Dicembre 16th, 2022 Riccardo Fucile
UN GRUPPO DI CITTADINI SI E’ TASSATO PER COMMISSIONARE LA SCULTURA A DUE ARTISTI: CHI VUOLE PUÒ TIRARE UOVA CONTRO L’OPERA IN UN PARCHETTO DELLA CITTÀ
Vladimir Putin è stato celebrato come “testa di cazzo dell’anno” nel villaggio inglese di Worcestershire.
Un gruppo di abitanti si è tassato per poter erigere una statua del presidente russo con la testa a forma di cappella.
La statua è stata posizionata in un parchetto della città in protesta contro l’invasione in Ucraina: ai passanti vengono fornite anche uova da lanciare contro “Mad Vlad”.
Il coordinatore della protesta ha in programma di creare e vendere miniature della statua per raccogliere fondi per un ente di beneficenza a sostegno dei rifugiati ucraini.
(da Dagonews)
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Dicembre 16th, 2022 Riccardo Fucile
DALLA NORMA SALVA-LADRI AL TAGLIO DEI POTERI PER L’ANAC… IL MOTTO E’ “NON DISTURBARE”
Sul Pnrr bisogna correre: aprire i cantieri, recuperare i ritardi negli investimenti. Costi quel che costi in termini di rischio di aprire la strada alla corruzione.
Così, tra le modifiche in extremis con cui il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha messo il suo timbro sul nuovo Codice degli appalti – scritto dal Consiglio di Stato sulla base della delega votata prima della caduta di Draghi – spicca il via libera all‘appalto integrato senza limiti di importo. Come ai tempi della famigerata legge Obiettivo di Berlusconi.
L’obiettivo dichiarato del testo di 229 articoli approvato venerdì in Consiglio dei ministri, che in nome della semplificazione e accelerazione delle procedure fa piazza pulita delle decine di allegati, è “favorire una più ampia libertà di iniziativa e di auto-responsabilità delle stazioni appaltanti, valorizzandone autonomia e discrezionalità“.
Il problema è che la discrezionalità ora sembra anche troppa: oltre alla completa deregulation sui subappalti, viene aumentata da 150mila a 500mila euro la soglia sotto la quale anche i piccoli Comuni privi delle competenze e capacità necessari per ottenere la qualificazione potranno affidare lavori in autonomia.
“Si tratta di più dell’80% degli appalti”, ha esultato Salvini in conferenza stampa. Ma la norma, affiancata al depotenziamento del reato di abuso d’ufficio preannunciato da Carlo Nordio e alla concessione ai condannati per corruzione e altri reati contro la pa dei benefici penitenziari ora negati dalla Spazzacorrotti, rischia di tradursi in un liberi tutti. “L’intento complessivo del governo si riassume con la formula che il presidente del Consiglio ha indicato dall’insediamento: non ostacolare coloro che hanno voglia di fare“, ha riassunto non a caso il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano.
L’altolà dell’Anac sul conflitto di interessi
Le perplessità del presidente Giuseppe Busia riguardano due punti: l’ammorbidimento delle norme sul conflitto di interessi e l’eliminazione dell’elenco delle società in house a cui le amministrazioni danno affidamenti diretti, sul quale Anac esercitava un controllo. Sul primo fronte, l’articolo 16 della bozza sfronda la norma vigente eliminando la disposizione secondo cui “le stazioni appaltanti prevedono misure adeguate per contrastare le frodi e la corruzione nonché per individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni ipotesi di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni”.
In compenso aggiunge un comma in base al quale l’onere della prova è rovesciato: è chi lo “invoca” a dover “provare” la “percepita minaccia all’imparzialità e indipendenza” che deve peraltro “riferirsi a interessi effettivi, la cui soddisfazione sia conseguibile solo subordinando un interesse all’altro”.
Resta la previsione che chi è in conflitto deve avvisare la stazione appaltante. Secondo Busia, in questo modo viene meno il ruolo dell’autorità su un aspetto cruciale, posto che – come ha ricordato giovedì – “ci troviamo tanti casi in cui gli affidamenti vengono fatti a parenti o conoscenti, e questo significa che altre imprese capaci e meritevoli vengono estromesse dalla gare”.
Lo stop all’elenco delle società in house
L’altro timore si concentra sugli affidamenti in house: ad oggi l’Anac gestisce l’”elenco delle amministrazioni e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti” a proprie società, sottraendo quindi al mercato lavori e servizi. Questo, oltre al fatto che l’ente deve dar conto dei motivi della scelta e dell’impatto sull’efficienza, l’economicità e la qualità del servizio, permette di controllare e intervenire se emergono irregolarità. Le bozze del nuovo codice eliminano l’elenco.
Salvini in conferenza stampa si è limitato a replicare che l’Anac può “rivolgere le sue critiche al Consiglio di Stato” ma “io rivendico la separazione dei ruoli” e “nella cabina di regia che fa scelte politiche sulle opere strategiche per il Paese ci saranno i politici”. Mentre Mantovano ha detto di “non vedere tutti questi conflitti” e di ritenere che nel nuovo codice l’autorità abbia “un ruolo coerente con la sua funzione” anche se “erano previste delle prerogative che poi sono state eliminate nel testo varato dal Cdm”.
Il terzo passaggio che era finito nel mirino di Busia è stato invece modificato in extremis prima dell’arrivo del testo sul tavolo dei ministri: imponeva all’Anac di coordinarsi con la cabina di regia di Palazzo Chigi limitandone l’indipendenza dell’autorità.
Torna in grande stile l’appalto integrato
Il testo conferma il ritorno dell’appalto integrato, cioè l’affidamento di progettazione ed esecuzione dell’opera allo stesso soggetto, previsto dalla famigerata legge Obiettivo del governo Berlusconi definita “criminogena” dall’ex presidente Anac Raffaele Cantone, riportato in vita con alcuni paletti dal decreto Sblocca cantieri del Conte 1 e confermato dal decreto Semplificazioni di Draghi.
All’ultimo minuto il testo del Consiglio di Stato, che lo limitava agli “appalti di lavori complessi” e ad opere di importo superiore a una soglia da stabilire, è stato modificato eliminando tutti quei paletti. Non sarà applicabile solo alla manutenzione.
L’aggiudicazione avverrà con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, cioè scegliendo quella che ha il miglior rapporto qualità/prezzo. La stazione appaltante dovrà tener conto del “rischio di eventuali scostamenti di costo nella fase esecutiva rispetto a quanto contrattualmente previsto”, visto che quando il progettista e l’esecutore coincidono il prezzo in corso d’opera tende a lievitare con il “gioco” delle varianti.
Liberi tutti per i Comuni
Il nuovo articolo 62, modificato su richiesta dell’Anci, dispone che “tutte le stazioni appaltanti (…) possono procedere direttamente e autonomamente all’acquisizione di forniture e servizi di importo non superiore alle soglie previste per gli affidamenti diretti (140mila euro ndr), e all’affidamento di lavori d’importo pari o inferiore a cinquecentomila euro, nonché attraverso l’effettuazione di ordini a valere su strumenti di acquisto messi a disposizione dalle centrali di committenza qualificate e dai soggetti aggregatori”. Nel Codice attuale le soglie sono molto più basse: 40mila euro per l’acquisizione di beni e servizi, 150mila per i lavori. Oltre quelle cifre occorre ottenere la qualificazione.
Il subappalto senza limiti
La normativa europea non prevede limiti ai subappalti. Tanto che nei confronti dell’Italia, in cui fino al 2020 c’era il divieto di subappaltare lavori per un valore superiore al 30% del valore dell’opera, sono state aperte procedure di infrazione.
Il decreto Semplificazioni del governo Draghi ha prima innalzato e poi cancellato il limite. Il nuovo codice non solo conferma l’eliminazione del tetto, ma introduce anche la possibilità di “subappaltare il subappalto” con la sola eccezioni delle prestazioni e lavorazioni esplicitamente indicate dalle stazioni appaltanti tra quelle che “non possono formare oggetto di ulteriore subappalto, in ragione delle specifiche caratteristiche dell’appalto e dell’esigenza, tenuto conto della natura o della complessità delle prestazioni o delle lavorazioni da effettuare, di rafforzare il controllo delle attività di cantiere e più in generale dei luoghi di lavoro o di garantire una più intensa tutela delle condizioni di lavoro e della salute e sicurezza dei lavoratori oppure di prevenire il rischio di infiltrazioni criminali”.
L’affidatario resta responsabile in solido rispetto all’applicazione da parte dei subappaltatori del “trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni”.
Le clausole sociali
Dopo il corto circuito andato in scena la scorsa primavera al momento dell’approvazione della delega, le proteste dei sindacati e il successivo ripensamento, restano le tutele per i lavoratori nei cambi di appalto. In base al nuovo articolo 57 i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti dovranno contenere “specifiche clausole sociali con le quali sono richieste, come requisiti necessari dell’offerta, misure orientate tra l’altro a garantire la stabilità occupazionale del personale impiegato, nonché l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore, tenendo conto (…) di quelli stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e di quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente, nonché a garantire le stesse tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell’appaltatore e contro il lavoro irregolare”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Dicembre 16th, 2022 Riccardo Fucile
AMMETTE DI NON AVERE PROVE, MA ADOMBRA LE IPOTESI CHE LE ONDATE MIGRATORIE SIANO GESTITE DA SERVIZI SEGRETI STRANIERI
A Piazza del Popolo è andato in scena un pirotecnico “Matteo Piantedosi show”. Il ministro “complottista”. Una performance politico-mediatica a tutto campo, quella che ha avuto come protagonista assoluto il titolare del Viminale. Allude, adombra, anticipa, avverte, minaccia. E rilancia la guerra alle Ong.
Se da un lato Piantedosi annuncia per le prossime settimane, da parte del governo Meloni, “nuovi provvedimenti di carattere amministrativo nei confronti di imbarcazioni private”, ovvero delle Ong che operano nel Mediterraneo; dall’altra, dal palco della festa per i dieci anni di Fratelli d’Italia in corso a Roma, allude, pone dubbi e lancia accuse.
Che ha detto? “Per avvalorare che ci siano servizi segreti stranieri che fossero già attivi” per influenzare non solo la politica italiana, magari indirizzando delle ondate migratorie in particolare verso l’Italia “ancora non abbiamo evidenze”, afferma il ministro dell’interno rispondendo ad una domanda di Maurizio Belpietro. Che poi prosegue: “Io non vorrei sembrare ossessionato da questo tema, ma il concetto di Organizzazione non governativa è nato nello sviluppo di politiche di contrapposizione a governi non democratici”, ma in presenza di governi democraticamente eletti, osserva Piantedosi, ad attività come “il salvataggio delle persone in mare, la gestione dei processi migratori deve provvederci lo Stato”.
“Non c’è bisogno che ci siano organizzazioni che poi molto spesso, e di questo abbiamo qualche evidenza, – sottolinea – conformano la loro azione per fini che hanno una deviazione rispetto a quelle che sono gli obiettivi dichiarati, come quelli umanitari o della salvezza della vita persone in mare”. “Noi di questo ne abbiamo avuto evidenza”, ribadisce. L’accusa resta vaga. “C’è il sospetto, e di questo mi assumo la responsabilità di dirlo, che talune formazioni che partecipano a questo mondo siano inspirate, io non so ancora se per l’effetto di qualche intervento di qualche servizio segreto, o anche solo per l’ambizione di condizionare le politiche pubbliche di Paesi come l’Italia, in qualche modo a creare meccanismi di condizionamento, non lo dice il modestissimo ministro dell’Interno del momento, ma lo dicono studi di qualche anno fa che hanno addirittura definito questi fenomeni come ‘armi di migrazione di massa’, quindi dobbiamo stare attenti”.
Piantedosi quindi continua: “Noi, al di là delle notizie che arrivano e sulle quali non mi sono state ancora trasferite delle evidenze siamo molto attenti, perché non mi stupirebbe se il protagonismo anche politico che alcune organizzazioni hanno manifestato nel voler condizionare le politiche migratorie nel nostro Paese, fosse un anello di una catena più grande gestita da qualcuno che possa avere un interesse ad utilizzare la migrazione incontrollata come un elemento di destabilizzazione del quadro politico, sociale ed economico del nostro Paese”.
Per Piantedosi “un governo che si rispetti deve avere il governo di questi fenomeni”. Ma come? “L’Italia ha delle debolezze strutturali, perché ha un confine marittimo molto esteso, illuderemmo le persone se dicessimo che siamo in grado di tirare su dei muri”.
Il ministro dell’Interno ripercorre anche la recente vicenda della nave Ocean Viking. “Io sono rimasto persino un po’ stupito. Noi non abbiamo fatto nulla che volesse segnare una rottura con la Francia. La vera cosa inquietante di quanto accaduto, sottaciuta dall’opinione pubblica francese e nazionale, è che avendo quella nave fatto quello che ha voluto, nel momento in cui avrebbe potuto forzare la mano, decise di andare in Francia. Chiudo con una domanda: non è che l’obiettivo di quella nave era di creare un attrito, una destabilizzazione politica con la Francia?”.
Applausi convinti dalla platea. Lo show è finito.
Il ministro soddisfatto. E pure Belpietro.
(da Globalist)
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Dicembre 16th, 2022 Riccardo Fucile
IL PRINCIPE DI TURINGIA A CAPO DEL GRUPPO DI COMPLOTTARI CHE PROGETTAVA UN ATTACCO AL PARLAMENTO TEDESCO, ERA STATO RICEVUTO NEL CONSOLATO RUSSO DI LIPSIA
Il contatto con i russi c’è stato. Heinrich XIII Prinz Reuss, l’aristocratico tedesco accusato di aver organizzato una rete cospirativa di estrema destra che pianificava l’assalto armato al Bundestag e il sovvertimento dell’ordine costituzionale, ha incontrato diplomatici di Mosca in Germania.
Secondo gli investigatori tedeschi, è stato lo stesso principe ad avvicinare il consolato generale della Russia a Lipsia, grazie ai buoni uffici della sua convivente, una cittadina russa identificata come Vitalia B.
L’incontro è poi avvenuto durante un ricevimento nella sede diplomatica, in occasione della festa nazionale russa, al quale Heinrich XIII e la donna erano stati invitati. Una fonte dell’ambasciata russa di Berlino ha negato che diplomatici di Mosca abbiano avuto contatti consapevoli o ufficiali con persone legate alla rete golpista, ma non ha voluto commentare l’incontro nel consolato in Sassonia.
Anche se dalle intercettazioni non ci sono indizi concreti che la Russia abbia offerto appoggio all’organizzazione eversiva, l’iniziativa di Heinrich XIII, che avrebbe dovuto guidare un governo di salute pubblica sostenuto da una struttura militare, conferma che gli aspiranti golpisti cercavano a Mosca una sponda d’appoggio.
Secondo il deputato cristiano-democratico Günter Krings, l’incontro è un «segnale d’allarme» e bisogna subito verificare che «tipo di contatti erano stati stabiliti tra l’organizzazione e le autorità russe». La retata del 7 dicembre ha portato in carcere 25 persone, arrestate in undici Länder tedeschi, in Italia e in Austria.
Il gruppo, oltre 50 accusati, aveva compilato liste di esponenti politici, giornalisti e altre figure pubbliche da uccidere o arrestare. Uno degli aspetti più curiosi dell’indagine è la passione per l’esoterismo e l’astrologia di molti membri della rete golpista, di cui fra gli altri erano parte un giudice, alcuni ex ufficiali delle forze speciali e della polizia, un cuoco stellato e un medico.
(da il Corriere della Sera)
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Dicembre 16th, 2022 Riccardo Fucile
NEL 2017 ENRICO COSTA, MINISTRO DEGLI AFFARI REGIONALI CON IL GOVERNO RENZI, CHIAMÒ NORDIO A CAPO DI UNA COMMISSIONE PER RISCRIVERE L’ABUSO D’UFFICIO
Ancora qualche settimana, e poi si parte con la prima delle riforme targate Carlo Nordio. Si comincia a gennaio con la riforma dei reati contro la pubblica amministrazione, ovvero «abuso d’ufficio» e «traffico di influenze». È una riforma molto attesa dai sindaci italiani, di destra come di sinistra, ma è considerata soprattutto una riforma che secondo il governo dovrà facilitare i processi decisionali, e per primi quelli collegati al Pnrr. A seguire, nei mesi successivi, verrà una stretta ulteriore sulle intercettazioni.
Il ministro Guardasigilli avrebbe idee radicali su questi due reati contro la pubblica amministrazione. Fosse per lui, li abolirebbe entrambi. Ma così non sarà. L’idea di eliminare del tutto l’abuso di ufficio non convince i partiti di maggioranza; quindi sarà riscritto. Quanto al traffico di influenze, era una richiesta dell’Unione europea e perciò Nordio, a malincuore, è costretto a tenersi il reato. Ma non così com’ è. «L’Ue – ha detto in una intervista recente al Corriere della Sera – non ha chiesto una norma inadeguata che manca di tassatività e specificità, facendo sì che tutti possano essere indagati ma quasi nessuno condannato».
È lo stesso vizio di origine che riscontra con l’abuso di ufficio. Secondo Nordio il reato va scritto meglio, perché ne va della «paralisi amministrativa», ovvero la paralizzante paura della firma che sta bloccando gli enti locali. E secondo le stime che circolano dentro il governo, la sola paura della firma, detta «burocrazia difensiva», costa 2 punti di Pil all’anno.
«Tutto il sistema di questi reati evanescenti – ha detto qualche giorno fa in Parlamento – rendono inerti sindaci, pubblici amministratori e altri pubblici ufficiali. Non per paura della condanna. Abbiamo le statistiche: 5430 processi in un anno, 22 condanne. Zero virgola zero. Però nel frattempo si ottengono dimissioni, estromissioni, fine di carriere politiche attraverso la strumentalizzazione di queste indagini».
Quando parla di «strumentalizzazione», il Guardasigilli fa riferimento alle manovre dei nemici politici di un sindaco, «ma ancor prima quelle degli “amici”». Perché è quando arriva un avviso di garanzia a un sindaco, che gli “amici” lo consigliano caldamente di farsi da parte finché la magistratura non abbia finito le indagini.
Con il che, sono carriere finite.
Per venirne a capo, il ministro ha intenzione di delineare meglio i confini tra il lecito e l’illecito. I due reati di abuso d’ufficio e traffico di influenze infatti «vanno rimodulati», si è confidato. Vuole «maggiore tassatività e maggiore specificità», che sono i due connotati deboli. «Queste fattispecie sono evanescenti – ripete spesso – e sottopongono i sindaci alle note criticità».
Sono idee che Nordio ha espresso anche nel recente incontro con i vertici dell’Associazione comuni italiani. I sindaci gli chiedevano di liberarli dalla paura di questo reato così vago. Lui ha fatto capire che non vede l’ora. D’altra parte era il 2017 quando Enrico Costa, oggi vicesegretario di Azione e responsabile giustizia per il Terzo Polo, allora divenuto ministro degli Affari regionali con il governo Renzi, chiamò Nordio a capo di una commissione per riscrivere questo reato così sfuggente. E Nordio all’epoca sostenne che il reato non era riformabile «perché se ci fosse un passaggio di soldi allora sarebbe una corruzione, altrimenti non c’è niente».
Costa era d’accordo, e continua a considerare l’abuso d’ufficio uno «strumento usato dall’opposizione per fare esposti temerari» i quali nelle mani dei giudici finiscono per stroncare vite politiche. Al ministero, infine, c’è un viceministro, il forzista Francesco Paolo Sisto, che si considera il «massimo esperto» della materia, avendo difeso da avvocato almeno 300 amministratori locali.
«Eliminare il reato – ragionava nei giorni scorsi – è difficile. Rimodularlo è doveroso: si potrebbe eliminare l’abuso d’ufficio “di vantaggio”, la fattispecie più insidiosa per la contestazione». Ancora Nordio ieri ha nominato il procuratore aggiunto dell’antimafia, Giovanni Russo, capo del Dipartimento che amministra le carceri, al posto di Carlo Renoldi, il consigliere di Cassazione voluto da Cartabia, che aveva criticato ergastolo ostativo e 41 bis.
(da la Stampa)
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Dicembre 16th, 2022 Riccardo Fucile
IL LEGHISTA AVEVA CRITICATO “UNO SCIOPERO IDEOLOGICO CONTRO IL GOVERNO”
Lo sciopero del settore dei trasporti indetto per la giornata di oggi, venerdì 16 dicembre, da Cgil e Uil fa scoppiare un duro scontro a distanza tra il leader della Lega e ministro dei Trasporti Matteo Salvini e il segretario della Cgil Maurizio Landini.
«Grazie al buonsenso di Cisl, Ugl e dei loro iscritti. Non sostenendo uno sciopero immotivato e ideologico contro il governo, non complicheranno la giornata a milioni di lavoratrici e lavoratori. Col dialogo si affrontano e risolvono i problemi, con lo scontro ideologico no», aveva affondato il colpo il leader del Carroccio stamattina
Non meno graffiante la risposta poche ore dopo di Landini dalla manifestazione in piazza a Roma: «Non avendo mai lavorato forse Salvini non ha mai avuto il problema di scioperare», ha contrattaccato il sindacalista, difendendo le ragioni dello sciopero.
«Le persone che ci rimettono il salario non scendono in piazza per ragioni politiche, lo fanno quando vedono che la loro condizione peggiora e il governo va da un’altra parte. Salvini dovrebbe interrogarsi sul fatto che questa manovra non aumenta il salario dei lavoratori, peggiora la precarietà, non interviene sulle pensioni. E Quota 103 è un’ulteriore presa in giro», ha detto Landini, certificando lo scontro totale tra i due, che pure negli anni passati avevano intrattenuto rapporti politici non ostili, con la Lega tra i partiti piu’ votati secondo le rilevazioni dagli iscritti Cgil.
Una fase forse che i due leader paiono oggi mettersi alle spalle.
(da agenzie)
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Dicembre 16th, 2022 Riccardo Fucile
CARFAGNA: “SENZA RISORSE QUESTA RIFORMA E’ UNA PORCATA”
Entro un anno la rivoluzione del federalismo à la carte, cioè dell’autonomia differenziata, sarà realtà. Parola del ministro degli Affari regionali e dell’Autonomia, il leghista Roberto Calderoli, che si è auto soprannominato il “caterpillar”. E perciò in manovra sarà varata una “cabina di regia” per stabilire i Livelli essenziali di prestazione.
I Lep sono la condizione per non fare dell’Italia uno spezzatino. Sono i diritti essenziali – dalla sanità alla scuola alle infrastrutture e trasporti – che devono essere garantiti da Milano a Potenza, dappertutto nel Paese, mentre la riforma regionalizza. E se i Lep non saranno varati in tempo utile, in sei mesi, dalla “cabina di regia”, allora se ne occuperà un commissario.
Calderoli ha illustrato ieri il meccanismo in commissione Affari costituzionali a Montecitorio. Un altro passo verso la strada del federalismo che tanto sta a cuore alla Lega. Calderoli ribadisce: in un anno si cambia. Ed è scontro. Pd, M5S e Sinistra-Verdi annunciano le barricate nel merito e nel metodo. “Non si può espropriare il Parlamento, né fare i Lep con i fichi secchi, ovvero senza risorse “: dice Peppe Provenzano, il numero due del Pd, ex ministro della Coesione.
L’allarme di Roma
Cosa significhi il federalismo à la carte in termini di organizzazione dello Stato lo ha calcolato Il Messaggero per quanto riguarda l’impatto sui ministeri e quindi su Roma: una drastica riduzione dei posti di lavoro, ministeri snelliti, fino al 20% di lavoratori in meno ad esempio, per quello dell’Istruzione. E’ la regionalizzazione della scuola del resto uno dei tasti più delicati, se davvero l’autonomia differenziata dovesse prevedere che programmi e personale scolastico siano gestiti dalle Regioni che chiederanno il federalismo à la carte, con Veneto, Lombardia e Piemonte in testa.
“Insistere sull’autonomia differenziata è dannoso per Roma e il Lazio. Si rischiano di perdere migliaia di posti di lavoro con conseguenze negative sulle famiglie e sulle imprese in modo particolare per il tessuto medio e piccolo. Si rischia la desertificazione della capitale”, lancia l’allarme Alessio D’Amato, candidato del Pd alla presidenza della Regione Lazio. “È un provvedimento che non può passare”.
Lo scontro in commissione
Provenzano accusa, in un botta e risposta con Calderoli in commissione, contestando le risorse che non ci sono e perciò una cristallizzazione delle disuguaglianze del Paese: “Lei, ministro Calderoli, rischia nei fatti di cambiare il nome del suo ministero in ministero delle Disuguaglianze. Il Parlamento non ha potuto ancora esaminare le bozze di cui si discute”. E ancora: la sua sembra una “riedizione dello spirito secessionista per cui una Regione può ad esempio definire i programma scolatisci, scegliersi gli insegnanti magari sulla base della residenza…così si mina il principio fondativo dell’unità nazionale”. Elly Schlein, candidata alla segreteria del Pd, definisce la riforma “pericolosa”. Dice: “Signor ministro, non mi ha convinta. Sa come la penso sull’approccio pericoloso a questa materia, sul tentativo di scavalcare il Parlamento, sulla determinazione dei livelli essenziali di prestazione che trattano dei diritti fondamentali delle persone, sull’accesso alla sanità, alla scuola”. Ha rinacarato: “La novità della “cabina di regia” per i Lep è contraria alla Costituzione, che ci impone di discutere in Parlamento dei diritti fondamentali. Come si pensa di ricucire i divari e non dividere il Paese? La questione meridionale non è del Sud ma nazionale. Ci si rialza se si ha la cura di tendere la mano a chi sta facendo più fatica e non facendo a chi corre di più”. Per il Terzo Polo, Mara Carfagna ex ministra del Sud, definisce la prospettiva “una nuova porcata” se i Lep non avranno risorse a disposizione.
Rilancia Filiberto Zaratti dei Verdi che l’articolo 143 della manovra (appunto sulla “cabina di regia”) proprio non va: “L’autonomia differenziata è il progetto “Spacca Italia”, su cui il Parlamento non si è pronunciato perché è stato esautorato. E’ uno scippo. La “cabina di regia” sui Lep, prevista nella manovra economica, stabilisce addirittura che il ministro diventi un commissario per la definizione dei Livelli essenziali di prestazione: come se i diritti sociali e civili da garantire a tutti i cittadini italiani, a prescindere da dove risiedano, siano una vicenda amministrativa”.
Il ministro Calderoni conferma che, nel primo semestre del 2023, si parte con l’attuazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, l’autonomia differenziata appunto, sulla base di intese tra le Regioni che lo chiederanno e lo Stato, e con la determinazione dei Lep.
Complessivamente un anno prima che la riforma entri in funzione, stabiliti i costi e fabbisogni standard. Di fare il commissario se la “cabina di regia” fallisse, Calderoli dichiara di non averne nessuna intenzione. E aggiunge che il commissariamento si augura possa essere soltanto una minaccia per fare rispettare i tempi certi per i Lep che “garantiranno diritti sociali e civili in tutta Italia”. Il Parlameno poi sarà pienamente coinvolto: assicura. “Il vero obiettivo di Calderoli è il commissariamento”, denuncia la grillina Carmela Auriemma in commissione.
(da La Repubblica)
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Dicembre 16th, 2022 Riccardo Fucile
KABBAKHI A PRANZO CON MATTEO: PAGAVA IL SUO BRACCIO DESTRO PER AVERE BUONA STAMPA… IL CAPO DEGLI 007 MAROCCHINO E’ L’EX COGNATO
Il capo degli 007 marocchini che per gli inquirenti belgi corrompeva i politici del centrosinistra nel Parlamento europeo è l’ex cognato dell’uomo che andava a pranzo a Milano con Matteo Salvini e pagava il suo braccio destro, Gianluca Savoini, per avere buona stampa.
Non solo: per loro organizzava trasferte a Rabat, dopo le quali il leader leghista si sperticava in lodi sul Marocco.
Lo stesso che oggi giubila sulle inchieste altrui: “Da anni infangano la Lega cercando rubli (che non ci sono) con articoli, inchieste e commissioni, ma allo stesso tempo gli passavano sotto il naso milioni di euro in corruzione dai Paesi islamici”.
Tre anni fa, il Fatto rivelò i meccanismi con cui il Regno del Marocco abbordava politici e media europei per orientarli favorevolmente ai propri interessi. E portavano però a casa della Lega. Non si trattava, come detto, di garantirsi atti politici favorevoli, bensì articoli che mettessero in buona luce il regno di Mohammed VI, a volte superando la soglia che la realtà dei fatti avrebbe consentito.
A dirigere le operazioni era Mohammed Khabbachi, emissario del re per le attività di lobby su scala europea nonché direttore dell’agenzia di stampa Map. Khabbachi è legato a doppio filo all’uomo che oggi la Procura di Bruxelles indica a capo delle “operazioni di influenza” sulle istituzioni comunitarie: Yassine Mansouri, numero uno della Direzione generale degli Studi e documentazione (gli 007 marocchini), ex cognato dello stesso Khabbachi e come lui in passato a capo della Agenzia di stampa marocchina Map.
L’inchiesta del Fatto rivelò come nel 2016 Khabbachi si adoperò per avere a pagamento, buona stampa in Italia, attraverso Gianluca Savoini e l’agenzia Agielle, di cui l’allora braccio destro di Salvini era direttore editoriale. Una ricostruzione contestata da Khabbachi con una causa civile ancora in corso, che il nostro giornale si sente di confermare.
Secondo El Mundo, la stessa agenzia Map è vicina ai Servizi segreti marocchini: “Un esercito di spie”, titolava nel 2005, denunciando come tale legame fosse finalizzato a condizionare l’informazione non allineata al regime. Il quotidiano spagnolo fu querelato da alcuni giornalisti dell’agenzia diretta da Khabbachi, ma la Corte suprema spagnola stabilì che i rapporti tra Map e Servizi erano “sufficientemente provati”.
L’attività di lobby di Khabbachi, che per l’Italia aveva come terminale Savoini, era stata preceduta da una missione leghista a Rabat nell’ottobre 2015 a cui, assieme a Savoini, aveva preso parte anche Salvini. La delegazione leghista incontrò, tra gli altri, un magnate della tv e i ministri dell’Immigrazione e dei Lavori pubblici. Gli onori di casa li fece proprio Khabbachi, che poi incontrò di nuovo Savoini e Salvini a pranzo a Milano, al ristorante “Gli orti di Leonardo” garantendosi l’accordo per “buona stampa” tramite Agielle. I frutti degli incontri di Rabat si videro già all’indomani della missione africana. Sulla via del ritorno, il 1º novembre 2015, Salvini twitta che il Marocco “è una terra stupenda” dove – rimarcò al Corriere – “bisogna investire”. Parole ben diverse da quelle che ha fatto girare ieri nella chat degli eletti della Lega, e dalle proteste per l’esclusione dei loro “emendamenti alla risoluzione sul Qatargate” per “accertare le responsabilità politiche” e “una revisione stringente delle norme sulle Ong”: “La sinistra, ovvero quella stessa famiglia politica al centro dello scandalo internazionale – scrive Salvini – si è opposta. Cosa nascondono? Perché questa difesa a oltranza delle Ong e al loro oscuro modus operandi?”.
Ma chi pagò il viaggio di Salvini&C. alla corte di re Mohammed VI? “Pagavano i marocchini, almeno così mi è stata venduta”, rispondeva tre anni fa al Fatto uno dei partecipanti al tour in Marocco, Claudio Giordanengo, dentista di Paesana (Cuneo) che ai tempi si presentava come responsabile esteri della Lega. “Io non ho visto nessun conto, non ho dovuto prendere il biglietto aereo né niente. Sono stato completamente e totalmente spesato”. Proprio come i viaggi gratis a Rabat che gli inquirenti di Bruxelles contestano all’ex eurodeputato del Pd Panzeri.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Dicembre 16th, 2022 Riccardo Fucile
NON BASTANO GLI IMMIGRATI PER INVERTIRE LA TENDENZA… CAMBIANO ANCHE LE PROSPETTIVE DI VITA
Settantun anni fa, nel 1951, in Italia per ogni bambino o ragazzo sotto i 15 anni c’era meno di una persona con 65 anni o più. Nel 2021 ce ne sono 5,4 (ed erano già 3,8 nel 2011). Questo dato, tratto dall’ultimo rapporto Istat sul censimento permanente, sintetizza bene la radicalità, e velocità, del mutamento demografico avvenuto nell’arco di una generazione: quella degli attuali nonni, rispetto a quella degli attuali nipoti. Un mutamento che riguarda la struttura per età non solo della popolazione, ma anche della famiglia e della parentela, quindi anche l’esperienza del crescere e dell’invecchiare. Avere uno o più nonni/e alla nascita e lungo tutto il periodo della crescita è diventato più comune che avere fratelli o sorelle, specie più d’uno, ed anche i cugini si sono fatti più rari. Nonostante il progressivo dilazionamento della nascita del primo figlio, è diventato altamente probabile diventare genitori avendo ancora uno o più nonni, soprattutto nonne, viventi, così come diventare bisnonni prima di morire.
Il processo di invecchiamento della popolazione, così come la sua riduzione numerica (fortemente accelerata dall’incremento della mortalità dovuto al Covid nel 2020 e ancora nel 2021) è parzialmente rallentato dal contributo degli stranieri. Questi sono, infatti, mediamente più giovani, il che implica anche che tra loro la presenza di chi è in età riproduttiva è maggiore che nella più anziana popolazione italiana. Ma questo contributo, dopo anni di progressivo aumento, sta riducendosi, sia perché il loro numero è in diminuzione, sia perché anche il loro tasso di fecondità tende a ridursi, avvicinandosi a quello degli italiani. La diminuzione della presenza di stranieri regolarmente residenti, che incidono per l’8,5% della popolazione censita, può sembrare una buona notizia a chi ha paura di una invasione. Non lo è sicuramente sul piano demografico e della disponibilità di lavoratori e lavoratrici in molti settori e persino del bilancio pubblico, stante che è dimostrato che i residenti stranieri regolari, con la loro età mediamente giovane, sono contributori netti al bilancio pubblico, nel senso che pagano imposte e contributi per un valore maggiore di quanto ricevono sotto forma di trasferimenti e servizi
Se si vuole davvero rallentare un processo di invecchiamento senza ritorno occorre mettere in grado i giovani – autoctoni o stranieri che siano – di avere un orizzonte di sicurezza economica ragionevole almeno di medio periodo, di conciliare l’impegno lavorativo con la presenza di responsabilità di cura, assicurandoli anche che il destino dei loro figli non dipenderà esclusivamente dalle loro risorse, perché avranno accesso all’istruzione, alla cultura, allo sport, ovvero alle necessarie risorse per lo sviluppo delle capacità a prescindere da dove e da chi sono nati. Sono tutte condizioni che troppo spesso mancano, inducendo a posticipare la scelta di avere un figlio, o rinunciare, per chi lo desidererebbe, ad averne uno in più.
Declino demografico e rapido invecchiamento della popolazione hanno conseguenze sul piano non solo dei costi economici e sociali (sanità e pensioni) ma anche degli stessi equilibri familiari, dove i bisogni di cura in età anziana possono eccedere la disponibilità dei (più spesso delle) potenziali caregiver. È anche una fra le cause della scarsa disponibilità all’innovazione, non sono tecnologica, ma di visione del mondo e di definizione delle priorità. Ne è un indizio la ricerca del consenso di quei politici e partiti pronti a indebitare sempre più le generazioni future con regali pensionistici a favore di alcune categorie di anziani (vedi quota 100 prima e ora 103) o agitando la bandiera dello smantellamento della riforma Fornero che, se non altro, aveva il merito di introdurre un po’ di equità intergenerazionale.
Il dato positivo è che all’invecchiamento della popolazione si accompagna un innalzamento del suo livello di istruzione, perché nella successione delle coorti di età e delle generazioni aumenta progressivamente il numero di chi rimane a scuola più a lungo. Rispetto al 2011, sono diminuiti gli analfabeti (che però costituiscono ancora lo 0,5% della popolazione), le persone che sanno leggere e scrivere ma non hanno concluso un corso regolare di studi e quelle con la licenza di scuola elementare e di scuola media. Sono viceversa aumentati i diplomati e i laureati, anche se, con il solo 13% di laureati, l’Italia rimane tra i paesi europei e Ocse tra quelli a più bassa istruzione della sua popolazione, un fenomeno che non riguarda solo gli anziani, ma anche le generazioni più giovani, con una intensità maggiore nel Mezzogiorno, forse anche perché i laureati di queste regioni tendono più spesso dei loro coetanei a emigrare vuoi verso le regioni del Nord, vuoi all’estero, in cerca di opportunità che non trovano dove sono nati e spesso hanno anche studiato. È un fenomeno che impoverisce ulteriormente il Mezzogiorno, ma che non è certo colpa di chi emigra.
Utilizzando i dati delle anagrafi, quindi non della rilevazione tramite questionario, il censimento offre anche alcuni dati su tre gruppi di popolazione che non vivono in abitazioni “standard”: a) le persone che vivono in collettività (Rsa, case di riposo, istituti religiosi, strutture di accoglienza per immigrati); b) quelle che risiedono in campi autorizzati o insediamenti tollerati e spontanei; c) le persone senza tetto e senza fissa dimora. Si tratta di un po’ meno di mezzo milione di persone, probabilmente sottostimate perché non tutti i senza dimora sono iscritti all’anagrafe della città in cui vivono e non tutti gli anziani in una Rsa vi risiedono anche da un punto di vista anagrafico.
(da la Stampa)
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