LONDRA AMMETTE: CON LA BREXIT ABBIAMO PROBLEMI
IL CAPO ECONOMISTA DELLA BANCA D’INGHITERRA: “LE NOSTRE CARENZE OCCUPAZIONALI PRIMA VENIVANO COLMATE DAGLI EUROPEI, ORA NON PIU'”… “COSTI DI OLTRE 6 MILIARDI IN PIU’ PER FARE LA SPESA”
La Brexit ha contribuito a rallentare l’economia britannica, a causa di mancanza di lavoratori europei. L’ennesima mazzata contro l’uscita del Regno Unito dall’Ue stavolta arriva nientemeno che da Huw Pill, il capo economista della Banca d’Inghilterra. Non solo. Ieri Pill, che ha parlato a un evento a Londra dell’Institute of Chartered Accountants, ha aggiunto che non è ancora chiaro se i livelli di produttività dei migranti extra Ue, che sono cresciuti notevolmente negli ultimi anni, siano gli stessi di quelli europei.
“Alcune delle carenze occupazionali che abbiamo adesso”, ha spiegato Pill riportato dal Times, “in passato venivano ricoperte dal flusso costante di lavoratori europei, su base flessibile. Questa opportunità ora non c’è più” dopo la Brexit.
Il Regno Unito ha una grave emergenza di posti di lavoro vacanti, con circa 1,3 milioni di posizioni che non si riescono ad occupare, specialmente in settori come la sanità pubblica, i trasporti, la ristorazione e la vendita al dettaglio. Ciò dopo il crollo di lavoratori europei in arrivo a causa delle nuove e dure politiche migratorie vigenti (“modello australiano”) e anche a causa del fatto che circa 600mila britannici, soprattutto tra 50 e 65 anni, non lavorano più o hanno deciso di abbandonare il mercato del lavoro dopo la pandemia Covid. Mentre la disoccupazione è al 3,6%, ai minimi dagli anni Settanta.
Ma questa non è pienamente una buona notizia. Perché ora la pressione sull’innalzamento dei salari e gli scioperi che stanno martoriando il Regno Unito potrebbero aggravare ancora di più la spirale inflazionistica, che ha già toccato il tetto dell’11%. Anche per questo Bank of England ha alzato notevolmente i tassi, di circa 3 punti nell’ultimo anno, dopo aver sfiorato la loro negatività nel 2021.
Ma non è finita qui. Perché oggi uno studio del “Centre for Economic Performance” della London School of Economics (Lse) dimostra come la Brexit sia costata sinora sei miliardi in più ai britannici in termini di spesa alimentare. Insomma, oltre all’inflazione impazzita, ogni famiglia ha pagato almeno altre 210 sterline in più, per comprare gli stessi alimenti, a causa dell’uscita di Londra dall’Ue e dei costi doganali. Secondo la Lse, “la Brexit ha contribuito a innalzare il costo del cibo nel Regno Unito del 3% all’anno, per un totale del 6% nel 2022”. In tutto, si calcolano 5,84 miliardi di sterline in costi supplementari nel carrello dei cittadini britannici (circa 6,8 miliardi di euro), pari a circa 250 euro a famiglia.
A subirne di più le conseguenze sono ovviamente le famiglie più povere, come nota la Lse, visto che queste distorsioni intaccano i bisogni essenziali delle persone. I prodotti alimentari sono tra i più colpiti dalla spirale inflazionaria oltremanica, che ha toccato il 12,4% in questo specifico settore. Ciò, in un contesto deprimente per l’economia britannica: dopo il disastro finanziario firmato dall’ex prima ministra Liz Truss, il Regno Unito si appresta a due anni di dura recessione secondo Bank of England e crescerà meno di tutti tra i Paesi del G20 (Russia esclusa). Per l’istituto governativo Ons, la Brexit farà perdere almeno 4 punti di Pil di qui al 2026.
(da la Repubblica)
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