può dire che gli italiani
nel weekend festivo hanno rispettato le regole e sono rimasti a casa. Sono solo il 5 per cento, in media, quelli sanzionato dalle forze dell’ordine perchè beccati fuori senza giustificazione.
Su quasi 800.000 persone controllate tra venerdì e la domenica di Pasqua le persone sanzionate sono state 36.712 e 84 quelle denunciate per non aver osservato l’obbligo di quarantena benchè positivi al virus.
Un trend leggermente in crescita rispetto ai giorni scorsi ma sempre contenuto.
Ieri, giorno di Pasqua, è quello che ha fatto segnare il numero più alto di sanzioni: su 213.565 persone controllate le persone che hanno avuto una sazione amministrativa sono state 13.756, 100 sono state denunciate per falsa dichiarazione o attestazione, 19 per non aver osservato il divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione perchè positive al virus.NLe sanzioni ai titolari di attività o esercizi commerciali sono state 121, 47 i provvedimenti di chiusura.
Dall’11 marzo – informa l’ultimo report pubblicato sul sito del Viminale – le forze di polizia hanno controllato quasi 7 milioni di cittadini e le sanzioni sono state 265.173. In 592, in totale, e questo è il dato più allarmante le persone positive trovate fuori di casa.
Le percentuali dicono che, alla fine, la stragrande maggioranza degli italiani ha rispettato le regole ed è rimasto a casa nelle festività pasquali. Solo il 5 per cento ha provato la fuga fuoriporta o comunque è stato beccato per strada senza alcuna necessità . E i controlli, soprattutto sabato e domenica sono aumentati di un terzo raggiungendo quota 600.000.
Soddisfatto il sindaco di Milano Sala. Anche nel capoluogo lombardo, dove si temeva una mobilità aumentato come era stato segnalato nei giorni precedenti dalle rilevazioni di Google, la quota di cittadini sanzionati si è fermata al 5 per cento
Più alta la percentuale dei multati a Roma.Sono oltre 30mila i controlli effettuati tra ieri e sabato dalla polizia locale con 200 illeciti registrati. Più della metà le violazioni emerse ieri. Tra queste diverse auto sono state fermate, con a bordo anche più persone, mentre tentavano di raggiungere il litorale e uscire dalla città senza alcuna giustificazione valida per unirsi a parenti o amici per il pranzo di Pasqua. Fermati anche alcuni runner nei parchi o lontani dalle proprie abitazioni.
(da agenzie)
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