Dicembre 19th, 2022 Riccardo Fucile
GLI UOMINI DEL “SENATUR” PREPARANO UNA LISTA ELETTORALE PER LE REGIONALI IN LOMBARDIA, E NON È ESCLUSO CHE POSSANO APPOGGIARE LETIZIA MORATTI
Il dialogo, raccontano, si è interrotto da oltre due settimane. Quando chiama Umberto Bossi, Matteo Salvini non si fa trovare.
«Quando non sa più cosa fare si comporta così, pensando di rimuovere il problema», racconta un leghista della prima ora riferendosi al ghosting di Salvini.
Nelle due antiche e nobili enclave del Carroccio, Lombardia e Veneto, non tira una bella aria.
I veneti ormai da anni si sono rifugiati nella propria diversità, sotto l’egida di Luca Zaia; in Lombardia il senatur ha dato il via libera alla costituzione di Comitato Nord come associazione, non più e solo come corrente di minoranza all’interno del Carroccio.
«Ci apriamo anche a chi non è tesserato alla Lega», specifica Paolo Grimoldi, l’ex parlamentare che assieme ad Angelo Ciocca e allo stesso Bossi sta tirando le fila del Comitato. La formazione del gruppo in Consiglio regionale di Comitato Nord, con al momento quattro eletti leghisti, è stata benedetta a Gemonio.
Salvini ha fatto espellere in tutta furia i quattro ribelli, di tutta risposta Bossi e co. oltre a chiedere clemenza hanno dato loro il via libera all’utilizzo della sigla “eretica”.
Una minoranza che in realtà è già un bel pezzo fuori dal partito, solo che un conto è espellere un consigliere regionale, magari liquidandolo come uno in cerca di candidature, e un altro è far fuori colui che ha fatto la storia della Lega.
Tra Bossi e il presidente lombardo Attilio Fontana il dialogo non è mai stato interrotto, anzi, per lui non ci sarebbero problemi se alla fine Comitato Nord diventasse una lista a suo sostegno, fuori dalla Lega quindi ma comunque nel centrodestra.
«Sono iscritto dal 1991, nessuno deve insegnarmi cosa sia la militanza, ne ho fatte di mattinate al freddo nei gazebo», ha detto Salvini sabato sera all’inaugurazione della campagna elettorale leghista a Milano.
Una frecciata a chi lo contesta, a chi denuncia che negli ultimi anni la base è stata abbandonata a se stessa. Però al di là delle cose dette in pubblico («i quattro consiglieri? Parliamo di cose serie») il segretario federale ha due bei problemi davanti: le regionali potrebbero vedere da un lato la supremazia di FdI anche in Lombardia, e sarebbe un vero e proprio smacco; dall’altra la coalizione rischia di non raggiungere il 40 per cento, anche a causa della concorrenza a destra di Letizia Moratti, perdendo quindi il premio di maggioranza al Pirellone.
Per questo i padani del Comitato Nord che potrebbero valere l’1, il 2, il 3 per cento sarebbe in teoria meglio averli dentro. Anche perché Moratti li corteggia e dal Comitato dicono una cosa semplice: noi vogliamo stare con Fontana ma i matrimoni si fanno in due.
Della serie, se ci sbarrano la porta allora Moratti è un’opzione concreta, al pari della corsa in solitaria, magari con Ciocca candidato presidente. La sostanza è che al di là delle dimostrazioni di sicurezza per la Lega la situazione non è semplicissima, l’eventuale Fontana bis rischia di esser e una legislatura azzoppata e il salone stracolmo con 600-700 persone per la prima e unica uscita pubblica di Bossi al castello di Giovenzano, quindici giorni fa, dimostra che con il Comitato c’è un pezzo di militanza che rischia di andare persa una volta per tutte.
(da La Repubblica)
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Dicembre 19th, 2022 Riccardo Fucile
GABANELLI SVELA I VERI COSTI DEI PAGAMENTI ELETTRONICI: “PER GLI ESERCENTI LA MEDIA DELLA COMMISSIONE CON CARTA DI DEBITO O BANCOMAT È DELLO 0,7%. FINO ALLA FINE DEL 2023 PAGOBANCOMAT HA AZZERATO TUTTE LE COMMISSIONI SOTTO I 5 EURO… VUOL DIRE CHE LA COLAZIONE AL BAR PAGATA CON BANCOMAT NON HA COSTI PER IL BARISTA” (CAPITO, SALVINI?) – “A ROMA, SU UNA CORSA DA 20 EURO, IL TASSISTA PAGA 10 CENTESIMI
Il Pos è diventato un problema. Chi lo avrebbe mai detto! Il dispositivo che permette di accettare pagamenti elettronici è reso obbligatorio nel 2012 con il governo Monti. Gli esercenti si sono sempre lamentati delle commissioni troppo care, ma negli ultimi anni avevano un po’ smesso, anche perché i costi si sono più che dimezzati. L’obbligatorietà non impone di accettare tutte le carte in circolazione, basta anche solo il bancomat e una carta di credito. Vediamo i costi imposti dalla filiera di pagamento e quanto incidono sull’incasso di un piccolo esercente.
Chi si spartisce le commissioni
La commissione di ogni singola transazione viene ripartita fra tre soggetti: 1) la banca che emette la carta di credito o di debito si trattiene dallo 0,2 allo 0,3%; 2) il circuito su cui si appoggia la carta (PagoBancomat, Maestro, Visa, MasterCard), cioè il gestore che mette in comunicazione il Pos con la banca, si prende dallo 0,2% per la carta di debito, e fino allo 0,5 % per la carta di credito, perché si assume il rischio che i soldi sul conto non ci siano; 3) il Pos, cioè la macchinetta che legge quella carta e dà l’ok.
La banca o l’operatore che gestisce il pagamento applica una commissione che va dallo 0,3 allo 0,4%. Tirando le somme: la media per i pagamenti con carta di debito o bancomat è dello 0,7%. Fino alla fine del 2023 PagoBancomat ha azzerato tutte le commissioni sotto i 5 euro. Vuol dire che la colazione al bar pagata con bancomat non ha costi per il barista.
Invece le commissioni delle carte di credito viaggiano mediamente sull’1,2%. Significa che su un conto di 20 in euro in pizzeria il margine per l’esercente viene eroso di 24 centesimi. A tutto questo bisogna poi aggiungere il canone per l’uso del Pos, in media 14 euro al mese.
Le offerte delle banche
Quello dei pagamenti digitali è un mercato dove c’è molta concorrenza e dove proliferano le offerte: dipende dal business che fai e quanti clienti ti vuoi tenere. Banca Intesa propone zero commissioni per i micropagamenti sotto i 15 euro e offre una percentuale media dell’1% per pagamenti sui circuiti Bancomat, Maestro, Visa, MasterCard e American Express, con canone mensile per il Pos a partire da 8 euro. UniCredit fa pagare una commissione unica dello 0,9%, ma sotto i 10 euro le commissioni sono zero, e il canone mensile è di 2,90 euro. Banca Sella propone commissioni dello 0,45% su circuito Bancomat e dello 0,95% sui principali circuiti internazionali e canone di 6 euro a seconda del terminale installato.
Commissioni identiche le applica Banca Popolare di Milano, mentre il canone mensile parte da 10 euro. Poi c’è Nexi, la più grande piattaforma italiana di gestione dei pagamenti digitali: fornisce servizi a quasi tutte le banche, ma anche offerte per gli esercenti. Con la «Nexi Start» non si pagano commissioni per i micropagamenti sotto i 10 euro, e fino a 1000 euro di transato al mese. Poi si passa a una percentuale fissa dell’1,2%. Se una piccola panetteria con un incasso annuo di 70.000 euro volesse per esempio utilizzare questa offerta a fine anno pagherebbe di commissioni e noleggio Pos circa 254 euro
Piattaforme e applicazioni
Tra le piattaforme digitali c’è il servizio Pos di Axerve, che propone un’offerta senza commissione fino a 30 mila euro d’incassi all’anno con canone mensile tra 17 e 22 euro, oppure una promozione senza canone con tutte le commissioni all’1%. La app di pagamento Satispay offre commissioni zero sotto i 10 euro e per tutti gli altri importi 20 centesimi a transazione, che incassa un solo soggetto perché viaggia su un suo circuito privato che l’esercente deve avere, e comunica via smartphone e non via Pos.
La riluttanza dei tassisti
È la categoria che si lamenta di più, e non è raro incappare nel tassista che senza remore dice subito «non prendo carte». Se si va a vedere però, nella maggior parte dei casi le loro cooperative riescono a contrattare buone commissioni. A Milano il consorzio «Taxi Blu 4040», che gestisce circa 1.900 auto, offre ai propri associati in comodato d’uso un Pos per 15 euro al mese.
Mentre l’accordo con Axepta (gruppo Bnp Paribas) prevede commissioni dello 0,37% su circuito PagoBancomat e lo 0,7% per le carte di credito Visa e MasterCard. Per American Express la percentuale sale a 1,5%. A Roma il presidente della Cooperativa «RadioTaxi 3570», che conta 3.600 tassisti, dichiara di aver sottoscritto un accordo con la piattaforma di pagamenti elettronici londinese MyPOS: le commissioni vanno dallo 0,5% per i bancomat all’1,5% per le carte di credito europee. Tradotto: su una corsa da 20 euro con carta di credito sono 30 centesimi, con bancomat sono 10 centesimi. Certo poi ci sono quelle collegate a carte aziendali o extraeuropee, dove la percentuale può anche arrivare al 3%, ma sono solo l’1% del totale, e su tragitti dall’aeroporto.
Tasse: le commissioni si scalano
Con la legge di bilancio del 2018 il governo Gentiloni ha introdotto il credito d’imposta del 50% per i distributori di carburante, proprio perché hanno margini di guadagno molto bassi. A ottobre 2019, il governo Conte II ha esteso il credito d’imposta del 30% anche a tutti gli esercenti con ricavi annui sotto i 400 mila euro. Draghi lo ha poi alzato al 100% per le transazioni effettuate tra il primo luglio 2021 e il 30 giugno 2022 ed ha lanciato il bonus Pos, credito d’imposta fino a 320 euro per i commercianti che acquistavano «smart Pos» con memorizzazione e trasmissione telematica dei pagamenti elettronici.
Il governo Meloni, a parte il bonus 50 euro destinato agli esercenti che acquistano registratori di cassa telematici a partire dal 2023, ha invece tentato un ritorno al cash inserendo nella bozza di legge di Bilancio la possibilità di rifiutare pagamenti con carta sotto i 60 euro. Tanto rumore per nulla: la norma ora è saltata. Anche perché l’esercente non ha alcun interesse a perdere clienti che non hanno contanti in tasca.
Europa: dove si paga di più
Se ci confrontiamo con il resto d’Europa si scopre che in Italia le commissioni medie sono fra le più basse. Dall’analisi di Bankitalia e Prometeia, relativa al 2021, emerge che in Norvegia dove il 56% degli acquisti si fa con moneta elettronica le commissioni sono le più alte: l’1,5%. Nel Regno Unito il 66% dei pagamenti è fatto con carta e le commissioni sono allo 0,8%. In Italia, Francia e Spagna le commissioni medie sono rispettivamente dello 0,7, e 0,4%.
La spiegazione sta nel fatto che in questi tre Paesi è più elevata la presenza della grande distribuzione: facendo enormi volumi, il circuito di gestione dei pagamenti applica commissioni molto basse, che vanno poi a incidere sulle medie nazionali. Eppure le transazioni cashless in Francia sono del 48%, in Spagna del 34%, e in Italia del 32% . Dopo di noi la Germania, con il 23% e un costo medio in commissioni dell’1,3%, proprio perché la grande distribuzione è meno radicata, ma anche l’uso dei pagamenti digitali.
Il costo del contante
Per un commerciante che non voglia evadere è più conveniente incassare contanti o moneta elettronica? Da un punto di vista della sicurezza è noto che meno cash c’è in cassa, più basso è il rischio rapina. Poi va considerato il tempo che serve per preparare la distinta dei contanti da andare a depositare nelle casse continue della banca (gli sportelli automatici sono sempre meno). Un’operazione che la banca ogni volta ti fa pagare.
Quel contante la banca lo deve rendicontare, e poi sostenere i costi del trasporto valori e assicurazione per mandarlo alla sua sede centrale, da dove verrà trasportato al caveau di Banca d’Italia. Il costo finale che la banca scarica sul proprio cliente è dell’1%. Inoltre la normativa antiriciclaggio prevede che se in un mese superi i 10 mila euro di deposito in contanti puoi aspettarti una visita della guardia di finanza. A conti fatti i vantaggi stanno a zero. Gli svantaggi invece per il sistema Paese sono devastanti: il cash è il motore dell’economia sommersa, che secondo l’ultimo rapporto Istat supera i 157 miliardi di euro.
Francesco Tortora e Milena Gabanelli
(per il “Corriere della Sera”)
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Dicembre 19th, 2022 Riccardo Fucile
NEI FILMATI REGISTRATI CON ATTORI DI INFIMA CATEGORIA, COMMISSIONATI DAL MINISTERO DELLA DIFESA RUSSO, SI PROMETTONO SOLDI, DONNE E SUCCESSO A COLORO CHE INDOSSERANNO LA DIVISA (SE TORNERANNO VIVI DALLA GUERRA)
Un uomo di mezza età, brizzolato e con le spalle curve, nascondendo lo sguardo, chiede alla figlia adolescente il suo salvadanaio con i risparmi per il telefonino, giustificandosi con il ritardo della busta paga nella fabbrica dove lavora. Origlia da dietro la porta la figlia raccontare a un’amica che suo padre era stato un eroe di una non meglio precisata guerra rimasto ferito, disadattato nella vita civile
L’amica replica che suo padre ha risolto tutti i suoi problemi arruolandosi nell’esercito per andare a combattere “laggiù”. L’uomo che ascolta posa il salvadanaio e si allontana. Il fotogramma successivo lo mostra sei mesi dopo rientrare a casa in uniforme, sorridente e deciso, abbracciare la figlia che gli salta al collo e allungarle una scatoletta bianca molto simile a quella di un iPhone. Fuori campo suona una musica trionfante, sventola il tricolore russo, avanzano carri armati con il simbolo della Z, e una scritta promette: «Sicurezza della patria, felicità della famiglia, futuro dei figli».
La nuova versione del leggendario manifesto degli Anni 20 che esortava i volontari ad arruolarsi nell’Armata Rossa contiene incentivi che i bolscevichi non prevedevano. Nella serie di videoclip prodotti per convincere i maschi russi ad andare a combattere – anche se la destinazione in Ucraina non viene mai esplicitamente menzionata – i benefici materiali svolgono un ruolo importante se non predominante. In un altro spot, un giovanotto contadino un po’ impacciato menziona agli amici di bevute la sua intenzione di andare volontario «per cambiare qualcosa», per poi riapparire in uniforme, al volante di una fiammante auto nuova, rifiutando di bere qualcosa insieme: è tornato al villaggio soltanto per vendere la casa.
Un altro filmato mostra un giovane arruolarsi per non pagare i suoi numerosi debiti, agitando davanti al naso di due agenti del servizio riscossione il suo contratto da volontario che gli concede una vacanza fiscale: una «decisione da uomo», si complimenta lo slogan finale della pubblicità. Ma c’è spazio anche per motivi di cuore: in uno degli spot, un militare incontra per strada una ex fidanzata, che resta talmente colpita dall’aspetto sportivo e importante che gli viene conferito dalla mimetica da proporgli subito di tornare assieme.
Mentre il ministero della Difesa russo sta formando gruppi di attori e musicisti da mandare al fronte a rincuorare i militari, una campagna pubblicitaria mostra come la voragine aperta dalla guerra voluta da Vladimir Putin abbia bisogno di venire riempita in continuazione. Nonostante il Cremlino ufficialmente neghi la ripresa della mobilitazione che dalla fine di settembre ha portato nelle trincee del Donbass 300 mila maschi russi (mentre un altro milione circa si è dato alla fuga all’estero), la disastrosa invasione dell’Ucraina richiede decine di migliaia di soldati.
Indiscrezioni dei media d’opposizione parlano di altri 300 mila coscritti da richiamare entro la primavera, per quella nuova offensiva russa che anche i comandanti di Kyiv ritengono disperata, ma probabile. Le perdite russe, secondo gli ucraini, si aggirano intorno alle 100 mila, e l’urgente bisogno di nuove reclute potrebbe portare anche a un aumento della durata del servizio di leva, come si è fatto scappare in un’intervista il commissario militare di Dmitrov, nei pressi di Mosca.
La coscrizione forzata, con le retate negli uffici, nelle fabbriche e perfino nelle palestre, non poterà però nuovi consensi al regime, e quindi si cerca di scommettere sui volontari.
Qual è l’identikit di quelli che potrebbero farsi convincere a entrare in guerra lo si vede dagli spot pubblicitari, chiaramente commissionati in base a uno studio di marketing sociale. I filmati sono girati in maniera molto didattica, gli attori sono legnosi e le battute scontate, ma evidentemente non sono diretti a grandi cultori della cinematografia: i loro protagonisti sono russi semplici, giovani e non, squattrinati, sottomessi e imbranati.
La sceneggiatura sottolinea come l’uniforme permette loro di compiere un progresso non solo economico, ma sociale: non devono più temere il fisco, la banca, la moglie e il datore di lavoro, e possono realizzare i loro sogni – l’auto, il telefonino, il mutuo, il trasferimento in città – andando a uccidere gli ucraini.
Il prezzo morale da pagare rimane fuori campo, e il telefonino che il papà in uniforme allunga alla figlia è particolarmente inquietante, soprattutto dopo i saccheggi dei russi nei territori occupati, e dopo che decine di smartphone ucraini sono stati ritrovati dai loro ex proprietari nei mercatini online della Russia profonda. Ancora più agghiacciante è lo spot del ragazzo che si arruola in guerra perché il suo videogame preferito gli è venuto a noia, per sparare a bersagli veri.
Il patriottismo e la “guerra di civiltà” con l’Occidente menzionati spesso da Putin sembrano non essere considerati moventi validi, almeno non per i russi, mentre il leader ceceno Ramadan Kadyrov insiste invece ad appellarsi alla solidarietà dei musulmani. In un appello sui suoi social, scritto stranamente in cinese, esorta i confratelli a sfidare gli occidentali che «vogliono trasformarci tutti in animali sovvertendo tutti i nostri valori», mischiando in un video adunate islamiste, comizi di Hitler e cortei Lgbt. Guerra santa, o occasione per risanare le finanze familiari, il marketing del Cremlino non sembra incentivare le potenziali reclute: secondo il portavoce dello spionaggio militare ucraino Andrey Yusov, più di un milione di russi hanno contattato negli ultimi mesi il programma “Voglio vivere” per sapere come arrendersi in caso di invio al fronte.
(da La Stampa)
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Dicembre 19th, 2022 Riccardo Fucile
ALESSIO BUTTI, HA DETTO DI VOLER “SPEGNERE GRADUALMENTE” IL SISTEMA DI IDENTITÀ DIGITALE… QUINDI CHE FINE FANNO GLI ACCOUNT CON CUI 33 MILIONI DI ITALIANI ACCEDONO AI SERVIZI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE?
Trentatré milioni di cittadini e cittadine in possesso di un documento italiano hanno un’identità digitale Spid, con la quale possono accedere ai servizi online delle Pubbliche amministrazioni per effettuare pagamenti, iscrizioni o accedere a bonus.
Sabato scorso, intervenendo all’iniziativa per i 10 anni di Fratelli d’Italia a Roma, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Innovazione tecnologica Alessio Butti ha dichiarato l’intenzione di «spegnere gradualmente Spid che raccoglie una serie di identità digitali e facilitare l’azione delle nostre imprese e dei cittadini con la Pubblica amministrazione. D’accordo tutti dobbiamo cominciare a spegnere lo Spid e avere la carta d’identità elettronica come unica identità digitale».
Cosa vuol dire? E cosa può significare, a livello pratico, per i 33 milioni che hanno già Spid?
Prima di provare a rispondere è utile ricordare cosa sia e a cosa serva la Carta di identità elettronica (Cie): attivata già da più di 32 milioni di persone, è l’evoluzione del documento cartaceo. Si presenta come una carta di pagamento e ha due microchip contenenti i dati personali del titolare e le informazioni per autenticarsi online.
Quindi: per accedere al sito di Inps o a quello dell’Agenzia delle entrate, per esempio, si può usare sia Spid sia la Cie, con la seconda che fornisce un livello di sicurezza in più. Attenzione, però, da smartphone l’autenticazione è molto rapida in entrambi i casi: si tratta solo di inserire codici o avvicinare la carta al telefonino. Mentre da pc fisso chi usa Cie deve avere un dispositivo in più (un lettore di smart card) con un software dedicato.
Cosa vuole fare Butti? Stando alla sua dichiarazione, sembra intenzionato a spegnere/chiudere Spid e rendere la Cie l’unico strumento per autenticarsi sia online sia offline. Suona anche comodo, lato cittadino, se si superasse lo scoglio del dispositivo aggiuntivo per l’accesso al pc.
L’idea di far convergere i due strumenti, fornendo le credenziali Spid a chi fa la carta di identità elettronica, e far gestire tutto dallo Stato era fra l’altro già stata messa sul tavolo dal governo Conte II e della ministra per l’Innovazione Paola Pisano.
Il problema è: quando Butti dice «spegnere» intende che i 33 milioni di identità digitali già attive spariranno? (!) Oppure che confluiranno nel progetto Cie, gestito da ministero dell’Interno e Comuni?
Se l’ipotesi è la seconda, ci si domanda come?: Spid viene erogata dai cosidetti Identity provider (Poste, usato nella quasi totalità dei casi, ma ci sono anche Aruba, Tim, Intesa e altri). Come avverrebbe la migrazione? E verso quale destinazione: perché non esiste un gestore pubblico deputato a occuparsene, al momento. In ottica convergenza, Pisano voleva inizialmente coinvolgere la partecipata dal ministro dell’Economia PagoPa — piano fallito — e aveva poi virato verso un ipotetico potenziamento degli Identity provider — secondo piano fallito —, perché c’è anche un tema di costi e investimenti, se si ci si appoggia anche ai privati. E, ripetiamo, non si parlava di spegnimento di Spid ma convergenza fra i due strumenti, utile anche ad avere in un unico pacchetto il livello di sicurezza richiesto da Bruxelles per l’identità digitale europea che dovrebbe vedere la luce nel 2025.
(da agenzie)
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Dicembre 19th, 2022 Riccardo Fucile
DOPO IL LOCKDOWN IL TASSO DI ABBANDONO SCOLASTICO È AUMENTATO E I BOCCIATI PER TROPPO ASSENZE AUMENTANO
Quando Beatrice sentiva che le mancava l’aria, chiedeva di andare a casa prima. Anche la minima verifica, per lei, era insostenibile. L’educatore di Save the children chiamato a farle da tutor online per aiutarla in italiano all’inizio vedeva nello schermo solo una sua ciocca di capelli. La compagna Eleonora condivideva la stessa paura di non farcela. Entrambe al primo anno di un istituto superiore di Torino. Anche Polly, genitori moldavi, al secondo quadrimestre della prima media in provincia di Venezia si era bloccata: «Sono indegna».
La lettera che preannunciava la bocciatura era già arrivata, ma dietro alle insufficienze in pagella pesava la solitudine di una ragazzina dai lunghi capelli e dall’autostima zero. Silvia è scoppiata a piangere in presidenza, istituto professionale di Firenze: «La prof in palestra favoriva l’altra squadra: l’ho insultata, non so cosa mi è preso, sono andata fuori di testa». Nomi di fantasia, storie vere. Ragazze e ragazzi sulla soglia delle aule scolastiche: basta un passo sbagliato per perderli.
Rientrati dopo due anni di pandemia, si sono ripresentati all’appello delle medie e delle superiori più fragili, più arrabbiati. Isolati o aggressivi, meno preparati. Ed è allarme nelle scuole per una fascia grigia che rischia di andare a ingrossare le file degli abbandoni. I docenti raccontano che crescono le diagnosi di disturbo da ansia sociale, «mai viste prima certificate dalle Asl». I presidi parlano di classi prime ingestibili.
A preoccupare sono le troppe assenze conteggiate già ora, al primo trimestre. Il segnale è arrivato a giugno di quest’ anno: i bocciati per troppe assenze sono stati quasi 74mila ragazzi, oltre 67mila alle superiori. «Non scrutinabili», vuole un gergo scolastico che sa di timbro postale. Contano quanto gli abitanti di città come Asti o Caserta, ma non contano.
Nei licei e istituti tecnici e professionali si è passati dal 2,8% di studenti non scrutinati per mancata validità dell’anno scolastico nel 2018-19 al 3,1% del 2021-22, con punte intorno al 4% in Calabria, Sicilia, Marche e Puglia e il record della Sardegna al 6,2%. «Una parte di loro è destinata ad allargare il numero di chi abbandona» traduce Marco Rossi- Doria, presidente di “Con i bambini”. Non ha dubbi Arduino Salatin, voce della commissione sulla dispersione scolastica dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza: «Che l’assenza sia un predittore di dispersione è fuori discussione».
«La pandemia ha schiacciato i bisogni famigliari verso il basso, ora l’ansia è arrivare a fine giornata e le carriere scolastiche dei figli passano in secondo piano», spiega. Chi proviene da contesti difficili è destinato ad abbandonare la scuola. «Qui bisogna agire, non dopo», insiste Colomba Punzo, preside di Ponticelli. Michele Gramazio, preside al tecnico e professionale Einaudi di Foggia, allarga le braccia: «Perdiamo il 20% di alunni nelle prime, ma cosa possiamo fare?
(da “la Repubblica”)
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Dicembre 19th, 2022 Riccardo Fucile
NEL 2005 INTERPRETÒ SU RAI 1 UN COMMISSARIO CHE SCOPRIVA L’OMOSESSUALITÀ DEL FIGLIO, POLIZIOTTO PURE LUI. E LA ACCETTAVA
Per un meraviglioso paradosso, era stato proprio Lando Buzzanca, Grande Maschio della commedia all’italiana e classicamente «di destra», a normalizzare l’omosessualità.
Nel 2005, Rai1 trasmise «Io e mio figlio», con l’attore che era commissario a Trieste. Ottimi ascolti. Ma il motivo di interesse era, se non è troppo usare la parola trattando di tv, ideologico: il commissario scopriva l’omosessualità del figlio, poliziotto pure lui. E la accettava senza farla nemmeno troppo lunga. Notevole. Sulla linea di azione sociale del «compagno Fini» all’epoca. Era l’aria dei tempi.
Tra il ’99 e il 2002 Rai1 aveva realizzato «Commesse»: tra loro, pure un commesso gay. E con Lino Banfi, «Il padre delle spose», 2006, parlava addirittura di omosessualità femminile. Dunque Buzzanca. Commissario Vivaldi, magari tormentato ma accudente e accettante. E premiato con una seconda serie del personaggio. E poi ancora «Il restauratore» (2012-2014), regista Giorgio Capitani. Qui l’attore, ex poliziotto che era stato in carcere per aver ucciso chi gli aveva ucciso la moglie, impara a restaurare oggetti. E ha le visioni.
Tocca qualcosa appartenuto a qualcuno, e di quel qualcuno vede il nero futuro. Corsa contro il tempo per rimediare al destino. E insomma, personaggi tv non legati all’iconico «Merlo maschio» di Pasquale Festa Campanile o al marito geloso, e cornuto, nei «Mostri» di Risi, o al «Don Giovanni in Sicilia» di Lattuada, dal libro di Brancati. Fu davvero un protagonista importante della commedia all’italiana al cinema negli Anni 60 e 70 del 900, come sottolinea Masolino d’Amico nel volume che ha dedicato al genere. Buzzanca non era considerato un intellettuale dagli intellettuali.
Aveva detto: «Sono sempre stato di destra, dalla sinistra arrivavano continue calunnie, mi definivano attore di serie b. Mi hanno danneggiato, ma non me ne è mai fregato niente. La gente mi vuole bene. Per 13 anni ho fatto attività politica in Alleanza Nazionale con Fini. Mi voleva fare senatore. Scherzando gli chiesi quanto prendesse al mese un senatore. Mi rispose 18 milioni. Io 18 milioni li prendevo in una settimana».
Oltre al cinema, aveva nelle scarpe i palchi teatrali e, appunto, gli studi tv. Non solo le serie «avanti», ma anche «Ballando con le stelle» nel 2016 e lo strepitoso successo di «Signore e signora», varietà del ’70: lui e Delia Scala marito e moglie, loro amici Bice Valori e Paolo Panelli, la suocera Paola Borboni. Che cast. Ogni bambino dell’epoca diceva: «Mi vien che ridere», imitando una sua mossa, e nelle case si cantava: «L’amore non è bello se non è litigarello». Intanto si discuteva, e si varava, la legge sul divorzio. Non erano mica scemi, negli Anni 70. Di sicuro non Buzzanca.
(da La Stampa)
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Dicembre 19th, 2022 Riccardo Fucile
IL MORALE DELLE TRUPPE RUSSE È TALMENTE BASSO CHE IL CREMLINO HA INVIATO IN UCRAINA UNA “BRIGATA CREATIVA”: CANTANTI LIRICI, CHITARRISTI FOLK, PIANISTI, ATTORI E SALTIMBANCHI PER TENTARE DI RALLEGRARE I SOLDATI
Musica per le orecchie di Zelensky. Il morale delle truppe russe è talmente basso che il Cremlino sta inviando in Ucraina cantanti lirici, chitarristi folk, pianisti, attori e saltimbanchi per tentare di rallegrare i soldati al fronte.
Alla vigilia del trecentesimo giorno della guerra dei tre giorni (il lasso di tempo che gli strateghi di Mosca ritenevano sufficienti per conquistare Kiev e insediare un governo fantoccio), dunque, il ministero della Difesa della Federazione russa pubblica un comunicato che pare scritto da un pacifista hippie.
“Nelle loro mani non mitragliatrici ma microfoni!”, esordisce l’entusiastica nota. “È stata ultimata la prima Brigata creativa in prima linea, per supportare i nostri militari nella zona delle operazioni speciali”.
Neanche quando si tratta di musica il Cremlino riesce a chiamare la guerra col proprio nome. “La Brigata comprende artisti mobilitati e volontari: sono cantanti, musicisti e persino maestri del genere originale”.
Il messaggio è stato diffuso sul canale Telegram ufficiale della Difesa e viaggia in Rete con un video allegato. Nel filmato si vedono e si sentono pezzi dei mini concerti che alcuni interpreti, tutti maschi e in divisa, hanno tenuto davanti alle truppe. Un po’ perplesse, a giudicare dalle espressioni dei volti.
La prima esibizione della Brigata creativa è stata organizzata il 19 novembre a Mariupol, nella regione occupata del Donetsk. “I ragazzi si esibiscono con le loro canzoni preferite”, spiega la didascalia partorita dai funzionari del ministero. “Come ad esempio “Percorso in prima linea”, “Dagli eroi dei tempi passati” e un vero successo da prima linea: “Sevastopol”!”.
L’espediente di mandare al fronte artisti più o meno famosi, soprattutto quando le cose non vanno come si è programmato o si è proclamato, non è nuovo. In Vietnam Johnny Cash tenne un concerto per i soldati americani
Per una strepitosa serie di coincidenze, si ritrovarono a fare una tournee surreale a Saigon anche quattro semisconosciute ragazze beat di Piombino, che avevano appena formato la band delle Stars. E qualche anno prima, in Corea, Marilyn Monroe fu la protagonista davanti a 100mila militari dello storico spettacolo “Anything goes”.
La notizia diramata da Mosca è stata letta dall’intelligence occidentale come l’ennesimo segnale di vulnerabilità delle forze armate di Putin, che ieri hanno ricevuto una visita particolare: il ministro della Difesa Serghej Shojgu ha sorvolato le aree dello schieramento e ha parlato con le truppe al fronte e “in uno dei posti di comando”.
Un’inchiesta del New York Times ne ha documentato lo scarso equipaggiamento, l’uso di mappe risalenti agli anni Sessanta, e la scarsa conoscenza di armi e precauzioni tattiche, come quella di non accendere il telefonino sulla linea del fronte per il rischio di essere individuati e bombardati. “Temendo lo scontro Usa-Russia, ufficiali americani hanno anche tentato di impedire agli ucraini di organizzare un attacco per uccidere il generale Gerasimov”, ha rivelato il quotidiano.
(da La Repubblica)
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Dicembre 19th, 2022 Riccardo Fucile
LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE: “ABERRAZIONE TOTALE”,,, COSA NON FAREBBE TOTI PER FAVORIRE GLI IMPRENDITORI BALNEARI
Via il divieto di sistemare ombrelloni, lettini e sdraio sulle opere di difesa costiera per darle in concessione a privati. Del resto, dice il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti a margine della presentazione in Consiglio regionale della manovra di bilancio, “tutte le città hanno opere di difesa costiera utilizzabili, pensate alla scogliera di Porto Venere”.
Così, spiega Toti, nel 2023 “sarà possibile installare ombrelloni e lettini su alcune opere di difesa costiera della Liguria, una cosa oggi totalmente esclusa da qualsiasi tipo di utilizzo economico tutto l’anno. Oggi se hai una scogliera che è stata finanziata da un provvedimento di difesa costiera non ci puoi mettere un paiolato sopra, i lettini e darla in concessione. Toglieremo il divieto ove le norme di sicurezza lo consentano, almeno in determinati periodi dell’anno”.
Un annuncio che provoca la immediata, furibonda reazione delle associazioni ambientaliste. Rappresentate da Stefano Salvetti, presidente regionale Adinconsum ma soprattutto membro del Coordinamento Nazionale Mare Libero (CoNaMaL): “E’ una aberrazione totale, si sta perdendo il senso civico. Invece di riportare le lancette dell’orologio indietro nel tempo per quanto riguarda le spiagge, oggi praticamente tutte ai privati, concediamo loro pure le scogliere. Sempre in nome di un turismo che abbiamo in testa solo noi”.
Salvetti ricorda che “in Spagna e Francia l’80 per cento dei litorali è pubblico, e non è che lì non esistono imprenditori. Invece qui da noi quando viene qualcuno dall’estero si incaz… perché deve camminare chilometri prima di trovare spiagge libere”.
In Liguria, secondo il report “Spiagge” di Legambiente del 2021, i 114 chilometri di spiagge della riviera sono occupati per il 69,9 per cento da stabilimenti. Un record che fa svettare la Regione davanti anche all’Emilia Romagna con il 69,5 per cento di lidi occupati e la Campania con il 68,1 per cento, rispetto alla media nazionale che si ferma al 42,1 per cento.
Nei giorni scorsi la ministra del Turismo e imprenditrice del settore balnerare Daniela Santanché ha dichiarato che “sarebbe bene prima assegnare quelle spiagge che ora non sono assolutamente servite… se uno va a vedere le spiagge in posti meravigliosi, le cosiddette spiagge libere, ci sono tossicodipendenti, rifiuti. Nessuno pensa a tenerle in ordine”. Poi ha aggiunto: “Non voglio privatizzarle ma attrezzarle perché chi ha meno possibilità possa andarci senza pagare ma se vuole andare nel chioschetto può farlo”.
Per Salvetti “basterebbe ridefinire canoni di concessione congrui ai privati, e con quei soldi sistemare le spiagge”.
(da La Repubblica)
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Dicembre 19th, 2022 Riccardo Fucile
LA GAFFE DEL PROFESSORE: CITA UN ARTICOLO MA UN UTENTE GLI FA NOTARE CHE NON ESISTE UN CRONISTA CON QUEL NOME
Al professor Alessandro Orsini la sicumera non manca ma l’ultimo errore è di quelli che rischiano di venire ricordati a lungo. La storia l’ha tirata fuori il giornalista Antonio Talia su Twitter ed è questa.
In un video su YouTube pubblicato ieri, Orsini spiega il cosiddetto ‘memorandum di Budapest’ del 1994 e per chiedersi se la Russia lo abbia violato o meno al minuto 1:15 cita l’articolo di un certo “William J. Ampio”, pubblicato dal New York Times.
Orsini fa anche lo spelling dell’autore, “a-m-p-i-o”. Solo che un altro utente Twitter, Parabellum, fa notare che sul New York Times non scrive nessun “William J. Ampio”.
Ci scrive, invece, William J.Broad, già premio Pulitzer. In pratica il traduttore automatico ha tradotto il cognome “Broad” in “ampio”. Insomma, il professor Orsini stava leggendo un articolo tradotto probabilmente da Google Translate, traduzione che ha causato l’epico sfondone. Anche se ai propri ascoltatori Orsini spiegava, citando l’analisi, “qui continuo a tradurre al volo dall’inglese, scusate per qualche pausa…”.
Domanda retorica di Talia: “Se Orsini non ha gli strumenti cognitivi per capire l’errore nella traduzione automatica di un articolo, come potrà riuscire a decifrare e poi spiegare il contenuto dell’articolo stesso?”.
(da agenzie)
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