Destra di Popolo.net

NOTTE INUTILE, MELONI NON OTTIENE CONCESSIONI DA SCHOLZ SUL PATTO DI STABILITA’

Dicembre 14th, 2023 Riccardo Fucile

FONTI UE: C’E’ POCO DA TRATTARE ANCORA, SI CHIUDE MERCOLEDI’

L’Amigo, in centro a Bruxelles a due passi dalla Grand Place, è l’hotel dove in genere alloggiano i leader quando arrivano in città per i summit europei. Angela Merkel e ora Olaf Scholz, Emmanuel Macron e ora Giorgia Meloni, dopo Matteo Renzi, Giuseppe Conte e gli altri predecessori a Palazzo Chigi. Spesso il bar dell’albergo diventa sede di incontri informali, discussioni a margine dei summit, trattative notturne sui principali dossier. È accaduto anche ieri notte, al termine del Consiglio europeo sull’adesione dei paesi dei Balcani occidentali e in vista delle discussioni di oggi al summit dei 27 capi di Stato e di governo dell’Ue. Davanti a del vino rosso francese, Meloni si è trattenuta per due con il capo dell’Eliseo ad uno dei tavolini del bar. Per mezz’ora li ha raggiunti il cancelliere tedesco che era lì accanto a bere della birra con la sua delegazione. Ma nemmeno questa chiacchierata notturna è servita a sfilare qualche concessione in più alla Germania sulla madre di tutte le battaglie per l’Italia, la Francia e i paesi a più alto debito: la riforma del Patto di stabilità.
“Non c’è molto da concedere ancora”, ci dicono fonti diplomatiche del nord Europa. Per Berlino, per l’Olanda e i paesi frugali è già tanto aver concesso un’alleggerimento della riduzione del deficit per tre anni, dal 2025 al 2027, quando, secondo gli accordi raggiunti alla riunione dei ministri finanziari dell’Ue lo scorso 8 dicembre, non verranno calcolati gli interessi sul debito, che con gli alti tassi decisi dalla Bce per combattere l’inflazione sono diventati pesanti per tutti.
Naturalmente in cambio di riforme. Solo nel 2024 l’Italia dovrebbe pagare quasi 14 miliardi in più di interessi passivi sul debito. L’idea del ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire era di rendere questa concessione permanente, non limitata a tre anni. E in questi termini ha parlato ieri mattina Meloni al Parlamento, nelle comunicazioni in vista del Consiglio europeo. Ma su questo c’è il muro tedesco e dei frugali. Non se ne parla.
E dunque la cordialissima chiacchierata notturna al bar dell’Amigo, tra sorrisi e giovialità, non ha portato i risultati sperati a Roma e a Parigi. C’è da dire che la trattativa sul nuovo Patto di stabilità è stata condotta a due da Francia e Germania, con continui incontri tra il ministro tedesco Christian Lindner e il collega Le Maire. Roma ha solo seguito la scia delle mosse francesi. Ma Berlino ha ottenuto tanto: percentuali fisse annuali di riduzione del debito dell’1 per cento per i paesi che superano il 90 per cento in rapporto al pil e 0,5 per cento per i paesi che superano il 60 per cento. E poi c’è l’introduzione di una soglia di salvaguardia sotto al tetto del 3 per cento sul deficit, pari a 1,5 per cento. Dello 0,5 per cento all’anno è la riduzione del deficit prevista per i paesi sotto procedura per squilibri eccessivi. Il liberale Lindner, in drastico calo nei sondaggi che propendono per l’estrema destra dell’Afd, ha portato a casa tutto questo bottino. Se anche il socialista Scholz volesse concedere di più, non potrebbe: gli andrebbe in crisi la colazione di governo.
Mancano gli ultimi dettagli, ma mercoledì all’Ecofin straordinario che si riunirà in videoconferenza i ministri dovrebbero chiudere l’accordo. “Credo che potremo chiudere” i negoziati sul patto per la migrazione e l’asilo “prima che finisca la presidenza spagnola, come pure la nuova governance economica, detta comunemente patto di stabilità e crescita”, dice il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez, a margine del Consiglio Europeo a Bruxelles. A Madrid c’è soddisfazione per aver portato a casa la nomina dell’ex ministra dell’Economia Nadia Calvino alla presidenza della Banca Europea per gli Investimenti. Fino all’Ecofin di mercoledì è possibile che ci siano “altri contatti con i ministri per definire i dettagli”, ci dicono fonti europee vicine al dossier, che escludono altri scambi tra i leader sulla questione a margine del Consiglio di oggi e domani a Bruxelles. “Questo è un summit che ha già tanta carne al fuoco”, aggiunge la stessa fonte in riferimento all’opera di convincimento in corso verso Viktor Orban che sta usando il veto per bloccare i nuovi aiuti a Kiev e anche il via ai negoziati di adesione dell’Ucraina all’Ue. “Non ci sarà nemmeno il tempo di pensare al patto di stabilità…”.
Dopo la due giorni brussellese, Meloni rischia dunque di tornare a casa senza altre concessioni sulle regole fiscali che disegneranno il futuro dell’Ue, dopo la sospensione del vecchio Patto di stabilità durante la crisi pandemica. “Noi continuiamo a rivendicare una riforma del Patto di Stabilità e crescita che tenga conto di una strategia che l’Europa s’è data, cioè Next Generation Eu, transizione verde, transizione digitale, il rafforzamento della politica di difesa – sono le parole della premier ieri al Senato – Non avrebbe senso che l’Europa, nel momento in cui deve definire quale è la governance, non tenesse conto di ciò che ha incentivato gli Stati nazionali a fare. Riconoscere il valore di quegli investimenti non serve solo all’Italia ma all’Europa intera, altrimenti si continuano a fare cose completamente miopi. Secondo l’ultima bozza di accordo sulla traiettoria di aggiustamento del rapporto deficit Pil, si dovrà tenere conto nel triennio 2025-2027 degli interessi che sono stati maturati sul debito contratto per gli investimenti effettuati in questi settori. È un punto di partenza; chiaramente la richiesta che continuiamo a fare noi è che ciò non avvenga solamente per questi tre anni”.
Asticella alta, che si annuncia irraggiungibile. Sarà veto da parte italiana, come Meloni stessa non ha escluso davanti alle Camere?
Alcune fonti suggeriscono che chiamarsi fuori e far saltare il banco della riforma non è una buona idea e il governo di Roma non lo farà. Ma certo se al summit dovesse andare male anche sui fondi per l’immigrazione previsti nella proposta di revisione del bilancio pluriennale, per colpa dei frugali ma anche di Orban, il bottino sarebbe davvero magro per la premier, il governo si troverebbe spalle al muro. In questi casi, tutto può diventare incredibilmente possibile.
(da Huffingtonpost)

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GIORGIA MELONI E’ NERVOSETTA: TEME IL RITORNO DI DRAGHI

Dicembre 14th, 2023 Riccardo Fucile

C’È VOLUTA LA DOPPIA GAFFE SU DRAGHI PER FAR CAPIRE CHE L’EVENTUALITÀ DI UN RITORNO IN CAMPO DI SUPERMARIO ESISTE. E CHE L’IPOTESI CHE A CANDIDARLO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO EUROPEO SIA MACRON, METTEREBBE IL GOVERNO ITALIANO IN DIFFICOLTÀ. PERCHÉ TOCCHEREBBE A MELONI IL “SÌ” O IL “NO” PIÙ PESANTE, DI FRONTE A UN’INIZIATIVA FRANCESE CHE PARTIREBBE SOLO CON L’AVALLO TEDESCO

Cosa resterà dei due giorni di dibattito parlamentare che hanno preceduto il vertice dei leader europei a Bruxelles dove Meloni è arrivata ieri sera? Soprattutto il grande nervosismo della premier, i suoi interventi evidentemente fuori tono, con le vene che vibravano sul collo. Oltre alla gaffe su Draghi, corretta martedì sera con un comunicato alquanto goffo e ieri in Senato con quella che si potrebbe definire una toppa peggiore del buco.
Finora infatti la possibile candidatura dell’ex premier e ex-presidente della Bce da parte del presidente francese Macron a uno dei vertici apicali dell’Unione era rimasta materia di uno scoop giornalistico di Repubblica non smentito e non confermato. C’è voluta la doppia gaffe di Meloni per far capire che l’eventualità di un ritorno in campo di SuperMario esiste. E che l’ipotesi che a candidarlo alla presidenza del Consiglio europeo, più che della Commissione, dove Von der Leyen vorrebbe tentare un nuovo mandato, sia Macron, metterebbe l’Italia, e in particolare il governo italiano in difficoltà.
Perché toccherebbe a Meloni il “sì” o il “no” più pesante, di fronte a un’iniziativa francese che partirebbe solo con l’avallo anche tedesco. Di qui l’incubo della foto sul treno per Kiev, con Draghi insieme a Macron e a Scholz che ha fatto saltare i nervi alla premier. Va da sè che il ritorno sulla scena di un super tecnico, per il governo che ha affermato fin qui il primato del ritorno della politica a dispetto degli esecutivi d’emergenza costruiti al Quirinale, sarebbe un boccone assai difficile da digerire.
E renderebbe ancora più visibile la contraddizione tra l’idea di “Europa delle Nazioni” professata fin qui da Meloni e il progressivo avvicinamentoche la premier ha fatto all’Europa sovranazionale com’è adesso. O forse sarebbe meglio dire come fatica ad essere. È con questo rovello, e con le minacce di esercitare il veto sull’ipotesi di riforma del Patto di Stabilità, che Meloni è atterrata ieri sera a Bruxelles.
(da La Stampa)

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CASO GASPARRI E CYBEREALM: LA GIUNTA PER LE IMMUNITA’ DEL SENATO NEGA A REPORT LA RICHIESTA DI DOCUMENTI

Dicembre 14th, 2023 Riccardo Fucile

LA MAGGIORANZA SOVRANISTA E I LORO SERVI HANNO UNO SPICCATO SENSO DELLA TRASPARENZA

La Giunta per le immunità del Senato ha deciso, con i voti dei gruppi di maggioranza e di Italia viva, di negare a Report la comunicazione che dimostra quanto dichiarato da Gasparri a inizio legislatura. Pd, M5s e Avs hanno invece votato a favore dell’invio della documentazione. Il programma di giornalismo d’inchiesta aveva chiesto, nell’ambito della vicenda Cyeberealm, società milanese specializzata in sicurezza informatica che Gasparri presiede, la comunicazione sugli incarichi ricoperti che ogni parlamentare è tenuto a presentare a inizio legislatura.
Secondo Report il ruolo del capogruppo di Forza Italia nell’impresa sarebbe incompatibile con il seggio in Parlamento, e Gasparri non avrebbe dichiarato il suo incarico extra nella documentazione che ogni parlamentare deve produrre sulle sue attività. In ogni caso la comunicazione richiesta dalla trasmissione – la documentazione non è pubblica in tutte le sue parti perché contiene dati sensibili – non sarà trasmessa. Lo ha stabilito ieri la Giunta per le immunità parlamentari che nei giorni scorsi ha iniziato la procedura di verifica dopo la denuncia di Report.
La Giunta per le elezioni e le immunità parlamentari alla fine di novembre, all’indomani del caso sollevato da Report, ha aperto un’istruttoria per far luce sulla vicenda che tocca il capogruppo azzurro. La questione è finita sul tavolo del comitato incarichi a guida del Manfredi Potenti (Lega) che avrà il compito di valutare quali documenti acquisire e se avviare eventuali audizioni.
(da agenzie)

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IL CERCHIO MAGICO DELLA MELONI SI PRENDE ATREJU MENTRE I GIOVANI DI FRATELLI D’ITALIA RESTANO AI MARGINI

Dicembre 14th, 2023 Riccardo Fucile

I QUARANTENNI RAMPANTI HANNO TOLTO LA FESTA AI GIOVANI DEL PARTITO… E INFATTI GIOVENTU’ NAZIONALE HA DOVUTO CREARE UN EVENTO NUOVO DI ZECCA

La generazione Atreju s’è presa tutto, anche la stessa Atreju. È la pattuglia degli attuali quarantenni, Giovanni Donzelli, Andrea Delmastro, ma anche Francesco Lollobrigida e Nicola Procaccini, oltre ovviamente a Giorgia Meloni, cresciuti a “pane e fiamma”, ad aver preso la scena, finendo per relegare i giovani di destra, la next generation dei conservatori italiani, in un angolo. Sono una parte tra tanti, almeno per il momento.
Non è un mistero che la manifestazione, che inizia oggi a Roma, sia cambiata. E anche se resta l’ispirazione al personaggio di La storia infinita, non è più la stessa di un tempo. La festa della componente giovanile della destra post missina, da Alleanza nazionale a Fratelli d’Italia, è stata sostituita da un maxi-evento celebrativo del primo partito del paese che esprime la presidente del Consiglio. E i giovani? Loro possono attendere.
LA SCALATA DI ATREJU
E dire che la Generazione Atreju – come è intitolato il libro del giornalista Francesco Boezi che racconta per filo e per segno l’ascesa dei meloniani – ha basato tutto sulla capacità di sfidare le leadership consolidate. La stessa Meloni, quando era stata eletta alla guida di Azione giovani, aveva sconfitto il candidato sostenuto dall’establishment del partito, Carlo Fidanza. Del resto Fratelli d’Italia è nato da una scissione nel Popolo delle libertà perché l’attuale premier voleva sfidare alle primarie Silvio Berlusconi, all’epoca intoccabile capo del centrodestra. Ma il fondatore di Forza Italia aveva ovviamente detto di no.
Oggi, però, FdI non sembra più così interessato alla crescita dei giovanissimi, anche se qualcuno è approdato alla Camera, come il presidente di Gioventù nazionale, Fabio Roscani, e Chiara La Porta, dirigente di spicco dell’organizzazione giovanile. Attualmente sono un passo indietro, oscurati dalla generazione Atreju e dalla vecchia guardia, i vari Ignazio La Russa, Alfredo Mantovano e Adolfo Urso, che conservano posti di comando.
Per orientarsi nella mutazione genetica della kermesse basta scorrere il programma: a Castel Sant’Angelo, fino a domenica 17 dicembre, ci sarà un viavai di ministri, non solo di FdI. «Una festa di parte», l’ha definita il responsabile organizzativo del partito di Meloni, Donzelli.
Un’immagine recente sintetizza la centralità dell’attuale classe dirigente del partito. Alla conferenza stampa di presentazione di Atreju 2023, il mattatore è stato proprio Donzelli. Si è preso la scena da consumata star della politica-spettacolo con tanto di suspance per l’annuncio dell’ospite a sorpresa: il «mister X» Elon Musk, laddove la X sta per il nuovo nome di Twitter. Last minute è arrivata pure la conferma della partecipazione del premier britannico, Rishi Sunak, che sabato sarà a palazzo Chigi. Insomma, ci sarà sempre meno spazio per la goliardia dei giovani di destra.
Memorabile lo scherzo fatto a Gianfranco Fini, allora leader intoccabile della destra post Msi, costretto a difendere dalle violenze in Turkmenistan i «kaziri», popolazione immaginaria, inventata dagli organizzatori di Atreju. Cioè Meloni e i suoi fedelissimi.
E i giovani oggi che fanno? Fabio Roscani, 33 anni, è appunto al vertice Gioventù nazionale, eletto per la prima volta alla Camera alle elezioni del 2022. Alla presentazione di Atreju 2023, sotto lo slogan “Bentornato orgoglio italiano”, era uno tra i tanti presenti, al fianco di Donzelli.
I giovani di Fenix
In realtà l’organizzazione giovanile di FdI si occupa dell’organizzazione di Fenix, festa che quest’anno si è celebrata in piena estate. Già da qualche anno c’è stata la scissione degli eventi. I giovani hanno avvertito la necessità di riprendersi uno spazio con un appuntamento organizzato da zero, con un marchio di nuovo conio. Roscani, però, non ne fa un dramma.
«Già dalla locandina è chiaro che Atreju è una festa che attraversa più generazioni», dice a Domani. Nessuna polemica, insomma. Ci mancherebbe. Le nuove leve non appartengono alla nidiata dei Gabbiani cresciuti a Colle Oppio sotto l’ala protettiva di Fabio Rampelli, che deve accontentarsi del ruolo di vicepresidente della Camera nonostante sia stato uno dei padri della generazione Atreju.
Per Gioventù nazionale Meloni è la leader indiscussa e indiscutibile, fino a quando lo vorrà. Roscani interverrà comunque alla kermesse di Castel Sant’Angelo domenica, dopo il discusso leader dell’ultradestra spagnola di Vox, Santiago Abascal, e poco prima della premier. Una collocazione di prestigio, almeno nelle intenzioni. La possibilità di restare schiacciato mediaticamente è d’altra parte molto elevata. Dalle parti di FdI, per il futuro, garantiscono che i nuovi dirigenti troveranno il loro spazio. Nessuno dei quarantenni di Atreju resterà incollato al proprio posto. Bisogna, però, capire quanto lunga sarà l’attesa.
(da editorialedomani.it)

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L’ATTACCO CRIMINALE AI CIVILI DI GAZA HA OTTENUTO UN RISULTATO: UN SONDAGGIO RIVELA CHE E’ CRESCIUTO IL SOSTEGNO AD HAMAS

Dicembre 14th, 2023 Riccardo Fucile

ADDIRITTURA TRIPLICATO IN CISGIORDANIA

La popolarità di Hamas si è molto rafforzata negli ultimi due mesi (in particolare in Cisgiordania) mentre il sostegno all’Autorità nazionale palestinese si è indebolito, secondo un sondaggio condotto dal ‘Palestinian Center for policy and Survey Eesearch’ (Pcpsr).
Il 72% degli intervistati ha affermato che la decisione di Hamas di lanciare l’attacco il 7 ottobre era “corretta”.
L’85% ha detto di non aver visto video che documentino atrocità di Hamas su civili israeliani.
Il 70%, inoltre, è certo che Israele non raggiungerà gli obiettivi della guerra e due terzi pensa che Hamas resterà in controllo a Gaza.
Secondo il sondaggio, il presidente palestinese Mahmoud Abbas dovrebbe dimettersi e il 60% dei 1.231 adulti intervistati ritiene che l’Autorità Palestinese dovrebbe essere sciolta, il livello più alto mai riscontrato dal centro di ricerca.
Marwan Barghouti, un altro membro del partito Fatah di Abbas, incarcerato dal 2002 per aver preso parte a rivolte violente, si è rivelato più popolare dei candidati legati ad Hamas.
L’indagine è stata condotta durante il cessate il fuoco, con i partecipanti intervistati di persona in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Il rapporto, pubblicato ieri sera, afferma che “il sostegno ad Hamas è più che triplicato in Cisgiordania rispetto a tre mesi fa. Nella Striscia di Gaza il sostegno ad Hamas è aumentato, ma non in modo significativo. Nonostante l’aumento della sua popolarità, sia in Cisgiordania che nella Striscia di Gaza la maggioranza non sostiene Hamas.
Vale la pena notare che il sostegno ad Hamas di solito aumenta temporaneamente durante o immediatamente dopo una guerra, per poi ritornare al livello precedente diversi mesi dopo la fine della guerra”, si legge nel rapporto.
(da agenzie)

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MIGLIAIA DI FAMIGLIE SONO STRITOLATE DAL CARO MUTUI, MA IL GOVERNO PENSA ALLE CAZZATE IDENTITARIE CHE NON INTERESSANO A NESSUNO

Dicembre 14th, 2023 Riccardo Fucile

500.000 NUCLEI FAMILIARI NEI GUAI PER IL RIALZO DEI TASSI, BASTEREBBE RINUNCIARE A INTERVENTI INUTILI PER REPERIRE RISORSE

Il Sole 24 Ore recentemente ha messo sotto i riflettori le difficoltà di circa 500 mila famiglie nel pagamento delle rate dei mutui a tasso variabile per una cifra di circa 60 miliardi di euro. La lotta della Bce all’inflazione da costi, perseguita con i rialzi dei tassi di interesse e la riduzione della liquidità sul mercato finanziario, sta provocando enormi danni ai cittadini più deboli, prevalentemente giovani, indebitatisi per acquistare la casa.
La rata di un mutuo a tasso variabile di 100 mila euro subisce un aumento dai 3.000 ai 4.000 euro annui. Tale aumento aiuta a capire in che razza di ginepraio si stanno trovando questi cittadini, i cui redditi lordi annui difficilmente superano i 20-22 mila euro. Il Paese corre il rischio di trovarsi di fronte a migliaia di famiglie sul lastrico. La banca, infatti, dopo sei rate non pagate del mutuo, può procedere all’esecuzione immobiliare che prevede la vendita coatta della casa ipotecata, alimentando una fase di credit crunch e il deprezzamento generalizzato sul mercato dei valori immobiliari.
Il governo, di fronte a questo scenario, che comporta effetti negativi sulla domanda aggregata, in calo da due anni, e che coinvolge un settore, quello immobiliare, trainante nello sviluppo economico nazionale, ha preferito non affrontare il problema, lasciando che il barcone dei mutuatari a tasso variabile fosse trascinato dalla corrente. La ragione di fondo non sta nel che fare, ma, come ha precisato il ministro Giancarlo Giorgetti in occasione dell’audizione sul disegno di legge di bilancio, «nella scarsità delle risorse del bilancio pubblico e nella modestissima crescita dell’economia».
Che lo stato dei conti pubblici sia complicato nessuno lo nega. E tuttavia, non possiamo fare a meno di sottolineare che il governo nella predisposizione della legge di bilancio, prima di preoccuparsi dei gravissimi disagi dei ceti meno abbienti, ha fatto di tutto per mantenere in piedi misure identitarie costose, care ai propri elettori
Alcuni spunti li fornisce il documento dell’Ufficio parlamentare del bilancio (Upb). Uno riguarda la quota 103, in luogo di 101, per andare in pensione. Il grimaldello di Matteo Salvini per smontare la legge Fornero. Nonostante il tentativo sia fallito, il governo ha confermato il provvedimento, che alla fiscalità costa 0,6 miliardi nel 2023, 1,4 miliardi nel 2024 e circa 0,5 miliardi nel 2025. Un altro spunto riguarda l’elevazione della flat tax da 65.000 euro a 85.000. Tale variazione comporta un beneficio medio annuo per ogni soggetto aderente di circa 7.700 euro, con la stima di minori entrate per lo Stato di 404 milioni. Lo stesso per le agevolazioni nelle controversie tributarie che, sempre secondo l’Upb, ridurranno le entrate fiscali di 1,1 miliardi nel 2023 e aumenteranno per 0,9 e 0,7 miliardi nel 2024 e nel 2025.
Il governo, con l’abbandono delle misure identitarie, avrebbe reperito delle risorse finanziarie pubbliche per alleviare il salasso che tocca circa 500 mila famiglie, aumentando l’importo della detraibilità degli interessi passivi, attualmente di 40.000 euro, nella denuncia dei redditi. Forse non avrebbe risolto il problema. Avrebbe, però, dato tanta più forza e tanto più coraggio a queste famiglie in grave difficoltà a stringere ulteriormente i cordoni della borsa per vincere la paura di trovarsi in mezzo alla strada.
(da L’Espresso)

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“IL FOGLIO” SMENTISCE MELONI: “MELONI HA MENTITO, IL FAX PORTA LA DATA DI SEI GIORNI PRIMA DELLE DIMISSIONI DI CONTE”

Dicembre 14th, 2023 Riccardo Fucile

BASTA INGRANDIRE LA FOTO, DOVE E’ BEN VISIBILE IL NUMERO DI PROTOCOLLO E LA DATA 2021.01.20

Giorgia Meloni, prima alla Camera e poi al Senato, ha accusato Giuseppe Conte di aver firmato il nuovo trattato del Mes dando il suo assenso solo dopo le dimissioni. A prova la premier ha sventolato un fax firmato da Luigi Di Maio. «Ricordo – ha dichiarato Meloni – che l’unico mandato parlamentare sulla materia del Mes, nel 2019, impegnava il governo Conte a non ratificare la modifica del trattato». Conte ha dato «il suo assenso un giorno dopo essersi dimesso, senza mandato parlamentare, senza che ne avesse il potere, senza dirlo agli italiani».
Peccato che, come sottolinea Luciano Capone su Il Foglio è proprio la data a smentire la numero uno di Palazzo Chigi. Quel fax è stato mandato sei giorni prima che Conte desse le dimissioni.
La data del fax mandato da Di Maio smentisce la premier
Conte ha dato le dimissioni il 26 gennaio. La riforma del Mes è stata firmata dall’Italia il giorno successivo, il 27 gennaio. Il ministro degli Esteri però ha inviato il messaggio all’ambasciatore presso l’Ue sei giorni prima che Conte desse le dimissioni. Basta ingrandire la foto, spiega Capone, dove è ben visibile il numero di protocollo con la data: 2021-01-20. Di Maio ha mandato il fax il 20 gennaio, alle 16:25, sei giorni prima della fine del Conte Bis. Ma non sarebbe l’unica svista della premier. «Non è vero, ad esempio, che non c’è stata un’approvazione parlamentare. È vero che il governo Conte formalmente firmò il trattato del Mes il giorno dopo le sue dimissioni avvenute il 26 gennaio 2021: ma l’ordine è stato inviato il 20 gennaio 2021, mentre il consenso politico dell’Italia era già stato dato l’11 dicembre 2020, dopo aver ricevuto il mandato dal Parlamento il 9 dicembre. Tutto alla luce del sole, senza il favore delle tenebre», ricorda Capone.
(da il Foglio)

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GIORGIA MELONI HA MENTITO IN SENATO SUL FAX DI DI MAIO CHE AUTORIZZAVA IL MES: NON E’ STATO INVIATO DOPO LE DIMISSIONI DI CONTE MA SEI GIORNI PRIMA

Dicembre 14th, 2023 Riccardo Fucile

IL FOGLIO CHE SBANDIERAVA IN AULA PORTA LA DATA DEL 20 GENNAIO 2021, CONTE SI E’ DIMESSO IL 26 GENNAIO

La premier Giorgia Meloni ha mentito in Aula al Senato, durante le comunicazioni rese in vista del Consiglio Ue.
Ha esibito in Aula un fax, inviato da Luigi Di Maio nel gennaio 2021 all’ambasciatore Massari, rappresentante permanente d’Italia presso la Ue, documento che conteneva l’autorizzazione a siglare il Mes.
“Negate che il governo Conte abbia alla chetichella dato l’assenso alla riforma del Mes, e ho portato qui un bel fax in cui Luigi Di Maio firma l’autorizzazione alla riforma del Mes”, sono state le parole in Aula.
Il problema è che Meloni ha dichiarato a Palazzo Madama che il Mes sarebbe stato firmato da Di Maio, allora ministro degli Esteri, dopo le dimissioni del governo Conte del 26 gennaio.
In realtà, il fax portato da lei in Aula, è datato 20 gennaio, quindi ben sei giorni prima le dimissioni dell’esecutivo, come si legge chiaramente in alto sul documento, dove si trova il numero di protocollo e la data, 2021-01-20. È vero che il governo Conte formalmente firmò il trattato del Mes il 27 gennaio, il giorno dopo le dimissioni, avvenute come ricordato sopra il 26 gennaio 2021, ma il via libera è stato dato da Di Maio giorni prima.
Ma la premier ha detto chiaramente che il fax era stato inviato “il giorno dopo le dimissioni del governo Conte, quando era in carica solo per gli affari correnti”. E così aveva attaccato le opposizioni: “Capisco la vostra difficoltà e il vostro imbarazzo, ma dalla storia non si esce. Questo foglio dimostra la scarsa serietà di un governo che prima di fare gli scatoloni lasciava questo pacco al governo successivo”.
Tra l’altro la presidente del Consiglio tralascia un altro particolare, non di poco conto, perché il Parlamento fu consultato e il 9 dicembre 2020 una risoluzione dell’allora maggioranza, composta da M5s, Pd, Iv, Leu, che aveva ricevuto l’ok da entrambe le Camere, impegnava il governo “a finalizzare l’accordo politico raggiunto all’Eurogruppo e all’ordine del giorno dell’Eurosummit sulla riforma del trattato del Mes”.
Sulla base di quella risoluzione, quindi, il 20 gennaio il titolare della Farnesina Di Maio, con il governo ancora in carica nel pieno delle funzioni, diede il via libera all’ambasciatore Massari. La ricostruzione di Meloni, secondo cui il governo Conte agì “contro il parere del Parlamento, senza dirlo agli italiani, senza metterci la faccia, e con il favore delle tenebre”, è semplicemente una fake news.
(da Fanpage)

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COSA C’E’ DIETRO LO STOP ALL’ACCORDO TRA ITALIA E ALBANIA SUI MIGRANTI: DUE PUNTI CRITICI

Dicembre 14th, 2023 Riccardo Fucile

IL PRESIDENTE DELLA CORTE SOSTITUZIONALE ALBANESE SPEIGA REGOLE E PROCEDURE: “POTREBBE VIOLARE I DIRITTI UMANI”

Holta Zaçaj, presidente della Corte costituzionale albanese, dice che i giudici hanno bloccato l’accordo tra Roma e Tirana sui migranti per delle verifiche di compatibilità tra l’intesa e la Carta.
Zaçaj, che ha collaborato con il Consiglio d’Europa, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, dice al Corriere della Sera che è stato sospeso «l’iter che porta alla ratifica dell’intesa dal momento che oltre un quarto dei deputati albanesi ci ha chiesto di controllare la costituzionalità o meno del protocollo siglato tra i due Paesi. Noi abbiamo valutato che il ricorso soddisfa i criteri di ammissibilità e secondo le nostre norme questo porta automaticamente allo stop delle procedure parlamentari per la ratifica. Però lo voglio precisare: non siamo entrati nel merito del protocollo firmato».
Le obiezioni all’accordo
Nel colloquio con Leonard Berberi la presidente della Consulta albanese spiega che i trenta deputati contestano in sostanza «due aspetti. Il primo: il presunto mancato rispetto della procedura di negoziazione e firma. Secondo loro questo tipo di accordo ha bisogno dell’autorizzazione del presidente dal momento che tocca questioni di territorio. Insomma per loro non può essere un’intesa tra governi, ma tra Stati».
Mentre secondo l’altro aspetto il protocollo «potrebbe violare i diritti umani». La sospensione è arrivata ora «perché dopo la ratifica la Corte – secondo le nostre norme – non può più controllare la legittimità o meno dell’accordo. E il ricorso avanza dubbi sulla costituzionalità del protocollo».
L’esame di merito
Nell’udienza i giudici entreranno nel merito della questione: «Siamo tenuti a farlo, dobbiamo esaminare nel dettaglio il protocollo su quei due punti sollevati da un quarto del Parlamento albanese. Ma ripeto ancora: non siamo entrati proprio nel merito». Gli altri step della procedura sono questi: «Le due parti dovranno inviare la documentazione entro il 4 gennaio 2024. E dal giorno del deposito del ricorso (6 dicembre 2023) abbiamo massimo tre mesi di tempo per pronunciarci. Nel caso specifico vuol dire che entro il 6 marzo 2024 la Corte deve dire se l’accordo è legittimo o no».
(da agenzie)

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