Gennaio 20th, 2023 Riccardo Fucile
MELONI IRRITATA, LEGA E FDI: “PARLA TROPPO MA LAVORA POCO”
Ci mancava solo di riabilitare la trattativa Stato-mafia. Nella sua relazione annuale alla Camera, ieri, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha di nuovo annunciato una stretta sulle intercettazioni e sull’abuso d’ufficio, ma ha soprattutto omaggiato quel Ros (il Raggruppamento operativo speciale) protagonista di una trattativa con Cosa Nostra che, stando alla sentenza d’appello di Palermo, è accertata, ma costituisce reato solo per i mafiosi e non per gli uomini dello Stato. Non male a tre giorni dall’arresto di Matteo Messina Denaro.
Il riferimento di Nordio arriva alla fine del suo intervento. Non prima di un’accusa generale ai pm antimafia: “Ci sono pubblici ministeri antimafia che hanno una visione estremamente severa di questi problemi, ma l’Italia non è fatta di pm e questo Parlamento non dev’essere supino e acquiescente alle associazioni di pubblici ministeri”.
Ovazione da destra e renziani. Poi Nordio arriva ai Ros: “Abbiamo reso omaggio ai Ros per l’arresto di Messina Denaro. Vorrei ricordare che il comandante generale dei Ros, che praticamente ne è stato il fondatore, è stato sottoposto per 17 anni a un processo dal quale è stato assolto con formula piena, con una carriera rovinata e senza che alcuno lo abbia risarcito”.
Nordio parla, probabilmente, del generale Mario Mori, già numero 1 dei Ros condannato in I grado a 12 anni per la trattativa con Cosa Nostra e poi assolto in appello perché il fatto non costituisce reato.
Non è escluso però che Nordio si riferisse anche ad altri due ufficiali del Ros coinvolti nella stessa inchiesta e ugualmente assolti in appello, ovvero Antonio Subranni e Giuseppe De Donno.
Poi Nordio prosegue: “Aggiungo il generale Ganzer, condannato in I grado a 17 anni di reclusione per un reato che non esisteva e alla fine è stato assolto”.
E qui l’errore è fattuale: Giampaolo Ganzer fu prescritto. Ma Nordio è scatenato: “Vi pare civile che uno Stato metta sotto processo i suoi più fedeli servitori?”. “Errori giudiziari” li definisce il ministro, delegittimando così un’accusa che riguarda un processo ancora in corso, visto che la Procura generale di Palermo ha fatto ricorso in Cassazione. L’argomentazione si fa personale quando poi Nordio risponde a Federico Cafiero de Raho, ex procuratore nazionale antimafia oggi deputato M5S: “Se siamo di fronte a una mafia che si è infiltrata dappertutto, vuol dire che in questi 30 anni la lotta alla mafia è fallita. Lei ha una visione panmafiosa dello Stato”.
Ma non è che l’ultima intemerata di Nordio dietro il vessillo del “garantismo”. Da tempo il ministro non fa mistero di voler svuotare il reato di abuso d’ufficio e ne ha parlato anche ieri: “Vi posso giurare sul mio onore che da me c’è stata una processione di sindaci che sono venuti a chiedermi, implorando, di eliminare questo errore”. Altra standing ovation. Sulle intercettazioni, invece, da qualche giorno la linea è cambiata. Se prima di Natale Nordio si diceva sicuro che “i veri mafiosi non parlano al telefono”, adesso ripete che “il governo non ha mai inteso toccare minimamente le intercettazioni per mafia, terrorismo e quei reati satelliti”. Chissà però quali sono questi “reati satelliti”, generica definizione dentro cui non si capisce bene cosa rientri.
Una posizione che è cambiata dopo il pressing di Fratelli d’Italia dei giorni scorsi, che non vuole dare segnali di allentamento sulla legalità. “Non priveremo mai la magistratura dello strumento delle intercettazioni per i reati di mafia e nemmeno per quelli ‘spia’ come la corruzione – spiega al Fatto Andrea Delmastro Delle Vedove, sottosegretario alla Giustizia – al massimo vogliamo limitarne l’abuso nei mass media”. Anche sul trojan, che sia Nordio sia Forza Italia vorrebbero abolire, Delmastro spiega: “È un elemento che dobbiamo maneggiare con cura, ma è fondamentale per riuscire a scoprire alcuni reati di maggior allarme sociale, come la corruzione”. Anche sulla magistratura Delmastro sostiene che “la politica non deve sposare nessuna tesi” ma “difendere l’indipendenza dei magistrati, soprattutto quelli antimafia su cui non ci dovrebbero essere divisioni”, conclude con il Fatto.
Ma nel governo c’è un certo imbarazzo per le ultime uscite di Nordio. In particolare, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, non ha per niente apprezzato le dichiarazioni proprio sulle intercettazioni, che sono sembrate volere un allentamento anche sulla lotta alla mafia.
Sull’uscita di ieri, inoltre, a Palazzo Chigi non solo non è tanto piaciuta la frase contro l’antimafia, ma soprattutto è stato notato l’intervento a gamba tesa del ministro della Giustizia su un processo ancora in corso. Una dichiarazione che ha pochi precedenti.
Anche nella Lega ci sono molti malumori, soprattutto per uno staff che non si confronta con il partito di Matteo Salvini. “Parla tanto, lavora poco”, dice un autorevole esponente del governo.
Dall’altra parte c’è Silvio Berlusconi che, dopo aver spinto per la sua Maria Elisabetta Alberti Casellati, ora paradossalmente elogia il lavoro di Nordio: “È il migliore ministro della Giustizia degli ultimi vent’anni”, gli hanno sentito dire. E ancora: “Le sue battaglie sono quelle che porto avanti da sempre”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 20th, 2023 Riccardo Fucile
IL VUOTO NORMATIVO CHE FA VINCERE IL BOSS
Matteo Messina Denaro potrà contare su sua nipote per restare il capo della mafia anche dal carcere. La scelta di nominare Lorenza Guttadauro come sua legale fa emergere un “vuoto” normativo allarmante per chi come il padrino è detenuto al 41 bis.
La figlia di una sorella di Messina Denaro, – si legge sul Corriere della Sera – è la moglie di un fiancheggiatore condannato a 10 anni in appello e sorella di un altro sospettato già arrestato. Ieri non si è presentata in aula, come lo zio stragista che ha disertato il collegamento audio-video dal carcere, ma prima o poi dovrà presentarsi e allora, oltre che i pm, si troverà di fronte un suo collega legato a ben altra famiglia.
Da una parte, l’avvocata Guttadauro, un’esistenza dedicata ai parenti sotto processo. Una vita e una professione segnate. Dall’altra, l’avvocato Fabio Trizzino, genero di Paolo Borsellino. Storie e vissuti paralleli che potranno incrociarsi come non è mai avvenuto.
Lorenza – prosegue il Corriere – è sempre rimasta nella sua città: 44 anni, casa e studio a Palermo, a due passi da Piazza Tosti, lo stesso edificio costruito da suo nonno dove soggiornava da latitante Leoluca Bagarella. La vedremo in aula sul banco della difesa, ma potrà superare anche i portoni blindati del supercarcere abruzzese, attraversando come se non esistessero le maglie del 41 bis, il regime che impedisce contatti diretti fra detenuti e familiari. Ma non all’avvocato. Anche se nipote diretta.
Ed è questo che pone qualche dubbio, che inquieta tanti investigatori e magistrati impegnati in passato a caccia del boss. Un ex sostituto della Direzione antimafia di Palermo, Massimo Russo: “Temiamo la beffa e lo scacco matto del padrino appena arrestato”.
(da affaritaliani)
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Gennaio 20th, 2023 Riccardo Fucile
“NON CHIAMATECI ATTIVISTI, NOI SIAMO CITTADINI PREOCCUPATI, QUESTA E’ L’ULTIMA ORA DEL VECCHIO MONDO, QUELLA PIU’ BUIA”
La notte fra giovedì 21 e venerdì 22 luglio 2022 il ventenne Simone Ficicchia e altri tre ragazzi hanno dormito a casa di amici in un paesino vicino a Viareggio. Il mattino seguente faceva un caldo torrido e i quattro giovani – maglietta, bermuda, zaino in spalla – sono andati alla stazione ferroviaria, dove hanno preso un treno per Firenze.
Sul vagone non hanno scambiato molte parole fra loro, erano assorti ognuno nei propri pensieri, ma in un silenzio pesante, carico di ansia, anomalo per una compagnia di amici che viaggia insieme in piena estate.Arrivati alla stazione di Santa Maria Novella, i ragazzi, sempre limitando la conversazione al minimo indispensabile, sono scesi dal treno e si sono diretti agli Uffizi.
All’ingresso, al momento dei controlli al metal detector, il cuore di Simone ha preso a galoppare forte come se avesse qualcosa da nascondere e temesse di essere scoperto. Eppure i vigilantes hanno dato il via libera senza battere ciglio: «Potete entrare, buona visita».
Dentro il museo, i giovani si sono subito diretti verso una sala ben precisa, quella dov’è esposto il dipinto capolavoro simbolo del Rinascimento: la “Primavera” di Sandro Botticelli. La sala era piena di turisti e i quattro ragazzi si sono intrufolati nella folla che stava in piedi ad ammirare il quadro.
È stato a quel punto che si sono guardati negli occhi e hanno deciso che il momento era arrivato: Simone e un’amica hanno estratto dalle tasche un tubetto di colla, lo hanno aperto, si sono spalmati la colla su una mano e hanno appiccicato il palmo sul vetro che protegge la Venere.
Di fronte a decine di visitatori sbigottiti, Simone ha rotto il silenzio e gridato il senso di quel gesto: «Ci stiamo incollando a questo vetro perché in futuro ci siano ancora dei musei. L’unica cosa possiamo fare per salvare l’umanità è smettere di investire nei combustibili fossili. Altrimenti non ci sarà più arte».
Poi i giovani hanno tirato fuori dagli zaini uno striscione arancione e l’hanno srotolato: c’era scritto “Ultima Generazione – No Gas No Carbone”.
Simone Ficicchia vive con i suoi genitori a Voghera, in provincia di Pavia. Si era iscritto alla Facoltà di Storia dell’Università di Padova, ma nell’ultimo anno ha messo da parte gli studi per dedicarsi appieno alle attività di questo movimento, Ultima Generazione: una campagna di disobbedienza civile non violenta che chiede al governo italiano interventi «contro il collasso eco-climatico».
Ne avrete sicuramente sentito parlare in questi mesi: è Ultima Generazione che ha bloccato più volte il traffico sul Grande raccordo anulare di Roma («Ma prima avvertiamo sempre il 118») e che ha imbrattato con vernice lavabile la facciata del Senato e il dito medio di Cattelan a piazza Affari.
Ficicchia ha partecipato a decine di blitz fra blocchi stradali, imbrattamenti, occupazioni di sedi di partito. La Questura di Pavia ha chiesto per lui la sorveglianza speciale di sicurezza, misura che solitamente viene applicata a soggetti ritenuti pericolosi per la società come mafiosi o terroristi (la Procura di Milano ha ridotto la richiesta a sorveglianza semplice). «Ho molta più paura del cambiamento climatico che del fatto che la mia libertà venga limitata», proclama il ragazzo a TPI.
La rete
Costituitasi nel 2021, Ultima Generazione fa parte di una rete internazionale, denominata A22, che si propone di «salvare l’umanità».
Nel manifesto dell’organizzazione di legge: «Siamo l’ultima generazione del vecchio mondo. Siamo nell’ultima ora, quella più buia. Questo mondo viene decimato davanti ai nostri occhi. Siamo qui per costringere i governi a ridurre drasticamente le emissioni di carbonio, nient’altro. Siamo qui per l’azione, non per le parole».
Come presidio italiano di A22, Ultima Generazione avanza in particolare tre richieste al governo: 1) installare immediatamente almeno 20 gigawatt di energia eolica e solare; 2) interrompere subito la riapertura delle centrali a carbone dismesse; 3) cancellare il progetto di nuove trivellazioni nell’Adriatico.
Sono circa un centinaio le persone che partecipano attivamente a questa campagna in Italia: non amano farsi chiamare «attivisti», preferiscono la definizione di «cittadini preoccupati».
Ascoltando gli inquietanti dati che snocciolano a raffica sul surriscaldamento globale e sui finanziamenti erogati dall’Italia ai combustibili fossili (41,8 miliardi di euro solo nel 2021) non è facile stabilire se ci si trova davanti a un gruppo di idealisti ribelli o di persone che a differenza di tutte le altre hanno aperto gli occhi sui rischi enormi che effettivamente stiamo correndo come umanità.
Molti di loro provengono da un’altra organizzazione internazionale che opera attraverso la disobbedienza civile non violenta: Extiction Rebellion (Xr), gruppo sorto nel 2018 in Inghilterra e che oggi in Italia conta un migliaio di aderenti.
Fra loro c’è Francesca Poli, 24 anni: «Extinction Rebellion – spiega – rivolge tre richieste ai governanti: 1) dite la verità; 2) agite ora; 3) andate oltre la politica istituendo assemblee di cittadini».
Ultima Generazione è nata da una costola di Xr: si potrebbe dire che la prima è la versione estrema della seconda, nel senso che si è creata quando alcuni attivisti di Extinction Rebellion hanno alzato il tiro, iniziando a proporre azioni dimostrative più forti, come il blocco del traffico sul Grande raccordo anulare.
«Xr – ricostruisce Poli – punta a mobilitare una massa molto grande di persone, almeno il 3,5% delle popolazione, perché è stato studiato che mobilitando questa percentuale di cittadini si può arrivare a ottenere ciò che si chiede. Le azioni di Ultima Generazione invece suscitano anche reazioni negative». Tra i due movimenti c’è comunque un buon rapporto.
Fra coloro che sono passati a Ultima Generazione c’è Tommaso Juhasz, 30 anni, perugino, operaio agricolo laureato in Scienze politiche.
«Il mio punto di svolta – racconta a TPI – è stato quattro anni fa, quando ho letto il saggio “L’adattamento profondo”, del professor Jem Bendell. Lui è stato il primo a dire che rischiamo l’estinzione umana a breve termine. Quel libro mi ha stimolato un periodo di riflessione durato alcuni mesi, finché nell’ottobre 2019 mi sono unito a Extinction Rebellion. Poi, l’estate scorsa, ho visto il video di un blocco di Ultima Generazione sulla tangenziale di Milano, con quei ragazzi seduti a terra presi a sputi in faccia, e mi sono detto: ok, ora vado ad aiutarli».
«Spesso per attaccarci ci dicono che non c’abbiamo un cazzo da fare, e invece, guardi un po’, io ne avrei molte di cose da fare: non è che mi diverto ad andare a bloccare le strade. Ma il fatto è che, senza le nostre azioni di disobbedienza, io e lei adesso non saremmo qui a parlare di crisi climatica. In Calabria quest’anno hanno perso il 70% della produzione di olio!».
Non solo giovani
Se Ultima Generazione in questi mesi si è conquistata spazio sulle pagine di cronaca, l’eco-movimento più noto al grande pubblico resta Fridays for Future (Fff), ispirato agli scioperi per il clima della paladina mondiale della lotta al surriscaldamento globale: Greta Thunberg.
Sebbene la scorsa settimana quest’ultima sia stata portata via a forza dalla polizia durante un sit-in di protesta a Lützerath, in Germania (vedi fotoreportage a pagina 44 di questo giornale) Fff – che in Italia conta circa 80 gruppi locali ciascuno dei quali è composto da una decina di attivisti – non usa la disobbedienza civile: preferisce organizzare grandi manifestazioni di piazza coinvolgendo centinaia di migliaia di persone per volta.
Secondo una delle portavoce italiane, la 29enne Martina Comparelli, milanese, laureata in Sviluppo internazionale, «perché ci sia davvero una transizione ecologica che funzioni e sia duratura c’è bisogno di avere la maggioranza della popolazione dalla nostra parte in modo attivo, coinvolgendola e non inimicandocela», mentre nelle azioni di Ultima Generazione «per quanto efficaci nel singolo momento, non sono replicabili da tutte e tutti. Noi cerchiamo di fornire strumenti di lotta complementari e più intersezionali».
Peraltro, riflette Comparelli, «siamo tutti dei torrenti, dei rivoli, che poi confluiscono nel fiume dell’attivismo per il clima e, oserei dire, per la giustizia sociale in generale, che è quello che stiamo cercando di far capire come Fridays for Future e che magari un giorno riusciremo a legare con questi altri movimenti per il clima».
La maggioranza dei volontari di queste organizzazioni – perché di volontari si tratta (nessuno di loro percepisce uno stipendio, sono previsti solo alcuni rimborsi spese finanziati con il crowdfunding e con donazioni private) – sono persone tra i 20 e i 30 anni.
Ma tra loro c’è anche chi ha già i capelli bianchi. Maria Letizia Ruello, ad esempio, è rimasta folgorata dai blitz di Ultima Generazione dall’alto dei suoi 64 anni, al punto da “arruolarsi” alla disobbedienza civile. «In questi ragazzi ho visto gli occhi di un partigiano e di una partigiana», osserva.
«Io di partigiani ne ho conosciuti, ma li avevo mitizzati, erano diventati qualcosa di fiabesco. Non avevo mai veramente compreso cosa avesse significato per loro, a 20 anni, andare in montagna. Oggi invece ho capito cosa vuol dire fare una scelta di disobbedienza. Certo meno drammatica, perché qui non si rischia il fuoco dei fucili, al massimo qualche botta da parte degli automobilisti. Ma il mettersi a disposizione assomiglia».
La signora Ruello vive in una frazione di un piccolo comune tra Ancona e Senigallia, lavora come ricercatrice in Scienza e tecnologia dei materiali alla Politecnica delle Marche, ha tre figli, tutti all’estero.
Qualche mese fa una sua figlia le ha mostrato il video di un blocco sul Grande raccordo anulare: «Quelle immagini – racconta – mi hanno colpito. Ultima Generazione mi ha risvegliata da ciò che io chiamo un negazionismo soft, che è molto pericoloso. Non è quello dei Trump o dei Bolsonaro: è quello delle persone per bene che sanno tutto della crisi climatica, cercano di fare la raccolta differenziata e di usare i mezzi pubblici, evitano di mangiare carne e si sentono in pace con se stesse perché sperano che qualcosa succeda. Ma la situazione è talmente grave e urgente che l’unico dovere che conta è ribellarsi a chi ci sta distruggendo, più o meno consapevolmente».
Ruello negli anni Settanta ha fatto parte del movimento femminista, poi negli anni Ottanta si è avvicinata alla causa ambientalista, ma oggi crede che siamo in una fase diversa: «Vanno benissimo le grandi marce, i flash mob, le petizioni, ma l’urgenza di ridurre le emissioni climalteranti e di richiamare i governi nazionali al loro dovere è talmente alta che servono modalità diverse. Serve la disobbedienza perché i governi stanno disobbedendo. E la loro disobbedienza, più o meno consapevole, ci sta uccidendo. Fra vent’anni l’Italia sarà desertificata fino a tutto il suo sud: chi potrà scapperà, i migranti saremo noi!».
Incubi e svolt
Carlotta Muston, nata e cresciuta a Milano, ha 32 anni e fino a tre mesi fa lavorava per una società di consulenza che si occupa di democrazia deliberativa partecipativa: il suo compito era organizzare e facilitare processi decisionali partecipativi.
«Adoravo il mio lavoro – spiega – ma gli dedicavo quaranta ore alla settimana e così non lasciavo abbastanza tempo all’attivismo. L’anno scorso ho attraversato una crisi profonda: ero sempre più in difficoltà perché la crisi ecologica continuava ad avanzare nell’indifferenza generale. Dallo scorso settembre, organizzatami economicamente, mi dedico solo a Ultima Generazione. Continuo a lavorare, ma solo saltuariamente: faccio consulenze spot per guadagnare quel minimo che mi serve per mangiare. Ho tagliato molti costi: esco meno la sera e io e miei coinquilini facciamo il pane e la pasta in casa».
«C’è un documentario molto bello che si intitola “Once you know” che descrive la parabola che io ho attraversato: prima c’è un momento in cui inizi a comprendere quello che sta succedendo, poi arriva come reazione la negazione, cioè il rifiuto di accettarlo, poi c’è una fase di piena presa di consapevolezza. Dopodiché, o rimani incastrato lì oppure ti tiri su le maniche per far sì che possa esserci un futuro. Perché qua non stiamo parlando di benessere, ma proprio della possibilità di avere un futuro: si prospettano guerre, l’Onu ha stimato 3 miliardi di migranti climatici al 2070… E allora, se non ho certezza che ci sarà un futuro, che senso ha che io continui a lavorare?».
«Nell’ultimo anno ho desiderato molto avere un figlio, ma quando ne parlo con il mio compagno la crisi climatica è presente. Mi è capitato di piangere guardando le mie due nipoti giocare e pensando a quello a cui vanno incontro».
Se chiedi a questa ragazza quale alternativa immagina rispetto al mondo in cui stiamo vivendo e quale tipo di modello di sviluppo auspica, lei ti risponde così: «Noi di Ultima Generazione abbiamo tre richieste molto precise rivolte al governo italiano: chiediamo lo stop al carbone e alle trivelle basandoci su report di istituzioni riconosciute come l’Onu».
Fattibile dall’oggi al domani? «Fare oggi quelle cose è necessario, altrimenti non ci sarà un futuro. Quello è il presupposto per tutto il resto. Più in generale, io ho la mia idea personale, ma la visione del futuro deve essere elaborata collettivamente. Le soluzioni vanno elaborate dal governo e da chi è votato e pagato con i nostri soldi per gestire il bene comune. Non sta a noi».
Anche Luca Trivellone, 28 anni, studente di psicologia a Padova ma originario di Civitavecchia, è tormentato dalla prospettiva della fine dell’umanità. Anche lui è uno dei «cittadini preoccupati» di Ultima Generazione.
«Quello che faccio – confida – nasce da una forte eco-ansia: la notte sogno spesso di trovarmi in fondo al mare, di recente in un sogno combattevo con degli squali che erano entrati dentro casa mia». «A Civitavecchia respiravo le emissioni della centrale a carbone Enel che sta al porto. Ho sempre visto da casa questa forte presenza di ciminiere, e la accettavo passivamente: la vedevo come qualcosa più grande di me, rispetto alla quale ero impotente. Poi ho incontrato cittadini organizzati e determinati a fare il cambiamento. E ho deciso di unirmi a loro».
Cosa c’entra bloccare il traffico su una tangenziale o imbrattare un quadro con la lotta alla surriscaldamento globale? «Le ribalto la domanda», risponde Trivellone: «Cosa c’entra il suffragio universale con una persona che sceglie di morire in una collisione con un cavallo? Cosa c’entra rompere una vetrina con il diritto di voto alle donne? Sono domande che avremmo potuto porre il secolo scorso alle suffragette, ma quelle azioni poi hanno portato al suffragio universale. Cosa c’entrava la marcia del sale con la lotta al colonialismo inglese? Eppure è così che Gandhi ha liberato l’India».
«I blocchi stradali che facciamo noi sono come quelli che faceva Martin Luther King. I partiti oggi fanno economia, ma la politica vera la stiamo facendo noi. Rispetto al cambiamento climatico parlare senza agire è distruttivo».
(da TPI)
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Gennaio 20th, 2023 Riccardo Fucile
BANDECCHI È IL COORDINATORE NAZIONALE DI “ALTERNATIVA POPOLARE”, IL PARTITO FONDATO DA ALFANO: EX MISSINO, POI PASSATO CON FORZA ITALIA, VOLEVA CANDIDARSI CON “ITALIA VIVA”, MA CALENDA LO BLOCCÒ
Il calcio, la radio e le auto di lusso. Ma soprattutto la politica. Stefano Bandecchi, amministratore di fatto dell’Università Niccolò Cusano, finita sotto inchiesta per un’evasione da oltre 20 milioni di euro, è anche il coordinatore nazionale di Alternativa Popolare, il partito fondato nel 2017 da Angelino Alfano, che sostiene Francesco Rocca, candidato del centro destra alla presidenza della Regione Lazio alle prossime elezioni regionali.
Un passato con l’Msi e poi con Forza Italia. E un futuro tutto da costruire cercando, magari, di puntare il cavallo vincente. Bandecchi sperava di entrare in parlamento alle scorse elezioni tra le fila di Italia Viva. Ma la sua candidatura, prevista in Umbria, venne stoppata da Carlo Calenda. “Secondo lui io sono un fascista”
Già nel 2013, aveva fondato il Movimento unione Italiano per sostenere la seconda candidatura di Gianni Alemanno. A dicembre scorso, invece, l’imprenditore aveva annunciato la volontà di candidarsi a sindaco di Terni.
A gennaio, infine, diventa uno dei grandi sostenitori del candidato presidente per il centrodestra della Regione Lazio, Francesco Rocca. “Saremo la stampella liberale”, aveva detto Bandecchi alla conferenza stampa dello scorso 10 gennaio presso la Sala Capranichetta dell’hotel Nazionale di Roma.
Rocca si era mostrato entusiasta del sostegno: “Con Bandecchi di Alternativa Popolare ci accomuna la concretezza e la voglia di fare”. E per lui aveva speso parole al miele: “E’ un imprenditore serio che a Roma ha realizzato un grande polo educativo e formativo importante per cui sono sicuro che faremo un bel cammino”. A rovinare i piani ci ha pensato però la guardia di finanza di Roma
La Procura di Roma ha disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, anche «per equivalente», di beni per un valore superiore a 20 milioni di euro, pari all’imposta evasa derivante dal reato di dichiarazione fiscale infedele, nei confronti di tre persone, tra cui gli ex vertici dell’Università Niccolò Cusano Telematica Roma.
Tra le persone finite nel registro degli indagati anche Stefano Bandecchi, amministratore di fatto dell’università dal 2016 al 30 giungo del 2021. Avrebbe utilizzato a fini personali i fondi dell’università
Ad esempio, sarebbero stati saldati con i soldi dell’ateneo «plurimi contratti di viaggio verso località turistiche, nonché li pagamento» dei «viaggi aerei e dei soggiorni in hotel, di servizi di aerotaxi, goduti dal Bandecchi e, in alcune occasioni, anche dalla sua famiglia e dai suoi ospiti, per finalità esclusivamente ricreative».
A Unicusano sono state sequestrate anche due supercar: una Ferrari Sf90 scuderia e una Rolls Royce Phantom VIII. Il bolide di Maranello risulta essere stato acquistato nel 2020, a un prezzo di 505.000 euro «con bonifici provenienti per almeno 200.000 euro dai conti correnti intestati all’Università», mentre la fuoriserie inglese è stata acquistata nel 2018 per 550.000 euro
Tra le spese extra anche quelle per seguire le trasferte della squadra di calcio controllata, la Ternana, acquisita dall’ateneo nel 2017. Per seguirla sarebbero stai scaricati sui conti dell’ente «costi per il noleggio di aeromobili ed altri veicoli che consentissero» all’indagato «di seguire le trasferte calcistiche della Ternana Calcio da lui presieduta».
Compresa una limousine, utilizzata da Bandecchi in occasione della partita disputata tra la Pro Vercelli e la Ternana calcio «per spostarsi dall’aeroporto di Torino allo stadio di Vercelli e ritorno». Unicusano era già finita sotto i riflettori in un’altra vicenda giudiziaria, quella sulla cosiddetta «lobby nera», dalla quale erano emersi due finanziamenti per la campagna elettorale delle europee del 2019.
All’eurodeputato leghista Angelo Ciocca erano andati 80.000 euro, mentre all’attuale ministro degli Esteri, Antonio Tajani erano arrivati 100.000 euro. Gli accertamenti sulle elargizioni ai due candidati (entrambi estranei alle indagini sull’ateneo) avevano stabilito che i fondi non erano quelli pubblici erogati dal Miur ed erano regolari.
(da La Repubblica)
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Gennaio 20th, 2023 Riccardo Fucile
MA È SOLO IL PRIMO PASSO: LE COMPETENZE SARANNO SPACCHETTATE E AL DG RIMARRRANNO SOLO QUELLE SU POLITICHE MACROECONOMICHE E RELAZIONI FINANZIARIE
Alla fine, dopo settimane di trattative accompagnate dalla solita girandola di nomi, l’argine costruito dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti intorno ai vertici ministeriali protegge il Ragioniere generale Biagio Mazzotta, confermato ieri dal governo nonostante le tensioni della manovra, ma cede sul Tesoro. E porta a un cambiamento sia della persona sia del ruolo del direttore generale.
Alessandro Rivera, salito nella casella più delicata del Mef il 2 agosto 2018 durante il governo Conte-1, esce di scena accompagnato dai ringraziamenti di rito ma, almeno per il momento, senza una nuova collocazione esplicita
E al suo posto viene nominato Riccardo Barbieri Hermitte, arrivato al ministero dell’Economia nel 2015 (governo Renzi, ministro Padoan) e fino a ieri responsabile della direzione I del Tesoro, quella sull’analisi economico finanziaria che costruisce il quadro macro dei documenti di finanza pubblica.
Romano ma bocconiano, classe 1958, Barbieri è un nome noto e apprezzato sui mercati internazionali per aver lavorato come economista e market strategist a Jp Morgan, Morgan Stanley, Bank of America-Merrill Lynch e Mizuho. Ma non è un figlio del Mef come Rivera, giunto al vertice del Tesoro dopo una carriera tutta ministeriale.
E diverso sarà anche il ruolo di Barbieri. Perché la sua nomina si accompagna a un progetto di spacchettamento del Tesoro, che sarà presentato la prossima settimana in consiglio dei ministri da Giorgetti e lascerà al nuovo dg le competenze su politiche macroeconomiche e relazioni finanziarie europee e internazionali, materie d’elezione di Barbieri, e affiderà a un nuovo dipartimento, con un nuovo direttore generale, la gestione delle partecipate e del patrimonio pubblico e la regolamentazione del sistema finanziario.
Il nuovo dipartimento avrà anche compiti di analisi e valutazione degli impatti delle decisioni politiche sull’economia reale. E sarà guidato da una nuova figura forte su cui il totonomi è già partito e torna a vedere in prima linea Antonio Turicchi, ora presidente di Ita, che avrà il tempo di portare avanti la cessione della compagnia prima del completamento della riorganizzazione. Una diarchia, insomma, che fa finire con Rivera la figura del dg del Tesoro come dominus tecnico.
Una decisione fortemente voluta dalla premier. La partita sulle nomine però è appena cominciata. Tra febbraio e marzo verranno decisi i vertici e i cda delle principali aziende partecipate: Enel ed Eni in primis ma anche Leonardo, Poste, Terna e altre decine di società. E certo incide non poco la scelta di rivedere il raggio d’azione del Dg del Ministero di via XX settembre.
Barbieri, chi è costui? E’ senza dubbio poco simpatico paragonare il nuovo direttore generale del Tesoro a Carneade che don Abbondio non aveva mai sentito menzionare, tuttavia la sua nomina è una sorpresa che ha spiazzato i più.
Non perché Riccardo Barbieri Hermitte sia uno sconosciuto, al contrario. Tuttavia dopo i fuochi d’artificio del totonomine sembra una scelta paradossale: tutto questo rumore per estromettere Alessandro Rivera e poi viene pescato un altro funzionario interno?
Alcuni pensano che, per scegliere Barbieri, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti abbia consultato il suo predecessore Daniele Franco o lo stesso Mario Draghi.
Secondo altri si tratta di un compromesso tra Giorgetti e Giorgia Meloni, una figura di transizione aspettando un vero navigatore dei palazzi romani, magari in sintonia con Fratelli d’Italia.
Identikit che s’addice senza dubbio ad Antonino Turicchi il quale conosce il Mef da molto più tempo, è stato amministratore delegato di Fintecna e direttore generale della Cassa depositi e prestiti. Ma ora presiede Ita ed è chiamato a gestire l’ingresso di Lufthansa con il 40 per cento (per ora)
(da Il Foglio)
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Gennaio 20th, 2023 Riccardo Fucile
“SI FANNO TROPPE INTERCETTAZIONI? RISPETTO A QUALE PARAMETRO? IN INGHILTERRA HANNO UN MESSINA DENARO? IN DANIMARCA HANNO VISTO SALTARE PER ARIA UN’AUTOSTRADA PER AMMAZZARE UN GIUDICE?”… “SE SCOMPARE UN BAMBINO CHE FACCIO, INTERCETTO O RISPETTO IL BUDGET?… “COSTA TANTO INTERCETTARE? LO STATO POTREBBE COMPRARE LE STRUMENTAZIONI, ANZICHÉ AFFITTARLE DAI PRIVATI”
Dopo una vita da pm antimafia a Palermo e Caltanissetta, Gabriele Paci da un anno e mezzo è procuratore di Trapani, il feudo di Messina Denaro.
Si è stupito della rete di complicità di cui godeva?
«No. Questa è Trapani. Una roccaforte».
Perché roccaforte?
«Questo era un paradiso fiscale per i corleonesi. Banche, finanziarie e prestanome come in Lussemburgo. Riina passava le estati tra Mazara e Castelvetrano, investiva in terreni e immobili. Si appoggiò ai trapanesi per vincere la guerra di mafia contro i palermitani, incoronando il fedelissimo padre di Messina Denaro, don Ciccio, come capo provinciale».
E oggi?
«L’immagine della città è cambiata, il sostrato sociale e criminale no». «Oggi non ci sono più cadaveri per strada, la mafia fa affari. Tutto passa dai nuovi strumenti di comunicazione. Per questo le intercettazioni sono imprescindibili per corruzione e reati economici»
Se ne fanno troppe?
«Rispetto a quale parametro? In Inghilterra hanno un Messina Denaro? In Danimarca hanno visto saltare per aria un’autostrada per ammazzare un giudice?».
No, però…
«… però dovrebbe vedere gli sguardi dei colleghi stranieri quando racconto che a Gela lavoravo su due famiglie di Cosa nostra, due articolazioni della stidda, una fazione di fuoriusciti. Cinque clan per 70mila abitanti».
Le piace l’idea di dare budget alle Procure?
«Mi pare un sistema brutale e arbitrario. Se scompare un bambino che faccio, intercetto o rispetto il budget?».
Non si spende troppo?
«Un corretto conto economico dovrebbe sottrarre il valore dei beni confiscati grazie alle intercettazioni e dare un valore ai crimini scongiurati. Comunque, lo Stato potrebbe comprare le strumentazioni, anziché affittarle dai privati. Sarebbe meno caro e più sicuro».
Le intercettazioni finiscono sui giornali.
«Un momento. Se intercetto un boss che racconta all’amante dove ha messo i soldi delle estorsioni è chiaro che prima o poi, nel processo, viene fuori. Altro discorso se si tratta di conversazioni irrilevanti, gratuitamente pruriginose».
La legge Orlando funziona o no?
«Le regole ci sono. Siamo indietro sulla professionalità – di tutti, anche nostra – rispetto a una realtà cambiata. Non nego gli errori».
Quali?
«Accumuliamo una mole impressionate di dati sensibili. Non siamo attrezzati per gestirli adeguatamente».
C’è scarsa sensibilità per la privacy?
«È una questione di preparazione, di cultura. Ma attenzione a non buttare il bimbo con l’acqua sporca».
Chi è il bimbo?
«La corruzione esiste, è radicata, priva la collettività di denaro e servizi. Tanto più quando arriva un fiume di soldi europei».
Senza intercettazioni non si possono fare le indagini?
«Per reati come la corruzione, le possibilità sono nulle. Se la politica vuole elevare la privacy a valore assoluto, a scapito di ogni esigenza di sicurezza collettiva, lo dica. La privacy è più importante della corruzione? Ne prenderemo atto. Ma sia chiaro che significa chiudere gli occhi di fronte a una radicata realtà criminale».
Che ci sia corruzione si sa anche senza intercettazioni.
«Ma noi dobbiamo accertare fatti e responsabilità. Servono prove. E mezzi adeguati per trovarle. Altrimenti siamo disarmati».
L’appello al Parlamento a non essere «supino ai pm» è stato molto applaudito.
«Sembra che le intercettazioni siano un capriccio dei pm che giocano a spiare le persone. Veniamo trattati come un’associazione a delinquere».
Dice il ministro: se si sostiene che la mafia è ancora forte, vuol dire che l’antimafia ha fallito. Si sente un fallito?
«Perché non abbiamo eliminato fenomeni criminali radicati da un secolo e mezzo? Abbiamo non solo neutralizzato la cupola stragista, ma chiuso le scuole di formazione dei nuovi quadri. Impedendo che un nuovo Messina Denaro crescesse “sulle mie ginocchia”, come diceva Riina. Per farlo, abbiamo tagliato l’erba ogni giorno, con la legislazione antimafia. Ora per qualcuno il tagliaerba non serve più».
(da la Stampa)
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Gennaio 20th, 2023 Riccardo Fucile
HA ASSUNTO PURE IL RUOLO DI DIRIGENTE DEL SERVIZIO DEMOGRAFICO
A Caorso in provincia di Piacenza la sindaca Roberta Battaglia ha deciso di autoassumersi come comandante dei vigili urbani. La vicenda, raccontata oggi dal quotidiano locale La Libertà, parte dalla scelta della prima cittadina, che ha deciso di assumere temporaneamente anche le funzioni di responsabile del servizio di polizia locale di quello demografico-statistico-elettorale.
La motivazione è che mancano le figure dirigenziali preposte, anche se la giunta ha varato la riorganizzazione interna del municipio.
Ma la minoranza di «Caorso Centrosinistra» insorge. Sostenendo che la scelta della sindaca «deroga alla separazione dei ruoli politico e tecnico nella macchina amministrativa è consentita per i Comuni sotto i 5mila abitanti che non abbiano adeguate figure direttive o non abbiano entrate sufficienti per assumerle e pagarle. Non è evidentemente questo il caso del Comune di Caorso: qui il bilancio è florido (tanto più considerando che a luglio 2023 la Cassazione potrebbe sbloccare i 29 milioni del tesoretto nucleare) e, si fosse comportata diversamente la maggioranza, il nostro Comune avrebbe potuto già avere in ruolo tutte le figure direttive necessarie».
(da Open)
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Gennaio 20th, 2023 Riccardo Fucile
LICENZIATO L’ASSESSORE DI CIVIDALE, RITIRATE LE COPIE DALLE SCUOLE, RIMANE LA FIGURA DI MERDA DELLA GIUNTA DI CENTRODESTRA
L’opuscolo con i controversi consigli alle ragazze per evitare pericoli come la violenza sessuale sarà ritirato a Cividale del Friuli, dove la sindaca Daniela Bernardi ha deciso di licenziare l’assessore alle Pari opportunità dopo le polemiche e la protesta degli studenti.
Sono stati gli stessi ragazzi del Movimento studentesco per il futuro a confermare le decisioni prese oggi 19 gennaio dalla sindaca, dopo una riunione nel palazzo comunale del paese in provincia di Udine. Finanziata anche dalla Regione Friuli-Venezia Giulia guidata da Massimiliano Fedriga, la pubblicazione intitolata Prevenire le aggressioni, combattere la violenza era stata distribuita nelle scuole, dove le studentesse avevano protestato per quelle indicazioni che sembravano più delle accuse preventive: «Evitate di indossare oggetti di valore – si leggeva nell’opuscolo – ricordate che l’aggressore osserva e seleziona le vittime anche sulla base di alcuni particolari, come gioielli e l’abbigliamento eccessivamente elegante e vistoso»
(da Open)
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Gennaio 20th, 2023 Riccardo Fucile
“NON ACCETTO CRITICHE SU DOVE VADO”… INFATTI L’ERRORE E’ DI CHI TI CI HA MESSO A RAPPRESENTARE LA SECONDA CARICA DELLO STATO… IL PARAGONE CON FINI NON REGGE, ALTRO STILE
La settimana scorsa un video ha immortalato il presidente del Senato Ignazio La Russa mentre risponde «metti il cazzo che vuoi» a un giornalista che gli chiedeva quale sottopancia mettere su di lui in un servizio su un evento elettorale di Fratelli d’Italia.
Oggi La Russa in un’intervista al Corriere della Sera risponde alle critiche sulla sua presunta scarsa imparzialità. E spiega anche il motivo di quella replica. «A differenza di alcuni miei predecessori sono a capo di un partito e non sto per fondarne uno. Di mia spontanea volontà non ho fatto né faccio interventi a particolare commento dell’operato del governo, dei suoi singoli provvedimenti, della legge di bilancio. Ho le mie idee sui temi di carattere generale, come per esempio la giustizia o l’immigrazione, ma cerco di tenermi a debita distanza dal commentare le scelte della maggioranza», esordisce.
«Uno stile poco paludato»
Riferendosi a Piero Grasso e Gianfranco Fini, che da presidenti del Senato e della Camera portarono avanti gli impegni in Articolo Uno e Futuro e Libertà.
Poi, sulla rispostaccia al giornalista, dice: «Ammetto di avere uno stile, come dire, poco paludato. E ammetto anche che questo stile è tra le cose che non sono cambiate con la presidenza del Senato. Quel giornalista, ma è un’opinione personale, mi ha tampinato in un modo poco elegante; e allo stesso modo, e questa non è un’opinione ma un fatto, ha inseguito anche qualche componente della mia famiglia. Detto questo, più che pentito, posso dire di essere dispiaciuto per aver usato quell’espressione». E fissa una regola: «Io accetto critiche sul mio operato, sulle mie idee, pure su come presiedo l’Aula. Anche se su questo nessuno ha mai messo in dubbio la mia imparzialità. Non accetto alcun tipo di critica, invece, su dove vado. E non mi arrendo davanti alle falsità»
Il 25 aprile
Poi La Russa risponde all’immancabile domanda sul 25 aprile: «Celebrerò la Festa della Liberazione dove decido io. Non so ancora dove sarò ma so dove non sarò, in uno di quei cortei di piazza spesso teatro di contestazioni. E dove se pure andassi qualcuno mi accuserebbe di essere un provocatore».
Qualche tempo fa in un colloquio con La Stampa aveva detto che non sarebbe andato. Poi ha accusato il giornalista di aver fuorviato il senso delle sue parole. Infine, sullo stadio di San Siro: «Quella è una vicenda che non riguarda il governo ma il Comune di Milano. A cui spetta la decisione finale sullo stadio. Ho parlato da milanese. Così come avevo già parlato col sindaco Sala esponendo la mia idea di costruire il nuovo stadio accanto a quello di San Siro. Comunque sia, per come sta procedendo la vicenda, glielo posso dare per certo: San Siro non sarà mai abbattuto».
(da Open)
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