Dicembre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
NORDIO NON SA NEANCHE CHE LA LEGGE ORLANDO SI APPLICA AI PROCEDIMENTI ISCRITTI DOPO IL 31 AGOSTO 2020. LE INVESTIGAZIONI SU PALAMARA SONO DEL MAGGIO 2019, E LA GESTIONE DELLE INTERCETTAZIONI E’ STATA REGOLATA DALLA NORMATIVA PRECEDENTE
Qualche giorno fa il giornalista Antonio Talia ha inchiodato Alessandro Orsini alla sua ennesima gaffe, evidenziando come l’ospite preferito di Bianca Berlinguer avesse citato un inesistente giornalista del New York Times, tal William J. Ampio, in un video in cui discettava della guerra tra Russia e Ucraina. Il commentatore aveva infatti usato il traduttore automatico, che ha modificato il cognome originale del reporter (Broad) nell’italianissimo “Ampio”. «Se Orsini non ha gli strumenti cognitivi per capire l’errore nella traduzione automatica di un articolo» s’interrogava Talia «come potrà riuscire a decifrare e poi spiegare il contenuto dell’articolo stesso?».
Ora, identico dubbio si pone per il nuovo ministro della Giustizia Carlo Nordio, noto soprattutto per la ferrea volontà di mettere mano alla riforma delle intercettazioni. L’ex magistrato 75enne, voluto sulla poltrona di Via Arenula da Giorgia Meloni in persona, prima ha scritto il demenziale decreto legge sui rave. Poi due giorni fa, in una bizzarra audizione alla commissione al Senato, ha protestato di nuovo contro l’uso osceno che viene fatto delle captazioni in Italia.
Attaccando la normativa vigente e facendo, finalmente, un esempio concreto: «La porcheria è continuata anche dopo la legge Orlando. Basta vedere l’inchiesta sul sistema Palamara. Cosa è uscito su cose che non avevano a che fare sulle indagini e, aggiungo, cosa non è uscito. Sono state selezionate, pilotate, diffuse secondo gli interessi di chi le diffondeva».
Nordio, come un novello Orsini, non sembra conoscere bene la materia di cui discetta: come spiega il decreto legge del 30 aprile 2020 e il codice penale, l’entrata in vigore della legge Orlando si applica «ai procedimenti penali iscritti successivamente successive al 31 agosto 2020». Peccato che le investigazioni su Palamara siano del lontano maggio 2019, e che la gestione delle intercettazioni sia stata dunque regolata dalla normativa precedente. Ormai superata.
Se abusi ci sono stati, dunque, non riguardano mancanze o vulnus del decreto Orlando. Che sembra invece aver funzionato abbastanza bene: tutto è perfettibile, ma è un fatto che negli ultimi due anni le violazioni della privacy si sono fortunatamente ridotte ai minimi.
L’intemerata di Nordio ha ricevuto subito gli applausi di Palamara, of course, e di Forza Italia, da sempre fautore dell’impunità massima per corrotti e corruttori. L’anno prossimo il ministro dovrebbe proporre l’ennesima riforma-bavaglio. Si spera che prima di presentarla studi meglio le norme esistenti, evitando scivoloni che sembrano suggerire, piuttosto che un impeto riformista mosso da un sincero garantismo, un furore ideologico e pericoloso per la già disastrata giustizia italiana.
(da Domani)
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Dicembre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
LA BASE DI FDI HA PRESO MALE LA CANDIDATURA DI ROCCA: “GIORGIA HA DELIGITTIMATO LA NOSTRA CLASSE DIRIGENTE”… TUTTO PER FARE LA GUERRA A RAMPELLI
Francesco Rocca, il candidato del centrodestra per il Lazio, non convince nemmeno i partiti che lo sostengono e che lo vorrebbero fare votare ai cittadini. Poche ore dopo l’annuncio ufficiale del centrodestra sulla candidatura dell’ex presidente della Croce Rossa all’interno di Fratelli d’Italia la base e i colonnelli sono in subbuglio.
Nelle chat interne si sottolinea come il vicepresidente della Camera e giornalista del Secolo d’Italia, Fabio Rampelli, avesse un gradimento maggiore nei sondaggi e tra i militanti.
Ieri la moglie di Rampelli, pure lei giornalista del Secolo d’Italia Gloria Sabatini, sul suo profilo Facebook si è lasciata sfuggire un post, scomparso pochi minuti dopo: “La facevo più intelligente”, scrive Sabatini e il riferimento a Giorgia Meloni non è troppo difficile da intuire. Nel quartier generale di Fratelli d’Italia non si rilasciano commenti ma l’uscita è definita “incredibile e grave”.
Sicuramente a Via della Scrofa si respira l’insoddisfazione per le modalità con cui si è arrivati alla candidatura di Rocca. “Scegliere un tecnico con una rosa di politici così validi a disposizione rischia di essere un modo per delegittimare la propria classe dirigente”, sottolinea un dirigente meloniano di lungo corso che preferisce rimanere anonimo.
Fare fuori Rampelli significa rinnegare il mito di Colle Oppio, la sezione del Movimento sociale italiano di cui era segretario e dove la Meloni ha iniziato a fare politica.
Qualcuno legge nelle mosse della presidente del Consiglio una strategia per “rimettere a posto” Rampelli e smussarne il peso all’interno del partito. Il vicepresidente della Camera nel giro di qualche mese ha visto sfumare la propria candidatura a sindaco di Roma, un ministero e ora anche la corsa alla Regione Lazio.
Poche ore prima dell’ufficializzazione della candidatura di Rocca, Rampelli sulla sua pagina Facebook aveva scritto: “Io ho commesso l’errore di dare la disponibilità già settimane fa. Io ci sono e se ci fosse una chiamata sarei disponibile”.
Qual è “l’errore” a cui fa riferimento Rampelli? Giorgia Meloni, è vero, gode in questo momento di un gradimento altissimo ma quando i rapporti con gli alleati si faranno ancora più ostici non sarà difficile immaginare che l’opposizione interna in Fratelli d’Italia possa compattarsi e giocare a logorare la leader, com’è naturale in politica.
Regalare (o relegare, dipende dai punti di vista) agli oppositori interni una figura storica come quella di Rampelli potrebbe rivelarsi una pessima idea.
Il candidato Francesco Rocca intanto è ritornato sulla sua condanna per spaccio quando era diciannovenne: “Vivevo ad Ostia, che non è proprio un ambiente tranquillo, e sono finito in un giro di amicizie sbagliate. Ma ho pagato il conto con la giustizia”, spiega.
Rocca però sembra non capire il punto sostanziale: in Italia un cittadino non può accedere a un concorso pubblico per i suoi precedenti penali, non può diventare magistrato se non ha una condotta incensurabile (che è requisito diverso dall’assenza di precedenti penali in quanto non si riferisce solamente alle condanne ma a qualsiasi tipo di condotta disdicevole).
Ed è proprio la parte per cui si candida, il centrodestra, che vorrebbe escludere (anche se poi alla prova dei fatti non lo fa mai) i pregiudicati da ogni cosa, perfino dal Reddito di cittadinanza.
Intorno a lui la paura di un nuovo caso Michetti (un tecnico misconosciuto che ha innervosito la base politica ed è rimasto con un pugno di mosche) è palpabile. Parleranno le urne.
(da La Notizia)
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Dicembre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
MISSILI ALLA RUSSIA ANCHE DALLA COREA DEL NORD
Il gruppo Wagner, la compagnia di soldati mercenari legata al Cremlino, ha fatto da tramite per acquistare una partita di armi da impiegarsi sul fronte ucraino proveniente dalla Corea del Nord.
Lo rivelano fonti dell’amministrazione Usa a Reuters, in quello che viene valutato come un significativo segnale dell’espansione del ruolo del gruppo nelle dinamiche del conflitto. «Possiamo confermare che la Corea del Nord ha completato una prima consegna di armi a Wagner, che ha pagato per l’equipaggiamento», riferisce la fonte anonima, precisando che esso consisteva in razzi per la fanteria e missili.
Nell’analisi americana, questa spedizione potrebbe essere solo la prima di altre secondo questo schema logistico-commerciale: provenienza dalla Corea del Nord, destinazione fronte ucraino, tramite operativo il gruppo Wagner.
L’amministrazione Biden ritiene tali rifornimenti una violazione delle risoluzioni Onu e sarebbe intenzionata a portare il tema all’attenzione del Consiglio di sicurezza. La Corea del Nord si è dimostrata in grado di costruire missili balistici capaci di colpire a migliaia di chilometri di distanza, oltre che armi a corto raggio.
Secondo le stime Usa, il gruppo Wagner avrebbe al momento 50 mila uomini dispiegati in Ucraina, di cui 10 mila mercenari e 40 mila detenuti appositamente liberati dalle carceri russe. Insieme all’espansione del raggio d’azione militare del gruppo, crescerebbe anche il peso e l’influenza politica del fondatore e finanziatore di Wagner, l’uomo d’affari Evgeny Prigozhin, considerato vicino al presidente Vladimir Putin.
(da agenzie)
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Dicembre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
IN CROCE ROSSA ROCCA HA ACCOLTO L’EX TERRORISTA DEI NAR, PAOLO PIZZONIA, E HA SCELTO COME SUO PORTAVOCE MARCELLO DE ANGELIS, EX ESPONENTE DI TERZA POSIZIONE
«Repubblica ossessiona Rocca, comincia il solito linciaggio » . Con queste parole ieri Francesco Storace ha difeso su 7 Colli online, «nuova avventura editoriale dedicata alla città capitale», il candidato del centrodestra alla presidenza della Regione Lazio. Tra l’ex governatore e Francesco Rocca c’è stima e amicizia.
La carriera dell’ex presidente della Croce Rossa come manager della sanità è iniziata proprio durante la legislatura di Storace, quando gli venne affidata la direzione dell’ospedale Sant’ Andrea.
E sempre l’ex esponente di Alleanza Nazionale ha rivendicato: «Ancora oggi sono orgoglioso di quella nomina. Si tratta di un tecnico di straordinario valore». Tra i due però i rapporti, oltre che politici, sembrano essere stati anche d’affari.
Il 15 novembre 2018 a Roma è stata costituita la società «Blog dell’Alba », con un capitale di appena 100 euro e la mission di occuparsi di pubblicità, « sia per conto proprio che per conto di terzi, in Italia come all’estero».
Una società di proprietà proprio di Storace, che l’anno dopo ha però ceduto le quote all’amico Rocca. Quest’ ultimo si è trovato così titolare di un’azienda di comunicazione, marketing e pubblicità mentre era alla presidenza sia della Cri italiana che internazionale, e lo è ancora da candidato alla guida del Lazio.
Un affare che, sempre a destra, non è l’unico che riguarda l’aspirante governatore. Nel ricco curriculum di Francesco Rocca, tra attività benefiche, incarichi prestigiosi nella sanità e il lavoro da avvocato antimafia, oltre a non comparire gli interessi nella società fondata dall’ex leader della destra, non c’è infatti traccia neppure della poltrona da presidente del Consiglio di Amministrazione della Fondazione San Raffaele, costituita dalla famiglia Angelucci e impegnata nella gestione del centro riabilitativo di Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi, che conta 174 dipendenti.
Il civico scelto da Giorgia Meloni per strappare il Lazio al centrosinistra ha ottenuto quel ruolo lo scorso anno, mentre era saldamente alla guida della Croce rossa italiana e internazionale, e lo ha mantenuto fino al 14 novembre scorso, cinque giorni prima dell’ufficializzazione della candidatura.
Con gli Angelucci, tra l’altro, Rocca si è trovato insieme anche in Confapi sanità, la confederazione che rappresenta le aziende del settore sanitario, di cui sempre lo scorso anno l’allora numero uno della Cri è stato eletto presidente e nel cui consiglio c’era pure Giampaolo Angelucci, figlio del deputato leghista Antonio.
Dalla destra , l’aspirante presidente della Regione Lazio, quando Gianni Alemanno era sindaco di Roma, ha ottenuto anche il ruolo di capo dipartimento politiche sociali del Campidoglio.
Senza contare che, andando ancor più a destra, in quella extraparlamentare, in Croce Rossa sempre Rocca ha accolto l’ex terrorista dei Nar, Paolo Pizzonia, e ha scelto come suo portavoce Marcello De Angelis, ex esponente di Terza Posizione, che due mesi fa ha scritto sul suo profilo Facebook: «Chi è morto per l’Italia, ovunque e in ogni epoca, viene ammazzato quotidianamente e il suo cadavere gettato in pasto ai cani ogni giorno che uno dei nostri bambini va a scuola e apre un libro di testo imposto dalle lobby ».
Con buona pace, sostengono i detrattori dell’ormai ex presidente della Cri, di quei principi di imparzialità, neutralità e indipendenza su cui si fonda la Croce Rossa.
Rocca non dà peso alle contestazioni e nega anche che vi sia una fronda nel centrodestra: « Nessun malumore nel partito e nella coalizione per la mia candidatura, sento un sostegno solido da parte di tutti » . « Io sono un candidato della cosiddetta società civile», giura.
(da La Repubblica
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Dicembre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
MA A QUALE PREZZO? L’IMMAGINE DELL’ESECUTIVO PER LA PRIMA VOLTA RISULTA INDEBOLITA
Il modo confuso e compresso nei tempi attraverso cui si arriva ad approvare la legge di bilancio non è una novità. Quasi ogni anno, con rare eccezioni, si ripete la scena a cui assistiamo in queste ore. L’immagine del governo risulta intaccata – è un eufemismo – e il Parlamento viene offeso. Quella delle due Camere che affronta per prima l’esame del testo dispone di un paio di giorni, in genere anche meno, a ridosso di Natale; l’altra, a un centimetro da Capodanno, ha un ruolo meramente ancillare, dal momento che una correzione, anche minima, comporta un ritorno alla prima assemblea.
E l’esercizio provvisorio è dietro l’angolo. Cosa cambia allora quest’ anno, e in peggio? Il fatto che era lecito attendersi un cambio di passo dal governo di destra-centro, titolare di una maggioranza solida e appena conquistata nelle urne dopo un lungo periodo di esecutivi deboli o comunque definiti “tecnici”. Il governo Meloni aveva l’occasione di far vedere che l’aria era cambiata, in sintonia con la retorica di cui la destra ha sovente abusato. E ovviamente la legge di bilancio, la vecchia finanziaria, era perfetta per dimostrare quali fossero le carte che il nuovo equilibrio politico metteva sul tavolo.
S’intende che le scelte dell’alleanza FdI-Lega-FI sarebbero state diverse da quelle di un esecutivo di centro-sinistra: ma qui si sarebbe entrati sul terreno della polemica politica. Peraltro, prima di questo legittimo e scontato esito, la destra aveva l’opportunità di imporre un metodo nuovo grazie alla sua forza parlamentare.
Dunque più di uno, anche dai banchi dell’opposizione, si attendeva scelte chiare, a dimostrazione della coesione interna della coalizione, e massimo rispetto verso un Parlamento che non aveva bisogno di essere esautorato una volta ancora. In breve, questo scenario avrebbe rinforzato il profilo del destra-centro e certo non poteva essere gradito dalle parti delle sinistre.
Vediamo invece in queste ore come l’occasione è stata sprecata. Ed è singolare, se si pensa che la legge era stata nel complesso approvata dall’Unione. Con alcuni rilievi, vero, e qualche bocciatura su questioni di bandiera (ad esempio il famoso uso del contante). Ma nel complesso l’Europa non aveva messo in difficoltà Roma più di tanto.
È passata la linea secondo cui il governo di destra ha diritto ad avere la sua chance , mentre l’isolamento provocherebbe conseguenze rischiose e forse innescherebbe l’effetto contagio temuto da qualche cancelleria. In altre parole, la cornice non era ideale, data la scarsezza delle risorse economiche, ma nemmeno negativa. E una maggioranza solidale aveva gli strumenti per superare l’ostacolo del bilancio. Viceversa il destra-centro ha cominciato a regolare i suoi conti.
Due partiti in crisi di voti e di idee, Forza Italia e Lega, hanno tentato di imporre una serie di emendamenti – tra cui lo scudo penale per gli evasori – che Giorgia Meloni ha accolto nella speranza che poi si rivelassero impraticabili nella realtà. Così pare sia avvenuto, ma a quale prezzo? Sono ormai visibili le crepe e le incomprensioni che corrodono il destra-centro.
E l’immagine dell’esecutivo per la prima volta risulta indebolita. Come è logico, né Berlusconi né Salvini hanno la forza e nemmeno l’intenzione di mettere in crisi la compagine. Non saprebbero dove andare. Ma intanto inaugurano la solita tattica del logoramento. Troppo deboli per imboccare un’altra strada, ancora abbastanza solidi per rifiutare di allinearsi senza un fiato alla leadership meloniana.
La legge di bilancio poteva costituire una discriminante positiva per la maggioranza, invece si rivela uno spartiacque negativo. A gennaio la presidente del Consiglio dovrà dare slancio al suo governo, se non vorrà farsi davvero logorare. Con l’economia ancora incerta, i temi da cui ripartire saranno soprattutto due: la riforma fiscale e quella della giustizia.
(da La Repubblica)
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Dicembre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
LA NOVITÀ È QUESTA: AFFINCHÉ UN DATORE DI LAVORO OTTENGA IL VIA LIBERA PER ASSUMERE MANODOPERA STRANIERA DOVRÀ PRIMA BUSSARE ALLA PORTA DI CHI PERCEPISCE IL REDDITO DI CITTADINANZA
Ottantaduemila ingressi in Italia di stranieri per lavoro. È quanto prevede il nuovo decreto Flussi. I numeri si attestano a quelli dell’anno scorso, ma la novità che contiene è esplosiva: come annunciato dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, perché un datore di lavoro ottenga il via libera alla manodopera straniera, in genere un lavoratore stagionale, prima ci dovrà essere una verifica su chi vive con il reddito di cittadinanza.
«Si prevede – scrive Palazzo Chigi – che il datore di lavoro che voglia assumere dall’estero un cittadino non comunitario, debba verificare presso il centro per l’impiego competente l’indisponibilità di un lavoratore presente sul territorio nazionale a ricoprire il posto di lavoro per il profilo richiesto». E qui arriva la bomba.
I centri per l’impiego verranno coinvolti massicciamente perché senza il loro lasciapassare (l’Anpal sta già lavorando alla modulistica) non arriverà lo stagionale dall’estero.
A loro volta, i Centri per l’impiego busseranno alla porta di tutti i percettori di reddito e non più solo, come era finora, a quelli che vivono entro 80 km di distanza. Con la legge di Bilancio in discussione in queste ore, infatti, il paletto geografico è saltato. E quindi le richieste potrebbero arrivare da qualunque provincia e per qualunque lavoro. E se il percettore di reddito rifiuterà l’offerta, decadrà il reddito stesso.
«Noi abbiamo scelto di rivedere il Reddito di cittadinanza – spiega il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida – perché pensiamo vadano aiutati i deboli e che la solidarietà sia un elemento fondamentale. Ma in Italia esisteva, ed esiste ancora, una parte di persone che pretende di avere un privilegio. Ma se puoi lavorare e ci sono offerte, allora devi andare a lavorare»
Si capisce meglio, adesso, il meccanismo a cui pensava questo governo quando ci si riferiva agli «occupabili». Subordinando gli ingressi dall’estero alla risposta di un percettore di reddito, ovunque in Italia, si accelera all’inverosimile la verifica su chi dice sì e chi no.
Insiste Lollobrigida: «È una cosa strana: esistono lavori che vanno bene per gli immigrati, ma non vanno bene per gli italiani? Noi importiamo schiavi quando apriamo flussi dall’estero? Credo che quei lavori che vengono offerti a cittadini che vengono dal resto del mondo siano dignitosi». Infine, come richiesto da Piantedosi e sostenuto dal sottosegretario Alfredo Mantovano, «alcune quote sono state riservate ai lavoratori di Paesi con i quali entreranno in vigore accordi di cooperazione in materia migratoria». Una quota è confermata anche ai lavoratori stranieri che abbiano completato programmi di formazione nei Paesi di origine e che negli anni scorsi erano stati dimenticati.
(da agenzie)
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Dicembre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
IL GOVERNO HA INANELLATO PASTICCI, ASSALTI E RITARDI, RISCHIANDO LO STALLO TOTALE SULLA LEGGE DI BILANCIO E PALAZZO CHIGI NON HA POSTO ALCUN FILTRO ALLE PIÙ IMPROBABILI PROPOSTE
Questa è la storia di un fallimento sfiorato. Quattro settimane di improvvisazione ed errori sufficienti ad allarmare le massime strutture tecniche del Paese, alle prese con una macchina politica inceppata e con lo spettro dell’esercizio provvisorio. Giorni di preoccupazione per la burocrazia del Tesoro, gli esperti della Ragioneria, gli uffici delle Camere e i vertici istituzionali. Senza dimenticare Bankitalia, sfregiata dall’accusa di partigianeria. È la storia della manovra al tempo della nuova destra di governo.
Ministero dell’Economia, pochi giorni fa. Nel cuore dell’ufficio legislativo una casella mail trilla senza sosta. Fino a mille messaggi in un giorno. Succede così, quando arriva il momento della verità sulla manovra. Almeno dieci esperti filtrano, scartano, dimenticano il sonno. Devono produrre pareri senza i quali la commissione Bilancio è bloccata, la finanziaria paralizzata. Qualcosa si inceppa, la maggioranza va nel panico.
I vertici del Mef sono tutti nuovi: nuovo ovviamente il ministro, nuovo il capo ufficio coordinamento del legislativo Economia Daria Perrotta, il capo di gabinetto del ministero Stefano Varone, il capo dell’ufficio legislativo Finanze Umberto Maiello. Tutte figure autorevoli e di esperienza, ma comunque alle prese con una macchina infernale, senza un minuto per poterla rodare.
Non a caso Mario Draghi, durante il passaggio di consegne e su input di Daniele Franco, aveva consegnato a Giorgia Meloni un ragionamento che suonava così: «Avrai poco tempo per la manovra. Il mio consiglio è di toccare poco all’Economia, posticipando le scelte all’inizio del 2023».
Va assai diversamente. E la miscela diventa esplosiva. E non solo per il Tesoro, o per la scelta di Giancarlo Giorgetti di costruire un asse con Meloni, centralizzando al massimo le decisioni. Manca del tutto un filtro politico.
Palazzo Chigi latita, tirandosi fuori dalla mediazione. E sono i dettagli a mostrare dove tutto si incaglia. I relatori di maggioranza, che sono tre, litigano a giorni alterni, fino al pasticcio del condono fiscale. Manca esperienza anche in commissione Bilancio, con diversi membri al primo incarico. Il presidente, l’azzurro Giuseppe Mangialavori, confonde il regolamento sostenendo di voler dare la parola solo ai firmatari degli emendamenti, subito corretto dai funzionari.
E il viceministro Maurizio Leo, uomo di fiducia della premier, non mette quasi piede in Bilancio. Soffrono tutti, soffre anche la Ragioneria: senza i pareri dell’Economia sulle proposte emendative, rallenta anche chi fa di conto sulle finanze dello Stato.
Due fotogrammi diventano simbolo di una disfatta. La prima ritrae alcuni capi di gabinetto costretti a girare per i corridoi piegati dal peso di quattro o cinque faldoni: emendamenti dei relatori, tre mega cartelle con le proposte emendative del governo, emendamenti dei gruppi.
L’altro fermo immagine è della commissione Bilancio, tre sere fa: per ore i deputati discutono del più e del meno, ingannano il tempo mentre in una saletta accanto il capo del legislativo del Mef, Daria Perrotta, attraversa la notte assieme al sottosegretario Federico Freni e al ministro ai Rapporti col Parlamento Luca Ciriani cercando di sedare le forze politiche. Ha il compito impossibile di accontentare i gruppi, perché Giorgetti ha destinato a interventi governativi una porzione delle risorse riservate ai parlamentari.
Anche i funzionari di Montecitorio vengono lasciati al buio. La pressione sui tecnici della commissione – guidati da Renato Somma, un funzionario stimato dall’intero arco parlamentare – è fortissima. La richiesta politica di dare ammissibilità a ciò che fatica ad essere vidimato crea frizioni.
Domina la pulsione anti-tecnica della destra al potere. Non soltanto per gli affondi contro Bankitalia, rea di aver indicato nella norma sul Pos uno dei punti deboli della manovra (infatti puntualmente ritirata). Ma anche per la battaglia sul Pnrr, con l’idea di ritoccare la struttura tecnica guidata da Carmine Di Nuzzo al Mef.
Incide la guerriglia ingaggiata da Fratelli d’Italia contro il direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera: Meloni vuole sostituirlo, Giorgetti finora ha resistito, ma si avvicina il momento della verità. L’alto dirigente ha continuato a fornire il massimo supporto per questa finanziaria. Ma, raccontano, con il garbo di chi non vuole dare l’impressione di accentrare troppo scelte che Palazzo Chigi preferirebbe sottrargli.
(da La Repubblica)
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Dicembre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
IL TAR DEL LAZIO RESPINGE LA RICHIESTA DI SOSPENSIVA: “DALL’IMPIANTO NESSUN PERICOLO”
Per i giudici amministrativi «non ci sono i presupposti per la concessione della sospensione» e «i paventati rischi per la pubblica incolumità correlati al rigassificatore risultano, allo stato, privi di attualità»
Il Tar del Lazio ha deciso di non procedere alla sospensione cautelare dell’ordinanza commissariale che ha portato al rilascio dell’autorizzazione per la realizzazione di un rigassificatore nel Porto di Piombino tramite l’ormeggio della nave Golar Tundra, un mezzo navale di tipo Floating Storage and Regasification Unit (FSRU).
Il ricorso era stato presentato dal sindaco di Piombino ed esponente di Fratelli d’Italia, Francesco Ferrari e appoggiato dal leader di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni.
Entrambi i politici non volevano la nave nel porto di Piombino; ma senza di essa, come scrive Corriere della Sera, se il rigassificatore non fosse entrato in funzione nel giro di pochi mesi, l’Italia nell’estate del 2023 non sarebbe stata in grado di garantirsi la propria autonomia energetica l’inverno prossimo. Tuttavia, per i giudici «non ci sono i presupposti per la concessione della sospensione» e «i paventati rischi per la pubblica incolumità correlati al rigassificatore risultano, allo stato, privi di attualità».
Il ricorso del Comune di Piombino
Nel ricorso presentato al Tar del Lazio il Comune di Piombino, che ha chiesto la sospensione dell’autorizzazione, sosteneva «l’inidoneità» della Golar Tundra «dal punto di vista strutturale, ad operare in sicurezza nel porto», nonché la necessità di «un dragaggio del fondale dello specchio d’acqua antistante per centinaia di migliaia di metri cubi che rende impossibile la messa in funzione del rigassificatore nel marzo 2023».
I tecnici comunali avevano, inoltre, sollevato delle perplessità sul fatto che la nave non fosse «in grado di rispettare la principale condizione che è stata posta dalla capitaneria, e cioè di disancorare in caso di necessità, allontanandosi dall’area del porto». Questo a causa – si legge nella nota del Comune – dell’impostazione strutturale della nave stessa: essendo dotata di serbatoi per il gas naturale liquido «a membrana», la nave non sarebbe in grado di navigare quanto le cisterne si trovano in condizione di parziale rimepimento. Tuttavia, l’esito finale da parte del Tribunale amministrativo è stato il rigetto dell’istanza cautelare proposta dal Comune di Piombino, con fissazione per la trattazione nel merito del ricorso dell’udienza pubblica prevista per l’8 marzo 2023.
Le motivazioni del Tar
Il Tribunale amministrativo del Lazio ha ritenuto, nella sessione di oggi – giovedì 22 dicembre – «non sussistere i presupposti per la concessione dell’invocata misura atteso che le modalità procedimentali di autorizzazione dell’iniziativa in questione sono disciplinate da una normativa, che si caratterizza per il chiaro contenuto eminentemente emergenziale e per concernere interventi che, già nella declaratoria di legge, appaiono connotati da uno spiccato grado di specificità». In più, nel valutare i faldoni sulla questione i giudici hanno osservato che «all’esito della prima disamina della documentazione offerta, l’iter che ha condotto all’adozione del provvedimento gravato non ha dato evidenza di palesi anomalie nello sviluppo del procedimento né di incontrovertibili carenze istruttorie idonee a supportare, prima di addivenire alla completa delibazione del merito, la sospensione dei provvedimenti impugnati». Mentre per quanto riguarda la salute, secondo il Tar del Lazio, «i paventati rischi per la pubblica incolumità correlati al rigassificatore risultano, allo stato, privi di attualità». Per i giudici, inoltre, «non sono emerse sopravvenienze o criticità di rilievo in merito alla conduzione delle attività che dovranno continuare a svolgersi nel rispetto delle articolate prescrizioni e raccomandazioni».
(da La Repubblica)
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Dicembre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
CON SGUARDO VITREO E VOCE ROBOTICA IN UN VIDEO SU YOUTUBE, ATTACCA E MINACCIA IL CRITICO DEL CORSERA CHE AVEVA INVITATO LA RAI A RIFLETTERE SULLA PRESENZA CONTINUATIVA DEL PROF NEI PROGRAMMI DEL SERVIZIO PUBBLICO: “SONO UN ESPERTO IN RIVOLUZIONI E IN REPRESSIONI. E SO ESATTAMENTE QUALI”
Invece di sotterrarsi dalla vergogna dopo la figuraccia dalla Berlinguer a Cartabianca, su Rai tre, su William J. Broad tradotto con Google translate William J. Ampio, il sedicente “esperto” Alessandro Orsini fa un video sul suo canale Youtube di svariati minuti in cui attacca e minaccia Aldo Grasso che, sulle pagine de Il Corriere della Sera, aveva osato invitare il servizio pubblico televisivo a riflettere sulla presenza continuativa di Orsini nei salotti della Rai.
“Io sono un esperto in strategie di sovversione dell’ordine costituito. Io sono un esperto in movimenti ribellistici. Io sono un esperto in movimenti a carattere insurrezionale”, tuona il professore. “Sono un esperto di movimenti rivoluzionari e sono anche un esperto di strategie della repressione. Sono un esperto in rivoluzioni e un esperto in repressioni. E so esattamente quali tasti premere. E so quali sono le reazioni ai tasti che premo”, prosegue con tono ed espressione inquietanti.
Quindi si fa minaccioso quando si rivolge direttamente al critico del Corriere: “Aldo Grasso, io ti faccio dire quello che io voglio dire. Aldo Grasso, io vi uso come cose: vi faccio andare nelle direzioni che reputo opportune, vi faccio parlare al posto mio e utilizzo la vostra forza contro voi stessi. Divertente, vero? Per me moltissimo. Mi aspetto altri articoli, Aldo Grasso, e ricorda: io rido perché tu stai combattendo nel mio campo. Capito? Ti ho portato nel mio campo, tu combatti nel mio campo”. Qualcuno lo fermi.
(da Libero)
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