Dicembre 1st, 2022 Riccardo Fucile
“HO SEMPRE SOSTENUTO IL REDDITO DI CITTADINANZA, PERCHÉ C’È UN TEMA DI EQUILIBRIO SOCIALE DA TUTELARE”… “LA MANOVRA? IL 60% DEL NOSTRO DEBITO PUBBLICO È IN MANO A INVESTITORI STRANIERI E BCE: NON C’È SPAZIO PER FARE ALTRO DEBITO”
C’è un’idea che Carlo Messina ripete più volte nel corso del dialogo con
Massimo Giannini, direttore de La Stampa, che lo intervista nella tappa finale dell’Alfabeto del Futuro di Gnn al Grattacielo Intesa Sanpaolo di Torino: «La priorità di chiunque abbia una visione e una responsabilità sociale deve essere aiutare i poveri e tutti coloro che stanno pagando il prezzo più alto della crisi: vale per il governo e i parlamentari, vale per le aziende che stanno facendo utili e devono dare più soldi ai lavoratori, come abbiamo fatto noi stanziando 75 milioni di euro per bonus ai dipendenti».
Il banchiere più importante del Paese è ottimista sul futuro dell’Italia, la vede solida, piena di aziende dinamiche e competitive, ricca dei risparmi delle famiglie, guidata da un governo «che non è certo peggiore degli altri Paesi europei, dove non vedo campioni del mondo, e che ha approvato una manovra ragionevole».
Per l’ad di Intesa Sanpaolo l’urgenza è superare i prossimi 6-7 mesi, che saranno ancora duri. Poi l’economia si allontanerà progressivamente dall’incubo della guerra e ripartirà. Nel frattempo bisogna pensare ai quasi 10 milioni di poveri. Dimenticarsi dei condoni fiscali, «che rappresentano il peggio». E trattare «con l’Ue per ripensare il Pnrr: subito le opere che possono dare beneficio immediato al Pil, per le altre negoziamo tempi più lunghi».
Partiamo dal quadro macroeconomico. Tutte le principali istituzioni economiche parlano di una recessione inevitabile. Lei che scenari vede?
«Stati Uniti ed Europa vivono situazioni molto diverse. In America l’inflazione dipende in misura molto minore dalla crisi energetica, dunque dopo i rialzi dei tassi di interesse l’inflazione inizia a scendere e ci sono prospettive di crescita a breve termine. In Europa uno scenario di ripresa potremmo vederlo dalla seconda metà del 2023 e certamente nel 2024. La mia visione non è affatto pessimistica, la crescita del mondo è prevista al 2% nel 2023 e al 3% nel 2024. Ma ora è fondamentale, in Europa e in Italia, riuscire a gestire una fase delicata di alcuni mesi, ben sapendo quali sono i punti di forza e di debolezza. Teniamo presente che sui conti correnti del nostro istituto si svolge gran parte delle transazioni del Paese: al momento non vediamo segni di recessione, ma solo di rallentamento».
Dal momento dell’invasione dell’Ucraina la maggiore incognita resta il prezzo dell’energia e questo si intreccia con un ordine planetario da ricostruire. Quanto inciderà tutto questo nelle strutture dell’economia mondiale?
«Il riflesso sarà inevitabile. E al rialzo dei prezzi energetici aggiungo quelli alimentari: oggi anche chi guadagna 2 mila euro lordi al mese deve fare sacrifici. Per questo come Intesa Sanpaolo abbiamo stanziato una misura straordinaria di 85 milioni di euro per le nostre persone. Credo dovrebbero farlo tutte le aziende che stanno realizzando utili, senza aspettare che sia il governo a farsi carico delle difficoltà di chi fa più fatica. Vediamo dei segni di reazione delle imprese: il forte impatto della crisi energetica sulle filiere provoca una riorganizzazione per diversificare la produzione senza dipendere dalla Russia o dalla Cina. Molte aziende italiane già ragionano così, non dobbiamo sottovalutare la capacità dei nostri imprenditori di innovare per essere leader di mercato».
I dati dell’inflazione di novembre lasciano intravedere che la fiammata dei prezzi abbia raggiunto il suo picco. È così? Cosa dobbiamo aspettarci?
«Sì, abbiamo raggiunto il picco. Ciò non toglie che l’energia continuerà ad essere strutturalmente più cara, non ai livelli dei mesi scorsi, ma di certo non si tornerà ai valori pre-guerra. Produrre costerà di più e bisogna prepararsi. Il trend è chiarissimo: potremo avere una fase di rallentamento o recessione tecnica, ma il mondo non finisce. Diamoci delle prospettive positive: se continuiamo a evidenziare le sole difficoltà non vorrei che si finisse per alimentare una profezia negativa. Ricordiamoci che l’Italia cresce più di Germania e Francia, le imprese sono competitive e innovano, il sistema bancario è forte. Il nostro Paese può e deve giocarsela, ma ognuno deve fare la propria parte senza aspettare la manovra del governo per dire cosa avrebbe fatto di diverso. E senza trascurare chi si trova in difficoltà, una parte crescente delle nostre famiglie. Intesa Sanpaolo il suo lo fa: grazie ai 4 miliardi di utili, destiniamo risorse a chi può averne bisogno. Le aziende italiane, quelle che chiuderanno l’anno con utili importanti, possono aiutare. Dobbiamo superare tutti insieme questi 6-9 mesi di difficoltà oggettiva».
Ha citato la manovra e quella parte di Paese che sta pagando il prezzo della crisi: lei crede che la legge di bilancio vada nella direzione giusta?
«Bisogna prendersi cura dei poveri, che oggi sono milioni: è la priorità assoluta per governo e aziende, chiunque abbia una visione e una responsabilità sociale deve fare la propria parte. Venendo alla manovra, il 60% del nostro debito pubblico è in mano a investitori stranieri e Bce: non ci sono grandi margini di azione per il governo se si usano buonsenso e ragionevolezza come la presidente Meloni e il ministro Giorgetti stanno facendo. Non c’è spazio per fare altro debito. È stata giustamente varata una manovra che ha tranquillizzato i mercati, l’Europa ha capito che si è scelta la continuità. Le misure sull’energia erano indispensabili, il taglio al cuneo è positivo, c’erano pochi margini per fare di più. Avrei spinto di più su misure per favorire investimenti e innovazione delle imprese. Nel complesso è una manovra ragionevole».
Sul Reddito di cittadinanza però il governo ha iniziato la stretta sugli occupabili: questo non va in direzione contraria rispetto al bisogno di sostenere chi paga il prezzo della crisi?
«Ho sempre sostenuto il Reddito, perché c’è un forte tema di povertà ed equilibrio sociale da tutelare. Ora dobbiamo porre attenzione alla definizione di “occupabili”: se poi non lo sono davvero e non possono avere altre fonti di sostentamento si rischiano davvero forti tensioni sociali. Rispetto agli occupabili è giusto fare una riflessione: è ovviamente meglio offrire un lavoro che un sussidio, ma bisogna capire chi davvero sia in condizioni di età e formazione tali da divenire occupato».
Un altro punto controverso della manovra è il Fisco, tra tetto al contante e multe tolte a chi nega il Pos. Con queste misure veniamo meno agi impegni presi nel Pnrr?
«Il futuro è il digitale, non il contante: è questa la direzione in cui andare. L’evasione è una piaga, che tra l’altro incide negativamente sul rapporto debito/Pil. Mi faccia anche aggiungere che bisognerebbe ragionare bene sui capitali all’estero».
Non penso voglia proporci uno scudo fiscale
«Credo sarebbe equo far sì che quei soldi vengano investiti in titoli di Stato italiani. Hai due miliardi all’estero? Uno lo investi in titoli del tuo Paese. Così come dovrebbero investire maggiormente in titoli di Stato quei fondi pensione che allocano il 90% delle risorse all’estero. Mentre assistiamo a casi in cui aziende straniere comprano quelle italiane grazie anche ai nostri risparmi».
Che giudizio dà del Superbonus? Lo prorogherebbe?
«Parte dell’aumento del Pil arriva da questa misura, ma non la farei proseguire, al di là degli aspetti che non hanno funzionato. Non può essere una leva strategica di crescita. Tra l’altro più la cessione dei crediti va avanti, più assomiglia ad una moneta parallela».
Si fanno troppi condoni?
«Sì e sono diseducativi, sono il peggio. Le regole vanno fatte rispettare».
Parliamo del Pnrr. Sta crescendo il timore che non riusciremo a rispettare i temi previsti dagli accordi presi con l’Ue. Corriamo questo rischio?
«La burocrazia rende il sistema-Italia non adatto a spendere quei fondi in fretta, chiunque sia al governo. È la macchina a non essere costruita per andare veloce, specie quando si scende dal livello centrale a quello locale. Ci dobbiamo concentrare sui progetti che possiamo affidare a operatori capaci di realizzare progetti in tempi rapidi, come le Ferrovie e Webuild, o come si è visto ad esempio a Genova. Dobbiamo puntare su ciò che si può realizzare in fretta e dare una spinta al Pil e, dall’altra parte, cercare di rinegoziare quegli interventi non realizzabili nell’immediato e che magari potremo concludere nei prossimi anni».
Le politiche monetarie di Fed e Bce hanno ormai virato: dobbiamo aspettarci una stagione di tassi stabilmente in rialzo?
«Siamo vicini al picco dei rialzi. Dalla seconda metà del 2023 dovremo avere condizioni stabili. E sinceramente fino a tassi del 2-3% non vedo criticità, sono sopportabili dalle imprese: i tassi negativi erano una droga. Le banche faranno di tutto per non scaricare tutto l’aumento sulle aziende, ma il 2-3% è un livello realistico e sostenibile».
Lei dice che l’Italia ce la farà: quali sono oggi i punti di forza del Paese?
«Non ho dubbi sulla forza del Paese. La crisi attuale non è nulla rispetto allo scoppio della pandemia: allora il Pil scese del 9%, oggi se tutto va male calerà di uno 0,2 o 0,3%. E da quella crisi ci siamo ripresi molto bene, abbiamo la ricchezza delle famiglie più alta d’Europa, le aziende migliori, un saldo commerciale positivo. C’è il problema del debito pubblico; ma si può gestire con intelligenza: a fronte di 2 trilioni e mezzo di debito pubblico, ne abbiamo 10 di ricchezza. Il Paese è forte».
Ha più sentito Mario Draghi dopo il suo addio a Palazzo Chigi?
«Solo qualche messaggio. Lui è davvero il nostro fuoriclasse».
Ma lo hanno mandato a casa. Va recuperato?
«Se fosse andato a casa a marzo anziché a settembre avrebbe fatto poca differenza. Recuperarlo? Di certo uno come lui non ce l’ha nessuno: né la Francia né la Germania. Ma non dobbiamo pensare che ora in altri Paesi ci sono i campioni del mondo rispetto a casa nostra».
(da la Stampa)
argomento: Politica | Commenta »
Dicembre 1st, 2022 Riccardo Fucile
L’UNICA COSA CERTA, AL MOMENTO, È CHE IL MEMORANDUM DI MAGGIO CDP-OPEN FIBER È CARTA STRACCIA
La questione dell’Opa su Tim per la rete diventa un caso in Borsa. Nel corso di un convegno a Roma, parla il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Innovazione tecnologica, Alessio Butti, e bolla come «fantasia» quella di parlare della possibilità di un’offerta pubblica di acquisto su tutta Tim.
Gli chiedono della possibilità di un’Opa parziale e l’esponente di Fratelli d’Italia resta sul vago, dicendo che «gli strumenti saranno individuati». Ma, incalza, «quando leggo Opa totalitaria, dico che nessuno ne ha mai parlato». Sono parole pronunciate a Borsa aperta e le agenzia di stampa che le riportano rimbalzano in tempo reale nelle sale operative.
La reazione non si fa attendere: il titolo comincia a sbandare, arriva a crollare dell’8% prima di essere sospeso in asta per poi rientrare in contrattazione e chiudere con uno scivolone del 5,24% a 20,62 centesimi.
In serata è lo stesso Butti a riavvolgere il nastro e a tornare sulle sue parole: «Mi rendo conto – afferma in una nota – che il tema è scottante e che si possa fare confusione, così come immagino possano esserci speculazioni o manipolazioni per un argomento che tocca delicati interessi economici e finanziari».
Il sottosegretario, a proposito di Opa totalitaria, afferma di aver precisato durante il convegno che, a proposito di Opa totalitaria, «parlarne ora è pura fantasia e che, se quello fosse il caso, gli strumenti e le modalità saranno individuati a tempo debito dai soggetti in campo». Insomma, l’Opa su tutta Tim per ora non è all’orizzonte, sul futuro però nessun impegno. Di chiaro ci sono le intenzioni di arrivare a una «rete nazionale, a controllo pubblico e wholesale only», ribadisce. In pista ci sono diverse opzioni che coinvolgono tutte un socio pubblico, non necessariamente Cdp.
L’Opa parziale è una possibilità: permette di arrivare al 60% di Tim ma richiede il via libera degli azionisti esclusi i promotori dell’offerta (che non possono aver acquistato più dell’1% nei 12 mesi precedenti) e il socio di maggioranza relativa, in questo caso Vivendi. L’altra strada è lo spin-off della rete e la scissione proporzionale del titolo, tra società dedicata all’infrastruttura e quella dei servizi, per poi fare salire, con scambi azionari, il socio pubblico almeno al 30% della rete. Società, questa, che potrebbe caricarsi più debito nella suddivisione, in una manovra facilitata dal fatto che il debito di Tim è sprovvisto di condizioni o covenant.
Per il momento però siamo ancora alla certificazione della morte della rete unica per come l’abbiamo conosciuta. Cdp Equity, Macquarie e Open Fiber con una nota archiviano il progetto e «manifestano sin d’ora piena disponibilità a partecipare» al tavolo di lavoro del governo. Lo stesso fa il cda di Tim che, al termine della riunione, esprime apertura «al confronto nelle sedi istituzionali».
Quanto alla società, essa procederà con il suo piano nel «valutare tutte le opzioni strategiche, che consentano di perseguire al meglio gli obiettivi del superamento dell’integrazione verticale e della riduzione dell’indebitamento». Insomma: continuerà a soppesare le alternative. Dei due consiglieri dimissionari, il cda ha sostituito Luca de Meo con Giulio Gallazzi (che siede anche nel cda di Mfe), mentre il comitato nomine ha avviato l’istruttoria per sostituire Frank Cadoret, espressione di Vivendi. In pole c’è Massimo Sarmi.
(da la Stampa)
argomento: Politica | Commenta »
Dicembre 1st, 2022 Riccardo Fucile
È IL TERZO RUSSO CHE OPERAVA NEL SETTORE DELL’ALTA FINANZA A MORIRE IN POCHI MESI…. IL VELIVOLO ERA STATO REVISIONATO DA POCO E IL PILOTA ERA ESPERTO. INOLTRE, A BORDO CI SAREBBE DOVUTA ESSERE UNA TERZA PERSONA CHE ALL’IMPROVVISO HA RINUNCIATO. CHI ERA E PERCHÈ NON È SALITA?
La procura di Nizza indaga su un incidente aereo avvenuto la scorsa
settimana in Costa Azzurra. L’attività, coperta dal massimo riserbo, riguarda la morte di un facoltoso uomo d’affari russo con passaporto maltese, ritenuto un magnate delle criptovalute. Si tratta di Vyacheslav Taran, 53 anni. Insieme a lui nell’incidente che ha interessato un elicottero della compagnia «Monacair Helicopters», con sede nel Principato di Monaco, è morto anche il pilota, un francese di 35 anni (il nome non è stato ancora reso noto). Il mistero sul quale si interroga il bel mondo della Costa Azzurra è legato ad una serie di «stranezze» in merito all’incidente di volo.
Prima anomalia. Taran sarebbe il terzo miliardario russo che operava nel settore dell’alta finanza a morire negli ultimi mesi. Nessuna ipotesi di un collegamento tra la tragedia e il conflitto tra Russa e Ucraina ma i gendarmi e i magistrati francesi sembrano decisi a fare chiarezza su una dinamica tutta da ricostruire. Non ha inoltre trovato riscontro la voce che l’uomo d’affari fosse su una «lista nera», in materia di sanzioni, da parte delle autorità ucraine.
La tragedia si è verificata intorno alle 14 di venerdì scorso nell’entroterra di Villefranche sur Mer, nei pressi di Eze Village, a poche miglia da Nizza. L’elicottero, un Eurocopter EC 130T2 prodotto da Airbus, si è schiantato in località Plateau de la Justice, un sentiero panoramico affacciato sul mare. L’inchiesta riguarda le cause dell’incidente e per questo i rottami dell’aeromobile sono stati posti sotto sequestro in attesa che la procura di Nizza indichi un perito per esaminarli. L’attenzione è puntata in particolare sulla scatola nera che è stata recuperata senza problemi. Il magistrato ha inoltre disposto che venga effettuata l’autopsia.
Seconda anomalia. Vyacheslav Taran era decollato dall’aeroporto di Losanna, in Svizzera, ed era diretto nel Principato di Monaco (dove ha un appartamento con vista mare e dove la moglie edita una rivista patinata sul piccolo regno della famiglia Grimaldi). A bordo ci sarebbe dovuta essere una terza persona che all’improvviso ha rinunciato. Chi era quella persona e perchè non è salita a bordo nonostante la sua presenza fosse stata annunciata nel piano di volo e alle autorità elvetiche?
Terza anomalia. L’elicottero era stato revisionato da poco, come ha confermato il costruttore Airbus (si tratta inoltre di un modello di ultima generazione). Il pilota, come ha dichiarato in un comunicato la compagnia monegasca, era inoltre un esperto di quel tipo di aeromobile.
Quarta anomalia. Le condizioni meteo sulla Costa Azzurra venerdì scorso erano perfette, con un’ottima visibilità. Il pilota non ha comunicato avarie o problemi via radio durante il volo dalle Alpi verso il Mediterraneo. Nella zona di Eze si stava preparando alla discesa verso il mare per procedere all’atterraggio.
Nella giornata di ieri la vedova del miliardario, Olga Taran, ha pubblicato sul sito della rivista che edita a Monaco un messaggio nel quale nega ogni collegamento del marito con la Russia e con le attività di riciclaggio ipotizzate da alcuni media ucraini, Russia «che la lasciato nel 2008 e per dedicarsi agli affari». La donna sostiene come avesse sostenuto anche alcune associazioni per l’assistenza di profughi ucraini nel marzo scorso, in Montenegro.
(da La Stampa)
argomento: Politica | Commenta »
Dicembre 1st, 2022 Riccardo Fucile
COSÌ, MENTRE LE PRESTAZIONI PUBBLICHE SONO CALATE DEL 20% IN TRE ANNI, L’ATTIVITÀ PRIVATA CRESCE
Duecento giorni per una risonanza magnetica a Napoli, sei mesi per una gastroscopia a Bari, una visita oculistica non prima di febbraio a Torino. Da Nord a Sud, chi ha dolore alla schiena, mal di stomaco o il bisogno di un controllo al cuore spesso si trova a un bivio: aspettare o pagare. Viaggio nell’Italia in lista d’attesa, nel Paese in cui, come raccontato ieri da Repubblica , le prestazioni di controllo sono calate del 20% rispetto al 2019, l’anno prima del Covid, mentre l’attività privata cresce.
Quanto tempo ci vuole per una visita o un esame con priorità “D” (“differibile”), da garantire entro trenta o sessanta giorni? In molti casi, secondo i dati raccolti da Repubblica in diverse città italiane, meglio bussare nel 2023: a Napoli per la gastroscopia c’è posto in aprile, fra 137 giorni. Tempi simili a Torino anche per la risonanza. A Roma bisogna aspettare gennaio per andare dal cardiologo o dall’oculista. Non sono tempi da trascurare, perché in genere si tratta del primo contatto fra un paziente e il suo medico, il possibile inizio di un percorso.
Per questo è importante anche monitorare le prestazioni di classe “B”, quelle da garantire entro dieci giorni perché si ritiene che la risposta debba essere “breve”: in alcuni casi, ce ne vogliono dieci volte tanti. Ne servono il doppio a Palermo per una risonanza, quasi il triplo a Genova per l’ecografia all’addome, tre in più del dovuto a Milano per una gastroscopia, anche se il capoluogo lombardo, assieme a Firenze, è tra le città più in regola. La Toscana, in generale, è la realtà locale che ha visto un aumento delle prime visite nei primi sei mesi del 2022 rispetto allo stesso periodo del 2019. Tutti gli altri hanno prodotto meno attività sanitaria.
Fuga nel privato
Le alternative si trovano. Pagando. «Ho la sclerosi multipla e l’esenzione – racconta Antonella, 39 anni, della provincia di Brindisi – ma sono costretta a spendere tanti soldi per le visite perché è impossibile prenotarle con il pubblico. La mia piccola pensione non basta. Ho dovuto pagare anche per un’ecografia alla tiroide».
C’è chi dice no. E aspetta Francesca, professionista bolognese, da sei mesi cerca di aiutare i suoi genitori – il papà di 70 anni e la mamma di 65 – a prenotare due esami. A suo padre, l’estate scorsa, il medico ha consigliato un esame, l’agoaspirato, dopo aver trovato dei noduli alla tiroide. Lui è ancora in fila. «Se ci fosse qualcosa di grave, avremmo perso sei mesi. Privatamente ci hanno chiesto 250 euro. Mio padre sarebbe esente. In più, per principio, non vuole pagare visto che esiste un’Ausl», racconta sua figlia.
I medici sono preoccupati: «Quando chiediamo una risonanza entro trenta giorni, non sempre viene garantita e rischia di essere fatta troppo tardi», dice Salvatore Bauleo, dottore di famiglia di Bologna. Pier Luigi Bartoletti, segretario della Federazione medici di medicina generale di Roma, avverte: «Chi ha determinate patologie non può attendere tempi lunghi».
Il decalogo lombardo
Anche la Lombardia corre ai ripari. Sono dieci le prestazioni per le quali si aspetta molto più del dovuto e la giunta ha approvato una delibera per migliorare i tempi di attesa. Il presidente Attilio Fontana e l’assessore al Welfare Guido Bertolaso promettono che 66 mila cittadini ai quali è stato dato un appuntamento fuori dai tempi massimi previsti (3mila di questi avevano l’urgenza a dieci giorni), tra gennaio e giugno 2023, saranno richiamati per anticipare la data.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Dicembre 1st, 2022 Riccardo Fucile
NON A CASO I LEADER METTONO IN CAMPO I LORO FEDELISSIMI. LA MELONI HA SCHIERATO DONZELLI, I GRILLINI L’EX MAGISTRATO SCARPINATO, IL PD GUERINI (CANDIDATO NUMERO UNO PER LA PRESIDENZA)
Toglietemi tutto ma non i Servizi (segreti). Meglio: toglietemi tutto ma non la
possibilità di controllarli, i Servizi segreti. L’ansia che accomuna i partiti sta tutta quanta in un acronimo: Copasir. Che sta poi per Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Cinque deputati e cinque senatori, in perfetto equilibrio tra maggioranza e opposizione, con l’opposizione che però, per legge, esprime il presidente, anche se deve avere la capacità di farsi votare dalla maggioranza dei componenti.
Parola d’ordine per tutte le forze politiche: esserci. Al massimo livello, con i rappresentanti più abili, quando è possibile di provata fede nei confronti dei leader, vietato sbagliare, fari puntati, fino a farne un’ossessione. Già il palazzo che ospita il Copasir la dice lunga: San Macuto, nel rione Pigna, nel centro di Roma, dove c’erano il tempio di Minerva e un tempio egizio dedicato a Iside, e che fu anche sede della congregazione del Santo Uffizio, e quindi dell’Inquisizione, voluta da papa Paolo terzo.
Ma perché è così importante? Certo per il suo ruolo istituzionale: verifica che l’attività del sistema di informazione si svolga nel rispetto della Costituzione e delle leggi. Piccolo Bignami sui servizi segreti: il Dis, Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, di cui si avvalgono il premier e l’autorità delegata per assicurare unitarietà nella programmazione della ricerca informativa. L’Aise, Agenzia informazioni e sicurezza esterna, che protegge lo Stato dalle minacce che dovessero provenire dall’estero. L’Aisi, Agenzia informazioni e sicurezza interna, per proteggere la Repubblica da attività eversive e ogni forma di aggressione criminale o terroristica.
Ma eccolo il cuore del potere del Copasir: può acquisire documenti e informazioni dai Servizi, da tutti gli organi della Pubblica amministrazione, dall’Autorità giudiziaria o altri organi inquirenti in deroga al segreto istruttorio. E riceve dalla presidenza del Consiglio la relazione semestrale sull’attività di Aise e Aisi sui pericoli per la sicurezza, e anche le ragioni che stanno alla base dell’apposizione del segreto di Stato.
Non c’è vicenda o inchiesta, interna o internazionale, che non possa essere vagliata dal Comitato. Insomma, è lo strumento principe attraverso il quale l’opposizione può controllare il governo, con accesso ad ogni atto e rispondendo solo al Parlamento. Ed è di conseguenza anche il luogo dove pure la maggioranza schiera grandi calibri, per equilibrare il più possibile il confronto. Ce n’è abbastanza per capire perché alla guida ci sono sempre figure di peso.
Tanto per fare qualche nome: Claudio Scajola, Francesco Rutelli, Massimo D’Alema, Adolfo Urso, Lorenzo Guerini, che è in predicato di fare il bis. Ma è l’oggi, ovviamente, che interessa di più. E i partiti sono già schierati, tutti lì a presidiare il Comitato. Giorgia Meloni ci ha mandato, tra gli altri, uno degli uomini dei quali si fida di più, quello che di solito si definisce un «fedelissimo», Giovanni Donzelli.
Gli ha già messo in mano il partito, nel ruolo di responsabile nazionale dell’organizzazione. Appena 46 anni, in politica con il Fuan da quando ne aveva 19, tra le curiosità, in passato, anche strillone alla Speedy Srl , la società di Tiziano Renzi, tra i primi ad aderire alla neonata formazione di Fratelli d’Italia.
A Montecitorio ci è arrivato per la prima volta nel 2018, ed è stato confermato deputato alle ultime elezioni. Soprannominato «Monaco di destra», perché la sera torna sempre a casa per cena: «Sennò Roma, lontano dalla famiglia, ti risucchia, è meglio così». Ma non è il solo, tra i fedelissimi.
Silvio Berlusconi ci ha voluto, a rappresentare Forza Italia, la senatrice Licia Ronzulli. Milanese, 47 anni, si autodefinisce un «soldato nelle mani del presidente del partito», perfetta per il luogo, non solo come guardiana nei confronti delle opposizioni, ma anche per la sua indipendenza dalla presidente del Consiglio: fin troppo note le sue vicissitudini al momento della formazione del governo, con Giorgia Meloni che si è rifiutata di riservare per lei un ministero di peso.
Ma anche dalle parti di Italia viva non si scherza, l’attenzione di Matteo Renzi nei confronti del Copasir è stata sempre più che elevata. E infatti schiera Ettore Rosato, profondo conoscitore del Parlamento e capace di studiare i dossier, uomo nell’ombra di tante trattative, con forze e personaggi politici sia dell’opposizione che della maggioranza.
I Cinque Stelle mettono in campo Roberto Scarpinato, l’ex procuratore generale di Palermo eletto senatore il 25 settembre scorso. Ha avuto un ruolo nelle indagini sull’uccisione di Piersanti Mattarella e in quelli per gli omicidi di Salvo Lima, Pio La Torre, Michele Reina, Carlo Alberto Dalla Chiesa. E poi nei processi a carico di Giulio Andreotti, e sulla trattativa tra lo Stato e Cosa Nostra, nel periodo delle stragi. Soprattutto, nella nuova veste, dai banchi di Palazzo Madama ha sferrato un attacco molto duro a Giorgia Meloni su neofascismo e mafia, rintuzzato in Aula dalla stessa premier. Ultimo, solo nella successione, Lorenzo Guerini, ex ministro della Difesa, ottimi rapporti con gli Usa, capo della potente corrente del Pd di «Base riformista».
(da il Corriere della Sera)
argomento: Politica | Commenta »
Dicembre 1st, 2022 Riccardo Fucile
L’ULTIMA RILEVAZIONE INTERCETTATA DALLA TESTATA MEDUZA: MALUMORE CRESCENTE DELLA POPOLAZIONE
Ad oltre nove mesi dall’inizio dell’”operazione speciale” in Ucraina, la Russia appare sempre più stanca della guerra. Non solo i suoi soldati al fronte, costretti a ripiegare di fronte alle avanzate ucraine, ritirandosi da nodi strategici e simboli come l’oblast di Cherson.
Anche sul fronte interno, dentro l’opinione pubblica, cresce il disagio, quando non l’aperto dissenso rispetto alla continuazione dei combattimenti.
Secondo la testata indipendente Meduza, un sondaggio “ad uso interno” commissionato dal Cremlino avrebbe restituito un panorama d’opinione sorprendente, in un Paese schiacciato dalla propaganda: il 55% dei cittadini russi si direbbe favorevole all’apertura di colloqui di pace con l’Ucraina, mentre solo uno su quattro si esprimerebbe esplicitamente a favore della prosecuzione della guerra.
Un vero campanello d’allarme per il Cremlino, considerata la netta inversione di tendenza tra i russi rispetto a pochi mesi fa: nell’ultimo sondaggio dello stesso tenore realizzato a luglio, meno di un intervistato su tre si era detto a favore dei colloqui di pace, contro un maggioritario 57% a favore della guerra. Ad avvalorare le indicazioni numeriche del sondaggio condotto dal Servizio di protezione federale di Mosca (Fso), sottolinea Meduza, è il fatto che risultati del tutto simili siano stati forniti all’esito di una recente rivelazione del Levada Center, l’unico istituto demoscopico indipendente del Paese.
Nel suo ultimo sondaggio sul tema, pubblicato il 1° novembre, emergeva un 57% di russi desiderosi di deporre le armi e avviare colloqui di pace con Kiev. Con un trend in netta crescita rispetto al mese precedente, quando a dirsi su tale linea era il 48% degli intervistati.
Secondo Denis Volkov, direttore del Levada Center, l’inversione di tendenza negli “umori” dei cittadini russi ha comunicato a percepirsi seriamente dopo la decisione del Cremlino di decretare la mobilitazione parziale per rinforzare i ranghi dell’esercito, annunciata da Vladimir Putin il 21 settembre. Difficile non abbiano poi pesato ulteriormente, nel proseguio dell’autunno, le notizie circolate anche dentro la Russia delle avanzate vincenti dell’esercito ucraino e delle ritirate – più o meno premeditate – di quello di Mosca. Come risponderà il Cremlino al malumore crescente nel Paese? Sul piano politico e militare, è presto per dirlo. Sul piano tecnico, secondo due fonti vicine al governo di Mosca citate da Meduza, semplicemente rarefacendo o smettendo del tutto di realizzare – e peggio anche di lasciar diffondere – sondaggi d’opinione. «In questi giorni si rischia di ottenere risultati di ogni genere: meglio non farli proprio», ha spiegato una fonte.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Dicembre 1st, 2022 Riccardo Fucile
RISCHIO SMOTTAMENTO PARLAMENTARI VERSO IL TERZO POLO
Conversazioni sottotraccia, incontri riservati, sfoghi in chat: i parlamentari
meridionali della Lega sono sempre più insofferenti per il poco spazio che il partito ha riservato al Sud nell’assegnazione dei posti di governo e soprattutto preoccupati per le conseguenze che, sul piano dell’immagine (e dei voti), rischia di avere il progetto di autonomia differenziata su cui sta lavorando Roberto Calderoli.
È qualcosa di più di una semplice preoccupazione, quella che unisce gli eletti del Carroccio nel Mezzogiorno: è il timore che sia già fallita l’iniziativa politica – cuore della strategia salviniana – di espansione ben al di là delle tradizionali valli padane che d’altro canto rumoreggiano. Matteo Salvini è in una tenaglia: non sente solo il ruggito del popolo settentrionale – Bossi appena uscito dall’ospedale ha subito annunciato una riunione del comitato del Nord – ma deve far fronte ai malumori che arrivano da Sicilia, Calabria, Campania.
L’autonomia, in questo senso, è un detonatore: “Nessuno contesta il principio ma la gente fa fatica a comprendere un disegno di legge che ci espone ad attacchi di forze che al Sud sono dirette concorrenti, come i 5Stelle”, dice un deputato di prima elezione.
Un disagio che fa il paio con la delusione per ruoli sempre più sacrificati di alcuni big. E per la collocazione in soffitta di quello che doveva essere l’atout della rinascita salviniana: Prima l’Italia, il progetto di apertura che, al Sud, avrebbe dovuto coinvolgere movimenti e forze politiche autonomiste e moderate.
Simbolo presentato in pochissime realtà, idea nei fatti accantonata su diktat del potente asse del Nord che comprende i governatori Zaia e Fedriga, Giorgetti, lo stesso Calderoli, che hanno messo una pietra sul partito nazionale.
“Fedelissimi” di Salvini come i parlamentari Nino Minardo, Domenico Furgiuele, Gianpiero Zinzi hanno parlato – e parlano – con qualche perplessità della prospettiva. Per via anche di problemi vissuti sul territorio. Minardo, presidente della commissione Difesa della Camera, era pronto a dimettersi dal ruolo di segretario regionale in Sicilia: ne ha parlato direttamente con Salvini. Che l’ha rassicurato. Ma lui, in un’intervista a La Sicilia, non rinuncia a dire che “La Lega deve ripartire da dove ci siamo fermati prima di precipitare sulle elezioni in piena estate, rinsaldando il rapporto con esperienze civiche e autonomiste. Il rischio è l’atrofia politica”.
E nella Calabria che Salvini aveva eletto come sua piattaforma nella conquista del Sud (regione dove è stato più volte candidato), i dirigenti oggi rumoreggiano per non avere ottenuto neppure un sottosegretario: i due nominati del governo Meloni sono di Fdi e Forza Italia. S
u questa sensazione di abbandono volteggia l’ombra dell’Autonomia che – letta come atto ostile al Sud – rischia di essere una nuova mazzata per la Lega. In Campania, ad esempio, gli esponenti del Carroccio devono far fronte all’offensiva anti-riforma (“Una proposta che divide il Paese”) portata avanti da figure di primo piano del centrosinistra quale il governatore Vincenzo De Luca e l’ex presidente della Camera Roberto Fico.
C’è chi sta lavorando su una richiesta di incontro, da parte di alcuni parlamentari leghisti, con Calderoli. Non per sollecitare modifiche alla riforma, ma per aver modo di capire la norma. E spiegarla a un elettorato che si assottiglia.
“Salvini – sbotta un parlamentare nei corridoi della Camera – non può non considerare che il pur non eccezionale otto per cento conquistato alle Politiche è figlio anche del risultato nelle regioni meridionali, visto il calo registrato al Nord”. Borbottii e malumori che potrebbero preludere a nuovi addii: i contatti con il Terzo Polo, specialmente a Montecitorio, si sono intensificati.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Dicembre 1st, 2022 Riccardo Fucile
IL CAPO ECONOMISTA DELLA BANCA D’INGHITERRA: “LE NOSTRE CARENZE OCCUPAZIONALI PRIMA VENIVANO COLMATE DAGLI EUROPEI, ORA NON PIU'”… “COSTI DI OLTRE 6 MILIARDI IN PIU’ PER FARE LA SPESA”
La Brexit ha contribuito a rallentare l’economia britannica, a causa di mancanza di lavoratori europei. L’ennesima mazzata contro l’uscita del Regno Unito dall’Ue stavolta arriva nientemeno che da Huw Pill, il capo economista della Banca d’Inghilterra. Non solo. Ieri Pill, che ha parlato a un evento a Londra dell’Institute of Chartered Accountants, ha aggiunto che non è ancora chiaro se i livelli di produttività dei migranti extra Ue, che sono cresciuti notevolmente negli ultimi anni, siano gli stessi di quelli europei.
“Alcune delle carenze occupazionali che abbiamo adesso”, ha spiegato Pill riportato dal Times, “in passato venivano ricoperte dal flusso costante di lavoratori europei, su base flessibile. Questa opportunità ora non c’è più” dopo la Brexit.
Il Regno Unito ha una grave emergenza di posti di lavoro vacanti, con circa 1,3 milioni di posizioni che non si riescono ad occupare, specialmente in settori come la sanità pubblica, i trasporti, la ristorazione e la vendita al dettaglio. Ciò dopo il crollo di lavoratori europei in arrivo a causa delle nuove e dure politiche migratorie vigenti (“modello australiano”) e anche a causa del fatto che circa 600mila britannici, soprattutto tra 50 e 65 anni, non lavorano più o hanno deciso di abbandonare il mercato del lavoro dopo la pandemia Covid. Mentre la disoccupazione è al 3,6%, ai minimi dagli anni Settanta.
Ma questa non è pienamente una buona notizia. Perché ora la pressione sull’innalzamento dei salari e gli scioperi che stanno martoriando il Regno Unito potrebbero aggravare ancora di più la spirale inflazionistica, che ha già toccato il tetto dell’11%. Anche per questo Bank of England ha alzato notevolmente i tassi, di circa 3 punti nell’ultimo anno, dopo aver sfiorato la loro negatività nel 2021.
Ma non è finita qui. Perché oggi uno studio del “Centre for Economic Performance” della London School of Economics (Lse) dimostra come la Brexit sia costata sinora sei miliardi in più ai britannici in termini di spesa alimentare. Insomma, oltre all’inflazione impazzita, ogni famiglia ha pagato almeno altre 210 sterline in più, per comprare gli stessi alimenti, a causa dell’uscita di Londra dall’Ue e dei costi doganali. Secondo la Lse, “la Brexit ha contribuito a innalzare il costo del cibo nel Regno Unito del 3% all’anno, per un totale del 6% nel 2022”. In tutto, si calcolano 5,84 miliardi di sterline in costi supplementari nel carrello dei cittadini britannici (circa 6,8 miliardi di euro), pari a circa 250 euro a famiglia.
A subirne di più le conseguenze sono ovviamente le famiglie più povere, come nota la Lse, visto che queste distorsioni intaccano i bisogni essenziali delle persone. I prodotti alimentari sono tra i più colpiti dalla spirale inflazionaria oltremanica, che ha toccato il 12,4% in questo specifico settore. Ciò, in un contesto deprimente per l’economia britannica: dopo il disastro finanziario firmato dall’ex prima ministra Liz Truss, il Regno Unito si appresta a due anni di dura recessione secondo Bank of England e crescerà meno di tutti tra i Paesi del G20 (Russia esclusa). Per l’istituto governativo Ons, la Brexit farà perdere almeno 4 punti di Pil di qui al 2026.
(da la Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Dicembre 1st, 2022 Riccardo Fucile
LO STRUMENTO E’ INDISPENSABILE PER CONOSCERE E DIFENDERE IL TERRITORIO
La metà dell’Italia è nuda, scoperta, senza una carta geologica che ne tracci
le rocce, aiuti a orientarsi, dia uno strumento solido, scientifico, aggiornato, per capire come il cambiamento climatico possa impattare, dove possa far danni o peggio, morti.
Dopo venti anni d’inerzia i geologi nel 2020 avevano ripreso a disegnare le carte, andare nei luoghi con scarponi, bussola e martello, tracciare centimetro dopo centimetro il territorio ancora scoperto. Ma ora rischia di fermarsi tutto. Perché il governo ha deciso di non rifinanziare l’opera, ha tenuto fuori dalla manovra la cifra – 5 milioni l’anno – che permetterebbe all’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, di mandare avanti il progetto della Carg, la Carta geologica ufficiale nazionale. Una dimenticanza che salta agli occhi nel testo finale della legge di bilancio, depositato tre giorni appena dopo la sciagura di Ischia.
La Carta geologica
La Francia ha una carta geologica di tutto il suo territorio nazionale e l’ha aggiornata tre volte, per registrare i cambiamenti del suolo. E così la Germania, così l’Inghilterra. L’Italia no.
Nonostante le sue note fragilità, nonostante i campanelli d’allarme di innumerevoli disastri ed emergenze. La mappatura era stata avviata decenni fa: è andata avanti dal 1989 a 2000, portata avanti dall’Ispra in collaborazione con Regioni e università. Il lavoro è complesso, i geologi – ce ne sono sempre meno nel nostro Paese – devono andare sul territorio ed esplorarlo palmo a palmo. In undici anni sono stati disegnati 281 fogli geologici, in scala 1 a 10mila.
Per coprire l’intera penisola di fogli però ne servono 636. E dal 2000, per venti anni, il lavoro s’è fermato. È ripreso solo nel 2020, grazie ai fondi stanziati dalla legge di bilancio del 2019: 5 milioni l’anno dal 2020 al 2022, poi aumentati per un totale di 31 milioni di euro. Ogni carta costa in media attorno ai 550mila euro, una cifra che può aumentare nelle aree più impervie. In questi anni, spiega Maria Teresa Lettieri, responsabile in Ispra del servizio per la Geologia strutturale e marina, il rilevamento e la cartografia geologica, “sono stati avviati 67 nuovi fogli geologici e sei fogli tematici, di pericolosità geologica, idrogeologici e geomorfologici”.
Grazie alla spinta degli ultimi anni, oggi si contano in tutto 348 mappe, poco più della metà. Ma alcune sono già vecchie, vecchissime. In Sicilia ci sono fogli vecchi anche cento anni. E ora più nulla. Il lavoro avviato rischia di fermarsi.
Il territorio fragile
La tragedia di Ischia, con gli interrogativi che ha sollevato sulla sicurezza del territorio di Casamicciola, testimonia l’importanza di strumenti come le carte geologiche. “I cambiamenti climatici a cui stiamo assistendo non li possiamo fermare con una mano, tantomeno con una carta geologica, che non è una bacchetta magica. Lo strumento però – sottolinea Lettieri – consente di conoscere il territorio nel modo migliore per poterlo difendere. È un’infrastruttura scientifica necessaria, un patrimonio informativo, culturale e scientifico a disposizione della comunità, indispensabile alla salvaguardia della vita dell’uomo”.
L’isola campana ne ha una (nella foto in alto) e a un occhio esperto racconta la storia del monte Epomeo, da cui si è staccata la slavina di fango, ma anche i segni che le frane hanno lasciato in mare. Dopo l’ultimo disastro dovrebbe essere aggiornata. Ma i fondi stanno finendo: “Abbiamo messo da parte 5 milioni per il 2023, dopodiché senza un rifinanziamento il progetto si ferma di nuovo”, conferma Lettieri.
“Cercherò di fare in modo che sia data continuità a questo finanziamento”, si era impegnato a giugno in risposta a un’interrogazione il ministro Roberto Cingolani. “Il progetto Carg ha ripreso vigore grazie alle risorse stanziate con le tre leggi di bilancio 2019, 2020 e 2021”, ha dichiarato ieri il suo successore Gilberto Pichetto Fratin.
Ma i soldi in manovra per ora non ci sono. E l’Italia resta mappata solo a metà.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »