Dicembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
IN MEDIA IL 73% DELLA POPOLAZIONE DELL’UE È A FAVORE DEL SOSTEGNO ECONOMICO E MILITARE A KIEV, CON PICCHI DEL 97% IN SVEZIA E DEL 95% IN FINLANDIA. MENTRE NEL NOSTRO PAESE IL DATO SCENDE AL 63%
Dieci mesi dopo l’inizio dell’aggressione russa in Ucraina, il tasso di approvazione per il sostegno dimostrato dall’Ue a Kiev continua ad essere elevato.
È quanto emerge dall’ultima indagine Eurobarometro della Commissione europea. In tutti gli Stati membri, la maggior parte dei cittadini approva il sostegno dell’Ue: le percentuali più alte sono state registrate in Svezia (97%), Finlandia (95%), Paesi Bassi (93%), Portogallo (92%) e Danimarca (92%). In Italia, si sono detti favorevoli il 63% a fronte del 74% registrato in media a livello europeo.
Complessivamente, il 73% degli intervistati si dichiara a favore anche degli interventi messi in campo dall’Ue, quali le sanzioni contro il governo russo o il sostegno economico, militare e umanitario all’Ucraina, percentuale che scende al 62% in Italia.
L’indagine sottolinea come i cittadini abbiano avvertito chiaramente l’impatto della guerra in Ucraina. Proprio a causa del conflitto e delle sue conseguenze, sono circa due terzi i cittadini dell’Ue secondo i quali la loro vita cambierà (65%), in aumento di quattro punti percentuali rispetto all’indagine di aprile/maggio 2022.
(da agenzie)
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Dicembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
LA PALMA DEL MACCHIETTISMO SE LA CONTENDE CON VALDITARA E LA RUSSA
La palma del macchiettismo, tra le figure di questo governo (posto che Salvini è fuori gara, macchietta emerita), se la giocano in tre: il ministro all’altrui Istruzione e Merito Valditara, fautore dell’umiliazione (o umiltà: per lui sono equivalenti) per gli studenti indisciplinati; il presidente del Senato La Russa, promotore della mini-naja di 40 giorni per ragazzi che vogliano “partecipare alla vita militare, nel corpo degli alpini o in altri corpi, avere un addestramento” e “imparare cos’è l’amore per l’Italia”, convertibile in “punti” per la maturità o l’università (il chirurgo che ci deve operare alla colecisti, nel caso avesse saltato l’esame relativo per mini-arruolarsi per la Patria, può sempre prodursi in manovre di cecchinaggio, camuffamento e disinnesco di ordigni in sala operatoria); e Santanché, proprietaria dello stabilimento balneare dei vip in Versilia e quindi ministra del Turismo, che fa simpatia coi suoi filtri ringiovanenti su Instagram, tali che una volta, abusandone, ringiovanì sul televisore alle sue spalle pure la faccia di Draghi, di colpo ventenne.
Ieri la ministra al Twiga ha distaccato i concorrenti: all’assemblea di Confesercenti ha lanciato la “provocazione” di mettere a gara le spiagge libere “per evitare l’arrivo in questi lidi di tossicodipendenti e rifiuti” (sui lidi dei ricchi non ci sono tossicodipendenti, semmai clienti facoltosi), esortando invece a metterci il cuore in pace sulle gare pubbliche per l’assegnazione di concessioni demaniali già date (o prese), tra le quali incidentalmente la sua (grave “cambiare i patti in corso, le imprese hanno bisogno di stabilità”).
Poi se l’è presa col Rdc, che sottrae manodopera ai suoi colleghi balneari facendo concorrenza sleale ai loro salari da fame.
Il Twiga, dove una “experience indimenticabile” nella “tenda araba” costa 700 euro al giorno, nel 2021 ha fatturato 6 milioni di euro pagando allo Stato 17mila euro di canone, roba che persino il suo socio Briatore s’è vergognato; perciò Santanché teme l’arrivo sulle spiagge delle concorrenziali multinazionali, la qual cosa le smuove dentro tutto un sovranismo gastro-emotivo: “Mi fa sentire male l’idea: pensate se non potessimo più mangiare i nostri spaghetti alle vongole o la nostra parmigiana di melenzane” (sic).
In attesa di questi stranieri che ci tolgono il cibo autarchico di bocca per ingozzarci di piatti fusion, al Twiga il menù prevede ceviche di tonno, guacamole con chips di Platano, polpo Teriyaki, sushi e sashimi. Tutti uguali, i liberisti alle vongole: il mercato libero gli piace solo con la roba nostra.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Dicembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
PER L’ACCORDO PD-M5S MANCA SOLO L’ANNUNCIO
Il via libera di Giuseppe Conte c’è. Manca solo qualche piccolo dettaglio – giurano le parti – e l’accordo è fatto. Di colpi di scena – e di lungaggini – in queste settimane se ne sono visti parecchi, ma oggi dovrebbe essere il giorno del patto tra la coalizione di centrosinistra che sostiene la candidatura alle Regionali di Pierfrancesco Majorino e il Movimento 5 Stelle. Dopo aver trovato la quadra sul pacchetto di temi e contenuti presentato dai pentastellati, l’alleanza ci sarà. Via libera sulle infrastrutture, sulla sanità, sull’ambiente, sul lavoro e – ultimo scoglio – anche sull’agricoltura.
Sono stati giorni e ore di trattative serrate con al centro questioni non proprio di secondo piano: la dismissione dei termovalorizzatori obsoleti – che preoccupa alcuni sindaci del Pd – , l’approccio da condividere sulla realizzazione di nuove strade e arterie regionali strategiche, la questione degli allevamenti intensivi in alcune zone della Lombardia. È evidente che il continuo rimandare a cui si è assistito in questi giorni sia stato condizionato anche dal capitolo liste: perché inglobare il M5S in coalizione significa anche lavorare sugli equilibri tra i candidati dei partiti. E il labor limae elettorale, si sa, richiede tempo. Non appena l’accordo sarà ufficiale, ci sarà un altro passo da fare: gli iscritti al Movimento dovranno votare il pacchetto sulla piattaforma. Una “formalità”, dicono i fiduciosi.
E ora che succede? L’ultimo nodo da sciogliere per dare il via alla composizione delle liste e per entrare nel vivo della campagna elettorale si chiama +Europa. Il segretario nazionale Benedetto Della Vedova è stato chiaro fin dall’inizio: “Se in coalizione c’è M5S noi non ci siamo”. La coerenza per Della Vedova è tutto, anche se gli esponenti regionali del partito, con il capogruppo al Pirellone Michele Usuelli in testa, stanno facendo i salti mortali per fargli cambiare idea. Ardua missione. Ecco perché si guarda già al dopo.
Che faranno adesso gli ex Radicali? L’ipotesi di un sostegno a Letizia Moratti con tanto di simbolo gira nei corridoi della Regione, ma il fatto che a livello nazionale i rapporti con Carlo Calenda ultimamente non siano rosei potrebbe influire. L’idea di correre da soli presentando un proprio candidato (suggestione: Marco Cappato) è lontana. Una soluzione potrebbe essere l’appoggio – senza simbolo – da parte di alcuni esponenti ad una possibile lista civica legata a Majorino. Anche se la lista è ancora tutta da costruire.
La domanda che qualcuno adesso si pone è questa: quanto influisce sulla corsa di Majorino un accordo con il M5S che sacrifica la leva moderata di +Europa? Pietro Raffa, amministratore delegato di MR & Associati, società che si occupa di comunicazione politica, la legge così. “Da un punto di vista numerico la bilancia pende a favore del M5S. Alle ultime Politiche i 5 Stelle in Lombardia hanno ottenuto infatti il 7,5 per cento, a fronte di un 3,75 di +Europa”.
A questo si aggiunge un dato politico: “La convergenza sui contenuti è un processo positivo e non scontato e il profilo di Majorino si sposa correttamente con un’alleanza che guarda al partito di Giuseppe Conte”. Così non si rischia però uno sbilanciamento a sinistra? “Il centro, in questa competizione a tre, è già abbondantemente occupato. Una scelta di coerenza come quella con il M5S regionale, ad oggi, è un passo naturale”.
(da La Repubblica)
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Dicembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
MELONI NON SI DECIDE DOPO IL FLOP MICHETTI
Attendere prego. Sarà per l’agenda fitta di impegni, anche internazionali. Sarà che non ha ancora individuato una figura in grado di convincerla appieno. Fatto sta che l’impasse del centrodestra sul candidato governatore nel Lazio ha un nome e un cognome precisi: Giorgia Meloni. Dopo la Sicilia assegnata a FI e la Lombardia confermata alla Lega, spetta difatti a Fratelli d’Italia scegliere chi per la coalizione dovrà provare a espugnare la Regione che non hai mai tradito il partito della premier, inesauribile granaio di voti anche quando altrove arrancava.
Solo che lei, la presidente del Consiglio da cui gli alleati ormai da settimane aspettano un cenno, non riesce a decidersi.
A due mesi dalle elezioni, Meloni fatica a risolvere il dilemma che, si racconta, le sta togliendo il sonno. Paralizzata dalla paura di ripetere ciò che accadde poco più d’un anno fa col tribuno delle radio capitoline, lanciato alle comunali dell’Urbe per dimostrare che FdI – allora all’opposizione – era capace di allargare, coinvolgere la società civile, sfondare i recinti dell’appartenenza identitaria. Afflitta, in sostanza, dalla “sindrome Michetti”, l’aspirante sindaco di Roma che perse rovinosamente nonostante la lotta fratricida a sinistra tra Gualtieri, Calenda e Raggi facesse presagire una facile vittoria.
Eccolo il motivo di tanto traccheggiare. Per dar prova d’avere una classe dirigente nuova, Meloni vorrebbe tentare un’operazione simile, ma è terrorizzata da un altro flop.
Mentre Forza Italia e Lega scalpitano, preoccupate per uno stallo che rischia di avvantaggiare gli avversari. Silvio Berlusconi glielo ha detto chiaro al telefono, qualche giorno fa: devi sbrigarti. Ricevendo rassicurazioni: presto vi sottoporrò una rosa di nomi. Tuttavia non ancora arrivata. Da qui la scelta, concordata con Salvini, di forzare: oggi il Carroccio aprirà la campagna elettorale per il Lazio all’Ergife, la stessa location affittata dagli azzurri per presentare, dopodomani, programma e lista. Una sorta di veglia senza però il candidato principale. Che – a tempo quasi scaduto – dovrebbe essere ufficializzato al più tardi sabato pomeriggio, quando la Sorella d’Italia chiuderà in piazza del Popolo la festa per il decennale del partito.
Il più accreditato sarebbe Francesco Rocca, il presidente della Croce Rossa già in predicato per il ministero della Salute. Preferito al gruppo di giovani ex amministratori – Paolo Trancassini già sindaco di Leonessa, Nicola Procaccini da Terracina e Chiara Colosimo – dati tutti in corsa per la nomination.
Chi di certo rimarrà deluso, pur essendosi detto disponibile, forte di sondaggi vincenti, è Fabio Rampelli, il mentore di Meloni. Destino amaro, il suo: estromesso non solo dal governo, ma pure dalle cariche di partito in virtù di una rottura consumata, si dice, già da qualche anno.
Lui avrebbe voluto strutturare FdI in correnti, assegnando il primato ai Gabbiani, il gruppo di Colle Oppio dove la premier ha mosso i primi passi da militante. La sua pupilla no, voleva plasmare i Fratelli come una falange compatta attorno a lei. Da qui la frattura, di cui il vicepresidente della Camera sta ora pagando il prezzo.
Ma Meloni potrebbe non aver fatto i conti con gli alleati. “Noi siamo in attesa di confrontarci”, avverte infatti Maurizio Gasparri, responsabile di Fi nel Lazio, “non credo che il nome della coalizione si possa annunciare in un comizio. FdI ha il diritto di esprimerlo, ma ricordo che si vota anche a Roma, sarà una campagna elettorale breve, in larga parte sotto Natale, e ci vogliono candidati immediatamente riconoscibili. Invito tutti a fare un giro in autobus e chiedere se conoscono quelli di cui si parla in questi giorni”. Lo spettro del Michetti bis è già realtà.
(da La Repubblica)
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Dicembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
RAGGIO D’AZIONE DI OLTRE 80 KM E 40 KM DI ALTEZZA, IL PAC-3 INTERCETTA I MISSILI BALISTICI
Si fa presto a dire Patriot. Da quarant’anni infatti sono state introdotte in servizio numerose versioni del sistema contraereo made in Usa, con prestazioni molto differenti ed è difficile valutare quale potrebbe essere l’impatto della sua consegna all’Ucraina senza conoscere il modello prescelto. Di sicuro, però, se Washington dovesse prendere questa decisione, si tratterebbe di un salto di qualità importante nel sostegno alla resistenza: diventerebbe l’arma statunitense più complessa e tecnologicamente evoluta fornita a Kiev.
Il MIM-104 è entrato in servizio nel 1984 e ha avuto il battesimo del fuoco nella “Tempesta del deserto”, la campagna del 1991 per la liberazione del Kuwait. Batterie semoventi furono trasferite in Arabia Saudita e in Israele per fermare i missili balistici Scud lanciati da Saddam Hussein. La propaganda lodò le capacità dei Patriot nell’abbattere gli ordigni della rappresaglia irachena: “Hanno concluso 42 a 41 – disse il presidente Bush senior usando il lessico sportivo -: su 42 missili ingaggiati ne hanno distrutti 41”.
La realtà però è stata molto meno entusiasmante. Lo scudo terra-aria era stato progettato per scoprire e intercettare gli aerei sovietici e solo secondariamente i missili, molto più veloci: il software mostrò diversi buchi di programmazione, oltre a veri e propri errori, che provocarono gravi incidenti. Proprio nell’ultimo giorno di guerra, un difetto nel computer non fece attivare la batteria di Patriot permettendo a uno Scud di centrare la mensa della base di Dhahran uccidendo 28 soldati statunitensi.
Difetti corretti rapidamente e poi, nel corso dei decenni, con cambiamenti radicali nella struttura del sistema, introducendo nuovi radar e missili potenziati. Raytheon ha costruito 1.100 lanciatori e oltre 10mila ordigni, venduti direttamente a quindici nazioni. Ogni missile pesa 900 chili e ha una testata con 90 chili di esplosivo: si dirige sui bersagli a una velocità pari a cinque volte quella del suono. L’ultima variante prodotta viene chiamata PAC-3 ed è stata disegnata per migliorare la capacità di intercettare i missili balistici, nel timore di un confronto con Iran o Corea del Nord. Una minaccia che i Patriot dislocati in Arabia Saudita hanno dovuto affrontare in concreto, duellando con le armi scagliate dagli Houthi yemeniti, spesso senza riuscire a scoprire il volo degli incursori o agendo troppo tardi per riuscire a fermarli.
Bersaglio fino a 80 km
Il PAC-3 ha un raggio d’azione di oltre 80 chilometri e può arrivare a 40 d’altezza. In genere ogni batteria mobile dispone di sei semoventi lanciatori, ciascuno con quattro armi, capaci di garantire una cupola protettiva intorno a una grande città.
Il possibile uso sulla linea del Dnipro e nel Donbass
“Il Patriot è nato come sistema antiaereo a lungo raggio e si è evoluto in uno strumento contro i missili balistici – commenta Pietro Batacchi, direttore di Rivista Italiana Difesa -. Non sarebbe utile impiegarlo a Kiev perché lì i russi usano i droni e missili da crociera, contro i quali ha dimostrato capacità limitate. Sarà invece efficace se lo useranno nelle aree operative – nel Donbass o lungo il fronte del Dnipro – dove può abbattere gli aerei e i missili russi che bombardano le posizioni dell’esercito ucraino”.
Il Pentagono potrebbe decidere di concedere dei modelli meno avanzati, per non correre il rischio che i ricognitori di Mosca studino le emissioni dei radar e preparino contromisure elettroniche. Uno dei fattori più rilevanti è però il tempo. Se anche la batteria fosse disponibile immediatamente, l’addestramento del personale ucraino richiederebbe almeno tre mesi: il Patriot è totalmente differente dagli apparati S-300 di concezione russa. Il secondo aspetto è il costo delle munizioni: ogni missile ha un prezzo di due milioni di dollari, cento volte superiore a quello dei droni iraniani scagliati contro l’Ucraina.
(da agenzie)
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Dicembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
FRODE FISCALE CON FINTE COOPERATIVE PER LA MANODOPERA
Una nuova inchiesta nel settore della logistica. E stavolta le società coinvolte sono due colossi francesi delle consegne: La Brt (ex Bartolini) e la Geodis, azienda internazionale leader nel settore dei trasporti e della logistica. La Guardia di Finanza, su ordine del pm Paolo Storari, ha sequestrato alle due società 102 milioni di euro (44 a Brt e il resto a Geodis). Le accuse, che vedono indagate le due società per frode fiscale e indebita compensazione di crediti inesistenti (solo per Geodis), riguardano il sistema di gestione della manodopera.
Indagato l’imprenditore Antonio Suma, ritenuto elemento di coordinamento tra le due società, il soggetto che ha fornito manodopera attraverso consorzi di cooperative intermediarie. “La frode in esame – si legge nel decreto firmato dal pm Storari – si caratterizza, in particolare, per la ricorrenza e l’elevato ammontare degli omessi versamenti Iva a carico delle società serbatoio”. Tra le accuse c’è anche quella di aver simulato “contratti d’appalto invece di contratti di somministrazione di manodopera”. Condotte che hanno “comportato ingentissimi danni all’erario” a partire almeno dal 2016. In totale sono sette gli indagati a cui si aggiungono le due società che sono entrambe controllate dallo Stato francese.
Nello specifico, la procura ipotizza un’interposizione fittizia di manodopera. “Lo scenario ipotizzabile – si legge nei decreti di sequestro – è quello secondo il quale i rapporti tra i soggetti coinvolti nella catena commerciale risultano formalizzati da contratti di appalto e di subappalto. Tali contratti quantomeno a livello dei subappalti, risultano simulati, schermando una pura somministrazione di manodopera. Il vantaggio della frode ipotizzata consiste nell’Iva non versata a monte dalle società serbatoio”. A farne le spese anche i lavoratori: “costretti a passare da una cooperativa all’altra, pena la perdita del posto di lavoro” e senza tutele.
Quella di oggi è la nuova puntata di una lunga serie di inchieste che puntano al settore delle consegne. Dopo Dhl e Gls, e oltre alla vicenda Schenker, nel mirino della procura che da mesi indaga in questo settore ci sono finiti ora i colossi francesi. Gli investigatori puntano sul sistema che vede i grandi operatori avvalersi di consorzi e cooperative che gestiscono la manodopera del settore: società piccole che spesso dichiarano bancarotta, con un travaso di lavoratori a una nuova società creata ad hoc. Un meccanismo che ha come prima, diretta conseguenza l’evasione dei contributi e delle tasse. “Un fenomeno caratterizzato dalla presenza di soggetti giuridici costituiti nella forma di cooperative, di consorzi o di società di capitali, che presentano una ingente forza lavoro e che fungono da meri serbatoi di manodopera” si legge nel decreto d’urgenza firmato dal pm Storari.
Prima nelle inchieste ci finivano gli amministratori delle cooperative e dei consorzi. Ora la procura punta ai committenti, ovvero le grandi multinazionali che si avvalgono questi “servizi”.
(da agenzie)
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Dicembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
“IL PARTITO DEI COMMISSARI NON MI RAPPRESENTA PIU'”
Ha aspettato qualche giorno, ma dopo il primo addio al gruppo regionale della Lega in Lombardia di tre suoi esponenti, tocca adesso a un altro nome forte: “Dopo quasi 32 anni che mi hanno visto appartenere a un solo partito, la Lega, ho deciso di aderire all’interno del Consiglio regionale al nuovo gruppo denominato Comitato Nord”.
A dirlo è il consigliere regionale leghista, Massimiliano Bastoni, che così diventa il quarto componente del nuovo gruppo Comitato Nord, che riprende il nome dalla corrente fondata da Umberto Bossi e che è formato da Antonello Formenti, Federico Lena e Roberto Mura.
Gli scissionisti della Lega: “Non siamo dei traditori. Salvini non accetta il dissenso”
“La mia scelta viene dopo alcuni giorni di profonda riflessione. Ormai non vi sono più le condizioni che mi portarono ad aderire al movimento che mi appassionò alla politica poco più che ventenne – scrive in un comunicato Bastoni, per lunghi anni consigliere comunale a Milano, famoso per una sua vecchia campagna elettorale con lo slogan “Bastoni contro l’immigrazione” -. Ritengo che temi quali l’autonomia e la difesa delle identità regionali siano da porre al primo posto nell’agenda politica, cosa che in Lega in questo momento non vedo possibile. Aggiungo che la mancanza di coinvolgimento della base militante nelle scelte fondamentali ha fatto sì che il partito dei commissari non mi rappresenti più. Ribadendo il mio pieno sostegno ad Attilio Fontana, confermo la mia adesione al gruppo ‘Comitato Nord”, ha concluso Bastoni.
(da agenzie)
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Dicembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
INSORGONO ENPA, LAC, LAV, LIPU, WWF: “COSI’ SI METTE IN PERICOLO L’INCOLUMITA’ PUBBLICA”
“Gli abbattimenti di fauna selvatica sono possibili anche per motivi di sicurezza stradale, in aree protette e in città. Inoltre gli animali, se superano le analisi igienico sanitarie, possono essere destinati al consumo alimentare”, questo il contenuto di un emendamento di FdI alla legge di Bilancio che ha fatto infuriare le associazioni ambientaliste.
La proposta include l’adozione di un Piano straordinario quinquiennale per la gestione e il contenimento della fauna selvatica attuabile “mediante abbattimento e cattura”. Il contenimento è attuato anche “nelle zone vietate alla caccia, nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto”. “Una proposta insensata e illeggittima” per il mondo ambientalista.
“Se l’emendamento ‘caccia selvaggia’ venisse approvato, una ristretta categoria di individui, peraltro sempre più isolata dal tessuto sociale, sarebbe autorizzata a fare strage di animali selvatici e a mettere in pericolo la pubblica incolumità con il pretesto del ‘controllo’ della fauna” è il commento espresso in una nota congiunta da Enpa, Lac, Lav, Legambiente, Lipu, Wwf. “Il problema con l’emendamento ‘caccia no limits’ non è soltanto nel merito ma anche nel metodo – denunciano le associazioni – Com’è possibile che tale emendamento, palesemente inammissibile, poiché nulla ha a che vedere con la Legge di Bilancio e con le finanze dello Stato, sia potuto arrivare all’esame della Commissione Bilancio della Camera?”. “Governo e maggioranza – proseguono – hanno forse in mente di smantellare i capisaldi del legislazione ambientale del Paese proprio in un momento nel quale la biodiversità, non solo Italiana ma dell’intero Pianeta, ha assolutamente bisogno di maggiori tutele?”
Infatti, l’emendamento presentato da Fratelli d’Italia “non demolisce soltanto la legge 157/92 sulla tutela della fauna e regolamentazione della caccia ma anche la legge 394/91 sulle aree protette che sarebbero aperte agli spari per compiacere la lobby venatoria e degli armieri. Ma la galleria degli orrori venatori non finisce qui, perché il provvedimento presentato all’attenzione della Commissione Bilancio prevede anche un fantomatico piano ‘straordinario per la gestione e il contenimento della fauna selvatica’ che assesterebbe un colpo mortale al nostro fragile patrimonio di biodiversità”.
Ed è altresì un “gravissimo segnale” quello manifestato dalla Commissione Ambiente del Senato che, nell’esprimere il parere sul decreto-legge di riordino dei ministeri, ha approvato una osservazione in cui si chiede di individuare le modalità idonee per trasferire le funzioni statali in materia di fauna dal Ministero dell’ambiente al ministero dell’agricoltura. “Una proposta insensata, mix di incostituzionalità e illogicità, che denota la subordinazione di certa politica alle istanze di lobby venatorie e armieri”. “Chiediamo con forza ai parlamentari della Commissione Bilancio della Camera di bocciare l’emendamento ‘caccia selvaggia’. A chiederlo è anche la stragrande maggioranza di italiani che è contraria all’attività venatoria e, quindi, all’uccisione di animali per divertimento, e che – concludono le associazioni – siamo certi non mancherà di far sentire la sua protesta contro ogni disegno di deregulation venatoria”.
“E’ un emendamento illegittimo perchè di natura ordinamentale e pertanto incompatibile a norma di regolamento con la Legge di Bilancio – dicono invece Europa verde e Alleanza Verdi e Sinistra – siamo esterrefatti della sua riammissione in Commissione e chiediamo pertanto al presidente della Camera di intervenire”. “Se questo emendamento dovesse essere approvato – spiegano Angelo Bonelli ed Eleonora Evi, insieme alla capogruppo alla Camera, Luana Zanella – sarebbe ‘caccia selvaggia’ e verrebbe autorizzata una strage di animali selvatici nelle aree protette dove oggi, per legge, è vietato cacciare. Inoltre, autorizzando la caccia nelle aree urbane, si metterebbe in pericolo la pubblica incolumità con il pretesto del ‘controllo’ della fauna. Il problema con l’emendamento ‘caccia no limits’ non è soltanto nel merito ma anche nel metodo: governo e maggioranza vogliono distruggere la legislazione ambientale italiana proprio in un momento in cui la biodiversità, minacciata dalla crisi climatica, dovrebbe essere maggiormente tutelata. L’emendamento presentato da Fratelli d’Italia, infatti, attacca la legge 394/91 sulle aree protette che sarebbero aperte alla caccia per compiacere la lobby venatoria della cui vicinanza il partito della Premier non ha mai fatto segreto”. “Siamo alle solite: cosa c’entra la caccia selvaggia e per lo più da svolgere nei parchi con la legge di Bilancio? Da parte nostra – concludono Bonelli, Evi e Zanella – se non verrà ritirato o in mancanza di un intervento del presidente della Camera, sarà ostruzionismo”.
(da La Repubblica)
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Dicembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
STESSE IDEE, INUTILE FARSI ILLUSIONI
Due sondaggi di Usa Today e Wall Steet Journal danno il governatore della Florida nettamente avanti nella possibile sfida tra i due per la nomination. Per Morning Consult il tycoon sarebbe invece davanti
La stella di Donald Trump si sta spegnendo? È il sospetto che circola sempre più insistentemente sui media americani, e all’interno dello stesso partito Repubblicano, dopo la mancata vittoria alle elezioni di mid-term svoltesi lo scorso 3 novembre. Nonostante la débacle elettorale, l’ex presidente ha comunque annunciato ufficialmente, dodici giorni dopo, la sua volontà di ricandidarsi alla Casa Bianca nelle elezioni del 2024.
Ma, tra guai giudiziari e politici, la sua corsa sembra essere partita col piede sbagliato. A confermare questa percezione sono alcuni sondaggi diffusi nelle ultime ore dai media americani.
Secondo quello commissionato da Usa Today in collaborazione con la Suffolk University, Trump sarebbe indietro nel gradimento degli elettori Repubblicani di ben 23 punti nei confronti del principale possibile sfidante tra i conservatori: il governatore della Florida Ron DeSantis.
In un eventuale scontro alle primarie tra i due, DeSantis vincerebbe oggi con il 56% delle preferenze, lasciando Trump indietro ad appena il 33%. Uno smacco umilitante per il presidente uscente, che ha contribuito a consolidare negli scorsi anni il peso politico di DeSantis.
Quello che cerca la maggior parte degli elettori Repubblicani, conferma d’altra parte la rilevazione di Usa Today, non è un’agenda diversa da quella di Trump, ma un nuovo interprete per le stesse politiche: come a dire che il tramonto politico di The Donald segnerebbe in qualche modo il successo della sua operazione di revisione dei connotati politici del partito conservatore, cominciata con la sua candidatura a sorpresa alle presidenziali del 2016.
Su immigrazione, unioni gay e cancel culture, d’altra parte, DeSantis ha dimostrato sinora di avere una linea non meno dura di quella imposta al partito da Trump. Una conclusione simile a quella che suggerisce un altro sondaggio diffuso in queste ore, quello commissionato dal Wall Street Journal, che vedrebbe DeSantis nettamente avanti su Trump, anche se di un margine inferiore: 52% le preferenze previste per il governatore, 38% quelle per il tycoon.
A quasi due anni dal voto per la Casa Bianca, tutto può ancora cambiare, naturalmente. E d’altra parte, come riporta il sito specializzato in sondaggi Usa Five Thirty-Eight, altre rilevazioni di istituti demoscopici restituiscono esiti diversi, se non opposti. Secondo l’ultima diffusa da Morning Consult (su un campione più ampio), nello scontro tra i due potenziali rivali sarebbe ancora Trump a imporsi nettamente, con il 49% delle preferenze, contro un mero 31% per DeSantis. La partita tra i due è appena cominciata, e s’annuncia aperta. Ma la leadership di Trump all’interno del partito Repubblicano non è più assicurata.
(da agenzie)
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