Dicembre 13th, 2022 Riccardo Fucile
INTERCETTAZIONI, IMMUNITA’ E AVVISI DI GARANZIA
Dice il ministro Carlo Nordio che lo scandalo corruzione a Bruxelles è “sicuramente un fatto allarmante” anche se lui “da autentico garantista” attende “l’esito delle indagini”. Certo, aggiunge subito dopo, “la flagranza del reato e il possesso di fondi enormi ingiustificati, affievolisce il caposaldo della presunzione di innocenza“.
Insomma: nel caso delle mazzette che – secondo gli inquirenti belgi – sono state pagate dal Qatar a esponenti apicali del Parlamento Europeo, per il guardasigilli gli indizi a carico degli indagati sono talmente clamorosi da far cadere anche i condizionali.
E in effetti ha ragione: perché un ex eurodeputato come Pier Antonio Panzeri teneva in casa denaro contante per circa mezzo milione di euro? E la vice presidente dell’Eurocamera, Eva Kaili, cosa doveva farci con 150mila euro nella sua abitazione? E ancora: perché il padre della politica greca andava in giro con 600mila euro in banconote da 20 e 50 custodite in un trolley?
Un ministro loquace
Tutte domande relative a indizi che la polizia federale belga ha raccolto nella sua indagine. E di cui l’opinione pubblica è venuta a conoscenza dopo che sono scattati gli interrogatori, gli arresti e le perquisizioni. Sono queste operazioni investigative che hanno portato ad accertare la flagranza del reato che “affievolisce il caposaldo della presunzione di innocenza“, per usare le stesse parole utilizzate da Nordio in un colloquio al Corriere della Sera. Si tratta della seconda intervista in 24 ore per quello che è ormai uno dei ministri più loquaci del governo di Giorgia Meloni. Appena domenica, infatti, l’ex pm è stato protagonista di un altro colloquio, questa volta col Messaggero, in cui si era nuovamente scagliato contro le intercettazioni telefoniche, promettendo pure di riformare l’avviso di garanzia.
Quali riforme
Il colloquio di Nordio con il quotidiano romano sembra quasi il secondo tempo del suo intervento in Parlamento, dove nei giorni scorsi il ministro ha illustrato le linee guida sulla giustizia e quindi, in pratica, le anticipazioni di quelle che saranno le sue riforme.
A questo punto una domanda sarà sovvenuta al lettore: con le riforme annunciate da Nordio sarebbe più semplice o più complesso condurre un’inchiesta come il Qatargate?
La risposta è probabilmente negativa, anche se occorre fare due puntualizzazioni. La prima è relativa al fatto che l’indagine sulle mazzette all’Europarlamento è portata avanti dalla procura federale di Bruxelles, che applica ovviamente il diritto penale del Belgio. La seconda è che le riforme di Nordio dovranno a un certo punto passare l’annuale valutazione della giustizia della Commissione europea. Prima, però, dovranno essere scritte e approvate.
Niente intercettazioni per i colletti bianchi
Fatte queste precisazioni occorre ora chiedersi che tipo di riforme indende varare il guardasigilli e in che modo le nuove norme potrebbero influire in indagini simili a quelle che hanno terremotato l’Eurocamera. Al momento, ovviamente, non esiste alcuna norma messa nero su bianco dal ministro. Esistono, però, le ormai numerosissime dichiarazioni rilasciate da Nordio. Già dalla campagna elettorale l’attuale inquilino di via Arenula si era espresso contro le intercettazioni telefoniche, definite troppo costose: per questo motivo vorrebbe limitarne l’uso “ai reati di grave allarme sociale“, visto che – secondo lui – “staticamente la gran parte riguarda reati che non hanno nulla a che vedere con mafia e terrorismo, sono costosissime e non servono a niente“.
Non si sa bene quale sia la statistica citata dal ministro. Quello che invece appare chiaro è che Nordio pensa a una riforma che limita fortemente l’uso degli ascolti telefonici per i reati diversi dall’associazione mafiosa e per il terrorismo. Rimarrebbero dunque fuori i crimini contro la pubblica amministrazione, cioè i reati tipici dei colletti bianchi: esattamente quelli al centro dell’indagine del Qatargate.
Catapulte e criminali a 200 all’ora
Ma per quale motivo bisognerebbe limitare l’uso degli ascolti telefonici solo ai reati più gravi? “Crediamo davvero che il grande delinquente parli al telefono o a casa sua? Il criminale vero parte dal presupposto di esser intercettato anche in aperta campagna dai microfoni direzionali o da un trojan, e le sue affermazioni sono dirette a ingannare chi lo ascolta, a depistare le indagini o a calunniare terzi”, è la convinzione di Nordio. Eppure non si ha notizia di un fenomeno simile, cioè di indagati che – consapevoli di essere ascoltati – mentono volontariamente al telefono con l’obiettivo di depistare le indagini.
Viceversa è noto come l’uso degli ascolti telefonici si sia rivelato fondamentale in centinaia d’inchieste. Non solo in Italia, ma pure in Belgio.
Nel mandato di arresto europeo notificato a Maria Colleoni e Silvia Panzeri, moglie e figlia dell’ex eurodeputato del Pd, il giudice belga scrive chiaramente come le ipotesi di reato emergano dalla trascrizione di intercettazioni tra il politico e la consorte. “Senza intercettazioni, comprese quelle informatiche, è impossibile vincere la battaglia“, ha dichiarato spesso Michel Claise, il magistrato che indaga sulle euromazzette in Belgio.
Paladino dell’anticorruzione, l’investigatore ha ricordato che grazie “alle captazioni telematiche sofisticate” è riuscito a smantellare una maxi rete di narcotrafficanti con 1.230 arresti e un sequestro di droga per 13 miliardi di euro. “Ma è stato un’eccezione. Noi siamo ancora equipaggiati con le catapulte e i nostri avversari sono criminali che corrono a 200 all’ora. Come possiamo vincere?”, ha avvertito. Già, come si può combattere l’illegalità se la politica pensa addirittura di limitare l’uso delle catapulte solo per contrastare alcuni tipi di criminali, che magari sono armati di bazooka?
La questione delle immunità
A tenere banco nel week end è stata soprattutto la differenza delle norme tra il Belgio e l’Italia relative all’immunità parlamentare, visto che a finire agli arresti è stata anche Eva Kaili, vicepresidente del Parlamento europeo in carica. In Belgio, infatti, gli eurodeputati stranieri non possono essere detenuti o sottoposti a procedimenti giudiziari a meno che non siano colti in flagranza di reato. Cosa che è evidentemente accaduta alla politica greca, trovata in possesso di denaro contante nella sua abitazione.
Ed è qui che si annida la più grande differenza tra il diritto italiano e quello belga, che si rifà alla normativa comunitaria: è più stringente sul fronte dell’azione penale ma molto più permissivo sul fronte delle indagini, fondamentali per trovare gli elementi utili a chiedere il processo degli eletti.
Un esempio? Se l’indagine sul Qatargate fosse avvenuta in Italia ci sarebbe voluta l’autorizzazione preventiva della Camera d’appartenza per intercettare, per perquisire e anche arrestare il deputato, a parte i casi in cui è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Chi terrebbe così tanto denaro contante in casa se fosse a conoscenza di una richiesta di perquisizione ai suoi danni, pendente al Parlamento? E chi parlerebbe di illeciti al telefono, consapevole di essere intercettato?
“Questo, proprio alla luce della vicenda di Bruxelles, si dimostra un’anomalia. Da una parte non abbiamo le autorizzazioni per l’azione penale, che l’Italia ha tolto dal 1993, dall’altra sottoponiamo al vaglio preventivo delle Camere proprio quelle attività che dovrebbero consentire di raccogliere elementi per portare al processo. Questo è un elemento di incoerenza delle guarentigie parlamentari, che differenzia il nostro Paese dalle previsioni di altri Paesi dell’Unione e da quelle in uso presso il Parlamento Europeo di cui facciamo parte”, ha spiegato al ilfattoquotidiano.it il professor Paolo Passaglia, ordinario di Diritto comparato presso l’Università di Pisa.
Il Qatargate di cui nessuno sa nulla
L’altra differenza sostanziale tra Bruxelles e Roma, infatti, è che in Belgio non è possibile portare avanti l’azione penale, cioè il processo agli eurodeputati, senza l’autorizzazione del Parlamento. E’ la vecchia autorizzazione a procedere eliminata in Italia nel 1993. E chi voleva ristabilire l’immunità parlamentare, quella abrogata a causa di Tangentopoli? Esatto, proprio Nordio.
In piena campagna elettorale, in un’altra intervista – questa volta al Quotidiano nazionale – il futuro guardasigilli aveva proposto di ripristinare l’immunità nella sua versione originaria, quella cioè che imponeva ai magistrati il divieto di indagare deputati e senatori senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza. “Riconosco che andrebbe spiegata bene ai cittadini, affinché non sembri un privilegio di casta“, aveva detto l’ex pm. Non è chiaro se Nordio intenda rilanciare la proposta avanzata da candidato alla Camera anche adesso che fa il guardasigilli. Di sicuro non sarebbe poi così difficile spiegarlo ai cittadini: basterebbe dire loro che con una riforma simile, sommata alle leggi già esistenti e alle altre che vorrebbe far approvare Nordio, un caso di corruzione politica come il Qatargate in Italia non verrebbe mai scoperto.
Inchieste segrete
E anche se dovesse essere scoperto, non lo saprebbe mai nessuno. Un altro cavallo di battaglia del ministro della giustizia, infatti, è legato alla segretezza, non solo delle intercettazioni ma proprio delle indagini. Per questo ha spiegato di voler rivedere l’avviso di garanzia e il registro degli indagati, che “dovrebbe restare segretissimo e invece si è trasformato in un’automatica fonte di delegittimazione di una persona che non è nemmeno imputata”. In realtà, come è noto, l’avviso di garanzia è uno strumento che serve a garantire l’indagato, informandolo del compimento di un atto di indagine per il quale si rende necessaria la difesa tecnica e quindi la nomina di un avvocato difensore. L’impressione è che la maggioranza di centrodestra sul tema abbia opinioni simili a quelle di Enrico Costa, il deputato di Azione autore di un ordine del giorno appena approvato dal Parlamento: impegna il governo a monitorare gli atti con cui i procuratori della Repubblica autorizzano le conferenze stampa e i comunicati degli inquirenti. Un controllo che dovrà essere svolto dal governo dall’Ispettorato generale del ministero della Giustizia.
In pratica l’odg interviene sul decreto legislativo sulla presunzione d’innocenza, che ha posto dei limiti stringenti alle conferenze stampa dei pm, alla comunicazione di magistrati e investigatori e persino ai nomi in codice da dare alle indagini. Ora Costa vuole che il ministero della Giustizia controlli ogni autorizzazione data dai procuratori: non solo a livello di numero ma anche dal punto di vista del contenuto. In pratica sarà il governo a valutare, caso per caso, l’eventuale interesse pubblico delle dichiarazioni e delle informazioni rilasciate dagli inquirenti sulle inchieste in corso: una forma di pressione
Nel caso del Qatargate solo grazie a un dettagliato comunicato della procura si è avuta contezza delle perquisizioni degli europarlamentari, degli arresti e delle accuse. Ed è solo per questo motivo che la politica ha cominciato a prendere alcuni provvedimenti, come quelli assunti dal partito socialista europeo, colpito al cuore dalle indagini. Se dovessero diventare realtà le proposte di Nordio e le idee di Costa, invece, oggi scriveremmo di una vicepresidente del Parlamento europeo irreperibile: forse già agli arresti, ma non essendo ancora condannata, nessuno avrebbe potuto saperlo.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Dicembre 13th, 2022 Riccardo Fucile
NEL PIENO DELLO SCANDALO QATARGATE, IL SENATO VOTA PER RIDARE I BENEFICI AI COLLETTI BIANCHI
Mentre a Bruxelles i rappresentanti italiani finiscono in manette per uno scandalo di corruzione internazionale senza precedenti, in Italia il Senato vota per salvare i corrotti dal carcere.
Nelle stesse ore in cui l’Eurocamera destituisce la sua vicepresidente e gli investigatori perquisiscono gli uffici dei nostri eletti per trovare tracce di mazzette dal Qatar, a palazzo Madama è stato approvato il cosiddetto “Decreto rave“, il primo atto legislativo del governo di Giorgia Meloni. Che però, a dispetto del nome mediatico, non si occupa solo della contestata norma contro i raduni abusivi, ma di tanto altro, a partire dalla riforma dell’ergastolo ostativo (approvata in extremis per evitare il “colpo di spugna” della Corte costituzionale).
Ed è proprio questa parte del provvedimento che la maggioranza, con l’aiuto di Italia viva, ha usato come grimaldello per fare un regalo ai detenuti per corruzione, concussione, peculato e altri reati contro la pubblica amministrazione: dai prossimi giorni – quando il decreto diventerà legge – potranno tornare a ottenere i benefici penitenziari che ora gli sono preclusi dalla legge Spazzacorrotti, approvata nel 2019 (sotto il primo governo Conte) per iniziativa dell’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede.
Cioè ad avere la garanzia di non fare mai nemmeno un giorno di carcere, proprio come accadeva prima di quella legge. E pensare che pochi giorni fa la presidente del Consiglio, parlando con i giornalisti, si era auto-definita “una giustizialista nella fase di esecuzione della pena“, in contrapposizione al rivendicato garantismo “nella fase di celebrazione del processo”.
Ricordiamo il contesto. Nel 2019 – grazie alla Spazzacorrotti – i gravi reati contro la pubblica amministrazione sono stati affiancati a quelli di mafia e terrorismo nell’elenco degli “ostativi” previsti dall’articolo 4-bis della legge sull’ordinamento penitenziario. Cosa significa? Che i condannati per queste fattispecie non possono accedere ai benefici carcerari (come il lavoro esterno, i permessi premio o le misure alternative alla detenzione) se non collaborano con la giustizia a norma dell’articolo 323-bis del codice penale. E cioè adoperandosi “per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite”. Una norma da sempre invisa ai berlusconiani, che hanno sfruttato la conversione in legge del decreto rave per chiedere e ottenere un dietrofront. Il 6 dicembre la Commissione Giustizia del Senato ha infatti approvato l’emendamento di Pierantonio Zanettin (Forza Italia) che elimina dall’articolo 4-bis il riferimento ai reati che vi erano stati aggiunti nel 2019: peculato, concussione, corruzione per l’esercizio della funzione o per un atto contrario ai doveri d’ufficio, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione di incaricato di pubblico servizio, istigazione alla corruzione. A votare a favore, oltre ai senatori del centrodestra, anche Ivan Scalfarotto di Italia viva.
La modifica è così entrata a far parte del testo del decreto approvato dall’Aula del Senato, che nei prossimi giorni – a meno di cataclismi – diventerà legge dopo il passaggio alla Camera. Una vittoria per Forza Italia, che ha barattato l’ok a quell’emendamento con il via libera al resto del provvedimento (nonostante i mal di pancia su diversi aspetti). “Il voto della Commissione Giustizia, che ha eliminato l’inaccettabile parificazione dei reati contro la pubblica amministrazione con quelli di mafia ai fini del diritto ai benefici penitenziari, voluta dalla foga giustizialista dei M5s, costituisce un segnale inequivoco di un nuovo corso di piena valorizzazione dei principi indicati nella Carta costituzionale”, ha festeggiato il viceministro azzurro Francesco Paolo Sisto. Sulle barricate invece i 5 stelle, che del carcere per corrotti e corruttori avevano fatto una bandiera: “Con l’attacco alla legge Spazzacorrotti una maggioranza trasversale si assume la responsabilità di concedere l’accesso ai benefici penitenziari ai condannati per peculato, corruzione e concussione. In questo modo fanno finta di non sapere che mafia e corruzione sono due facce della stessa medaglia. Il nostro è un invito accorato, a difesa della legalità: tornate indietro sui vostri passi, il dovere del Parlamento è difendere la gente comune, non i colletti bianchi“, ha detto in discussione generale il senatore Ettore Licheri. Peraltro, nel febbraio 2020, la stretta di Bonafede era stata approvata dalla Commissione europea nella relazione economica sull’Italia, che segnalava “la crescente contiguità tra corruzione e criminalità organizzata segnalata dalle Procure”, che giustificava “l’estensione ai casi di corruzione delle misure investigative per la lotta contro la criminalità organizzata”. Il governo della prima premier donna, però, ha scelto di smantellare quei passi avanti. Alla faccia del “giustizialismo”.
(da Il fatto Quotidiano)
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Dicembre 13th, 2022 Riccardo Fucile
LE CRITICHE DEL BLOGGER RUSSO DOPO AVER VISITATO LA ZONA DEL CONFLITTO
Guerra in Ucraina, Putin alla sua destra ha revanscisti peggiori di lui. Alcuni ufficiali russi non sono contenti del presidente Vladimir Putin e dei vertici militari a causa della cattiva gestione della guerra. A sostenerlo – riporta Sky News – è l’influente blogger russo nazionalista ed ex ufficiale dell’Fsb Igor `Strelkov´ Girkin, dopo aver visitato la zona del conflitto.
Secondo quanto riferito, Girkin – che ha aiutato la Russia ad annettere la Crimea nel 2014 e poi a organizzare milizie filo-russe nell’Ucraina orientale – ha detto che c’era del malcontento nei confronti dei vertici. In un video di 90 minuti che analizza l’esecuzione della guerra da parte della Russia, il nazionalista russo ha affermato che «la testa del pesce è completamente marcia» e che l’esercito russo ha bisogno di riforme e di un apporto di persone competenti che potessero condurre una campagna militare di successo.
Alcuni a medio livello delle forze armate hanno espresso la loro insoddisfazione nei confronti del ministro della Difesa Sergei Shoigu e persino di Putin, ha riferito Girkin, che a novembre è stato condannato all’ergastolo da una Corte olandese per l’abbattimento del volo MH-17 della Malaysia Airlines, e sulla cui testa Kiev ha posto una taglia di 100.000 dollari con le accuse di tortura, omicidio e attività terroristica.
«Non sono solo io … le persone non sono affatto cieche e sorde: le persone di livello medio non nascondono nemmeno le loro opinioni che, come posso dire, non sono del tutto lusinghiere nei confronti del presidente o del ministro della Difesa», ha dichiarato Girkin, che non è nuovo alle critiche verso il governo per le performance russe nell’invasione dell’Ucraina.
Il ministero della Difesa russo non ha commentato fedelissimo di Putin, per le sconfitte sul campo di battaglia che la Russia ha subito durante la guerra.
(da Globalist)
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Dicembre 13th, 2022 Riccardo Fucile
“SITUAZIONE DIFFICILE”
Oltre il 50% del territorio della Repubblica Popolare di Donetsk (Dpr) è stato liberato dall’esercito ucraino: lo ha detto in un’intervista a Ria Novosti il leader separatista filorusso della Dpr, Denis Pushilin.
«I territori della Repubblica popolare di Donetsk sono stati liberati, poco più del 50 per cento. Se parliamo della popolazione – e questa è la cosa più importante per noi – allora la cifra è molto più alta» ha affermato Pushilin precisando che «il compito è liberare l’intero territorio della Dpr entro i confini costituzionali». «Le nostre divisioni stanno facendo tutto il possibile per garantire che ciò avvenga il più rapidamente possibile», ha poi sottolineato.
Nelle osservazioni riportate dall’agenzia di stampa ufficiale Ria Novosti, Pushilin, appoggiato da Mosca, ha affermato che anche se i reparti russi continuano ad avanzare, non si muovono “alla velocità che vorremmo”.
(da Globalist)
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Dicembre 13th, 2022 Riccardo Fucile
GIA’ CE NE SONO POCHE, DIAMOGLI PURE QUELLE… DOVE HA VISTO SPIAGGE PIENE DI DROGATI LO SA SOLO LEI
Il governo Meloni potrebbe “assegnare” le spiagge libere ai privati. Un modo come un altro, l’ennesimo, per favorire le corporazioni che hanno sostenuto e continuano a sostenere il governo dei peggiori.
E’ questa la folle idea del ministro del Turismo Daniela Santanchè, che ha lanciato la proposta all’assemblea di Confesercenti. «Ci vorrà del tempo per fare le gare» per le concessioni balneari. «Lancio una provocazione – ha aggiunto – credo che prima bisogna assegnare le spiagge che non sono assolutamente servite» spiagge libere lasciate ai tossicodipendenti e invase dai rifiuti che «nessuno mette in ordine».
«Non dobbiamo aprire la strada alle multinazionali, non dobbiamo svendere il nostro patrimonio», ha affermato Santanchè all’assemblea annuale di Confesercenti. «Prima di 8 mesi, 1 anno – ha specificato rispondendo ad una domanda – non saremo in grado di fare le gare». Secondo la ministra, il danno più grave è cambiare i patti in corso” perché le imprese hanno bisogno di stabilita. Le nuove regole ha concluso vanno pensate molto bene perché consegnare pezzi litorale alle multinazionali priverebbe le nostre spiagge delle peculiarità italiane, gastronomiche e non: «mi sentirei male se tutto fosse standardizzato».
(da Globalist)
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Dicembre 13th, 2022 Riccardo Fucile
NON HA MAI ECCELSO IN NULLA, PERO’ E’ SEMPRE LI’
Per certi versi – anche se non sembra – dovremmo tutti prendere esempio da Maurizio Lupi. Non ha mai esibito doti politiche accecanti (per usare un eufemismo). Non ha mai avuto grandinate di voti (e ora non ne ha proprio mezzo). Non ha mai bucato lo schermo, non ha mai indovinato una scissione politica (anzi) o peggio ancora la fondazione di un nuovo partito. Eppure se ne sta sempre lì,
“Ei fu. Siccome immobile”, statico e al contempo baldanzoso (per quanto possa) in Parlamento dal 2001. Sempre o quasi dalla parte del potere e della maggioranza, fedele in apparenza al padrone della locomotiva ma in realtà unicamente a se stesso e alle sue orgogliosamente ostentate radici cristiane (e ancor più cielline). Un esempio di resilienza emblematico, e anzi quasi paradigmatico.
Un po’ Mastella e un po’ Tabacci (con rispetto parlando), il sempre in apparenza garbato Lupi ha due grandi doti. La prima è quella di essere un ottimo maratoneta (ha fatto anche quella di New York). La seconda è quella di cadere sempre in piedi. Ma proprio sempre, perfino alle elezioni del settembre scorso, quando la sua mitologica compagine Noi con l’Italia (teorica quarta gamba del destra-centro ora al governo) non è stata votata neanche dal gatto, uscendo ridicolizzata e distrutta dall’esito delle urne. Lupi non ha fatto un plissé, perché c’è abituato: dal 2013 in poi, quando preferì Alfano a Berlusconi, ha sistematicamente affondato tutto quel che ha toccato. Un insistito e infinito bacio della morte – nel nome del moderatismo effimero – di cui Lupi si compiace. Sembra proprio affezionato al ruolo di “perdente marginale tra vincitori”. Gli alleati vincono, lui stra-perde: ma non importa, perché tanto un posto in Parlamento per il buon Maurizio si trova sempre, vuoi con un collegio blindato e vuoi con il cosiddetto diritto di tribuna (garanzia di essere eletti, a meno che non ci si chiami Di Maio o Spadafora).
Sessantatré anni, milanese, Lupi è anche giornalista pubblicista. Si è laureato nel 1984 in Scienze Politiche, con una tesi su “L’introduzione del sistema editoriale integrato nel giornalismo quotidiano”. Roba forte. Ha cominciato con la Democrazia cristiana, e democristiano – figlio di un Dio politico minore – è rimasto. Ha fatto da padrino al battesimo del noto moderato Magdi Allam. È stato per anni berlusconiano ortodosso (anche in tivù, dove esibiva con orgoglio la sua faccia da agguerrito playmobil teo-con). E ha fatto pure il ministro, prima di dimettersi per beghe giudiziarie da cui è uscito immacolato e indenne, con Letta e peggio ancora Renzi. Ma ha anche dei difetti.
Ventuno anni dopo la sua prima elezione in Parlamento, ormai senza voti ma pur sempre con molti santi (non solo in Paradiso), il sulfureo Lupi pastura ancora in tivù. Ogni volta finge autocritica, poi però difende Meloni anche quando è il primo a non crederci per niente. Non avendo ministri o ruoli primari (ma pure secondari), Maurizio ha oggi molto tempo libero. Che impiega ora arrampicandosi sugli specchi e ora picconando con leggiadria le classi meno abbienti. Ultimamente, a conferma dei suoi granitici valori cristiani, ha detto di voler togliere altri due mesi di Reddito di cittadinanza ai poveri: otto mesi nel 2023 son troppi, meglio fermarsi a sei. Proprio un uomo di gran cuore, proprio un perfetto ciellino.
La vita è fatta di poche certezze: moriremo tutti, nessuno sarà mai peggio di Renzi e Lupi vincerà anche quando perderà. Amen.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Dicembre 13th, 2022 Riccardo Fucile
TROVATO ANCHE ACCORDO SU MINIMUM TAX
Il Comitato dei rappresentanti permanenti Ue (Coreper) ha terminato la sua riunione notturna trovando un accordo sul pacchetto di proposte ostacolato fino a pochi giorni fa da Budapest. i Rappresentanti dei 27 membri Ue ha approvato il piano che prevede tra le altre cose l’emissione di 18 miliardi di aiuti per l’Ucraina per il prossimo 2023. Oltre alla cifra accordata, gli Stati hanno deciso per la minimum tax al 15% per le grandi aziende e per il sì incondizionato al Pnrr ungherese. Pochi mesi fa Budapest si era opposta alla misura della minimum tax dichiarando che «un onere fiscale nel contesto della guerra» sarebbe potuto essere «dannoso per la competitività europea». Ma gli eurodeputati, di tutta risposta, chiesero alla Commissione e al Consiglio di non approvare il Pnrr del Paese fino a quando il governo ungherese non avesse scelto di ritirare il parere contrario. L’intesa politica ora trovata dovrà essere confermata nei prossimi giorni tramite procedura scritta. Ma l’accordo sembra essere stato trovato in modo definitivo. Nel pacchetto anche il punto d’arrivo sul congelamento dei fondi di coesione per l’Ungheria per il meccanismo di condizionalità: la percentuale di finanziamenti congelati scende rispetto al 65% previsto dalla Commissione.
(da agenzie)
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Dicembre 13th, 2022 Riccardo Fucile
INCENDIATI BUS E AUTO
Sarebbero sostenitori del presidente uscente Jair Bolsonaro i responsabili del vero e proprio assalto avvenuto nella notte sudamericana al quartier generale della polizia federale di Brasilia: i video e le immagini che circolano mostrano auto e bus dati alle fiamme.
A innescare la protesta violenta, l’arresto da parte delle forze dell’ordine del leader indigeno José Acasio Sereré Xavante, su ordine del giudice della Corte suprema Alexandre de Moraes. Xavante, uno dei partecipanti da oltre 40 giorni alle manifestazioni di bolsonaristi davanti al comando dell’esercito, è accusato di aver minacciato il presidente della Repubblica eletto, Luiz Inacio Lula da Silva, e di aver difeso l’intervento militare. Subito dopo il suo arresto, decine di persone hanno circondato la sede della polizia federale, dando alle fiamme veicoli e autobus. L’agenzia di stampa Reuters riferisce la testimonianza di alcuni presenti che raccontano di aver visto estremisti, «molti dei quali indossavano le magliette verdeoro del Brasile che simboleggiano il movimento di estrema destra del presidente», affrontare le forze di sicurezza fuori dal quartier generale.
La polizia dal canto suo ha utilizzato granate e lacrimogeni per disperdere la folla. «Il centro di Brasilia sembra una zona di guerra», ha scritto su Twitter Alan Rios, giornalista del sito di informazione locale Metropoles.
«Autobus e automobili incendiati, edifici e segnali stradali distrutti, bidoni della spazzatura e bombole di gas che sporcano il pavimento dopo essere stati usati come armi». Nel frattempo, l’uomo che Lula ha indicato come prossimo ministro della giustizia, Flávio Dino, poche ore fa ha provato a rassicurare i brasiliani: «Purtroppo ci sono persone che vogliono il caos antidemocratico e illegale? Sì, ci sono. Ma queste persone non hanno prevalso oggi e non prevarranno domani».
(da agenzie)
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Dicembre 13th, 2022 Riccardo Fucile
LA NON OSTILITÀ DI GIORGIA MELONI, CON TANTO DI MESSAGGINI A DIMOSTRARLO: “NON POSSIAMO FARE CAMPAGNA ELETTORALE PER TE, MA NON CI OPPORREMO”
Tace, ma spera. Anzi Luigi Di Maio crede che l’inchiesta che ha squassato la Ue possa tirargli la volata per diventare inviato speciale nel Golfo. L’avversario principale che lo divide dalla nomina è stato toccato (anche se non è indagato) dal Qatar gate.
E’ il greco Dimitris Avramopoulos e sedeva nel board della Fight Impunity, l’ong dell’ex parlamentare europeo del Pd Antonio Panzeri, arrestato per tangenti. L’ex commissario per l’Immigrazione si è dovuto dimettere dal cda. Era il nome su cui puntava il Ppe, e dunque anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani.
Di Maio dice di avere dalla sua parte la non ostilità di Giorgia Meloni con tanto di messaggi della premier che lo certificherebbero. “Non possiamo fare campagna elettorale per te, ma non ci opporremo alla tua nomina”, sarebbe stata la rassicurazione di Meloni a Di Maio, appena l’ha informata, lo scorso ottobre, di voler partecipare alla selezione.
L’ex capo dei grillini al termine delle selezioni – in inglese – è risultato primo nel panel tecnico. Fino all’altro giorno era preoccupato dalla competizione di Avramopoulos, arrivato terzo nella selezione, ma sostenuto dietro le quinte da Tajani grande conoscitore dei palazzi di Bruxelles e big del Ppe.
Ora la concorrenza non c’è più e Di Maio sembra vedere l’obiettivo davvero vicino. La decisione finale arriverà i primi di gennaio. Anche se bisogna dar conto di una lettura, non corroborata da fonti vicine a Borrell, secondo la quale l’inchiesta sul Qatar potrebbe danneggiarlo in quanto italiano, il paese da cui nasce lo scandalo sulle mazzette nel Golfo.
(da Il Foglio)
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