Giugno 29th, 2023 Riccardo Fucile
MASSIMA ALLERTA PER LA MARCIA CONVOCATA DALLA MADRE.. LA PROCURA HA CHIESTO L’ARRESTO DEL POLIZIOTTO CHE HA SPARATO SENZA MOTIVO AL RAGAZZO
È stata una notte di duri scontri, quella appena trascorsa in Francia, la seconda dopo la morte di Nahel, il 17enne ucciso da un poliziotto mentre era a bordo di un’auto a Nanterre, periferia di Parigi.
Incidenti e scontri si sono verificati sin dalla terra serata di mercoledì in particolare a Tolosa, a Lille e a Nantes.
A Nanterre, dove il giovane è morto, diversi edifici pubblici e privati sono stati danneggiati, e un edificio e un autobus sono stati dati alle fiamme. La prefettura della regione parigina aveva dispiegate preventivamente circa 2mila agenti anti-sommossa, coadiuvati da droni per monitorare gli incidenti. E questa mattina il ministro dell’Interno Gerald Darmanin ha reso noto che al termine della seconda notte di rivolta sono state oltre 150 le persone arrestate per le violenze, definite «intollerabili».
Ma intollerabile, come ammesso dallo stesso presidente francese Emmanuel Macron, è stato anche l’omicidio di Nahel. E dello stesso avviso è stata questa mattina anche la Procura di Parigi, che ha verificato la totale assenza di «condizioni legali per l’uso dell’arma da fuoco» da parte del poliziotto che ha sparato mortalmente al 17enne, e ne ha chiesto pertanto l’arresto.
L’agente è indagato per omicidio volontario. Le autorità francesi sperano che la mano dura contro il poliziotto basti a calmare la situazione, ma quella di oggi s’annuncia un’altra giornata difficilissima.
Alle ore 14 si terrà infatti davanti alla prefettura di Nanterre una manifestazione di protesta contro le violenze della polizia oltre che di omaggio a Nahel: a convocare la «marcia bianca» con un video che ha fatto il giro dei social è stata la madre del ragazzo, Mounia. Nel contesto di massima tensione, s’è appreso in mattinata, il governo francese ha deciso di rinviare «rinviare tutti i movimenti non essenziali dei ministri previsti per oggi». La prima ministra Elisabeth Borne si è ciononostante diretta verso Garges-les-Gonesse, comune alle porte di Parigi dove un commissariato è stato dato alle fiamme la notte scorsa.
In tutta questa situazione resta, ovviamente, e principalmente, il dramma del diciassettenne ucciso. Dramma che ha continuato a generare un fiume di commenti politici, ieri, per tutto il giorno. Le immagini scioccanti pubblicate sui social mostrano un intervento della polizia «che chiaramente non rispetta le regole di ingaggio delle nostre forze dell’ordine», ha affermato la premier Elisabeth Borne. Macron ha parlato di un atto «inspiegabile» e «imperdonabile». Su richiesta del presidente della Repubblica, il ministro delegato per la città, Olivier Klein, ha già parlato con la madre del ragazzo per presentarle le «condoglianze del governo» e assicurarle «il sostegno della Nazione».
La tragedia è avvenuta nei pressi della stazione rer di Nanterre-Prefecture, a seguito di un controllo stradale. Il video circolato sui social mostra uno dei due poliziotti coinvolti che tiene sotto tiro il giovane conducente, poi gli spara a bruciapelo. Nel video si sente «ti sparano in testa», ed ora l’indagine deve accertare se quella frase sia attribuibile al poliziotto di 38 anni che poi ha sparato al ragazzo. Nahel è morto poco dopo essere stato colpito al petto. L’agente è stato fermato e interrogato dall’Ispettorato Generale della Polizia Nazionale: il fermo è stato prorogato «nella prospettiva di un’apertura dell’informazione giudiziaria prevista per giovedì (oggi, ndr)», ha indicato a fine giornata l’accusa. «Prenderemo le decisioni amministrative di sospensione se mai verranno mosse accuse contro di lui», ha annunciato Darmanin.
Vista la situazione sono state rinviate – «fino a nuovo ordine» – tutte le trasferte non prioritarie dei ministri del governo francese. Il caso ha tra l’altro riacceso le polemiche sull’azione delle forze dell’ordine in Francia, dove nel 2022 è stato registrato un numero record di 13 morti dopo il rifiuto di ottemperare ai controlli del traffico.
(da agenzie)
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Giugno 29th, 2023 Riccardo Fucile
IL COMIZIO DELLA MELONI IN PARLAMENTO TRA URLA, RETORICA E TERRIBILE ACCENTO ROMANESCO PIU’ ADATTO ALLE BANCHARELLE DEL MERCATO
Il difetto (mortale) della politica fatta per strappare applausi, o per piacere ai social, è che i contenuti, uno dopo l’altro, spariscono. Finiscono ingoiati dal tono e dal volume, come quando hai ascoltato una canzone ma non sapresti dire di che cosa parlava.
Il discorso di Meloni in Parlamento conteneva un sacco di argomenti: il Mes, i migranti, il viaggio in Tunisia, le spese militari italiane ed europee, più varie ed eventuali.
Su almeno uno dei temi trattati (la necessità di una maggiore autonomia militare dell’Europa) mi è sembrato, per un momento, di potere perfino essere d’accordo.
Non fosse che un profluvio di retorica nazionalista, di inopinate accuse ai «comunisti» (??!!), e un tono quasi sempre sopra le righe — aumentando la vis polemica aumentava tragicamente l’accento romanesco — travolgevano ogni concetto. La cornice che si mangia il quadro.
Esiste una collaudatissima retorica da comiziante: ma perfino nei comizi è irritante, suona vecchia, declamatoria, e comunque può appellarsi all’alibi degli altoparlanti che non funzionano.
Ma in Parlamento l’audio è perfetto, non c’è nessun bisogno di alzare la voce. E dunque il tono da comiziante in Parlamento disturba tre volte di più, perché il Parlamento non è una piazza e non è neanche una pagina Facebook.
Così alla fine, del discorso di Meloni, rimarrà il pittoresco urletto contro «i comunisti» e poco altro. Sui social qualcuno risponderà: taci tu che sei fascista. I contenuti rischiano di essere solo un pretesto per animare il solito vecchio match a chi strilla più forte. È faticoso seguire. Si passa volentieri ad altra occupazione.
(da La Repubblica)
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Giugno 29th, 2023 Riccardo Fucile
COME RIPORTARE L’ITALIA INDIETRO DI 50 ANNI
Alcune novità in tema di natalità, famiglia e inchieste giornalistiche contenute nella bozza di contratto di servizio pubblico per il quinquennio 2023-2028, anticipata nel Consiglio di amministrazione della Rai di lunedì scorso, hanno richiamato alla mente una vecchia ricerca sui valori e i modelli sociali proposti dalla programmazione Rai, commissionata fra il 1968 e il 1972 dall’allora glorioso Servizio opinioni che, guarda caso, considerava proprio temi quali tv e famiglia, tv e figli e tv e donne.
Il contratto di servizio è il documento nel quale il governo, nella figura del ministero delle Imprese e del Made in Italy, e la Rai, stabiliscono un «insieme di obiettivi, di indirizzi operativi, di parametri di qualità, di tipologie di programmi». Dunque, quello che vedremo o non vedremo nei prossimi cinque anni sui diversi canali e piattaforme dell’ente pubblico dipende in buona parte da questo documento.
Il modo in cui, anche sulla Rai, il governo sta procedendo, conferma una hỳbris di occupazione e di cadreghe che va oltre una normale logica di riequilibrio e di alternanza, nobilitate dall’ambizione di dare vita a una nuova «narrazione», parola totem del melonismo, più aderente rispetto alla realtà e al sentire del paese. La Rai dunque come chiave di volta della nuova «egemonia culturale» di destra.
NUOVI OBIETTIVI
In ottemperanza a queste missioni più politico-ideologiche che culturali-editoriali, nella bozza del nuovo contratto di servizio, nella parte relativa agli obiettivi della Rai è stata espressamente inserita la «promozione della natalità», che andrebbe ad affiancarsi a quella «della famiglia e della genitorialità», anteponendole nel documento al punto dedicato alla diffusione dei valori dell’accoglienza e dell’inclusione.
Avendo presente le idee e le politiche di questo governo in materia di famiglie, figli, genitori, viene da domandarsi come la futura Rai sarà chiamata a tutelare e promuovere questi valori e, soprattutto, con quali attenzioni e considerazioni verso possibili visioni di natalità, famiglia, genitorialità non conformi o non collimanti a quella del governo.
Questa idea dalla Rai come di un orwelliano diffusore e tutore di una precisa visione della società e dei valori, che per la sua efficacia deve essere uniformato e sottoposto al pensiero egemonico tramite un rigido controllo dei programmi e dei contenuti, è molto vecchia e al contempo anacronistica. Anche Giorgia Meloni, nel corso del suo recente intervento alla Giornata mondiale contro le droghe ha suo malgrado constatato che mentre lei, tramite i nuovi vertici Rai, cerca di mettere un tappo alle falle e derive culturali del servizio pubblico, la straniera Netflix si permette di raccontare in toni chiaroscuri la vicenda di San Patrignano e molte serie hanno come protagonisti dei cattivi.
LA RICERCA
Nell’analizzare i contenuti dei programmi proposti da una Rai in bianconero, controllata ancora direttamente dal governo e, contrariamente alle sue nostalgiche rievocazioni, sottoposta a una vigilanza editoriale e a una censura informativa molto rigide, i curatori della vecchia ricerca Rai, fra cui il sociologo Francesco Alberoni e l’antropologo Tullio Seppilli, annotavano che il fondamento primario dell’esistenza femminile in televisione è il momento amoroso, la capacità di amare in cui la donna realizza o dovrebbe realizzare tutta sé stessa, come fidanzata e moglie prima e come madre poi.
Nei programmi viene rappresentata quasi sempre come casalinga, senza ruoli extradomestici, che comunque sono sempre compatibili e integrabili con quelli domestici. Raramente è investita di ruoli autoritativi: l’autorità sia essa politica, giuridica, burocratica, familiare, scientifica, etc, resta una prerogativa fondamentalmente maschile.
Il bambino è soprattutto visto nell’ambito della famiglia, indicata come l’ambiente ideale della vita e del suo sviluppo, dimenticando altri ambienti della vita e dell’educazione infantile, certamente importanti e integrativi come la scuola e il gruppo amicale.
Inoltre, il modello positivo del rapporto adulto-bambino viene solitamente rappresentato in famiglie di ceto medio-alto, mentre nei ceti popolari si tende a presentare situazioni familiari e infantili più problematiche. Infine, la rappresentazione di famiglie in crisi è pressoché assente e, nei pochi casi, si giunge alla ricomposizione del conflitto o del malinteso. Nel 1970, anno in cui venne finalmente approvata la legge e il tema era al centro del dibattito e del discorso pubblico, la parola “divorzio” risultava completamente assente nei programmi leggeri e trattata solo dal 2 per cento di quelli giornalistici.
Un controllo anzi, una “egemonia” ferrea sui contenuti e una “narrazione” dell’Italia che avrebbe dovuto garantire lunga vita alla maggioranza e quella visione di paese e società.
Utopia spazzata via due anni dopo dal referendum sul divorzio che dimostrò che l’Italia, e proprio le donne e i ceti più popolari e del sud, si erano emancipati da quel tipo di “narrazione”. E poi, se la potente macchina televisiva è stata per anni dominata dalla sinistra, com’è che a vincere le recenti elezioni è stato un piccolo e marginalizzato partito politico? Insomma, una visione moderna della Rai e dell’industria culturale nel suo complesso, con i suoi processi, attori e pubblici, non si esaurisce nel promuovere per statuto la natalità e nel piazzare i propri cantori.
(da editorialedomani.it)
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Giugno 29th, 2023 Riccardo Fucile
IERI IL SENATO HA VOTATO PER SALVARE MATTEO SALVINI DAL PROCESSO CHE NON “VEDEVA L’ORA DI AFFRONTARE”
Il prode Matteo Salvini di fronte ai giornalisti appena aveva saputo di essere stato denunciato da Carola Rackete, all’epoca dei fatti comandante della Sea Watch 3, la nave della Ong tedesca impegnata nel soccorso di 53 migranti nella zona Sar libica il 12 giugno 2019, aveva testualmente detto: “Non vedo l’ora di incontrarla in tribunale una che ha provato a uccidere militari italiani”.
Nel frattempo sono accadute un po’ di cose. Carola Rackete è stata assolta da ogni accusa perché, dice la sentenza, “ha agito nell’adempimento del dovere perché non si poteva considerare luogo sicuro il porto di Tripoli”.
Anche lo “speronamento” raccontato da politici e giornalisti era una bufala. Una bufala che – tra l’altro – ieri Giorgia Meloni ha ripetuto in Parlamento, senza nemmeno un briciolo di vergogna.
Ieri il Senato ha votato per salvare Salvini dal processo che non “vedeva l’ora” di affrontare.
Per i partiti di maggioranza (Italia Viva si è astenuta) i giudizi di Salvini sono “parole coperte da insindacabilità”. Sapete quali erano i “giudizi” del ministro? “Zecca tedesca“, “complice degli scafisti e trafficanti” e “sbruffoncella”.
È vero che dal leader della Lega non ci si aspettano disamine elaborate ma definire giudizi degli insulti è piuttosto ributtante, se non fosse che a farlo sono gli stessi partiti che votarono Ruby nipote di Mubarak. Capitan Coraggio alla fine è scappato.
Aveva promesso di difendere sé stesso e il Paese e invece si è rivelato solo un disertore. Per di più libero di diffamare. Finché dura.
(da La Notizia)
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Giugno 29th, 2023 Riccardo Fucile
BANCA FINNAT SA CHI C’E’ DIETRO… HA FINANZIATO LE SUE SOCIETA’ E IL LEGALE E’ LA RUSSA
Per svelare i segreti del fondo Negma, partner d’affari della ministra Santanchè, non serviranno rogatorie internazionali. Basterà bussare a Palazzo Altieri, in piazza del Gesù al 49, sede di Banca Finnat, istituto di credito privato della famiglia Nattino, alta finanza capitolina e papale. Perché è qui che ha i conti Negma, l’operatore finanziario offshore che ha finanziato per milioni di euro Bioera, Ki Group e Visibilia, le società collassate della premiata ditta Canio Mazzaro – Daniela Santanchè finite nel mirino della Procura di Milano.
Già da gennaio, il pm Paolo Filippini ha aperto un fascicolo “contenitore” contro ignoti per aggiotaggio, al fine di accertare la liceità o meno dei contratti sottoscritti da Negma con Visibilia, Bioera, Ki Group e molte altre società. Ma Negma è una entità finanziaria anonima, con sede a Dubai registrata nelle Isole Vergini Britanniche per il risibile capitale di 1.000 euro. Negli anni – ancora a guida Santanchè – le disastrate Bioera, Ki e Negma hanno emesso obbligazioni convertibili per raccogliere liquidità, come altre società italiane e francesi. Tutti come controparte avevano Negma o il suo predecessore Bracknor, che ne condivideva gli stessi uffici. Quei prestiti hanno diluito le partecipazioni degli azionisti (Mazzaro e Santanchè compresi) fino a farli uscire di scena, ma hanno fatto pure crollare il valore delle azioni. Realizzando però forti utili per Negma&C.
Negma è un rebus, a partire dai suoi effettivi azionisti e da chi li ha finanziati. In Italia il fondo ha investito in molte società in difficoltà, spesso quotate al segmento EuroNext Growth di Borsa Italiana: Caleido, ePrice, Fidia, Energica Motor Co, Askoll Eva, Fenix Entertainment e WM Capital (oggi The LifeStyle Group). Secondo il suo sito, nel 2013 Negma ha aperto un ufficio a Dubai e lanciato il primo fondo che in due anni ha raccolto 300 milioni. Nel 2021 dice di aver aperto sedi a Milano e Parigi: quando la Finanza si è presentata all’indirizzo italiano ha trovato solo una mail box. L’altra certezza è che Visibilia e Negma legano la ministra al collega di partito e presidente del Senato Ignazio La Russa, che è stato legale per entrambi.
Ad agevolare gli inquirenti potrebbe essere una piccola falla del meccanismo finanziario. Dalle carte di una assemblea dell’aprile 2022 di The LifeStyle Group, che all’epoca si chiamava Wm Capital, emerge che l’8 aprile 2022 da Banca Finnat aveva aperto per Negma un conto titoli, dove il fondo aveva depositato le sue azioni Wm Capital. In base alla legge antiriciclaggio, Finnat deve aver chiesto a Negma chi sono i suoi beneficiari effettivi, cioè i soggetti (persone fisiche o aziende) che lo controllano. Ma non basta: di Wm Capital, poi, Finnat è stata anche advisor e ha verificato l’indipendenza di un candidato nella lista presentata da Negma per il Cda. Lista dove appaiono anche l’avvocato Roberto Culicchi, responsabile Italia di Negma, e Davide Mantegazza, commercialista milanese che è stato per anni consigliere indipendente e investor relator di Visibilia, oltre ad aver avuto ruoli in Bioera e Ki Group. L’istituto risponde al Fatto che ben conosce i suoi obblighi di verifica e monitoraggio, ma anche i vincoli di riservatezza nella segnalazione di operazioni sospette.
Dopo quell’assemblea, il 21 luglio 2022 Fabio Pasquali che di Wm era azionista ha presentato un esposto a Consob, Borsa Italiana e al collegio sindacale su Negma, Bracknor e Golden Eagle Capital Advisors (Geca). Subito dopo il collegio sindacale si è dimesso in blocco, senza spiegazioni. L’esposto ricostruisce il meccanismo di prestiti teoricamente finalizzati al risanamento aziendale o al sostegno dello sviluppo che però hanno causato il crollo del 99% del valore delle azioni.
Pasquali segnalava anche il ruolo di un consulente di Banca Finnat, l’avvocato Roberto Maviglia, che al Fatto dice: “Tuttora faccio assistenza di questo tipo per la banca, ed è vero che sono stato anche consulente giuridico di TLSG. All’esterno può apparire un conflitto di interessi, ma le parti lo sapevano”. Per forza, Finnat faceva proprio da banca d’appoggio per Negma e Geca, sia per depositare le azioni delle società italiane partecipate sia come banca dove passava il denaro proveniente dall’estero (Isole vergini britanniche o Dubai) dei prestiti convertibili. Per Bioera, Ki Group e Visibilia, Banca Finnat ha avuto ruoli quali specialist, global coordinator della quotazione di Ki Group, depositaria dei titoli di azionisti, ma anche creditrice di Visibilia Editore, intermediario bancario di conti correnti e conti titoli. Ruoli simili li ha avuti in Ener-gica Motor, Askoll Eva, Fenix Entertainment, Wm Capital (oggi The LifeStyle Group), tutte società che hanno avuto rapporti con Negma. Tutte vicende sulle quali ora è la Procura di Milano a indagare.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Giugno 29th, 2023 Riccardo Fucile
SI ERANO ROTTE ALCUNE PIASTRELLE, DOPO MESI DI ATTESA LE SOSTITUISCONO CON LE PRIME CHE CAPITANO: UN ESEMPIO DELLA SCIATTERIA E DELLA MANCANZA DI RISPETTO IN CUI SIAMO PRECIPITATI
Angelo Gentile ha 72 anni. Nel 2016 è stato colpito da un distacco della retina che l’ha portato a non vedere più nulla. Gli è stata riconosciuta l’invalidità all’80% ed ora vive nelle case popolari a Torino. Un anno fa, racconta Francesca Lai in un articolo sul Corriere della Sera, Angelo è stato vittima di un incidente all’interno del proprio appartamento: il 20 settembre il 72enne è infatti inciampato sulle piastrelle rotte, e mai riparate dai tecnici dell’Agenzia Territoriale per la Casa, nonostante le ripetute segnalazioni. A causa della caduta, l’uomo è rimasto immobilizzato per tre mesi, dipendendo completamente – spiega il quotidiano – da altre persone per ogni esperienza quotidiana, anche la più semplice. «Non potevo neanche andare in bagno da solo. Grazie all’associazione Udicon, che mi da subito ha fornito consulenza e assistenza, sono riuscito a parlare con un avvocato che ora sta seguendo la vicenda», ha raccontato alla giornalista.
Le piastrelle di colore diverso
Dopo mesi di attesi, il 10 gennaio 2023 i tecnici dell’Atc sono intervenuti per sostituire la pavimentazione. Ma ecco che Angelo, in quell’occasione, ha ricevuto una sorpresa amara: sono state infatti inserite piastrelle di colore diverso, nonostante il 72enne avesse espressamente richiesto di mantenere la stessa tonalità di quelle precedenti. La sua cecità non gli ha permesso di vedere il risultato. Ad avvertirlo, al contrario, sono stati i suoi parenti. Angelo si è sentito tradito, poiché voleva vivere in una casa decorosa e accogliente. «Dopo vari solleciti tramite Udicon – spiega l’avvocato Stefano Saglimbeni – è stata aperta la posizione assicurativa che purtroppo ad oggi è in una fase di stallo. La vicenda ha anche un profilo morale in quanto nell’ambito della riparazione presso l’abitazione del signor Gentile, soggetto ipovedente, sono state applicate piastrelle di un colore diverso nonostante le rassicurazioni di un lavoro a regola d’arte», ha concluso.
(da Open)
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Giugno 29th, 2023 Riccardo Fucile
TRA I CLIENTI ANCHE MICCICHE’: “ANDAVA A PRENDERLA CON L’AUTO BLU”
Il gip di Palermo Antonella Consiglio ha disposto una misura cautelare per sei persone, accusate a vario titolo di vendita e cessione di droga alla «Palermo bene». A finire agli arresti domiciliari è anche Mario Di Ferro, il gestore del ristorante di Villa Zito fermato lo scorso 4 aprile mentre cedeva una dose di cocaina a Giancarlo Migliorisi, un burocrate a contratto dell’Assemblea regionale siciliana (Ars).
Nel provvedimento del gip, Di Ferro è accusato di aver procurato e ceduto cocaina, tra gli altri, anche all’ex senatore di Forza Italia – ed ex presidente dell’Ars – Gianfranco Miccichè, che però non è indagato. L’inchiesta è coordinata dal procuratore capo Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido. Le indagini della procura di Palermo sono nate per caso, durante un’intercettazione disposta nell’ambito di un’altra inchiesta.
Gli altri indagati
I primi approfondimenti hanno poi rivelato che Di Ferro era protagonista di un’intensa attività di vendita di cocaina a una selezionata clientela. Un’attività che svolgeva rigorosamente nel suo locale, divenuto a tutto gli effetti un luogo di spaccio. La procura sarebbe riuscita ad accertare diversi episodi di cessione di droga, realizzati dal ristoratore insieme ad altre persone. Tra gli altri indagati ci sono anche Gioacchino e Salvatore Salamone, già condannati per spaccio in un processo sui traffici dei clan mafiosi palermitani e ora in custodia cautelare in carcere. È a loro due che Di Ferro si sarebbe rivolto per rifornirsi dello stupefacente. Non solo: il ristoratore avrebbe anche impiegato tre dipendenti del suo locale come pusher. A tutti e tre è stato imposto l’obbligo di firma.
I filmati delle telecamere
Dopo che Di Ferro fu sorpreso a vendere cocaina a Migliorisi, il funzionario dell’Assemblea regionale siciliana fu interrogato dalla polizia e sospeso dal suo incarico. Agli agenti Migliorisi spiegò di aver telefonato al ristoratore chiedendogli di riservare un tavolo per tre persone per il pranzo. E quel riferimento alle tre persone, si è giustificato l’uomo alla polizia, «è stato poi incidentalmente utilizzato come riferimento al numero di dosi che intendevo acquistare». Nel corso dell’interrogatorio, Migliorisi ha ammesso di aver comprato cocaina da Di Ferro in passato. Ma ha sostenuto di non sapere da chi il ristoratore si rifornisse.§
Miccichè: «Mi dispiace per lui, è un caro amico»
Per quanto riguarda i fornitori di Di Ferro, i sospetti dei pm si sono subito concentrati su Gioacchino e Salvatore Salamone. Che erano già coinvolti nel 2018 in un’indagine sul riciclaggio di denaro di alcuni clan locali dai traffici di droga. Le riprese dei sistemi di videosorveglianza, depositate agli atti dell’inchiesta odierna, hanno immortalato più volte Di Ferro mentre consegnava il denaro ai due fornitori dopo aver preso lo stupefacente.
Oggi, dopo la notizia dell’arresto di Di Ferro, Miccichè ha commentato così l’inchiesta della procura di Palermo: «Prima di potere dire qualcosa devo capire cosa c’è nell’inchiesta in cui non sono indagato, ma posso dire che sono dispiaciuto per Mario Di Ferro: è un caro amico che conosco e frequento da moltissimi anni. Andavo alla sue feste. Che erano sempre molto divertenti, frequentate da tantissima gente e dove non ho mai visto della droga», ha detto all’Ansa l’ex presidente dell’Ars ed ex leader di Forza Italia in Sicilia.
(da Open)
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Giugno 29th, 2023 Riccardo Fucile
L’ACCUSA E’ DI AVER APPOGGIATO PRIGOZHIN NELLA RIVOLTA… SCOMPARSI ANCHE MEDVEDEV E GERASIMOV
Il generale russo Sergei Surovikin è stato arrestato. Lo ha fatto sapere il Moscow Times, citando due fonti vicine al ministero della Difesa russo. «La situazione con lui non era ok. Per le autorità. Non posso dire altro», ha detto una delle fonti. «A quanto pare, (Surovikin) ha scelto la parte di Prigozhin durante la rivolta, e l’hanno preso per le palle», ha detto la seconda fonte citata dal giornale di Mosca in lingua inglese.
Il quotidiano sottolinea che del generale non si avevano più notizie da sabato, giorno della rivolta della Wagner. Secondo il New York Times, Surovikin era al corrente dei piani di ribellione della milizia.
L’AdnKronos scrive che alla domanda su dove si trovi attualmente il generale, la fonte ha replicato: «Non commentiamo queste informazioni neanche attraverso i nostri canali interni».
Secondo il blogger militare Vladimir Romanov, Surovikin – noto anche come il “generale Armaggedon” per la sua spietatezza o “il macellaio di Aleppo’” per il ruolo avuto nella repressione dell’opposizione siriana – sarebbe detenuto nella prigione Lefortovo di Mosca.
Alexei Venediktov, capo redattore della radio Ekho Moskvy radio station, ha scritto su Telegram che la famiglia non ha contatti da tre giorni con il generale – per tre mesi, da ottobre a gennaio scorso, a capo dell’operazione militare speciale in Ucraina, prima di essere sostituito dal capo di Stato maggiore Valery Gerasimov – e che le sue guardie non rispondono.
La sfida di Prigozhin
Secondo le fonti americane è difficile pensare che Prigozhin avrebbe lanciato la sua sfida al potere, con la conquista della città di Rostov sul Don e poi con una marcia di centinaia di chilometri verso Mosca, se non avesse pensato di poter contare sull’appoggio di alte sfere militari.
E ora Putin starebbe valutando se Surovikin sia coinvolto e come eventualmente reagire.
Sempre da sabato non si sono più visti nemmeno il capo di Stato maggiore Valery Gerasimov, ed è sparito dai canali Telegram l’ex presidente Dmitry Medvedev, che normalmente posta commenti ogni giorno. Intanto i media russi riferiscono di un incontro avvenuto ieri tra Putin e il comandante ceceno Ramzan Kadyrov, che sabato aveva manifestato la sua incrollabile fedeltà al presidente dicendosi pronto a “schiacciare” i rivoltosi con le sue forze speciali Akhmat.
(da Open)
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Giugno 29th, 2023 Riccardo Fucile
A ROMA C’È CHI È RIUSCITO A FISSARE UN APPUNTAMENTO PER IL RINNOVO DELLA CARTA D’IDENTITÀ SOLO A MARZO 2024. A PARMA NON SI RIESCE NEMMENO A CAPIRE QUANDO SI RIUSCIRÀ A FARE RICHIESTA, MENTRE A NAPOLI SI ATTENDONO DUE MESI… NON VA MEGLIO PER I PASSAPORTI: CI VOGLIONO 230 GIORNI A BOLZANO, AD ANCONA 150
«Guardi, ci spiace. C’è posto solo a fine ottobre». Roma, Parma, Pordenone, Treviso, Napoli. E tu stai lì, col telefono in mano: cominci a sudare freddo. Nonostante fuori abbiano iniziato a colare le temperature da tropico, ci sono trenta gradi all’ombra e l’unica cosa che vorresti è andartene in vacanza. Ecco, appunto, la vacanza. Il mare, la spiaggia, il solleone. L’albergo. L’aereo. Ma se ti è scaduta la carta d’identità, che fai? Se devi rinnovare il passaporto a che santo ti voti?
A Roma c’è chi è riuscito a fissare un appuntamento per il rinnovo solo a marzo 2024. Che sarebbe l’anno prossimo, giusto per dircela chiara. C’è quel cartello, appiccicato sulla facciata dei municipi romani: questa «sede non offre, al momento, disponibilità per prenotare un appuntamento».
C’è chi si presenta col biglietto del treno sventolante e riesce a farsi fare, senza troppa attesa, la carta d’identità cartacea, quella a libricino senza chip e con la vecchia fototessera a colori: meglio di niente. Meglio che rinunciare alle ferie. Però a Parma (che è una cittadina molto più piccina, mica una metropoli di tre miliardi di persone, ma un capoluogo provinciale che non raggiunge i 200mila abitanti) prima di Ferragosto non c’è verso di ottenere alcunchè. Nada.
Però a Pordenone si aspetta un mese e a Treviso altri due e a Napoli, già a inizio giugno, perché il problema mica è sbucato fuori adesso come un porcino in mezzo al muschio dopo un temporale, semmai ce lo trasciniamo da tempo, ecco, a Napoli è stato necessario addirittura varare un “piano speciale” perché solo due uffici su 24 offrivano la possibilità di prenotare la carta d’identità elettronica on-line.
Italia, 2023. Secondo Altroconsumo, che è l’organizzazione dei consumatori, per richiedere un passaporto ci vogliono 230 giorni a Bolzano, ad Ancona 150, a Palermo 55, mentre a Bari, a Bologna, a Genova, a Padova, a Torino e nella modernissima Milano (la rilevazione è di dieci giorni fa) non si riesce manco a fissare un appuntamento in questura dall’ingorgo che c’è.
(da agenzie)
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