Dicembre 27th, 2022 Riccardo Fucile
LE PERSONE SONO ATTRATTE ANCHE DAI VIDEO ULTRASH DELLA PITONESSA SANTANCHÈ
Scalato Palazzo Chigi, Giorgia Meloni si arrampica anche sui social: in un anno ha guadagnato mezzo milione in più di seguaci. La premier fa il boom, mentre Matteo Salvini – che resta comunque in testa nel dato “storico” (figlio dell’impennata del 2019) – per la prima volta si ferma.
Anzi, trasforma una crescita sempre più lenta in un calo di un centinaio di follower. I tempi della “Bestia” che acchiappava internauti sono lontani. È uno dei dati principali dell’analisi dell’attività sulle quattro principali piattaforme (Facebook, Twitter, Instagram, Tik Tok) elaborata dall’Osservatorio della fondazione Italia Digitale.
L’engagement (ovvero la capacità di interagire con il pubblico che è dimostrato da like, commenti e link ad altri siti) conferma il sorpasso della leader di Fdi rispetto al segretario della Lega, già registrato il mese scorso.
La ricerca, curata da Sandro Giorgetti, prende in considerazione le performance degli altri componenti del governo: tra i più popolari, in ordine di classifica, Daniela Santanchè, Guido Crosetto, Anna Maria Bernini, Nello Musumeci, Antonio Tajani e Roberto Fitto, tutti personaggi conosciuti da alcuni anni anche per le loro apparizioni sui media. Ma è Francesco Lollobrigida che ha l’engagement più alto. Anche perché è molto aumentato, da quando è al governo, il numero di post prodotti: 427 in soli 2 mesi, su Facebook, Instagram e Twitter.
Nell’engagement generale troviamo un abisso fra le prime tre forze politiche (Fdi, Lega e 5Stelle) e gli altri. Buona la performance di Italia Viva e «drammatico», così lo definisce Giorgetti, il dato del Pd e di Forza Italia. «Per quanto riguarda i dem, sono numeri che confermano la loro scarsa strategia digitale. Peraltro il Pd – aggiunge il curatore dell’analisi – è l’unico partito ad avere un profilo Tik Tok, ma con un numero di follower insignificante, circa 7 mila: un centesimo di quelli che ha conquistato Silvio Berlusconi, che sui social si giova della sua personale popolarità ma non a vantaggio di Fi».
Come numero di follower c’è Salvini in testa. Ma prima della Meloni, al secondo posto, troviamo Giuseppe Conte, poi Renzi e Berlusconi. Nella capacità di engagement (cioé – ripetiamo – di “coinvolgere” l’utente) a primeggiare è Meloni, Salvini subito dietro e poi Conte.
(da La Repubblica)
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Dicembre 27th, 2022 Riccardo Fucile
SI INTACCA L’UNICO DATO POSITIVO DELL’ECONOMIA ITALIANA, CIOÈ IL RISPARMIO PRIVATO
Dove non poté la pandemia poté la guerra: nel due anni del Covid nonostante la crisi i risparmi degli italiani erano fortemente aumentati, mentre in quello della guerra e della crisi energetica si stanno prosciugando.
Durante il biennio 2020- 2021 l’effetto combinato del coronavirus e delle restrizioni alle uscite di casa, ai viaggi, ai ristoranti, ai bar, a tutte le forme di svago, e persino agli spostamenti per andare al lavoro (con il boom dello smartworking) hanno ridotto le spese delle famiglie e incrementato i depositi bancari e le altre forme di risparmio.
Invece nel 2022 il rincaro delle bollette dell’energia dovuto alla guerra in Ucraina e la conseguente fiammata dell’inflazione a due cifre hanno costretto tutti a spendere molto di più, in un periodo in cui le persone erano già bendisposte a farlo, per tornare a vivere dopo la pandemia. Il Centro studi dell’associazione di aziende Unimpresa ha rilevato che nei tre mesi agosto-settembre-ottobre gli italiani hanno prelevato dai conti correnti e dalle altre forme di risparmio 50 miliardi di euro, diminuendo il totale del 2,4%.
In cifre assolute, a luglio l’ammontare delle riserve delle famiglie e delle imprese depositate nelle banche ammontava a 2.097 miliardi, mentre ad ottobre il numero è sceso a 2.047 miliardi.
Il fatto è grave per due motivi: il primo è che nella lunga crisi italiana l’unico dato positivo, finora, era la forza del risparmio privato, che dava un po’ di sicurezza a una parte almeno delle famiglie; adesso questo fattore si indebolisce.
La seconda considerazione negativa è che i numeri dì Unimpresa riguardano la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno ma non c’è indicazione che la tendenza sui sia poi invertita, anzi, casomai sembra che si sia rafforzata.
Un’altra associazione, il Codacons (consumatori e utenti), segnala un ulteriore paradosso: quest’ anno nei giorni di Natale gli italiani hanno comprato meno ma speso di più: la spesa complessiva per il cenone, i regali e i viaggi ha sfiorato i 20 miliardi, a fronte di meno beni e meno servizi acquistati, e la differenza (ovviamente) se l’è mangiata l’inflazione, a partire dal caro-bollette.
In dettaglio, la fetta maggiore delle spese natalizie è andata ai regali, per 6,7 miliardi di euro, mentre 2,7 miliardi sono stati spesi per imbandire le tavole della vigilia e del 25 dicembre. Questo per chi ha deciso di restare a casa, mentre gli oltre 12 milioni di italiani che hanno deciso di mettersi in viaggio hanno generato un giro d’affari di 10,1 miliardi, con una spesa di 350 milioni di euro per il pranzo di Natale nei ristoranti.
Tornando ai calcoli di Unimpresa, sono basati sui numeri della Banca d’Italia.
«Quella che abbiamo sotto gli occhi – commenta la presidente dell’associazione di aziende, Giovanna Ferrara – è una situazione drammatica. Stanno venendo meno le forze e la liquidità, sia per le famiglie sia per le imprese, specie quelle più piccole. I costi sono insostenibili, le bollette energetiche non più gestibili.
Ecco perché, chi ha la possibilità attinge alle proprie riserve». Fino al luglio scorso, da due anni si era registrata una crescita costante dei risparmi degli italiani: 1.823 miliardi a dicembre 2019, 1.956 miliardi a dicembre 2020 e 2.075 miliardi a dicembre 2021. La tendenza all’accumulo è proseguita nel 2022 fino a luglio, per invertire la rotta da agosto in poi. In particolare nei conti correnti, che costituiscono la forma di accumulo più utilizzata da aziende e cittadini, il saldo era di 1.182 miliardi a fine 2019, di 1.349 miliardi a fine 2020 e di 1.480 miliardi a dicembre 2021, poi era ancora aumentato a 1.497 miliardi a luglio 2022, per arretrare di 45 miliardi (-3,0%) ai 1.452 miliardi toccati nell’ottobre scorso
(da La Stampa)
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Dicembre 27th, 2022 Riccardo Fucile
CON LEI ANCHE UN’ALTRA IRANIANA CON IL CAPO SCOPERTO, ATOUSA POURKASHIAN, IN GARA SOTTO LA BANDIERA STATUNITENSE
Un’altra ragazza che sfida il regime e lo fa sul terreno di gioco. Anzi, sul tavolo. Vista da questa parte del mondo, la foto che sta girando su Twitter non avrebbe nulla di particolare: una giovane donna con il maglione blu davanti a una scacchiera. In realtà è di una forza dirompente. Sara Khademolsharieh, 25 anni, è una campionessa di scacchi, fa parte dell’Iran Chess Team e, ieri, ha giocato senza velo ai campionati del mondo ad Almaty, in Kazakistan.
Un’altra coraggiosissima ragazza iraniana che decide di opporsi pubblicamente alla dittatura teocratica di Khamenei, e di rifiutare l’imposizione dell’hijab obbligatorio, rischiando la sua vita e la sua carriera. Due anni fa, Khademolsharieh era già stata interdetta dalle competizioni per aver detto no al velo. In quel caso, è stata interrogata e ha ricevuto molte minacce, «ma ha continuato. Ha continuato perché questa volta è diverso: ci moltiplichiamo», si legge su Twitter.
Khademolsharieh non è la prima sportiva a scegliere di togliersi il velo durante una competizione internazionale. Prima di lei, proprio nella sua disciplina, lo aveva fatto anche un collega che ora gioca sotto bandiera americana, Atosa Purkashian – fortissima la foto delle due che careggiano l’una contro l’altra -, o Shohreh Bayat , famosa arbitra sempre di scacchi che durante il campionato mondiale femminile 2020 è stata accusata dal governo iraniano di non indossare correttamente l’hijab.
Negli ultimi mesi, tra tutte le storie, ha fatto il giro del mondo quella di Elnaz Rekabi, l’atleta iraniana di arrampicata che aveva gareggiato senza velo a Seul e che, una volta tornata in Iran ha subito gravi minacce e le è stata bruciata la casa.
Proprio oggi, il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha dichiarato durante una cerimonia: «Non mostreremo misericordia al nemico. le braccia sono aperte a tutti coloro che sono stati ingannati». Il nemico di cui parla Raisi sono i manifestanti, i giovani e le giovani che hanno dato il via questo sciame di proteste, diventate una rivoluzione.
L’agenzia di stampa iraniana per gli attivisti per i diritti umani (Harana) ha stimato che 507 manifestanti sono morti tra il 27 settembre e il 5 dicembre nelle proteste per la morte di Mahsa Amini. Il governo iraniano insiste sul fatto che le proteste in corso sono una «cospirazione di nemici» e le persone arrestate sono considerati o «ingannate» o «elementi nemici».
Dal 16 settembre, giorno in cui è morta Mahsa Amini – simbolo dell’inizio della rivoluzione – secondo l’agenzia di stampa per i diritti umani (HRANA), sono stati uccisi più di 500 manifestanti, tra cui 70 minori (l’ultima vittima, la dodicenne Saha Etebari). Due ragazzi sono stati giustiziati e almeno altri 26 sarebbero in attesa di esecuzione.
(da Il Corriere della Sera)
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Dicembre 27th, 2022 Riccardo Fucile
DAGLI STRALCI DI CARTELLE ALLE SANZIONI DI FAVORE, TUTTI I FAVORI AGLI EVASORI FISCALI
Stralci, rottamazioni, ravvedimenti, definizioni agevolate, conciliazioni. Persino un salva-calcio. La prima manovra del governo Meloni contiene un pacchetto di 12 misure – tra sanatorie e condoni – che l’esecutivo chiama “tregua fiscale”. Vediamo quali sono e cosa prevedono.
Stralcio delle cartelle
Vengono cancellate tutte le cartelle fino a 1.000 euro, quelle affidate alla riscossione dal 2000 al 2015. L’operazione non avverrà subito, dal 31 gennaio, come previsto nel testo iniziale della manovra approvata in Cdm. Ma dal 31 marzo (nel frattempo è sospesa la riscossione). Per accogliere poi le richieste dei sindaci, la cancellazione delle cartelle dei Comuni – tra queste le multe – non sarà automatica. Ma decisa dai sindaci con una delibera entro il 31 gennaio. E in ogni caso limitata agli interessi.
Rottamazione delle cartelle
La nuova rottamazione riguarda le cartelle affidate alla riscossione dal 2000 al 30 giugno 2022 e viene estesa anche alle multe stradali (ma solo per interessi ed aggio). Le regole sono quelle già previste nelle passate edizioni, con una novità importante: oltre a interessi di mora e sanzioni viene cancellato anche l’aggio. Il debito va invece pagato tutto.
Errori formali
Le irregolarità commesse fino al 31 ottobre 2022 vengono sanate pagando una somma a forfait di 200 euro per ciascun periodo di imposta a cui si riferiscono le violazioni e in due rate di pari importo: la prima entro il 31 marzo 2023 e la seconda entro il 31 marzo 2024. Si tratta di inosservanze di obblighi e adempimenti di natura formale che non impattano sulla base imponibile ai fini Irpef, Iva, Irap.
Avvisi bonari
Scatta la definizione agevolata anche gli avvisi bonari ricevuti dal contribuente in seguito ai controlli automatizzati del Fisco, relativi agli anni 2019, 2020 e 2021. In questi casi – ma solo se il termine di pagamento incluso nell’avviso non è scaduto alla data del primo gennaio 2023 oppure l’avviso è arrivato dopo – si potranno versare le imposte e i contributi previdenziali dovuti con gli interessi e una sanzione iper ridotta al 3%, anziché il 30% ridotto a un terzo. La definizione agevolata di applica anche agli avvisi bonari che sono già in corso di rateazioni.
Ravvedimento speciale
Riguarda le dichiarazioni 2022 relative ai redditi del 2021 e periodi di imposta precedenti. Per accedere a questo ravvedimento speciale, in deroga a quello ordinario, si versa un 18esimo delle sanzioni, oltre a imposta e interessi dovuti. Il pagamento può avvenire in 8 rate trimestrali di pari importo: la prima con scadenza il 31 marzo 2023 e quelle successive entro il 30 giugno, il 30 settembre, il 20 dicembre e il 31 marzo di ciascun anno. Per le rate si paga un interesse del 2% annuo. La regolarizzazione è possibile solo se le violazioni non sono state già contestate. Il mancato pagamento di una rata comporta la decadenza dal beneficio
Accertamenti
Le sanzioni relative agli accertamenti con adesione vengono ridotte da un terzo a un 18esimo del minimo. Le somme dovute possono essere versate anche in un massimo di 20 rate trimestrali di pari importo entro l’ultimo giorno di ciascun trimestre successivo alla prima rata.
Liti pendenti
La definizione agevolata delle liti pendenti riguarda anche le controversie con l’Agenzia delle Dogane: una novità introdotta con un emendamento in commissione Bilancio della Camera.
Conciliazione
In alternativa alla definizione agevolata delle controversie si può optare – entro il 30 giugno 2023 – anche per un accordo conciliativo con l’Agenzia delle Entrate. In questo caso è necessario sottoscrivere un accordo tra le parti in cui sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. Le sanzioni si riducono a un 18esimo del minimo previsto dalla legge (anziché il 40 o 50%). Dovuti anche gli interessi.
Liti in Cassazione
In manovra c’è anche la rinuncia agevolata, entro il 30 giugno 2023, alle controversie tributarie in cui è parte l’Agenzia delle Entrate e che sono pendenti in Cassazione. La rinuncia deve avvenire con una definizione transattiva con la controparte. Si pagano le somme dovute con imposte, interessi e sanzioni ridotte a un 18esimo.
Omessi versamenti
L’omesso o carente versamento dei tributi può essere regolarizzato versando quanto dovuto in modo integrale entro il 31 marzo 2023 o in un massimo di 20 rate di massimo importo, ma senza sanzioni e interessi. Riguarda le rate successive alla prima delle somme dovute dopo accertamento con adesione. Ma anche gli importi delle conciliazioni giudiziali.
Criptovalute
Il possesso non dichiarato di criptovalute al 31 dicembre 2021 può essere sanato dietro presentazione di una domanda di emersione (l’Agenzia delle entrate fisserà le modalità e predisporrà il modello nei prossimi mesi) e il versamento della sanzione per omessa indicazione dei dati in dichiarazione. Se poi il contribuente ha tratto un reddito dal possesso delle criptovalute emerse, sarà tenuto anche a versare un’imposta sostitutiva del 3,5% sul valore delle criptovalute detenute al termine di ogni anno o al momento del realizzo. Le criptovalute vengono definite come “redditi diversi” di natura finanziaria, anche per il passato, e tassati al 26%, oltre all’imposta di bollo del 2%.
Salva-Calcio
Norma molto discussa e contestata durante l’iter di approvazione della manovra alla Camera. Le federazioni e le società sportive dilettantistiche e professionistiche, compresi i club della serie A di calcio, hanno ottenuto di sospendere i versamenti di Iva e ritenute per 889 milioni che dovevano pagare entro il 22 dicembre. Potranno saldare il debito entro il 29 dicembre in un’unica soluzione. O frazionare il conto con 3 rate entro il 29 dicembre e il resto spalmato dal 31 gennaio per 60 mesi, quindi 5 anni. La sanzione aggiuntiva è del 3% sulle somme dovute, da versare per intero insieme alla prima rata.
(da agenzie)
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Dicembre 27th, 2022 Riccardo Fucile
CAPRO ESPIATORIO DI SCARSE RISORSE E DI SCELTE SOCIALMENTE SQUILIBRATE
Sembra che il governo il Reddito di cittadinanza sia una sorta di “tesoretto” da cui attingere per finanziare altre misure, per non scontentare gruppi sociali al cui voto si tiene di più.
È legittimo preoccuparsi dei pensionati a reddito medio-basso il cui potere d’acquisto è stato ridotto dall’inflazione e dal caro energia, ma perché farlo a carico dei poveri, mentre si proroga il superbonus anche per i ricchi, si perdonano gli evasori “pentiti” e si offre una dilazione di cinque anni alle società di calcio per pagare i debiti contratti con il fisco?
I poveri “occupabili”, oltre a essere additati al disprezzo sociale come fannulloni che non hanno voglia di lavorare, sono messi in competizione, perdente, con qualsiasi altra categoria sociale si ritenga meritevole di un riconoscimento.
L’orizzonte temporale entro il quale possono contare di una garanzia di reddito per soddisfare i loro bisogni di base viene sempre più ristretto, senza che sia chiaro con quali risorse e politiche attive la loro occupabilità teorica verrà trasformata in occupazione (pagata decentemente) effettiva, stante la scarsa e territorialmente disomogenea performance dei centri per l’impiego e i risultati non entusiasmanti, sul piano occupazionale, del programma Gol (Garanzia di occupabilità dei lavoratori), oltre alla scarsità di domanda di lavoro nelle regioni in cui sono più concentrati i percettori del RdC.
Tantomeno ci si preoccupa di che cosa succederà di loro se, scaduto il RdC, non avranno trovato una occupazione, o non sufficientemente remunerata, nonostante abbiano partecipato alle attività di formazione richieste. Un evento probabile per una parte rilevante di coloro che, secondo il governo, sono occupabili, e anche in tempi brevi.
Secondo questa definizione, infatti, sono occupabili tutti i maggiorenni sotto i 60 anni che non sono disabili e non hanno figli minorenni a carico. Definizione curiosa, che non trova riscontro né nella letteratura specialistica né nelle statistiche ufficiali, italiane e internazionali, ma che risponde al tentativo di contenere alcuni effetti disastrosi del considerare il sostegno al reddito una misura da destinare solo a chi non può lavorare per età o malattia, non anche a chi non riesce a trovare lavoro o a chi non guadagna abbastanza.
Per salvaguardare i minorenni dalla esclusione dal sostegno, almeno fino al 2024, sono stati così esclusi dagli “occupabili” i loro genitori, con il rischio che a questi non vengano offerte le opportunità di formazione e consulenza necessarie, anche se non sempre sufficienti, a un inserimento nel mercato del lavoro.
A prescindere dalla curiosa definizione di “non occupabilità”, anche quella di occupabilità rimane problematica nella sua astratta semplificazione. Come se non ci fosse differenza – nelle chance di trovare una occupazione, nei bisogni formativi e di consulenza e nel tempo necessario per essere efficaci – tra un trentenne diplomato o laureato e un diciottenne con la terza media o un cinquantacinquenne con qualsiasi qualifica, vivere in contesti con un mercato del lavoro dinamico o a bassa domanda di lavoro.
Il Reddito di cittadinanza va sicuramente corretto, sia nel disegno sia negli strumenti che devono accompagnarne l’attuazione, ma non solo, per quanto riguarda le politiche attive del lavoro e gli incentivi per i datori di lavoro che assumono un percettore impegnandosi a formarlo.
Bene che il governo si sia dato un anno per riformarlo o definire un nuovo istituto. Ma è partito con il piede sbagliato nel considerare una “occupabilità” concettualmente confusa e difficile da concretizzare un buon criterio per ridurre le risorse senza aver pronte le alternative.
Oltre a dare segnali problematici su come si pensa di configurare il nuovo istituto, è un modo di fare dei poveri “occupabili” il capro espiatorio di risorse scarse e di scelte socialmente squilibrate.
(da La Repubblica)
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Dicembre 27th, 2022 Riccardo Fucile
PER L’AMMINISTRAZIONE COMUNALE QUELLA CHE SERVE E’ LA FERROVIA
Sembrava che dopo l’ondata di meme e ilarità scatenatasi a febbraio, l’opera fosse destinata a essere dimenticata per sempre. “A Cortina serve l’aeroporto, per arrivarci è un calvario”, aveva detto allora Daniela Santanchè in occasione di un evento a Belluno, ben prima che si potesse pensare che, solo pochi mesi dopo sarebbe stata nominata ministra del Turismo.
Ma che quella sull’aeroporto non fosse una boutade gli ampezzani lo avevano avuto subito chiaro, dato che era bastata la nomina a far scattare l’allarme sulle Dolomiti.
A ilDolomiti già il 22 ottobre scorso, pochi giorni dopo la nascita del governo, il sindaco di Cortina Gianluca Lorenzi chiariva senza mezzi termini che l’amministrazione non avrebbe voluto sentir parlare di aeroporto: “Non è un’opera necessaria al nostro territorio”.
E ancora: “Non possiamo permettere che altri decidano eventualmente opere che non sono strategiche”, valutando piuttosto un più piccolo eliporto.
Ma al sindaco e agli ampezzani è andata male, e ne hanno sentito parlare ancora. Il 9 dicembre, in occasione della Cortina fashion week, la ministra ha ribadito la sua visione: l’aeroporto serve, “se vogliamo essere veramente competitivi, nel confronto con altre stazioni sciistiche, come St.Mortiz” accusando altri di non aver capito quanto l’opera fosse necessaria.
Ma in pochi lontano dalle Dolomiti ricordano perché, a Cortina d’Ampezzo, nessuno senta il bisogno di un aeroporto, già proposto dalla Regione nel 2017 e avvallato dall’Enac, ma presto affossato dall’opposizione compatta del territorio, non solo di alcuni isolati ambientalisti.
Due sono i motivi principali di questa opposizione, oltre allo scontato amore per la montagna e i boschi. Il primo è che un aeroporto a Cortina c’era, c’è stato, aperto nel 1962 in località Fiames in seguito al boom turistico seguito alle altre Olimpiadi invernali, quelle del 1956, ma chiuso nel 1976 a causa di un incidente aereo in cui morirono sei persone, a cui ne è seguito un altro del 1967, associato all’aeroporto perché avvenuto nei pressi.
Vennero accertati gli errori umani, ma la situazione logistica dello scalo suggerì anche di lasciar perdere e puntare su altro. Cosa che però è avvenuta solo in parte. Ed ecco che oggi arrivare a Cortina d’Ampezzo è realmente “un calvario” come vorrebbe Santanchè, se sprovvisti di un’auto.
Questo il secondo motivo a giustificare lo scetticismo locale nei confronti della grande opera: la linea ferroviaria Calalzo- Cortina-Dobbiaco ha chiuso nel 1964, e incredibilmente non è mai stata davvero sostituita, obbligando chi scende a Calalzo a proseguire con autobus o mezzi propri. Eppure, la ferrovia non è stata prevista tra le infrastrutture strategiche in vista delle Olimpiadi, nonostante manchi e nonostante il Veneto non sia certo sprovvisto di spazi per il traffico aereo.
Ci sono già l’aeroporto di Venezia Marco Polo, di Treviso, di Verona e, in aggiunta, quello di Bergamo Orio al Serio che consentono di raggiungere l’area da tutta Italia e tutto il mondo, con un traffico di oltre 25 milioni di passeggeri e in costante crescita. Ma tutti questi aeroporti non sono collegati con la rete ferroviaria, che non arriva a Cortina.
Un insieme di elementi che spiega perché a sostenere l’aeroporto ampezzano, insieme a Santanchè, siano rimasti pochi portatori d’interesse, a partire Fabrizio Carbonera della società Cortina Airport, che da anni sostiene il progetto – puntava inizialmente al primo volo nel 2018 – e ribadisce di essere sicuro che l’aeroporto porterebbe “20 milioni l’anno”, vedendoci “un’occasione, come è avvenuto in Costa Smeralda” e definendo la polemica “faziosa e lesiva soprattutto nei confronti di Cortina”.
Ma il paragone con altri aeroporti nati per aprire le porte al turismo di massa nasce spontaneo e non tiene conto dell’attuale crisi climatica e delle diverse condizioni ambientali. E soprattutto Cortina sembra avere altre priorità, come chiarito dal sindaco: “Non si può mettere a ferro e fuoco Cortina, ok i cantieri ma poi il territorio deve restare attrattivo e vivibile per i residenti”. La politica nazionale pare dovrà farsene una ragione.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Dicembre 27th, 2022 Riccardo Fucile
ANDI NGANSO ERA STATO VITTIMA DEGLI INSULTI RAZZISTI DI UN PAZIENTE AL PRONTO SOCCORSO
Era stato vittima di una delle più becere violenze dialettiche dettate dal razzismo: insulti per via del colore della sua pelle da parte di un paziente che ha rifiutato di essere curato da lui in Pronto Soccorso.
Ora, dopo 16 lunghissimi anni di attesa (fatta di studi e lavoro), il dottore Andi Florin Nganso Fenjiep è finalmente diventato cittadino italiano.
La sua storia è salita all’attenzione dei media dopo aver denunciato quanto subìto nella giornata del 17 agosto scorso. Ora, però, il giuramento sulla Costituzione è un piccolo grande passo per lui. Per mettersi alle spalle quell’episodio deprecabile intriso di razzismo.
E la sua soddisfazione, condita di ringraziamenti, è racchiusa in un lungo post Facebook in cui racconta questo suo rapporto con l’Italia.
“Sono nato una seconda volta a Varese, la mia Città, dove ho percepito per la prima volta che da adulto stavo mettendo in pratica i principi di civiltà, solidarietà e famiglia insegnatimi dai miei genitori. Sono nato una seconda volta nelle aule della facoltà di medicina all’università dell’Insubria dove ho costruito buona parte dei rapporti di amicizia e di affetto grazie ai quali sono maturato come uomo e professionista.
Sono stati anni di costruzione e di rafforzamento di un identità complessa, mista, elaborata ed orgogliosa. Sono stati anni di lotta, accettazione e di acquisizione di consapevolezza. L’Italia è il nido dal quale ho deciso di permettere alla mia energia di fiorire sul mondo. Sono felice di poterlo fare con maggior serenità da oggi. Ho giurato sulla Costituzione italiana che il mio impegno per la giustizia sociale non finirà. L’istituto per la Cittadinanza rimane in Italia e in Occidente uno strumento di esclusione che racconta e rafforza le disparità tra i popoli. Dedico questa giornata al milione di Italian* senza cittadinanza”.
Quell’episodio di razzismo di cui è stato vittima lo scorso agosto all’interno delle stanze del Pronto Soccorso dell’Ospedale di Lignano Sabbiadoro (in provincia di Udine) rimarrà comunque indelebile nella sua mente. Ma oggi, il dottore Andi Nganso è finalmente cittadino italiano. Dopo 16 lunghi anni di attesa.
(da NextQuotidiano)
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Dicembre 27th, 2022 Riccardo Fucile
NEL 41% DEI CASI LA SELEZIONE SI È RIVELATA INFRUTTUOSA, IN PARTICOLARE IL “MISMATCH” TRA DOMANDA E OFFERTA RIGUARDA I SETTORI MANIFATTURIERI. I PIÙ RICERCATI SONO OPERATI E TECNICI SPECIALIZZATI
Nel 2022 il 60% delle imprese con dipendenti ha previsto assunzioni; ma, e il dato è in forte crescita, nel 41% dei casi la selezione si è rivelata più difficile del previsto, un valore in aumento di ben nove punti rispetto al 32% di difficoltà di reperimento registrato dalle imprese nel 2021. In quasi due casi su tre non si trovano profili disponibili, semplicemente perché non ce ne sono molti sul mercato; nel restante 33% è la preparazione richiesta a non essere adeguata.
Sono cinque i settori, praticamente tutti manifatturieri, che durante l’anno che si sta per chiudere hanno evidenziato i maggiori problemi di “mismatch”, vale a dire commercio e riparazione dei veicoli (55% di difficoltà di reperimento delle risorse), industrie metallurgiche e dei prodotti in metallo (53%), industrie del legno e del mobile, costruzioni, servizi informativi, tutti e tre con percentuali intorno al 52 per cento.
A essere i più ricercati, e al tempo stesso i più introvabili, sono gli operai e tecnici specializzati (55% di “mismatch”). Per costoro le aziende dichiarano di impiegare quasi cinque mesi prima di riuscire a trovare il candidato in possesso delle caratteristiche e delle competenze richieste (e qualche volta lo si “ruba” a un’altra azienda).
Le difficoltà di reperimento sono molto elevate anche tra i gruppi “di alto profilo”, e cioè specialisti e dirigenti per i quali il tempo medio di ricerca da parte dei datori è di poco inferiore ai quattro mesi. Si superano i sei mesi di ricerca per i tecnici alimentari ed edili, e, tra gli operai, per gli addetti alla produzione di mobili e idraulici.
La fotografia sull’intero 2022 scattata dal sistema informativo Excelsior, targato Unioncamere-Anpal, che è stata anticipata al nostro giornale, mostra con chiarezza gli effetti devastanti dello scollamento, peggiorato dai governi Conte che ha letteralmente smontato l’alternanza scuola-lavoro, tra formazione e mondo produttivo.
Un campanello d’allarme da non sottovalutare visto che il mercato del lavoro sta comunque resistendo alle difficoltà in atto: nel 2022 sono state programmate quasi 5,2 milioni di assunzioni, l’11% in più rispetto al 2021 (4,6 milioni di ingressi). La quota di assunzioni previste per i giovani è del 29%, in linea con il 28% del 2021. Ma anche qui il mismatch è elevatissimo, al 41%.
Tra le professioni “intermedie” la domanda rivolta agli under30 è superiore al 40%. E la quota di “introvabili” oscilla tra il 30 e il 50% (dai camerieri ai cuochi, dagli addetti al back-office ai commessi). Tra gli acconciatori, solo per fare un esempio, quasi due terzi degli ingressi sono particolarmente difficili, e le imprese necessitano di oltre quattro mesi per trovare la risorsa giusta.
«L’elevata difficoltà per le imprese di trovare le giuste professionalità da inserire in azienda, registrata nel 2022, è destinata a permanere se non si interverrà sul collegamento fra formazione e mondo imprenditoriale – ha sottolineato il presidente di Unioncamere, Andrea Prete -. Di qui al 2026 stimiamo mancheranno 50mila laureati. Serve una alleanza più forte fra imprese e mondo della formazione che aiuti i nostri giovani ad intraprendere i percorsi più fruttuosi per il loro futuro».
A livello territoriale, le maggiori difficoltà nel trovare i profili ricercati vengono segnalate dalle imprese del Nord Est, dove quasi il 46% delle figure risulta difficile da reperire. Una difficoltà superiore alla media nazionale si registra anche nel Nord Ovest (41,7%), come pure in Toscana, Umbria e Marche.
Nel Lazio e nelle regioni del Mezzogiorno le difficoltà di reperimento risultano più modeste, anche se interessano comunque più del 35% delle entrate programmate.
«Siamo di fronte a un vero e proprio allarme sociale, dove a rischio, complice la denatalità in atto, è la competitività del Paese – ha aggiunto Gianni Brugnoli, vice presidente di Confindustria per il Capitale umano -. Bisogna puntare su un vero orientamento per spingere l’occupazione giovanile. Su questi punti il ministro Valditara si sta muovendo nella giusta direzione.
Dobbiamo rilanciare una grande alleanza pubblico-privato. L’industria è pronta a dialogare con tutti, Stato, enti territoriali, scuole, per il bene dell’Italia». Del resto, far conoscere a famiglie e ragazzi le opportunità del mercato del lavoro (e del territorio) è fondamentale. Tra le lauree più ricercate nel 2022 ci sono quelle a indirizzo economico e di ingegneria. Tra i diplomi le richieste principali hanno riguardato soprattutto gli indirizzi della nostra istruzione tecnico-professionale, dall’amministrativo, al turistico, al meccanico. Tra le qualifiche sono molto ricercati gli indirizzi ristorazione, meccanico, edile.
(da il Sole 24 Ore)
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Dicembre 27th, 2022 Riccardo Fucile
APPENA “MAD VLAD” FA UN’APERTURA DI FACCIATA A UN NEGOZIATO PER TERMINARE IL MASSACRO IN UCRAINA, L’ALTRO, BRACCIO ARMATO DELLA PROPAGANDA, BLANDISCE I FALCHI INTERNI AL REGIME CON LE SUE SPARATE
È una vita che recitano da poliziotto buono e poliziotto cattivo, scambiandosi i ruoli. Fin dagli inizi degli anni Novanta, quando condividevano la stessa scrivania nell’anticamera dell’ufficio del sindaco e loro mentore Anatoly Sobchak a Palazzo Mariinskij, il municipio di San Pietroburgo
A quel tempo, il più anziano, tredici anni in più rispetto all’amico e collega, sembrava anche il più dimesso. Mentre il venticinquenne avvocato d’affari convertito sulla via della politica era considerato il delfino emergente, senz’altro il più ambizioso. Spesso le apparenze ingannano, figurarsi in Russia.
Non c’è da stupirsi se per una volta le parabole di Vladimir Putin e di Dmitrij Medvedev appaiono divergenti. Alla fine, si ritroveranno insieme, nello stesso posto e nello stesso punto. Il loro gioco delle parti è sempre stato così scoperto che negli ambienti intorno al Cremlino o di coloro che sostengono di esserlo, nessuno ci fa più caso.
Tanto più che proprio ieri il presidente ha nominato il suo vecchio amico alla vicepresidenza della Commissione militare, della quale lui è il capo, esattamente come aveva fatto facendolo diventare il numero due del Consiglio di sicurezza. Negli ultimi anni, Medvedev ha svolto di fatto la funzione del supplente.
Ma le loro recenti dichiarazioni natalizie appaiono davvero in contrasto. «Noi siamo pronti già da ora a eventuali negoziati di pace» ha detto Putin durante un’intervista andata in onda sul canale Rossiya-1, e non si tratta di una novità. Ma questa volta il presidente russo ha fatto un ulteriore passo, dicendo che il dialogo «è possibile con tutti i partecipanti a questo processo». Quindi non solo con gli Usa, ma anche con il governo di Kiev, che nei discorsi ufficiali dello Zar da settembre a oggi non era mai stato nominato, come se non esistesse.
Non passano nemmeno ventiquattr’ore e sul giornale governativo Rossiyskaya Gazeta appare un intervento di Dmitrij Medvedev. Il filo conduttore dell’articolo è palesemente ispirato dai discorsi antiglobalisti di Putin in cui si parla di un nuovo ordine mondiale che cambierà «la disposizione dei centri di forza globali e lo stile di vita quotidiano di miliardi di persone».*ino a qui tutto bene. Ma le opinioni divergono in modo netto per quanto concerne i negoziati con l’Ucraina. Secondo Medvedev, il Cremlino farà di tutto affinché tutti gli obiettivi dell’operazione speciale siano raggiunti. Il suo elenco, dalla difesa dei nuovi confini fissati a settembre tramite referendum, passando per la consueta «denazificazione di un regime obbrobrioso, quasi fascista, e della sua completa demilitarizzazione dello Stato ucraino» non lascia spazio ad alcuna speranza di fine delle ostilità.
«Oggi non esiste nessuno con cui parlare e accordarci in Occidente, non ne vale la pena». Quanto all’Ucraina: «Qualunque trattativa con l’attuale governo fantoccio si è rivelata fin dall’anno scorso assolutamente insensata».
Le opere e le omissioni future di Putin sembrano andare nella direzione auspicata da Medvedev. Il presidente russo non farà gli auguri a Joe Biden, mai era successo prima d’ora. E la prossima settimana avrà un colloquio con il leader cinese Xi Jinping.
Ma forse è al fronte interno che bisogna guardare per capire la dialettica tra i due massimi esponenti del cosiddetto clan di San Pietroburgo che all’inizio del nuovo secolo prese il potere in Russia. Proprio ieri, due ufficiali del Gruppo Wagner hanno pubblicato un video nel quale danno del «pederasta» al Capo di stato maggiore Valerij Gerasimov, accusandolo di negare armi e rifornimenti alle truppe che stanno combattendo sul fronte di Bakhmut.
Appare ben difficile che non ne sapesse nulla il loro capo. Evgenij Prigozhin, l’ex cuoco di Putin, fondatore della milizia paramilitare schierata sulla prima linea nel Donbass, è diventato insieme al presidente ceceno Ramzan Kadyrov il volto da copertina di quel movimento ultranazionalista che permea di sé l’intera propaganda televisiva, e che ha un peso enorme sugli umori della Russia profonda.
Al massimo, la faccia feroce di Medvedev può svolgere la funzione di specchio per le allodole, un contentino al partito della guerra perenne. Anche perché non c’è alcun dubbio su quali parole abbiano più peso. Nel 2008, durante la famosa staffetta, quando il «giovane» (tredici anni in meno) fu chiamato a fare il presidente, Putin disse che non avrebbe messo il suo ritratto in ufficio. «Tanto ci conosciamo bene». Medvedev invece ha sempre tenuto bene appesa al muro la foto in cornice del suo ex compagno di scrivania.
(da agenzie)
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