Dicembre 30th, 2022 Riccardo Fucile
OLTRE 30 PERSONE AL SEGUITO, SPESE SUPERIORI RISPETTO AI SUOI PREDECESSORI
Tre visite istituzionali fuori dall’Italia, una delegazione monstre di oltre 100 persone, e una spesa per viaggi e pernottamenti superiore ai 155mila euro. Questo è il quadro, decisamente poco sobrio, che emerge andando a curiosare tra le prime missioni istituzionali della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.
Per carità: più che legittimo che una premier, specie se appena arrivata, partecipi alle visite con tutti i crismi del caso. Ma è un fatto che spese di questo tipo, andando a vedere i predecessori della stessa Meloni (da Mario Draghi a Giuseppe Conte), non si trovano.
Il dato, andando nello specifico, emerge in riferimento al mese di novembre, di fatto il primo mese in cui l’azione del governo targato Fratelli d’Italia è entrata nel vivo.
Ebbene, la Meloni ha compiuto in totale quattro missioni istituzionali, una in Italia e tre all’estero. Partiamo dalla prima per la quale, secondo i dati riportati da Palazzo Chigi, le presidente del Consiglio ha voluto con sé una delegazione di 22 persone.
In totale sono stati spesi 1.496 euro per i viaggi e 953 euro per pernottamento e pasti. Poca roba, dunque.
I conti sono notevolmente diversi per le tre missioni all’estero. Secondo la tabella governativa, infatti, risulta innanzitutto che i componenti della delegazione interna alla presidenza del Consiglio siano stati, nel totale delle tre visite, ben cento, cui si sono aggiunte altre 12 persone esterne a Palazzo Chigi.
Un bel seguito, non c’è che dire. Che forse giustifica l’esborso, decisamente più alto rispetto alla missione istituzionale compiuta in Italia: i costi sostenuti per i trasferimenti sono stati pari a 78.674,22; quelli per pernottamento e pasti 77.548,13. Totale: 156.222,35 euro.
In media, dunque, 50mila euro per ogni missione compiuta. Se si dovesse andare di questo passo, le spese potrebbero diventare preoccupanti. Ma di quali viaggi stiamo parlando? Il documento con gli esborsi purtroppo non li riporta.
Ma consultando l’agenda di Palazzo Chigi è facile ritrovare il bandolo della matassa: giovedì 3 novembre incontro con i vertici delle istituzioni europee a Bruxelles; lunedì 7 novembre vertice dei capi di Stato e di Governo alla COP27 a Sharm El-Sheikh; martedì 15 e mercoledì 16 novembre vertice del G20 a Bali.
Tutte riunioni importantissime, ci mancherebbe. Ma 156mila euro per quattro giorni effettivi di trasferta resta una cifra discreta.
In attesa di conoscere le spese anche per le missioni effettuate nel mese di dicembre, si aspetta la pubblicazione di un altro tassello fondamentale per conoscere come il nuovo governo si sta muovendo: nomi, cv e compensi dei vari staff ministeriali.
A distanza ormai di tre mesi, infatti, Palazzo Chigi (ma anche molti ministeri, dalla Salute all’Interno passando per gli Esteri e l’Istruzione) non ha ancora pubblicato sul sito i nomi di consulenti e collaboratori. Inezia? Non proprio.
Le norme parlano chiaro. La fatidica sezione “amministrazione trasparente”, imposta dalla legge a tutte le pubbliche amministrazioni, sul sito manca dei dovuti aggiornamenti. Parliamo, in altre parole, di tutto l’armamentario la cui indicazione on line è stata regolata nel dettaglio dal decreto legislativo numero 33 del 2013.
E cosa dice questo decreto? Semplice. “Le pubbliche amministrazioni pubblicano” nomi, cognomi, curricula e compensi di chiunque abbia “incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo […] entro tre mesi dalla elezione, dalla nomina o dal conferimento dell’incarico”. Si resta in attesa di novità.
(da La Notizia)
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Dicembre 30th, 2022 Riccardo Fucile
FIDUCIA NELLA MELONI? IL 55,1% DEGLI ITALIANI NON NE HA, IL 44,1% DICE SI’
Secondo quanto emerge dal sondaggio settimanale di Termometro Politico, realizzato tra il 27 e il 29 dicembre, la fiducia nella presidente del Consiglio Giorgia Meloni resta stabile e non subisce sostanziali variazioni. Sono il 44,1% infatti gli elettori che si ritengono soddisfatti dell’operato della premier e che dichiarano di avere fiducia in lei.
Solo il 38,2% dice di non avere alcuna fiducia in lei. Mentre il 16,9% dice di averne poca.
Per quanto riguarda invece i principali partiti, Fratelli d’Italia chiude il 2022 al primo posto con il 28,7% dei consensi. Cresce di un decimo al 17,7% il M5S mentre il Pd è ancora in calo al 16,3%.
La Lega di Matteo Salvini, al 8,4%, è insidiata da Azione/Italia Viva (8,3%). Più giù troviamo Forza Italia al 6,8%, Sinistra/Verdi al 3,3%, +Europa e Italexit (ciascuna al 2,4%), Unione Popolare all’1,7% e Italia Sovrana all’1,5%.
Che evoluzione avrà la guerra in Ucraina nel 2023?
Rispetto all’evoluzione della guerra in Ucraina, gran parte degli intervistati (il 44%) pensa che il conflitto finirà con un compromesso, per cui l’Ucraina cederà parte dei territori occupati dalla Russia. Meno quotate le altre ipotesi: il 16% ritiene che il conflitto continuerà con una lenta riconquista ucraina dei territori occupati dai russi; per il 10,5% ci sarà un’escalation con il coinvolgimento diretto anche di altri Paesi; per il 9,4% la guerra continuerà e la Russia conquisterà nuovi territori; infine solo l’8,7% pensa che terminerà con un ritiro della Russia perlomeno dai territori occupati nel 2022.
Cosa pensano gli italiani della situazione Covid in Cina
Il sondaggio affronta anche il cambiamento di atteggiamento della Cina di fronte al Covid. La maggioranza degli intervistati approva il cambio di rotta, ma sono diverse le interpretazioni sull’impatto che questa scelta avrà in Occidente: il 40,4% afferma di non essere particolarmente preoccupato per nuove varianti provenienti dalla Cina, il 24,3% teme varianti più patogene mentre il 25,2% ritiene che ora anche da noi aumenteranno i casi e le nuove varianti.
4 italiani su 10 dicono di sentirsi meno fiduciosi di prima verso il 2023
Quasi quattro italiani su dieci affermano di sentirsi meno fiduciosi di prima verso il 2023: il 29,9% dice di sentirsi più fiducioso, il 19,4% poco fiducioso come un anno fa, il 9,9% piuttosto fiducioso come un anno fa, mentre il 39,6% si dichiara meno fiducioso rispetto all’anno scorso. Un certo pessimismo emerge anche dalla percezione degli italiani sull’andamento economico del Paese. Il 39,4% ritiene che nel 2023 l’economia italiana andrà peggio delle previsioni, il 34,9% che andrà all’incirca come dicono le previsioni; solo il 23,1% crede che andrà meglio rispetto alle previsioni, mentre il 2,6% non sa o preferisce non rispondere.
(da Fanpage)
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Dicembre 30th, 2022 Riccardo Fucile
LO USERANNO PER “ORGANIZZARE MANIFESTAZIONI POLITICHE”
Ora il simbolo è depositato presso l’Ufficio marchi e brevetti europeo.
La corrente nordista della Lega, Comitato Nord, fondata ad ottobre da Umberto Bossi e recentemente costituitasi in associazione, ha “blindato” il proprio marchio il 23 dicembre.
Spiega tutti i particolari l’Adnkronos che riassume anche come il logo, si legge nella domanda all’Ufficio brevetti, consista «in due campi sovrapposti, rispettivamente verde e blu, su cui sono apposte le due parole ‘Comitato’ e ‘Nord’ rispettivamente».
I due campi formano una freccia, come già si vedeva nella pagina Facebook del movimento coordinato da Angelo Ciocca, eurodeputato del partito e da Paolo Grimoldi, ex segretario della Lega Lombarda.
I “vecchi” leghisti annunciano di voler utilizzare il simbolo per l’«organizzazione di manifestazioni politiche, consulenza politica, servizi nell’ambito della politica, servizi d’informazione politica, servizi di comunicazione politica, servizi personali e sociali resi a terzi da un partito politico, organizzazione di riunioni politiche», ovvero tutte le attività di un partito politico, non escludendo poi l’inserimento del simbolo ‘nordista’ in gadget di vario tipo, come «portachiavi, fermasoldi, fermacravatta, gagliardetti e spille metallici, bandiere, striscioni in tessuto, gagliardetti in stoffa, foulard e fazzolettini in tela, ombrelli, borse, sacche e zaini».
E spendibile pure in «giornali, volantini e poster». Ma anche per «ricerche di mercato, reclutamento di lavoratori e volontari in ambito politico e sondaggi di opinione in ambito politico».
(da agenzie)
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Dicembre 30th, 2022 Riccardo Fucile
TRA PRESSAPOCHISMO E TRUCCHI RETORICI, LA MELONI NON DICE CHE ALLA FINE CI SARANNO MENO TUTELE PER TUTTI
Tra i vari temi affrontati nella conferenza stampa di fine anno, Giorgia Meloni ha illustrato anche una delle novità della manovra, l’estensione della cosiddetta flat tax: che cosa risponde, le è stato chiesto, a chi sostiene che con questa misura i lavoratori autonomi pagheranno meno tasse rispetto ai dipendenti?
La Presidente del Consiglio esordisce con una dichiarazione netta: “È una falsità”, risponde, “che approfondendo un pochino non sarebbe difficile, e non è difficile, smontare”. Peccato che, se non del tutto false, le sue dichiarazioni successive sono senz’altro smontabili. Proviamo a vedere perché.
La flat tax per gli autonomi è una delle novità della manovra appena approvata. Già il riferimento alla tassa piatta, però, è una scelta propagandistica. Il richiamo è infatti a una promessa del programma della destra, ma la flat tax della manovra è soltanto l’estensione di un regime fiscale già esistente, cioè il regime forfettario, un sistema semplificato pensato per operatori economici di ridotte dimensioni.
La manovra si limita ad aumentare la soglia entro cui si può optare per questo regime, che conviene alle persone fisiche che svolgono un’attività individuale, le partite iva, appunto perché semplifica molti adempimenti contabili e prevede un’aliquota agevolata al 15%.
La tassazione per i lavoratori dipendenti è invece più alta: il primo scaglione Irpef, per un reddito imponibile fino a 15mila euro, ha una aliquota al 23%. Per un lavoratore dipendente con un reddito superiore a 50mila euro l’aliquota è al 43%. Poi, certo, a fronte di una tassazione simile, ci sono delle detrazioni.
La confusione di Meloni sul sistema delle detrazioni
Proprio le detrazioni fiscali sono una delle questioni che Meloni cita per mostrare come non ci sia discriminazione tra autonomi e dipendenti nella tassazione prevista (anche) dalla nuova manovra. Perfino con la flat tax, spiega Meloni, il lavoratore autonomo che aderisce al regime forfettario paga di più o incassa di meno, anche perché “non può detrarre nulla”. Mentre infatti per i lavoratori autonomi con regime ordinario sono previste detrazioni, per le partite iva in regime forfettario no. Ma la ragione è proprio nel regime semplificato, forfettario per l’appunto: ci sono meno adempimenti da rispettare e c’è un’aliquota agevolata al 15%. Se si pensa che un dipendente, con lo stesso reddito imponibile, paga tra il 23% e il 43% di Irpef, si capisce per quale ragione al lavoratore subordinato (così come all’autonomo in regime ordinario) siano concesse delle detrazioni, mentre alla partita iva che aderisce al regime forfettario no.
Contributi e tributi non sono sinonimi
Meloni cita anche il tema dei contributi e quello del Tfr, entrambe forme di accantonamento che non hanno troppo a che fare con il sistema fiscale.
Sulla prima questione, Meloni prima parla dei dipendenti, correggendosi perché si riferisce agli autonomi, poi parla di “lavoratore”, quando intende invece “datore di lavoro”: la presidente mostra insomma una certa confusione lessicale che distoglie da una più profonda confusione concettuale.
Contributi e tributi, infatti, non sono la stessa cosa. Versare i contributi è come pagare un premio assicurativo che finanzia la previdenza sociale, ossia pensioni, sussidi, indennità per le persone che, temporaneamente o permanentemente, non possono lavorare.
Per quanto il sistema non sia così semplice, possiamo dire che versare i contributi significa metterli a disposizione della collettività, ma vedendoli comunque accreditati in un proprio personale conto assicurativo.
I tributi, invece, sono somme che paghiamo per finanziare servizi e vengono prelevati sulla base della capacità contributiva di ognuno: ciascuno contribuisce in misura della propria ricchezza, mettendone una parte in comune per garantire servizi a tutti.
Perché non ha senso parlare del Tfr in ambito fiscale
Allo stesso modo, citare il Tfr come una delle differenze tributarie tra autonomi e dipendenti significa ignorare la natura e la funzione del Tfr, che non riguarda tasse e regimi fiscali. Il trattamento di fine rapporto è una forma di retribuzione differita, cioè è una somma che viene data al dipendente quando smette di lavorare per un’impresa e che deriva dagli accantonamenti dello stipendio del lavoratore stesso. Si tratta, cioè, di soldi che sono del lavoratore e che, invece di essergli consegnati insieme allo stipendio, costituiscono un fondo, a cui avrà accesso al termine del rapporto di lavoro. Quel capitale, costituito di denaro del lavoratore, è a disposizione dell’impresa in cui il lavoratore è impiegato o della fiscalità generale, a seconda delle dimensioni dell’impresa e della scelta del lavoratore stesso. Senza dilungarsi sulle questioni tecniche e fermandoci alla logica, dovremmo allora dire che il Tfr è casomai un fondo che il dipendente mette a disposizione degli altri, al contrario del lavoratore autonomo, a cui comunque nessuno vieta di accantonare una quota dei propri introiti.
Illegalità e realtà: la denuncia dei sindacati e la risposta di Meloni
Una volta evidenziate queste differenze tra autonomi e dipendenti, Meloni riporta una delle critiche che le sarebbero state mosse dai sindacati: rendendo più conveniente la tassazione per i lavoratori autonomi, infatti, le imprese più ciniche sarebbero indotte ad assumere false partite iva. La risposta di Meloni è semplice: “Segnalo che è illegale”.
Duole segnalare alla presidente che la realtà è piena di atti illegali che sono comunque compiuti: stragi, omicidi, stupri, così come truffe, rapine e furti, sono tanto atti vietati dalla legge quanto esistenti nella società. Limitarsi a constatare l’illegalità di un fatto per non affrontarne la diffusione è ingenuo od offensivo, a seconda che Meloni ci creda o che sia in malafede.
Il problema delle false partite iva è un vizio endemico del nostro mercato del lavoro: basta entrare in un ospedale (cioè, in un’azienda socio-sanitaria) per vedere infermieri assunti affiancati da infermieri a partita iva, che svolgono lo stesso identico mestiere, con una qualificazione contrattuale diversa; basta sfogliare le sentenze di una qualunque sezione lavoro di un qualunque tribunale per notare cause su cause di dipendenti nei fatti, ma autonomi nel contratto, che per ottenere quanto spetta loro, in termini di tutele (e talvolta anche di stipendio), devono affrontare un processo.
E chissà quanti non sanno, non vogliono o non possono intraprendere la via giudiziaria per vedere riconosciuti i propri diritti: perché, purtroppo, nella società in cui viviamo, e nel mercato del lavoro in cui siamo immersi, non basta che la presidente del Consiglio segnali che qualcosa è illegale perché quella qual cosa sparisca.
Specie se, nel portare avanti le sue politiche e nel comunicare coi cittadini, replica ancora una volta la contrapposizione che ci ha portati a questo punto della storia.
Più di vent’anni di dibattito e meno tutele per tutti quanti
Il dualismo tra autonomi e subordinati è infatti uno dei temi cardine del diritto del lavoro, dal momento che il nostro sistema giuridico assegna tutele principalmente ai dipendenti, riconoscendone la debolezza socio-economica nei confronti dell’imprenditore. Queste tutele, in origine, non servivano agli autonomi, cioè professionisti (artisti, architetti, avvocati…) già in grado di riequilibrare il proprio rapporto con i committenti, negoziando le migliori condizioni di contratto.
Il mercato del lavoro però è cambiato, i professionisti non sono più solo quelli che hanno strumenti commerciali per negoziare il proprio corrispettivo, ma ci sono anche lavoratori autonomi che svolgono impieghi più o meno umili, senza il potere contrattuale del professionista e senza le tutele del dipendente.
Questi rischi sui diritti erano già stati evidenziati da un grande studioso come Massimo D’Antona nel 1998:
Probabilmente, le nuove insidie alla “dignita e sicurezza” del lavoratore si celano oggi nell’illusoria autonomia, e nel reale isolamento solipsistico, dei tanti lavoratori “indipendenti” (o come si dice, “le partite Iva”) che, grazie ai nuovi modelli di organizzazione del lavoro, e alla maggiore libertà di ricorrere a forme contrattuali flessibili, l’impresa postfordista controlla meglio di prima con la sola accortezza di tenere il guinzaglio lungo.
Già più di vent’anni fa si discuteva sulla necessità di riconoscere tutele ai lavoratori autonomi e il dibattito giuridico è stato molto acceso e propositivo. La comunicazione politica, e le scelte normative, sono state invece meno attente ai diritti delle persone, dei lavoratori, e si sono basate soprattutto sulla contrapposizione tra subordinati e autonomi, come se le tutele degli uni derivassero da un furto a danno degli altri. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: le tutele contro il licenziamento ingiustificato sono state drasticamente ridotte, ad esempio, al punto da richiedere in più occasioni l’intervento della Corte Costituzionale, mentre il benessere degli autonomi non è aumentato. E per spiegare una misura fiscale in favore di lavoratori autonomi con un reddito fino a 85mila euro, Giorgia Meloni si è servita ancora una volta di questa retorica: ha parlato di discriminazione, estremizzando le critiche in accuse, per poi ribadire la perenne contrapposizione, la fallace dicotomia tra subordinati e autonomi, condendola di pressappochismo e confusione, secondo una strategia che non ha mai portato più diritti a qualcuno, ma meno tutele per tutti.
(da Fanpage)
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Dicembre 30th, 2022 Riccardo Fucile
“IL PAESE SI PREPARI ALLA POSSIBILE CIRCOLAZIONE DI NUOVE VARIANTI DI SARSCOV2”… IL MINISTRO SCHILLACI, GRAN CUOR DI LEONE, AVEVA PAURA A FAR USCIRE UN’AGENZIA A SUO NOME PER CONTRADDIRE SALVINI E QUINDI L’ANSA E’ USCITA A FIRMA DEL MINISTERO DELLA SALUTE
“La cosa importante e’ che al momento non ci sono nuove varianti, c’e’ la Omicron su cui gli italiani sono in sicurezza”. Lo ha detto il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, a margine del sopralluogo al cantiere dell’ex caserma “Luciano Manara” a Roma. “Nuove varianti sarebbero un problema, ma conto che gli italiani possano trascorrere un Capodanno e un’Epifania tranquilli. Se cosi’ non fosse si deve muovere l’Europa, non l’Italia da sola”, ha aggiunto.
“Noi possiamo fare i tamponi a Fiumicino, a Malpensa, ma occorre che si muova l’Europa. Io questa mattina ho dialogato con la commissaria europea dei Trasporti: per il momento non vede necessita’ di intervenire e quindi non posso che augurare buon anno a tutti perche’ gli italiani i loro compiti a casa li hanno gia’ fatti abbondantemente”, ha concluso.
“Sebbene l’evoluzione della pandemia sia allo stato attuale imprevedibile, il nostro Paese deve prepararsi ad affrontare un inverno in cui si potrebbe osservare un aumentato impatto assistenziale attribuibile a diverse malattie respiratorie acute, prima fra tutte l’influenza, e alla possibile circolazione di nuove varianti di SarsCoV2, determinato anche dai comportamenti individuali e dallo stato immunitario della popolazione”. Lo afferma il ministero della Salute nella nuova circolare ‘Interventi in atto per la gestione della circolazione del SarsCoV2 nella stagione invernale 2022-23’.
Si evidenzia pertanto, avverte il ministero della Salute, “la necessità di intensificare il sequenziamento al fine di raggiungere una numerosità sufficiente a identificare l’eventuale circolazione di nuove varianti” del virus SarsCoV2 ed è “particolarmente importante evitare la congestione delle strutture sanitarie limitando l’incidenza di malattia grave da Covid-19 e le complicanze dell’influenza nelle persone a rischio, proteggendo soprattutto le persone più fragili”.
(da agenzie)
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Dicembre 30th, 2022 Riccardo Fucile
LO SCONTRO TRA I DUE INIZIO’ IL 13 DICEMBRE 2017 QUANDO D’AMATO DENUNCIÒ DI ESSERE STATO AVVICINATO A UN CONVEGNO E IN QUELLA SEDE ANGELUCCI, RE DELLE CLINICHE LAZIALI, GLI AVREBBE OFFERTO 250 MILA EURO PER LA RIAMMISSIONE AL SERVIZIO SANITARIO DI UNA DELLE CLINICHE DEL GRUPPO, LA SAN RAFFAELE VELLETRI
Siamo alla resa dei conti. Il confronto tra Alessio D’Amato e Francesco Rocca nel Lazio sarà anche lo scontro tra modelli, mondi e fazioni contrapposti nella sanità romana.
Da un lato l’assessore uscente in quota dem, dominus del settore negli ultimi dieci anni, fautore della chiusura di 16 ospedali e della “rinascita” della sanità cattolica.
Dall’altra, il deputato leghista ed editore Antonio Angelucci, re delle cliniche laziali con il suo gruppo San Raffaele. “Tonino”, infatti, sarebbe il principale “sponsor” e co-artefice della candidatura dell’ormai ex presidente della Croce Rossa.
Rocca fino a poco tempo fa sedeva nel cda della Fondazione San Raffaele, costola del Gruppo sanitario che con una ventina di cliniche tra il Lazio e il Sud Italia è il fiore all’occhiello dell’impero di Angelucci. La fondazione è impegnata nella gestione del centro riabilitativo di Ceglie Messapica (Brindisi).
Un feeling sbocciato già a maggio 2021, quando Rocca fu eletto presidente di Confapi Sanità, la confederazione della sanità privata: il suo arrivo aprì la strada all’ingresso nell’organismo degli Angelucci, attraverso il rampollo Giampaolo e l’allora presidente Carlo Trivelli.
Non certo idilliaco, invece, il rapporto tra Angelucci e D’Amato. Anzi. Una rivalità annosa deflagrata il 13 dicembre 2017. D’Amato, all’epoca dirigente regionale, denunciò di essere stato avvicinato a margine di un convegno. In quella sede Angelucci gli avrebbe offerto 250 mila euro in cambio della riammissione al servizio sanitario di una delle cliniche del gruppo, la San Raffaele Velletri.
Nelle carte dell’inchiesta che ne è scaturita, e che vede Angelucci imputato in udienza preliminare a Roma per tentata corruzione, vi sono relazionati i tentativi di mediazione proprio di Storace (estraneo all’inchiesta), prima con D’Amato e poi con l’allora presidente Nicola Zingaretti.
Angelucci ora rischia il processo, ma da mesi l’udienza viene rinviata per le istanze di legittimo impedimento degli avvocati.
Sempre nel 2018, Il Tempo avviò una dura campagna stampa verso D’Amato il quale, sentendosi perseguitato, denunciò l’editore.
Il vicedirettore a Palazzo Wedekind all’epoca era Storace. Anche tra Rocca e Storace (oggi editorialista a Libero) i rapporti vanno avanti da anni.
Quando l’ex ministro governava il Lazio (2000-2005), l’attuale candidato fu chiamato a dirigere l’ospedale Sant’Andrea, tra i più importanti della Capitale. Rocca detiene poi il 100% delle quote di “Blog dell’Alba Srls”, una società di marketing (inattiva) fondata da Storace nel 2018, con sede in Roma a via dei Bresciani 23.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Dicembre 30th, 2022 Riccardo Fucile
ROCCA A SUA VOLTA DISERTA LA PRIMA CONFERENZA STAMPA DELLA CAMPAGNA ELETTORALE (UFFICIALMENTE PER MOTIVI DI SALUTE)… EUROPA VERDE CHIEDE UN’INTESA TRA PD E M5S
Il M5s arriva terzo ma è soddisfatto. Fratelli d’Italia, invece di felicitarsi per il risultato emerso dal primo sondaggio sulle regionali, tappezza la città di manifesti con Giorgia Meloni ma senza nemmeno il nome di Francesco Rocca; alla prima conferenza stampa del suo candidato, la premier non ci sarà.
Europa Verde, alleata del Pd, guarda gli effetti della spaccatura del campo largo e chiede un ricongiungimento tra dem e pentastellati. Significherebbe mettere tutto in discussione.
Così, i commenti e i silenzi che seguono la rilevazione di Izi pubblicata su Repubblica mostrano quanto i candidati, per i partiti che li sostengono, siano sacrificabili. Il sondaggio dà per vincente Rocca con il 42,6%, Alessio D’Amato è a quota 34,8 mentre Donatella Bianchi al 18,3.
Dal centrodestra nessuna reazione, ma nel sottobosco le malelingue parlano di disinteresse da parte della premier Meloni il cui unico obiettivo era quello di togliersi di torno il problema Fabio Rampelli.
Ieri la presidente del Consiglio ha detto che visto il suo ruolo vedrà «cosa ha fatto chi mi ha preceduto», per capire se partecipare attivamente alla campagna elettorale, premesso che « quello che emergerà dalle regionali è qualcosa con cui anche il Governo nazionale deve fare i conti » .
Un test. A cui Meloni si prepara facendo riempire Roma di manifesti elettorali con il suo volto e la scritta « Liberiamo le energie » . Nessun accenno a Rocca che oggi affronta la sua prima conferenza stampa. Doveva organizzarla FdI che invece lascia il primato alla lista Rinascimento di Vittorio Sgarbi. « Una follia » , commentano nel centrodestra.
Il M5s come detto è soddisfatto: non per il terzo posto di Bianchi ma per quel 18% che raccoglierebbe la candidata.
Avendo preso il 15% alle politiche, se si attestassero sulla cifra rilevata dal sondaggio « sarebbe un successo, per la prima volta alle elezioni amministrative prenderemmo più che alle nazionali »
(da La Repubblica)
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Dicembre 30th, 2022 Riccardo Fucile
“PER NOI LA FAMIGLIA E’ ESSENZIALE”… A QUANDO LA GIORNATA DELLA SUOCERA, DEGLI ZII E DEI CUGINI?
Da Fratelli d’Italia ai “figli d’Italia”. Presentato a Palazzo Madama un disegno di legge targato FdI per l’istituzione della “giornata nazionale dei figli d’Italia”.
L’idea è del senatore Andrea De Priamo, primo firmatario del ddl depositato lo scorso 28 dicembre. “È una proposta che nasce dall’interlocuzione con alcune associazioni che si occupano dalla famiglia”, spiega all’Adnkronos l’esponente del partito di Giorgia Meloni.
“L’intenzione – prosegue – è quella di dedicare una giornata ai figli, sulla scia della festa del papà e della mamma”. La giornata nazionale viene istituita per il 15 giugno.
“Per noi la famiglia è centrale. Per questo abbiamo pensato a un riconoscimento per i figli, con interventi che vanno dalle borse di studio all’introduzione di un premio nazionale da assegnare a chi si sia reso protagonista di azioni meritorie, iniziative creative”. Il nome della festa, “figli d’Italia”, richiama il nome del vostro partito. “Essendo una giornata nazionale, il nome è sicuramente evocativo. Rimarca l’appartenenza all’identità nazionale”, risponde De Priamo.
(da agenzie)
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Dicembre 30th, 2022 Riccardo Fucile
IL CASO DI CARSTEN L.: DA CAPO DEL DIPARTIMENTO DI TECHNICAL INTELLIGENCE, AVEVA ACCESSO A DOCUMENTI ALTAMENTE CLASSIFICATI SULLA GUERRA, HA PASSATO INFORMAZIONI COPERTE DA SEGRETO DI STATO AI SERVIZI RUSSI
A Berlino, il caso della spia chiamata Carsten L. è stato considerato come «estremamente serio». Bisogna andare molto indietro nella storia, per trovare un livello così pericoloso e sofisticato di infiltrazione nei servizi segreti tedeschi (Bnd). Era il 1961 e si scoprì che Heinz Felfe, addirittura dirigente del dipartimento di controspionaggio sovietico, era in realtà un informatore del Kgb e aveva spiato la Germania per 17 anni. Aveva rivelato anche decine di operazioni della Cia.Con l’aggressione dell’Ucraina, la minaccia rappresentata dallo spionaggio russo, dalle campagne di disinformazione agli attacchi informatici, hanno assunto un’altra dimensione. Dopo quasi un anno di indagini e in seguito a una soffiata da parte degli 007 occidentali, Berlino ha smascherato il presunto doppio agente, che ricopriva un ruolo delicatissimo nel Bundesnachrichtendienst: Carsten L. era capo del dipartimento di Technical Intelligence. Aveva accesso a documenti altamente classificati sulla guerra, condivisi con Washington, Londra e gli altri alleati. Informazioni coperte da segreto di Stato che la talpa avrebbe passato ai servizi russi. Se fosse così, rischierebbe l’ergastolo
Ma il lavoro sotterraneo del funzionario d’alto rango rappresenta un duro colpo per l’apparato di sicurezza tedesco. Berlino teme che altri agenti russi stiano spiando autorità, ministeri, aziende tedesche. E che Putin usi l’intero arsenale a disposizione per influenzare, infiltrarsi, sovvertire. Una guerra parallela alla guerra in Ucraina. Che riguarderebbe anche lo spionaggio industriale, nel tentativo di compensare il mancato accesso alla tecnologia occidentale a causa delle sanzioni.
Soprattutto, nei settori dell’aerospazio, dell’elettronica, dei semiconduttori. La Germania era mal preparata a questo tipo di minacce, almeno quanto lo era a un conflitto militare. Dopo la caduta del Muro, l’Est è stato considerato amico per molti anni. Nel 2001, dopo l’11 settembre, il Bnd ha persino fermato per più di un decennio il controspionaggio, che indagava sui servizi segreti stranieri. La Russia era un partner nella lotta al terrorismo islamico e Putin al Bundestag dichiarava, applaudito: «La Guerra Fredda è finita».
Ad aprile scorso, dopo l’incontro dei capi delle intelligence europee a Parigi per cercare un fronte comune contro lo spionaggio del Cremlino, sono stati espulsi 600 funzionari in vari Stati, 40 da Berlino. I report di inizio 2022 ipotizzavano che più di 150 spie russe con accreditamento diplomatico stessero ancora lavorando nella sola Germania. Carsten L. pare sia riuscito a diventare il grande orecchio dei servizi tedeschi, superando severi controlli di sicurezza, in qualità di alto funzionario statale. Ha potuto filtrare, con buona probabilità, le comunicazioni top secret dell’Occidente su guerra, governi corrotti, terrorismo.
(da la Stampa)
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