Aprile 18th, 2020 Riccardo Fucile
DAI PRIMI DUBBI ALLE DENUNCE: ERANO MORTI CHE SI POTEVANO EVITARE?
Il Pio Albergo Trivulzio è la famosa casa di cura di Milano destinata ad ospitare gli anziani dove da
gennaio sarebbero stati ricoverati «molti pazienti» con polmoniti e sintomi di insufficienza respiratoria. «Criticità di questo tipo» erano state riscontrate anche in una ventina di pazienti ufficialmente non Covid-19, trasferiti nella struttura subito dopo lo scoppio dell’emergenza. Come è possibile? Perchè la Regione Lombardia ha consentito il trasferimento di malati dagli ospedali nelle Rsa? E soprattutto ha vigilato bene?
Il rischio è che in questo modo siano stati infettati gli ospiti sani del Trivulzio causando, poi, nelle settimane successive decessi su decessi. E soprattutto qual è stato il ruolo del direttore generale dell’Istituto che, stando a quanto emerge, avrebbe sottovalutato il problema, obbligando i medici a non indossare le mascherine per non allarmare gli ospiti fino addirittura a sospendere un medico che, invece, aveva osato non rispettare questa direttiva?
19 marzo — La richiesta di mascherine
In un documento, datato 19 marzo, diverse sono le richieste, avanzate dal Trivulzio e indirizzate a società operanti nel settore e alla Centrale regionale committenza, di mascherine e più in generale di dispositivi di protezione individuale. Forse la situazione era già critica. Magari solo così si sarebbe potuta evitare una strage silenziosa, di anziani, di innocenti deceduti per aver contratto il Coronavirus: si parla di 143 anziani deceduti fino ad oggi. Come sia stato possibile è ancora tutto da capire. Tanti, troppi dubbi che hanno spinto la Procura di Milano ad aprire un’inchiesta. Sul caso indagano anche il ministero della Salute e una commissione costituita dalla Regione Lombardia
4 aprile — L’inchiesta di Gad Lerner
È il 4 aprile quando su Repubblica Gad Lerner parla del Trivulzio e di una «epidemia insabbiata» visto che, per tutto il mese di marzo, la direzione dell’Istituto avrebbe tentato di nascondere la diffusione del Covid-19 «nei suoi reparti intanto che il morbo contagia numerosi pazienti e operatori sanitari». Il prof. Luigi Bergamaschini, «geriatra fra i più qualificati di Milano, ha subìto il 3 marzo un provvedimento di esonero perchè colpevole di autorizzare l’uso delle mascherine chirurgiche al personale alle sue dipendenze. Il giorno stesso del suo allontanamento forzato è stato fatto esplicito divieto a medici e paramedici di indossarle» scriveva. Durissime le parole del delegato Cgil della Rsu, Pietro La Grassa: «Gli anziani morivano e a noi, nonostante l’evidenza dei sintomi, dicevano che si trattava solo di bronchiti e polmoniti stagionali».
6 aprile — Medici lombardi contro la Regione
Già il 6 aprile la Federazione regionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri della Lombardia aveva denunciato «la gestione confusa della realtà delle Rsa e dei centri diurni per anziani, che ha prodotto diffusione del contagio e un triste bilancio in termini di vite umane» oltre alla «mancata fornitura di protezioni individuali ai medici del territorio (Mmg, Pls, Ca e medici delle Rsa) e al restante personale sanitario. Questo ha determinato la morte di numerosi colleghi, la malattia di numerosissimi di essi e la probabile e involontaria diffusione del contagio, specie nelle prime fasi dell’epidemia». Piccata era stata la replica dell’assessore regionale al Welfare Giulio Gallera: «Si tratta, con tutta evidenza, di una affermazione che cavalca l’onda mediatica di questi giorni e che, prima di tutto, confonde il ruolo di controllo e sorveglianza della Regione con i ruoli e le responsabilità organizzative e gestionale degli enti gestori delle strutture stesse». In altre parole, un rimpallo di responsabilità .
6 aprile — Le accuse dei giornali sovranisti
Un caso che, dunque, diventa anche politico. Da una parte c’è Matteo Salvini che chiede di «aiutare i medici con tamponi e mascherine più che mandare ispettori», dall’altra i quotidiani di destra come Il Giornale che, il 6 aprile, postando la foto di Gad Lerner (che ha curato l’inchiesta giornalistica sul Trivulzio), scrive: «Il Trivulzio ora smonta Lerner, “i suoi dati sono del tutto falsi”». Peccato che i fatti raccontino un’altra verità e che la magistratura abbia deciso di vederci chiaro.
Sempre Il Giornale, qualche giorno dopo, titola «La sinistra sfrutta il virus per invocare Mani pulite»: «Il Fatto e Repubblica riprendono la caccia alle streghe, l’assessore Gallera sulla graticola». E ancora: «La suggestione era troppo grande e la Repubblica l’ha trasformata nel titolone di prima pagina: “Mani pulite sul Trivulzio”». «Dal 20 febbraio la Lombardia è diventata l’epicentro mondiale della disastrosa epidemia ed era forse inevitabile che prima o poi scoppiasse il processo alla classe dirigente che pure ha fatto miracoli, ha aperto in pochi giorni un nuovo ospedale in Fiera, ha tamponato le troppe mancanze e incertezze della Protezione civile e del governo di Roma» si legge, quasi a voler prendere le difese della Regione guidata da Attilio Fontana.
A gettare benzina sul fuoco è ancora Gad Lerner che, nella sua inchiesta su Repubblica, sottolinea come il dg Calicchio, detto «”Il filosofo” perchè in effetti quello è l’unico titolo universitario che Calicchio indica nel curriculum» è ritenuto vicino «all’assessore regionale alle Politiche sociali, Stefano Bolognini, cerchia ristretta di Salvini, al cui fianco Bolognini si trovava anche l’estate scorsa al Papeete di Milano Marittima».
10 aprile — Al via la commissione d’inchiesta
Il 10 aprile l’assessore Gallera annuncia, proprio per fare chiarezza su un numero eccessivo di morti nelle Rsa, l’istituzione di una commissione d’inchiesta «di altissimo livello, autonoma e indipendente che faccia valutazioni su ciò che hanno fatto le Rsa» in Lombardia. «Assegniamo le valutazioni a un ente terzo — aveva spiegato Gallera — e ci sembra il modo più sereno e forte per fare il punto».
11 aprile — La procura di Milano apre un fascicolo
L’11 aprile arriva l’iscrizione nel registro degli indagati per il direttore generale del Pio Albergo Trivulzio, Giuseppe Calicchio, indagato per epidemia colposa e omicidio colposo. Un fascicolo che è stato aperto a seguite delle tante denunce di lavoratori e familiari di anziani morti.
Le testimonianze dei parenti
Alessandro Azzoni, figlio di Marisa, anziana ospite della casa di cura, ha creato il “Comitato giustizia e verità per le vittime del Trivulzio” per raccogliere esposti e testimonianze. Lì, secondo la sua ricostruzione, «si sta assistendo alla cronaca di una serie di morti annunciate»: «La situazione è ancora fuori controllo e i morti continuano a esserci ogni giorno» aggiunge all’Ansa definendo il Trivulzio «un agghiacciante quadro di malasanità ».
«Sono giorni che battaglio con i sanitari, perchè le mettano almeno una flebo. Quando aveva la febbre alta, mi hanno chiesto l’autorizzazione di legarla al letto perchè non andasse a contagiare altri» racconta a Repubblica. «Prima hanno permesso che mia madre venisse contagiata, poi non hanno seguito alcun protocollo, nè praticato terapie adeguate, nè fornito assistenza psicologica. Uno sfacelo che testimonia il completo fallimento della dirigenza del più grande istituto geriatrico italiano. Una vergogna che va punita» conclude.
14 aprile — Al Trivulzio arriva la Guardia di Finanza
Intanto il 14 aprile al Trivulzio arriva la Guardia di Finanza di Milano che sequestra le cartelle cliniche degli ospiti della casa di riposo. Controlli che hanno riguardato anche gli uffici della Sacra Famiglia di Cesano Boscone e una residenza per anziani a Settimo Milanese. L’obiettivo era quello di verificare eventuali carenze nei protocolli interni e dei dispositivi di sicurezza necessari per combattere la pandemia del Coronavirus.
15 aprile — Guardia di Finanza anche in Regione Lombardia
L’indomani, il 15 aprile, le Fiamme Gialle hanno fatto irruzione nella Regione Lombardia per acquisire tutti i documenti relativi alle disposizioni sulla gestione delle Rsa sul territorio. Tra queste anche la delibera dell’8 marzo dove si stabiliva che una parte dei posti letto delle Rsa potessero essere occupate dai pazienti risultati positivi al Covid-19 e ricoverati negli ospedali.
In quel momento l’obiettivo della Regione era quello di alleggerire i reparti degli ospedali: il sistema sanitario al collasso. Il rischio, però, è che quei pazienti possano aver infettato tutti gli altri. Nel corso della perquisizione, durata 17 ore, sono state acquisite centinaia di cartelle cliniche e un numero significativo di atti, soprattutto quelli relativi alle comunicazioni tra la struttura e la Regione Lombardia.
16 aprile — Le accuse della Sottosegretaria alla Salute
A Circo Massimo la sottosegretaria del ministero della Salute Sandra Zampa ha accusato, senza mezzi termini, la Regione Lombardia di aver «disatteso le indicazioni del governo, andando in direzione contraria e prendendo le distanze. Questo è avvenuto per ragioni politiche […] Dovremmo chiederci come mai la Lombardia abbia un numero di contagiati sproporzionatamente alto rispetto alle altre regioni» ha aggiunto. «Erano state date disposizioni a tutti di non far entrare possibili contagiati. Invece così è avvenuto — ha concluso — Il virus non vola nell’aria, qualcuno deve averlo portato». Il ministero, dal canto suo, si è già attivato con un’ispezione ministeriale, ancora in corso.
17 aprile — Medici e infermieri contro la direzione del Trivulzio
Alla fine medici, infermieri, sanitari e amministrativi del Pio Albergo Trivulzio hanno rotto il silenzio e, in un comunicato, hanno attaccato la direzione dell’Istituto: «Siamo stati lasciati completamente da soli, senza direttive che prevedessero protocolli aziendali diagnostico-terapeutici, senza univoche direttive sul trattamento dell’epidemia del Coronavirus, senza norme di isolamento, senza la possibilità di fare tamponi e senza DPI fino al 23 marzo». Senza mascherine, senza tamponi e addirittura «redarguiti dal personale direttivo nel caso in cui qualcuno del personale sociosanitario indossasse mascherine portate da casa a tutela della salute degli ospiti e del personale stesso».
Mascherine che, sempre stando alla loro ricostruzione, sarebbero stati «obbligati a togliere al fine di evitare di generare un “inutile e ingiustificato allarmismo” tra i pazienti e i loro parenti». Uno di loro, poi, è stato «sospeso temporaneamente dal servizio per aver contravvenuto alla disposizioni», altri invece sarebbero stati «invitati a riprendere anzitempo il servizio dopo un periodo di quarantena fiduciaria senza prima aver eseguito il primo e il secondo tampone». Un comunicato che risponde alla lettera di una settimana fa, pubblicata su Il Giornale, in cui più di 50 firme di medici, specializzandi, infermieri, fisioterapisti e altri sanitari difendevano l’operato dell’istituto.
«Si tratta di dichiarazioni condivise dal direttore del dipartimento sociosanitario mediante apposizione della propria firma». Insomma parole, forse, non del tutto spontanee. Sempre di oggi è la notizia che la Centrale unica regionale dimissione post ospedaliera, istituita sulla base della delibera dell’8 marzo per trasferire pazienti Covid dagli ospedali verso le Rsa, e la cui «costituzione e gestione» è stata affidata al Pio, avrebbe operato «in coordinamento con l’unità di crisi regionale», come si legge su un documento del 24 marzo firmato dal dg del Trivulzio Calicchio.
17 aprile — 3 dipendenti ricoverati, 270 anziani in osservazione
Intanto al Trivulzio ci sono 3 dipendenti ricoverati per Coronavirus, 221 «operatori sanitari e non» segnalati all’Ats e ai medici di base per sintomi da Covid-19, su un totale di 1500 tra dipendenti e operatori. 270, invece, sono gli anziani ospiti e i pazienti delle varie strutture attualmente in «osservazione cautelativa», ovvero con febbre o crisi respiratorie, alcuni dei quali in condizioni critiche e altri con polmoniti già diagnosticate.
(da agenzie)
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Aprile 18th, 2020 Riccardo Fucile
MANCANO NELLE STRUTTURE OSPEDALIERE MA SI PERMETTE CHE SI FACCIANO IN QUELLE PRIVATE
All’ospedale San Raffaele di Milano è possibile sottoporsi al tampone per l’esame di positività al Coronavirus pagando 120 euro, secondo la denuncia del consigliere regionale lombardo Samuele Astuti che racconta di un fenomeno ben più ampio tra i laboratori privati.
In diverse strutture sarebbe possibile infatti il test accessibile a privati e aziende, bypassando la procedura finora in vigore che lasciava alle aziende ospedaliere il compito di valutare caso per caso la necessità del test.
Proprio la carenza di tamponi a partire dagli operatori sanitari era stata una delle accuse dei medici lombardi contro la Regione Lombardia.
Carenza che secondo l’assessore regionale al Welfare, Giulio Gallera, era dovuta alla carenza di reagenti.
E intanto, dice il consigliere regionale Astuti a Repubblica: «veniamo a sapere che ci sono laboratori che ti offrono privatamente per cifre molto variabili. Il San Raffaele, per esempio, li fornisce per un costo intorno ai 120 euro, altri al doppio».
La polemica sui tamponi a pagamento era già scoppiata nei primi giorni di aprile a Prato, dove gli istituti Diagnosys, Iama, Gynaikos ed Etrusca Medica pianificavano di aprire ambulatori temporanei per effettuare i tamponi alla modica cifra di 102 euro.
In poche ore la rete di strutture che avrebbe lanciato il servizio aveva raccolto prenotazioni per le successive due settimane. Finchè non è arrivato lo stop del presidente dalla Regione Toscana, Enrico Rossi, che con un’ordinanza aveva minacciato provvedimenti contro i privati che avessero svolto i tamponi in autonomia: «La Regione li denuncerà alla Protezione civile — scriveva Rossi in una nota — chiedendo la requisizione dei kit per i test sierologici».
(da agenzie)
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Aprile 18th, 2020 Riccardo Fucile
L’ACCUSA DI SOFIA CONTRO LA CASA DI RIPOSO DEGLI ARTISTI A MILANO, DEFINITA “ESEMPIO VIRTUOSO” DAI VERTICI DELLA RSA
Parte da una ragazza l’accusa verso la casa di riposo Giuseppe Verdi di Milano descritta nei giorni
scorsi come esempio virtuoso tra le strutture lombarde per il bassissimo tasso di mortalità dovuto all’epidemia da Coronavirus.
Sofia Marzorati su Facebook racconta della scomparsa del nonno, ospite della struttura, a fine marzo. Una morte «fatta passare in silenzio, come se non fosse mai successa».
La ragazza così smentisce le ultime dichiarazioni che lei stessa cita dei vertici della casa di risposo rilasciate al Tgr Lombardia
L’unico decesso reso noto sarebbe stato quello di una donna, di 94 anni, ricoverata in ospedale, che aveva contratto il virus ed era poi morta. Anche il marito, andando a trovarla, era stato contagiato, ma era poi guarito
La direttrice parla di un solo caso accertato «e che tutti gli altri ospiti stanno bene. Mio nonno non stava bene, il 25 marzo è morto», dice Sofia, che poi prosegue nel raccontare i fatti nel dettaglio: «Circa undici giorni prima un compagno di mio nonno è stato ricoverato in ospedale per una grave malattia. Dopo poco, mio nonno ha cominciato con tosse secca, febbre e difficoltà respiratorie».
L’anziano uomo è peggiorato, «venendo trasferito nella Rsa, al piano di sotto. La diagnosi si è basata solo sui sintomi, non essendo stato eseguito alcun tampone. Quando è morto è stato trasferito nella camera morturaria e avvolto in un lenzuolo come da prassi per i malati Covid. Quando ci hanno portato le ceneri in Toscana, insieme all’urna è stato allegato un foglio in cui si diceva che nonno non era morto per alcuna malattia infettiva».
Anche il padre di Sofia, Claudio, ci racconta qualche dettaglio in più: «Quando mio papà è entrato nella casa di riposo era in buona salute: 93 anni, autosufficiente, lucido. Tanto che non stava nell’Rsa ma nell’Albergo. Era entrato a ottobre scorso. Poi si è ammalato con i sintomi descritti da mia figlia. Un quadro clinico che non lascia scampo. Neanche gli antibiotici servivano. In seguito è finito in Rsa con l’ossigeno, curato splendidamente, e continuava a essere lucidissimo. Ci ha avvisati dicendo che stava morendo e che non voleva assolutamente noi ci muovessimo perchè avremmo corso il rischio di ammalarci. Ci è stato detto che ha avuto una polmonite bilaterale e problemi respiratori gravissimi. Quando è morto non abbiamo potuto nemmeno fare la vestizione».
La famiglia ha chiesto spiegazioni alla direttrice della struttura, Danila Ferretti. «Le abbiamo domandato perchè mai raccontasse di un solo caso di decesso per Covid. Va bene, quello era un caso accertato, ma i sospetti? Lei ci ha risposto che non poteva dire assolutamente di cosa fosse morto perchè non erano chiare le cause, che non poteva dire nulla anche fosse stato un caso sospetto. Quello che sappiamo è che a fine febbraio gli ospiti della casa erano 71, mentre ora sono 55» .
La casa per anziani si trova a pochi passi — e a circa mille metri — dal Pio Albergo Trivulzio, l’Rsa dove da gennaio sarebbero stati ricoverati «molti pazienti» con polmoniti e sintomi di insufficienza respiratoria.
L’11 aprile arriva l’iscrizione nel registro degli indagati per il direttore generale del Pio Albergo Trivulzio, Giuseppe Calicchio, indagato per epidemia colposa e omicidio colposo. Dal 14 aprile, prima con il sequestro delle cartelle cliniche dei pazienti, poi con l’acquisizione della documentazione relativa alla gestione della struttura, solo ieri, medici e infermieri dell’Albergo hanno rotto il silenzio con un comunicato: «Siamo stati lasciati completamente da soli, senza direttive che prevedessero protocolli aziendali diagnostico-terapeutici, senza univoche direttive sul trattamento dell’epidemia del Coronavirus, senza norme di isolamento, senza la possibilità di fare tamponi e senza DPI fino al 23 marzo», hanno detto.
(da Open)
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Aprile 18th, 2020 Riccardo Fucile
PESANTE ATTO DI ACCUSA NELLA GESTIONE DELLE CASE DI RIPOSO: “INERZIA LETALE DEI VERTICI”
Gli ispettori del ministero della Salute nella loro relazione preliminare, ancora incompleta, sui malati di COVID-19 portati nelle case di riposo in Lombardia scrivono un atto d’accusa sulla gestione della crisi da parte di tutta la Regione.
Responsabile di non avere «applicato in maniera tempestiva le misure» per difendere gli anziani ospiti nelle case di cura. Spiega oggi Repubblica che si tratta della cronaca di una strage:
Gli ispettori evidenziano i pericolosi limiti della strategia adottata dalla giunta presieduta da Attilio Fontana. Di fronte all’emergenza è stato creato un «doppio binario», che sin dall’inizio ha privilegiato gli ospedali a scapito delle residenze per anziani.
E lo ha fatto disobbedendo alle direttive del governo. «Le azioni di contenimento indicate dal ministero della Salute non sono state applicate in maniera tempestiva e hanno seguito un doppio binario a due velocità », recita il rapporto.
Mentre si concentravano le energie sugli ospedali lombardi, nelle Rsa «non sembra si sia creato un raccordo rapido e il massimo sforzo che sarebbe dovuto avvenire anche per le caratteristiche di fragilità dei pazienti ricoverati». Laddove proprio la realtà della Lombardia – sottolineano – con una presenza di moltissime case di cura per la terza età avrebbe imposto una reazione immediata.
Il Pio Albergo Trivulzio è l’epicentro dei ritardi. C’è un’inerzia letale da parte dei vertici dell’istituto milanese – ora indagati dalla magistratura per strage e omicidio colposi – che non reagiscono davanti alla crisi. Perdono giorni preziosi prima di muoversi e prendere provvedimenti contro l’epidemia, «attendendo indicazioni da parte della Regione per attuare le misure di contenimento».
Ma le indicazioni c’erano già , fornite a tutta Italia dal ministero della Salute con una circolare del 22 gennaio.
Un documento chiarissimo: dice che i malati vanno visitati in un’area separata dagli altri pazienti e raccomanda che il personale sanitario indossi mascherina di tipo FFp2, camice impermeabile, guanti, protezione facciale.
Più in generale, scrive che bisogna prendere le massime precauzioni per proteggere le residenze per anziani perchè il virus miete vittime soprattutto tra queste persone deboli. Ma al Pio Albergo Trivulzio quelle misure «sono state poste in essere ad opera di una costituita “unità di valutazione” presieduta dal dottor Pierluigi Rossi e dalla dottoressa Rosella Velleca solo il 23 febbraio e le attività ambulatoriali e i ricoveri sono stati sospesi solo il 13 marzo».
E come se non bastasse, gli ispettori sottolineano le contraddizioni riguardo alla distribuzione e all’utilizzo delle mascherine. I vertici della Baggina davanti alla commissione ministeriale hanno sostenuto di «aver dato le prime indicazioni già nei giorni successivi al 23 febbraio, messo a disposizione del personale mascherine FFp2 e FFp3, oltre ad aver isolato in stanze singole i pazienti con sintomi, posto in quarantena un numero imprecisato di operatori sanitari, pubblicato bollettini informativi e formato il personale anche con corsi online».
Peccato che le mascherine risultino distribuite solo dopo l’approvvigionamento da parte della Protezione civile. Accade il 24 marzo. Un mese di vuoto in cui il morbo ha continuato a diffondersi stanza per stanza.
(da agenzie)
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Aprile 18th, 2020 Riccardo Fucile
UN MESE PRIMA DI CODOGNO, ROMA AVVERTI’ DEL PERICOLO CORANAVIRUS… GALLERA ANNUNCIO’ “LINEE GUIDA” MA NON VENNERO MAI INVIATE
Sarebbe stato lanciato un allarme dal ministero della Salute alla Regione Lombardia, già a gennaio. Un
mese prima dell’esplosione della pandemia, la Lombardia sapeva che esistesse un rischio concreto per il Coronavirus. 30 giorni prima di Codogno.
E un mese prima anche del disastro sanitario ad Alzano Lombardo
Si tratta di raccomandazioni risalenti al 23 gennaio scorso, proprio il giorno in cui l’assessore al Welfare di Regione Lombardia Gallera, dopo aver ricevuto una circolare del ministero, convoca la prima riunione della task forse della sanità lombarda.
Ma, racconta oggi La Stampa in un articolo a firma di Monica Serra, non invia le linee guida ai medici di base e agli specialisti ospedalieri.
La storia, secondo il quotidiano, fa parte delle carte che l’inchiesta della procura di Milano sta valutando riguardo la strage degli anziani nelle RSA lombarde.
“I medici di Asst, Irccs, case di cura accreditate, ospedali classificati, medici di famiglia, etc — dichiarò all’epoca l’assessore Gallera — devono segnalare i casi sospetti all’Ats di competenza, attraverso procedure informatiche specifiche, gestendo il paziente in stretto raccordo con i referenti delle malattie infettive”.
Cosa fa in quel momento la Regione Lombardia? Annuncia l’elaborazione di un “raccordo operativo” con medici di base e pediatri del territorio.
“Abbiamo nelle scorse ore — dice sempre Gallera — emanato alcune indicazioni procedurali importanti per i medici di base e per gli specialisti ospedalieri, in costante raccordo con il Ministero della Salute”.
Quelle “linee guida” però, come dichiara il presidente dell’Ordine di Milano, Roberto Carlo Rossi, “ai medici di base non sono mai arrivate. E non abbiamo mai avuto notizia del lavori della task force. Peccato, abbiamo perso un mese per prepararci all’emergenza”.
Quindi, l’assessore Gallera sostiene in gennaio di aver lavorato “in raccordo” con i medici di base che però dicono di non saperne nulla.
Il racconto, ripetiamo, è datato gennaio e non febbraio. E le parole di Gallera fanno sorgere interrogativi a cui potrà dare risposta soltanto la procura:
Perchè se quindi c’era stata una riunione che aveva stabilito delle «linee guida» queste non vengono applicate? Oppure: che linee guida erano? Mistero.
Ieri la Regione, pur interpellata, non ha dato risposte. Certo è che se gli interventi fossero stati pianificati il giorno in cui venne fatta la riunione, ovvero il mese prima che la Lombardia venisse travolta, forse si sarebbero potuti evitare i provvedimenti urgenti nel pieno della crisi sanitaria.
Come, ad esempio, l’ormai famosa delibera dell’8 marzo che chiedeva alle rsa di accogliere pazienti Covid «a bassa intensità » per liberare posti letto negli ospedali ormai allo stremo. Decisione ora sotto al lente d’ingrandimento dell’inchiesta della Procura sui morti nei centri per anziani.
Il 31 gennaio Gallera annuncia che «i lavori della task force sono al completo e la macchina è pronta. Attende indicazione dal Ministero». Ma la prima circolare ai medici di base è solo del 23 febbraio, due giorni dopo Codogno, e non contiene indicazione suoi sintomi della malattia.
(da agenzie)
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Aprile 18th, 2020 Riccardo Fucile
ANCHE PER LA AITA MARI CHE HA SALVATO 44 NAUFRAGHI SI PROSPETTA L’ASSISTENZA SULLA STESSA NAVE
Sollievo, strette di mano (con guanti di lattice) e sorrisi diettro le mascherine. Tanti.
Sono passate le 19 quando la lunga odissea dei 146 migranti a bordo dell’Alan Kurdi, della ong tedesca Sea-Eye, finisce.
Ad uno ad uno trasbordano sulla “Raffaele Rubattino”, il traghetto messo a disposizione dal governo italiano, a bordo del quale trascorreranno il periodo di quarantena imposto dall’emergenza coronavirus. “Resteranno chiusi ognuno in una cabina, riceveranno 3 pasti al giorno verranno sottoposti ad uno screening medico da parte del personale medico, anche della Croce Rossa”, ha spiegato l’ammiraglio Roberto Isidori, direttore marittimo di Palermo.
E’ stata una lunga giornata, iniziata con una riunione “operativa” in Prefettura per predisporre il piano e le procedure. La “Rubattino”, intanto era ormeggiata al molo Sammuzzo — giunta nel frattempo da Napoli: sono stati caricati gli approvvigionamenti necessari a sostenere la quarantena: derrate alimentari, farmaci indumenti, mascherine, guanti in lattice. Intanto a Palermo — a bordo di un Atr della Guardia di Finanza partito da Pratica di Mare — è giunta una task force di 22 operatori della Croce Rossa Italiana, poi imbarcata sulla nave che trascorrerà la quarantena alla fonda del porto del capoluogo siciliano.
Alle 16:15 — chiusi i portelloni posteriori e mollati gli ormeggi — la “Rubattino” lascia il molo e si dirige verso la Alan Kurdi, nel frattempo avvicinatasi fino ad un miglio dalla costa, più o meno tra Bagheria e Villabate.
Le procedure di avvicinamento sono lunghe e lente: la Rubattino è lunga 180 metri e larga 27 la Alan Kurdi è larga sette e lunga 39. Alla fine è proprio la barca della Ong tedesca che si avvicina alla paratia di dritta — osservata a vista dalle motovedette di Guardia Costiera e Guardia di finanza, inclusa la nave Diciotti — fino ad essere attaccata e assicurata da diverse cime. Vengono distribuiti i giubbotti di salvataggio, quelli arancione, ai migranti e si aspetta il via al trasbordo. Arrivano le mascherine e i guanti, anche questi necessari. Poi via al trasbordo.
Uno ad uno i migranti varcano la “porticina” ed entrano nella pancia del grande traghetto. “L’odissea è finita”, twitta intanto Sea-Eye. Alan Kurdi resterà al momento in rada a Palermo, anche i 22 membri dell’equipaggio devono osservare il periodo di quarantena. “La crisi del Covid non è una buona ragione er non salvare chi annega in mare – afferma Gordenn Isler, presidente della ong. “Faremo di tutto – aggiunge per far ripartire una missione di soccorso a maggio.
Serve una soluzione per i 40 migranti a bordo di Aita Mari”, oggi alla fonda a Lampedusa. In Sicilia, intanto, le prefetture cercano strutture per la quarantena di eventuali migranti soccorsi in mare.
La Aita Mari, nave della ong basca Salvamento maritimo humanitario, dopo un viaggio durato tutta la notte si trova ora davanti alle coste trapanesi. Sono 36 i migranti a bordo soccorsi domenica scorsa in acque sar maltesi. In 8 sono stati evacuati nei giorni a scorsi a Lampedusa per ragioni sanitarie.
«Le condizioni delle persone salvate rimangono ai limiti», spiega la ong. La nave sta seguendo la stessa rotta che qualche giorno fa ha percorso la Alan Kurdi, conclusasi ieri con il trasferimento dei 146 naufraghi sul traghetto Rubattino per la quarantena davanti al porto di Palermo, con l’assistenza della Croce Rossa. E anche i 36 della Aita Mari potrebbero essere trasferiti sul Rubattino.
(da agenzie)
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