Destra di Popolo.net

PROCESSO OPEN ARMS, LA DEPOSIZIONE DELL’EX MINISTRO LAMORGESE FA CROLLARE IL CASTELLO DI CARTA DI SALVINI: “LE ONG NON HANNO MAI VIOLATO LE REGOLE”

Gennaio 13th, 2023 Riccardo Fucile

“QUANDO SONO STATA MINISTRO NON HO MAI NEGATO LA CONCESSIONE DI UN PORTO SICURO E NON HO MAI EMESSO UN DECRETO DI INTERDIZIONE”

“Durante il periodo in cui sono stata ministro non ho mai negato la concessione di un porto sicuro – dice Luciana Lamorgese, rispondendo alle domande del pm Geri Ferrara – e non ho mai emesso un decreto di interdizione tranne durante la pandemia, quando l’Italia non era più un paese sicuro, ma per ragioni sanitarie”.
Sui tempi della concessione del pos: “Prima della pandemia la permanenza in mare dei migranti a bordo era di 3 o 4 giorni come media, poi ci sono stati dei casi che sono durati di più, anche 7-8 giorni”.
Per l’accusa e le parti civili, una dimostrazione della “stumentalità” del blocco imposto dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini.
“Noi abbiamo messo sempre in primo piano il salvataggio delle persone”, precisa ancora Luciana Lamorgese, sottolineando la differenza di linea del suo dicastero rispetto a quello del predecessore, il leader della Lega ora sotto processo.
Chiede il pm: “La condotta del comandante dell’imbarcazione intervenuta in soccorso dei profughi incideva sulla concessione del porto sicuro?”.
“No – risponde la teste – e poi le ong durante il mio dicastero non hanno mai violato le regole entrando nelle acque territoriali prima della concessione del pos. Eventuali irregolarità potevano riguardare il mancato rispetto della filiera nella comunicazione dei salvataggi, non altro”.
(da agenzie)

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PROCESSO OPEN ARMS, L’EX PREMIER CONTE SMENTISCE SALVINI: “MAI SENTITO PARLARE DI TERRORISTI A BORDO”

Gennaio 13th, 2023 Riccardo Fucile

“GLI CHIESI DI FAR SBARCARE I BAMBINI, C’ERA UNA SITUAZIONE DIFFICILE A BORDO”

Non ha dubbi l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte: “Mai sentito parlare di terroristi a bordo della Open Arms”. Risponde così alla procuratrice aggiunta Marzia Sabella. “Mai sentito parlare di armi o di accordi fra Ong e scafisti, nessuno mi fece cenno a queste circostanze”. In poche parole smentisce subito i proclami di Matteo Salvini, che tre anni fa lanciava emergenze inesistenti per non fare sbarcare i 147 migranti a bordo della Open Arms, è il motivo per cui oggi l’allora ministro dell’Interno è imputato a Palermo di sequestro di persona.
Conte prende le distanze dal suo ex compagno di governo anche quando parla dei decreti sicurezza: “Proponente fu Salvini”.
Rivendica invece l’impegno per la redistribuzione dei migranti in Europa. E precisa: “I migranti potevano sicuramente sbarcare anche prima che si completasse l’iter di redistribuzione delle quote in Europa”. Un’altra presa di distanza dall’ex ministro dell’Interno.
In quei giorni frenetici, l’allora presidente del Consiglio Conte scrisse al titolare dell’Interno per fare sbarcare i “soggetti fragili”: “I minori in una situazione critica non potevano restare a bordo”.
Dall’altra parte dell’aula c’è Oscar Camps, il fondatore di Open Arms. Su Twitter scrive: “Sono sette anni che le Ong del mare vengono indagate, diffamate, ostacolate, bloccate, eppure finora l’unico indagato è l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini”.
Conte ricostruisce il clima di quei giorni: “Non ricordo delle interlocuzioni con il ministro Salvini. Parliamo però di una deduzione logica. Eravamo nella fase annunciata della crisi di governo, escluderei una maggiore occasione di dialogo visto il clima che si era instaurato”. L’ex presidente del Consiglio attacca ancora l’allora collega di governo: “A me infastidiva il fatto che una lettera che era mirata a risolvere un problema fosse stata diffusa dal destinatario senza chiedere al mittente l’autorizzazione – aggiunge – C’era un clima incandescente rispetto a una competizione elettorale che poteva essere imminente e si voleva rappresentare un presidente del Consiglio debole sul fenomeno immigratorio mentre il ministro dell’Interno aveva una posizione di rigore, questo era il clima politico di quel periodo”. E ribadisce: “Sollecitai il ministro Salvini a far sbarcare i minori a bordo della Open Arms perché secondo me era un tema da risolvere al di là di tutto. Cercai di esercitare una moral suasion sulla questione perché mi pareva che la decisione di trattenerli a bordo non avesse alcun fondamento giuridico”.
(da La Repubblica)

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TELE-GIORGIA: MELONI A RETE UNIFICATE

Gennaio 13th, 2023 Riccardo Fucile

IN DIFFICOLTÀ PER IL BOOMERANG COMUNICATIVO SULLA GESTIONE DELLA QUESTIONE ACCISE, SI FA INTERVISTARE IN PARALLELO DA TG1 E TG5

Il video sui social in cui voleva “fare chiarezza” è stato un boomerang. Giorgia Meloni lo sa. E quindi, nel suo bunker di Palazzo Chigi, la presidente del Consiglio decide di “chiamare” il Tg1 e il Tg5 per concedere due interviste in prima serata e rispondere alle polemiche sul mancato taglio delle accise sui carburanti e sullo sciopero dei benzinai. Una mossa che dà il senso della difficoltà della premier.
Le immagini delle file ai distributori per accaparrarsi l’ultimo litro prima della serrata sarebbero devastanti. A Palazzo Chigi le temono. Così, di fronte alle telecamere, Meloni rivendica la scelta politica (“avevamo 10 miliardi, abbiamo aiutato i più deboli”), ipotizza il taglio se salirà il prezzo e ci saranno maggiori entrate dall’Iva e prova a difendere i benzinai: “Non vogliamo fare lo scaricabarile, ma basta mistificazioni”.
Infine accusa l’opposizione di dire bugie sul prezzo della benzina e replica a chi l’accusa di aver promesso il taglio delle accise in campagna elettorale: “Non era nel programma, parlavamo di sterilizzazione. L’opposizione ritenti”. Che Meloni sia all’angolo lo si capisce anche da un’altra frase emblematica che pronuncia alle tv nel cortile di Palazzo Chigi: “Ho paura di non riuscire a raccontare agli italiani cosa sta facendo il governo”.
(da agenzie)

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MELONI IN DIFFICOLTA’: ECCO PERCHE’ IL GOVERNO NON HA PIU’ IL VENTO IN POPPA

Gennaio 13th, 2023 Riccardo Fucile

GLI ERRORI DELLA MELONI, DAI COMPROMESSI CON IL PASSATO ALL’ALLINEAMENTO ALLA UE

Dopo un finale di 2022 con il vento demoscopico in poppa, il 2023 appena iniziato sembra presentare alcune prime difficoltà a Giorgia Meloni e al suo governo. E’ ancora presto per parlare di fine della luna di miele, ma qualche segnale di perplessità nell’opinione pubblica si comincia effettivamente a cogliere.
Per quali ragioni? Forse per un comportamento decisionale spiazzante o per aver preso provvedimenti troppo netti, troppo forti? No, sicuramente non per questo.
Anzi, i motivi sono in buona misura il contrario di quanto suggerito nella domanda appena formulata. Se qualche perplessità si sta manifestando a livello demoscopico, è perché sulle grandi tematiche del momento la linea adottata da Giorgia Meloni, e dall’intero governo, si sta mostrando molto cauta e ancora senza una nuova e percepibile visione di Paese.
E’ vero che alcune decisioni dal valore simbolico sono state prese, anche mettendo in conto il fatto di risultare divisivi (è il caso della normativa sui rave party). E’ vero che si è comunicato all’opinione pubblica di voler attuare un cambiamento di rotta rispetto ai governi precedenti, su alcune tematiche di tipo valoriale. Ed è anche vero che sulla “postura” dell’Italia in ambito internazionale, la cosa più saggia che Giorgia Meloni potesse fare era di mettersi in continuità con i governi precedenti.
Però è altrettanto vero che, su altre questioni oggi molto sentite dall’opinione pubblica, la strategia sinora adottata dal governo Meloni sembra essere quella di cercare semplicemente una linea di compromesso col passato.
Nella politica economica, questo governo non si discosta molto da quella che è stata l’impostazione generale data da Mario Draghi. Anche con qualche rischio di impopolarità, come potrebbe succedere con la mancata prosecuzione del ribasso delle accise (con i conseguenti effetti sulla percezione dell’inflazione e del potere di acquisto delle famiglie).
Su questo aspetto in particolare si può anche osservare che la comunicazione del provvedimento poteva essere più efficace. Il video che Giorgia Meloni ha fatto, smentendo di aver promesso l’abbassamento delle accise in campagna elettorale, in qualche misura ha generato l’effetto paradosso tipico della smentita (come si dice in comunicazione politica, fare una smentita significa in realtà comunicare due volte la stessa notizia).
E anche la decisione di aumentare il tetto della flat tax, e parallelamente di rimodulare al ribasso il reddito di cittadinanza, andava meglio sostenuta sul piano della sottostante finalità economica. Senza dimenticare il percorso piuttosto erratico con cui si è prima proposta di alzare molto il limite del pagamento in contanti, per poi fare comunque una significativa marcia indietro.
Nella politica di contrasto dell’immigrazione clandestina, la postura assunta è un po’ una via di mezzo fra quella della “tolleranza” dei due governi precedenti e quella di una linea di vera contrapposizione rispetto alle politiche degli scorsi tre anni.
Anche nel rapporto con l’Europa e con l’establishment finanziario mondiale, la carica di “cambiamento” che Giorgia Meloni aveva saputo evocare in campagna elettorale ha ceduto il passo a un atteggiamento di molto maggiore allineamento e di piena sintonizzazione con il mainstream europeo.
Da un lato, tutto questo è positivo in termini di riduzione dei motivi di resistenza preconcetta nei confronti del governo di centrodestra da poco insediatosi. E’ cioè positivo in termini di ricerca della “legittimazione” sul piano internazionale. Ma, dall’altro, questo posizionamento sulla linea di mezzeria potrebbe portare, nei prossimi mesi, a una percezione, da parte dell’elettorato di riferimento del centro-destra, di troppo marcata “normalizzazione”.
Giorgia Meloni e il suo governo, se vogliono mantenere per tutto il 2023 il consenso raggiunto alla fine del 2022, devono trovare un nuovo punto di equilibrio fra l’esigenza di non destabilizzare in alcun modo il posizionamento internazionale dell’Italia, e di non mettere in pericolo la sua stabilità finanziaria, e quella altrettanto importante di non deludere rispetto ad aspettative di cambiamento che erano state molto forti durante la campagna elettorale. Ci riusciranno? Lo vedremo nei prossimi mesi, sostanzialmente entro la fine di luglio. Quando saranno passati nove mesi dalla formazione del governo, e la sua gestazione demoscopica sarà davvero terminata.
(da affaritaliani.it)

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SISTEMA LOLLOBRIGIDA: TUTTI GLI UOMINI DEL COGNATO DELLA PRESIDENTE

Gennaio 13th, 2023 Riccardo Fucile

IL TESSITORE DI UNA RETE DI PESO

La sua rete non è vasta, ma chi ne fa parte in questo momento conta molto nel Paese. Perché lui oggi è l’uomo forte del governo di Giorgia Meloni: e non solo perché ne è il cognato, ma perché da anni pezzo per pezzo si è preso il partito e adesso detta la linea grazie a relazioni che in questi tempi dorati per Fratelli d’Italia diventano fondamentali per occupare le poltrone che contano.
Il neo ministro Francesco Lollobrigida non ha occhi e volti fidatissimi solo nei rami pubblici del turismo, come raccontato ieri da Repubblica facendo scattare la sua reazione piccata: “Per noi la politica è passione e ci occupiamo con grande cura di tutto ciò che riteniamo utile alla nostra Patria. E continueremo a lavorare così nel mondo del turismo, dell’agricoltura, della scuola, della sanità, del sociale, della cultura, dei trasporti, dello sport, dell’ambiente, delle infrastrutture, della difesa”.
Proprio prendendolo in parola, anche in questi rami si ritrovano spesso uomini che fanno riferimento all’ex capogruppo FdI.
Una rete non vasta, ma pesante, quella costruita da Lollobrigida negli ultimi anni guardando con fiducia all’avvenire che gli ha dato ragione. Un suo uomo fidatissimo è Gianluca Caramanna, deputato alla seconda legislatura piazzato al ministero e nelle Regioni governate dal centrodestra come consulente al Turismo.
Ma Lollobrigida è stato fondamentale anche per la nomina dell’ex rettore di Tor Vergata Orazio Schillaci a ministro della Sanità: un settore sul quale il cerchio magico meloniano, composto anche dalla sorella Arianna, moglie di Lollobrigida, sta ponendo molta attenzione. Poi c’è lo sport, un suo pallino come il turismo: e lì il “cognato d’Italia” ha piazzato un altro suo amico, Andrea Abodi, proveniente dal Credito sportivo. È sempre Lollobrigida a volere la nomina a commissario per il post sisma del 2016 del senatore, fedelissimo anche di Meloni, Guido Castelli: piazzato in una poltrona che conta in un feudo di FdI, le Marche del governatore Francesco Acquaroli.
Il cognato ha scelto anche il candidato presidente del Lazio, giù parte della sua rete: l’ex presidente della Croce rossa italiana Francesco Rocca. Una mossa, quella di candidarlo, suggerita alla premier da Lollobrigida anche per mettere nell’angolo il suo vecchio maestro politico, Fabio Rampelli, con il quale militava tra i giovani di Azione nella corrente “gabbiani”: “La rottura non è stata tra Meloni e Rampelli, ma tra quest’ultimo e Lollobrigida”, ripetono tutti i dirigenti di Fratelli d’Italia, però a microfoni spenti perché oggi far alzare il sopracciglio al ministro dell’Agricoltura significa essere tagliati fuori da tutto.
A proposito di Agricoltura, poltrona ministeriale che da sola gestirà 6 miliardi di euro del Piano nazionale di ripresa e resilienza, in casa Fratelli d’Italia si sussurra, sempre a bassa voce quindi, che molto vicino a Lollobrigida sia diventato già prima delle elezioni Ettore Prandini, presidente della influente associazione degli agricoltori Coldiretti: tanto da partecipare il 22 settembre a un evento elettorale organizzato da Lollobrigida a Potenza e targato Fratelli d’Italia. Certo non è un caso che il nome di Prandini sia circolato nel totoministri come possibile responsabile proprio dell’Agricoltura.
Ma la rete del ministro guarda anche fuori dai palazzi della politica in senso stretto. All’Inps dicono sia stato lui a suggerire la nomina di Claudio Anastasio alla guida di 3-I Spa, la società che gestisce i software dell’Istituto nazionale di previdenza. E mentre altri manager di aziende parastatali si sono avvicinati a lui, come l’ex finiano ed ex amministratore delegato di Poste Massimo Sarmi, attraverso i suoi riferimenti nei territori il ministro ha piazzato altre nomine: come quella dell’avvocato Giuseppe Arena al Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia, solitamente trampolino di lancio per il gran salto al Consiglio di Stato. Qui i buoni uffici sono arrivati attraverso l’ex assessore del governo Musumeci Manlio Messina, premiato, quest’ultimo, con un posto blindato in Parlamento come molti esponenti locali di FdI che hanno un filo diretto con lui: da Raoul Russo in Sicilia a Fausto Orsomanno in Calabria, da Luca Sbardella nel Lazio a Gianni Berrino in Liguria passando per Giovanni Donzelli in Toscana. I Lollobrigida boys sono pochi, fidati e nominati sempre in ruoli chiave.
(da La Repubblica)

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AVVISATE LA MELONI, QUI SI METTE MALE

Gennaio 13th, 2023 Riccardo Fucile

A NOVEMBRE ANCORA UN CALO DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE

Ancora un calo per la produzione industriale: a novembre 2022 si stima che l’indice destagionalizzato diminuisca dello 0,3% rispetto ad ottobre. Su base annua, corretto per gli effetti di calendario, l’indice complessivo scende del 3,7% (i giorni lavorativi sono stati 21 come a novembre 2021).
Lo indica l’Istat, aggiungendo che nella media del trimestre settembre-novembre il livello della produzione industriale diminuisce dell’1,0% rispetto ai tre mesi precedenti.
L’indice destagionalizzato mensile – continua l’Istat – cresce «su base congiunturale solo per i beni strumentali (+0,1%) mentre cala per l’energia (-4,5%), i beni di consumo (-0,4%) e i beni intermedi (-0,3%)».
Corretto per gli effetti di calendario, «a novembre 2022 l’indice complessivo diminuisce in termini tendenziali del 3,7%». Crescono solo i beni strumentali (+1,8%); diminuiscono, invece, «i beni di consumo (-2,6%), i beni intermedi (-5,2%) e in misura molto marcata l’energia (-16,2%)».
Tra i settori di attività economica che registrano variazioni tendenziali positive – viene rilevato dall’Istat – si segnalano «la fabbricazione di mezzi di trasporto e la fabbricazione di computer e prodotti di elettronica (+7,3% per entrambi i settori), la produzione di prodotti farmaceutici di base e preparati farmaceutici (+6,4%) e la fabbricazione di macchinari e attrezzature n.c.a. (+2,4%)». Le flessioni «più ampie si registrano nella fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria (-17,1%), nell’industria del legno, della carta e della stampa (-10,8%) e nella fabbricazione di prodotti chimici (-8,6%)»
(da agenzie)

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FRATELLI D’ITALIA SCOPRE LE CORRENTI: IL BOOM DI VOTI SPIAZZA L’INTERO PARTITO, ABITUATO A STARE ALL’OPPOSIZIONE GUIDATO DA UN CLAN FAMILIARE

Gennaio 13th, 2023 Riccardo Fucile

EMERGONO “SENSIBILITÀ” DIVERSE SEMPRE PIÙ DIFFICILI DA GESTIRE PER GIORGIA MELONI… GLI SCIVOLONI DELLA COMUNICAZIONE

Quando erano quattro gatti a ballare l’Hully-Gully, i “Fratelli d’Italia” di Giorgia Meloni erano compatti, uniti, anche grazie a quel senso di accerchiamento che la destra post-missina si è a lungo portata dietro. Negli ultimi anni, si è invertita la rotta: i reietti di ieri sono passati dal 4 al 26% e veleggia nei sondaggi ormai intorno al 30.
Una overdose di consensi, ben oltre ogni più rosea aspettativa, che ha catapultato la Ducetta al comando di Palazzo Chigi, e non poteva non attirare tanti nuovi “fratellini” golosissimi di riconoscimenti e di potere, dopo tanti anni di vita politica “catacombale”.
Abituata com’era al clan famigliare di via della Scrofa, il successo ha spiazzato non solo Giorgia Meloni, ma l’intera organizzazione del partito, che ora, per la prima volta, si ritrova attraversato da “correnti”.
L’unanimismo di un tempo oggi lascia spazio a sensibilità molto diverse: ci sono i “pragmatici” Crosetto e Tremonti, gli “ideologici” capitanati da Fazzolari, i “gabbiani” di Rampelli, rimasti ai bei tempi di Colle Oppio, la correntina monocellulare di Daniela Santanchè in quota “Cinepanettone” a Cortina, il venerato maestro ‘Gnazio La Russa (che da presidente del Senato si sente investito di un’autonomia politica superiore) e infine i “meloniani” duri e puri, come il cognato d’Italia, Francesco Lollobrigida, e Giovanni “Minnie” Donzelli.
Il florilegio di correntine è anche un modo per dare rappresentanza a più fette di elettorato. L’enorme allargamento dei consensi obbliga un partito a darsi una forma meno monolitica: la polifonia di voci aiuta a intercettare più voti
E’ una risposta, certo. Ma non necessariamente una soluzione. Come la recente storia politica insegna, da alcuni lustri l’opinione pubblica, svincolata da ideali e ideologie, è volubile e volatile. Il 40% di Renzi alle Europee 2014, l’ascesa pre-Papeete di Salvini (34%), il boom del Movimento 5 Stelle tra il 2013 e il 2018 (32%): tutti esempi di impennate improvvise di gradimento, a cui sono seguite cadute rovinose.
In Fratelli d’Italia, divenuto di fatto un partito conservatore, il collante ideologico è via via scemato: non solo per gli elettori, ma anche per gli eletti.
Prima i parlamentari della Meloni si riunivano come bravi soldatini a via della Scrofa, oggi ognuno ha il suo orticello di potere: chi al ministero, chi ai gruppi parlamentari, chi guida le commissioni, e diventa più complesso per “Io sono Giorgia” gestirli.
Infatti, la regina della Garbatella soffre molto la “non univocità” della comunicazione del partito.
I chiaccheroni Crosetto e Urso vanno a ruota libera, anche Lollobrigida (recentemente cazziato dalla cognata) ama esternare e specchiarsi nelle paginate dei giornali a lui dedicate.
Non basta a ricondurre all’unità la trovata degli “Appunti di Giorgia”, che evocano più le pazzarìe di Salvini su TikTok che un progetto di comunicazione istituzionale esaustivo. Non sono pochi gli “addetti ai livori” che riconoscono alla Meloni pochi errori politici, finora, e fin troppi scivoloni nella gestione della macchina comunicativa di Palazzo Chigi.
Un esempio su tutti: la pessima gestione della questione accise sulla benzina. Ieri la Ducetta ha fatto una diretta per prendersi la responsabilità della mancata proroga degli sconti sul carburante, e sostenere che nell’ultima campagna elettorale non aveva mai parlato di ridurre le accise.
Peccato che subito dopo è iniziato a circolare uno screenshot del programma di Fratelli d’Italia alle scorse elezioni, dove si parla di “sterilizzazione delle entrate dello Stato da imposte su energia e carburanti e automatica riduzione di Iva e accise”.
Una sputtanescion in tempo reale che la Meloni ha provato a tamponare spiegando il significato di quel passaggio: “Se hai maggiori entrare dall’aumento dei prezzi del carburante le utilizzi per abbassare le tasse. Ma noi non avevamo maggiori entrate, ovviamente”.
Ad aggiungere incertezza al quadro politico del centrodestra c’è in agenda un appuntamento politico decisivo per il futuro del governo: le elezioni regionali del 12-13 febbraio in Lombardia e nel Lazio. Se Attilio Fontana dovesse essere confermato governatore, grazie a una schiacciante affermazione del partito della Meloni, Lega e Forza Italia sarebbero a un passo dalla scissione – e qui Renzi, in collegamento con Gianni Letta, spera di ingrossare il suo gregge
A quel punto, si scompaginerebbe ogni equilibrio anche interno: più si ampliano i confini di un partito, più differenze emergono, e conseguentemente anche guidarlo diventa più faticoso e impegnativo.
Salvini, che subodora la scoppola, ha abbassato le penne e tace: lo vedono vagare per l’Italia con il caschetto giallo da operaio a tagliare nastri e presidiare cantieri, a metà tra un umarell e un “Village People”.
Sa, il “Capitone”, che le elezioni in Lombardia possono segnare la sua fine politica. Idem con patata, per Licia Ronzulli, inchiavardata a Milano a lavorare pancia a terra per evitare la disfatta di Forza Italia, che rischia, come e più della Lega, di essere divorata dalle fauci di “Donna Giorgia”.
Ps. I bene informati sostengono che Giorgia Meloni non abbia un rapporto eccezionale con il ministro dell’Interno, Piantedosi, sempre più a suo agio nel ruolo di “poliziotto cattivo”. L’ex capo di gabinetto di Salvini preferisce ai confronti con la premier i rendez-vous con Ignazio La Russa.
(da Dagoreport)

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LUFTHANSA FA RETROMARCIA SU “ITA”? I TEDESCHI STANNO PONENDO CONDIZIONI MOLTO PESANTI AL GOVERNO SULLA PRIVATIZZAZIONE DELL’EX ALITALIA

Gennaio 13th, 2023 Riccardo Fucile

CERCANO DI OTTENERE “L’OPZIONE DI RITIRARSI DA UN’ACQUISIZIONE COMPLETA NEL CASO IN CUI L’IMPRESA NON DOVESSE FUNZIONARE”

La privatizzazione di Ita Airways non decolla. Lufthansa – che esita a presentare un offerta – pone alcune pesanti condizioni al ministero dell’Economia, che sta vendendo la compagnia aerea italiana. Scrive […] Bloomberg che “il vettore tedesco sta cercando di ottenere l’opzione di ritirarsi da un’acquisizione completa nel caso in cui l’impresa non dovesse funzionare”.
Come anticipato da Repubblica, i tedeschi sono preoccupati soprattutto dalle centinaia di cause di lavoro che hanno avviato le lavoratrici e i lavoratori di Alitalia – ora in cassa integrazione – per essere assunti da Ita.
Inoltre Lufthansa – leggendo il Piano Industriale di Ita – ha trovato conferma alle sue peggiori preoccupazioni sulle compagnie low cost [che] dominano il mercato italiano come nessun altro in Europa. […] Questa situazione renderà molto difficile e incerto il futuro di Ita. Anche su questo fronte, i tedeschi chiedono garanzie al governo Meloni […]
E ancora: “I piani in discussione prevedono che il vettore tedesco paghi fino a 350 milioni di euro (376 milioni di dollari) per acquisire una quota iniziale del 40% in Ita Airways attraverso un aumento di capitale, e potrebbe eventualmente cercare di ottenere una quota di maggioranza in un secondo momento, lasciando spazio anche per l’ingresso di un secondo investitore nel gruppo”.
(da La Repubblica)

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PERCHE’ META’ DEGLI ITALIANI VUOLE ABOLIRE IL REDDITO DI CITTADINANZA? PER INVIDIA

Gennaio 13th, 2023 Riccardo Fucile

UN CASO DA PSICANALISI

Il reddito di cittadinanza, checché se ne dica, è stata una delle misure di contrasto alla povertà che ha permesso a quasi 3 milioni di persone in povertà relativa di vivere una vita dignitosa e, soprattutto, uno strumento di aiuto durante la pandemia da Covid-19.
Ma se il Rdc è stata una misura utile, degna di un Paese civile, come mai il 51,5% degli italiani (fonte: izi.it) vorrebbe abolirlo? Questo motivo, secondo me, risiede in una delle emozioni più dolorose e anche meno affrontante da parte della società civile, ma che proviamo tutti indipendentemente dal nostro status sociale: l’invidia.
L’invidia è un’emozione che comporta desideri distruttivi. E’ un’emozione che può minacciare la stabilità politica e democratica in quanto ritiene che visto che solo alcuni si godono le cose belle della vita, chi non se lo può “permettere” significa che non lo merita e quindi, pervaso da un sentimento di odio, proverà il desiderio di distruggere la felicità dell’invidiato.
L’invidia, concentrandosi sui vantaggi degli altri, crea un confronto tra ciò che il mio “rivale” ha e ciò che io non ho creando una competizione a somma zero.
Oltretutto è raramente soddisfatta perché i beni su cui si concentra sono distribuiti in modo diseguale in tutte le società e nessuno può davvero contare sul fatto di averne più degli altri. Ciò che caratterizza l’invidia è l’idea che gli altri abbiano le cose buone della vita mentre io no: mi sento escluso da una relazione felice, un lavoro felice, una vita sociale felice.
Ma cosa c’è alla radice dell’invidia? Alla radice c’è l’insicurezza, l’idea di non riuscire a ottenere le stesse cose che hanno gli altri.
Le persone invidiose sono ossessionate dal successo, e da ciò che gli altri possiedono, confrontandolo quotidianamente con il proprio percorso personale. Difatti ho notato che quando parlo con gli altri a proposito del Rdc, sovente sono soliti rispondere con frasi del tipo: “Io ho faticato, io ho lavorato duro, io mi faccio 100km al giorno” eccetera.
Melanie Klein, psicoanalista austriaca, è stata una pioniera nel campo della psicoanalisi infantile e anche per i contributi alla teoria delle relazioni oggettuali. Sostiene che il nostro mondo adulto può essere compreso appieno solo attraverso la nostra infanzia. Descrive l’invidia come radicata nell’ansia primaria di essere separati dalle cose buone: nutrimento, amore, gratificazione. Quest’ansia, diventando persecutoria, ci rende “nemici” del nostro genitore perché crediamo che egli voglia negarci tutte le cose buone della vita. Ed è qui che entra in gioco l’invidia. Il bambino si forma l’idea che il genitore sia felice e completo e vuole quindi rovinare tale felicità.
Quindi, se l’invidia è costantemente presente, esistono delle soluzioni che ci permettano di non provarla o almeno di tenerla a bada? Pur essendo un sentimento difficile da accettare e da superare, una soluzione potrebbe essere quella di costruire una società che, a livello personale, sia in grado di infondere fiducia in ognuno di noi, e che ci permetta di vivere in quello che Donald Winnicott chiama “contesto facilitante”.
Un’ambiente, cioè, dove il bambino possa crescere in un modo sano, dove si senta protetto e amato. Rapportato al contesto sociale, il contesto facilitante potrebbe essere una società che non lascia indietro nessuno, che crea le condizioni adatte per dare la possibilità a chiunque, indipendentemente dal suo luogo di nascita, di avere una vita dignitosa.
Una comunità che promuova ciò che Martha Nussbaum chiama la “cultura della virtù”, cioè di capacità personali che ognuno di noi possiede e che solo in una società come la nostra, così attenta ai diritti fondamentali, può tirare fuori. Oltre a ciò, visto che ci stiamo avviando verso una società dove di lavoro ce ne sarà sempre di meno, un’altra soluzione, a mio avviso, potrebbe essere quella dell’istituzione del Basic Income. Scommetto che così, finalmente, divisioni e invidie cesserebbero di esistere.
(da il Fatto Quotidiano)

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