Dicembre 1st, 2024 Riccardo Fucile
IL “VAFFA” DEGLI ELETTORI AL FONDATORE: IL 74,5% RITIENE CHE L’EPURAZIONE DI BEPPE GRILLO SIA AVVENUTA IN MANIERA DEMOCRATICA…UN ITALIANO SU DUE CONSIDERA IL MOVIMENTO UNA FORZA DI SINISTRA O CENTROSINISTRA (AVVISATE TRAVAGLIO, TEORICO DELL’EQUIDISTANZA GRILLINA)
La parola “svolta” utilizzata all’Assemblea costituente del Movimento 5 Stelle evoca un significativo cambiamento che ha visto, nell’arco degli ultimi 6 anni, un’evoluzione nelle sue posizioni politiche, nella sua modalità di interpretare la leadership e nell’approccio verso la politica italiana, soprattutto nel cercare di “superare” la figura centrale di Beppe Grillo.
Dopo la votazione di domenica scorsa “l’Eletto”, riferendosi agli uomini della “sua creatura”, ha dichiarato: «Siete passati da Francescani a Gesuiti», tuttavia, quasi il 70.0% degli elettori del Movimento intervistati in un sondaggio approfondito sull’avvenimento e realizzato da EuromediaResearch per la trasmissione Porta a Porta, riconosce che ormai sono una forza politica organica e pienamente riconosciuta dal sistema.
Beppe Grillo è stato il fondatore e il leader carismatico del M5S; tuttavia, nel tempo la sua figura è diventata sempre più evanescente e controversa. Per 1 elettore su 2 del M5S (50,9%) questo passaggio non sancisce la fine del populismo, ma al contrario, dalle parole del leader Giuseppe Conte, sembra rafforzarla con una opposizione ancora forte che si concentrerà sui soliti temi.
Tuttavia, potrebbe emergere una nuova forma di politica che potrà integrare alcuni aspetti del populismo pur cercando di superare i suoi limiti andando incontro a soluzioni più moderate e pragmatiche.
Ad esempio, il tema della votazione on line per gli iscritti su alcune proposte riguardanti il futuro del partito e l’eliminazione del ruolo del Garante, per il 74.5% degli stessi elettori del Movimento è avvenuto in maniera democratica, mentre il campione nazionale è più incerto dividendosi tra chi è vicino alle posizioni del M5S come il Partito Democratico (77,6%) e chi, come i sostenitori dei partiti di governo e quelli di Matteo Renzi, ha interpretato questa votazione un blitz di Giuseppe Conte per appropriarsi definitivamente del partito e delle sue regole.
Per la maggior parte dell’opinione pubblica (62,3%), con l’abolizione dei 2 mandati e la fine del ruolo del Garante, il Movimento è già sulla strada di essere un partito come tutti gli altri. Mentre al suo interno esistono proprio due correnti ben definite: una che condivide l’opinione generale nazionale (43,7%) e una invece ancora legata al carattere antisistema degli esordi (36,3%).
Nel 2018 il populismo era passato direttamente alla fase di governo con la formazione dell’esecutivo “giallo-verde”, dalle parole e dai banchi delle opposizioni si era passati a quelli della maggioranza.
Un incredibile laboratorio politico nazionale fondato su un contratto e compiuto dalle due principali forze populiste e sovraniste cresciute in maniera esponenziale attorno a un leader, Matteo Salvini, e a un capo politico, Luigi Di Maio, supervisionato da Beppe Grillo e Gianroberto Casalaeggio. Un’attrazione trasversale da destra a sinistra per il Movimento interpretata dalla maggioranza del popolo italiano di allora – con diritto di voto – come un nuovo modo di fare politica. Nel periodo più recente, dopo l’esperienza di governo con il Partito Democratico, il M5S ha cercato sempre di più alleanze con partiti di centrosinistra, tentando di adattarsi ai cambiamenti nelle coalizioni politiche italiane.
In questo contesto, desidera affermarsi come forza progressista, capace di affrontare le sfide sociali ed economiche moderne, pur mantenendo le proprie radici nel movimento per la democrazia diretta e la partecipazione civica.
Comunque, oggi 1 elettore su 2 lo interpreta come un partito di sinistra (22,8%) o di centro sinistra (29,0%) con cui fare alleanze (51,2%); mentre 1 su 5 (17,8%) lo legge ancora oggi come non schierato e non assimilabile a nessun contesto politico definito, che si manterrà autonomo e in grado di scegliere via via le sue posizioni di alleanza (22,0%). E tra questi si identifica un buon 30,0% di elettorato “grillino” che mantiene fede alle sue origini.
La sfida per il M5S è ora quella di coniugare la sua storia di cambiamento radicale con l’esigenza di un rinnovamento che possa renderlo più competitivo in futuro. Il Movimento sta cercando di non perdere l’appeal tra gli elettori di centrosinistra e progressisti, cercando di distaccarsi dalla figura di Beppe Grillo e di farsi riconoscere come una forza politica matura e inclusiva.
Una massa di elettori in cerca di identità che nelle ultime elezioni è andata ad ingrassare in maniera importante le file dell’astensione, con la paura che si trasformi in una guerra di logoramento.
Insomma, non potrà più essere chiamato movimento “grillino” senza un Grillo, forse “pentastellato”, se rimane il simbolo, e poi… e poi si vedrà alla prossima votazione.
Alessandra Ghisleri
per “La Stampa”
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Dicembre 1st, 2024 Riccardo Fucile
LA PAZZESCA GUERRA DELL’ACQUA IN SICILIA
La pazzesca guerra dell’acqua in Sicilia apre uno squarcio sull’irrazionalità (credo sia la
parola giusta) di noi umani.
Spendiamo cifre inimmaginabili per ammazzarci e/o spaventarci l’uno con l’altro, tanto che le tecnologie militari, da secoli, sono all’avanguardia.
Con indicibile vantaggio, anche economico, su ogni altro passo in avanti. Tolleriamo, al contrario, una sorta di primitivismo, di arrancante approssimazione, nelle pratiche civili, che pure dovrebbero sostenerci nella vita quotidiana: se no, come spiegare che ai siciliani, nel 2024, manca l’acqua?
Si capisce che la scarsità di piogge influisca, anche fortemente, sulla disponibilità immediata di acqua potabile. Ma l’immagazzinamento dell’acqua, la sua custodia e la sua distribuzione, l’evoluzione delle tecniche necessarie per non disperderla e non inquinarla: non mi verrete a dire che non sarebbe stato possibile fare dei salti di qualità, inventare qualcosa, almeno emulare l’efficienza (per quei tempi) dei romani e dei loro mirabili acquedotti.
Ogni riga che si legge sull’argomento “acqua in Sicilia” è la cronaca di un fallimento. Di un disinteresse pubblico e di una protervia privata. Di un abbandono di ogni illusione di “progresso”, una delle parole più sprecate, più pronunciate invano.
L’acqua c’è. È sottoterra, è dispersa, è rapinata, è sprecata, ma c’è. Si fosse trattato di annientare un nemico, di conquistare un territorio, avremmo già provveduto ad allestire le tecniche e le risorse necessarie. Trattandosi della vita quotidiana di milioni di persone, non c’è urgenza, non c’è interesse impellente. Prepariamoci al Ponte sullo Stretto che imbocca, trionfale, la via di un deserto assetato.
(da La Repubblica)
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Dicembre 1st, 2024 Riccardo Fucile
L’OBIETTIVO: FAR DIVENTARE IL THINK TANK LA PIATTAFORMA PER IL PIANO MATTEI, CHE AL MOMENTO È CARTA STRACCIA
Il tema è come costruire un’alternativa all’egemonia economica cinese e all’infiltrazione militare russa, molto pervasiva in tutte le ex colonie francesi del Centrafrica, con rilevanti conseguenze, a proposito di dossier strategici, in materia di energia, immigrazione, sicurezza.
Ora le notizie. La prima è la trasformazione operativa di Med-Or, da Fondazione di Leonardo a Italian Foundation, processo annunciato lo scorso luglio alla presenza del sottosegretario Alfredo Mantovano. Ora: Leonardo mantiene la maggioranza assoluta, ma sono entrati come soci tutte le grandi aziende di Stato, da Eni a Enel, a Cdp, Fincantieri, Ferrovie, Poste, Snam, Terna, con la possibilità di adesione anche per aziende private.
La seconda è che, nei prossimi giorni, si riunirà a palazzo Chigi il “comitato strategico” della nuova Fondazione con i rappresentanti delle suddette aziende e i capi di gabinetto dei ministeri coinvolti: Esteri, Interno, Difesa, Imprese e Made in Italy, Università e Ricerca, Agricoltura, Ambiente, Economia. Al tavolo anche il consigliere diplomatico di Giorgia Meloni e i capi di gabinetto della premier e di Alfredo Mantovano. Che presiederà l’incontro. Inciso: la prima riunione del comitato (solo di Med-Or allora) si svolse ai tempi di Mario Draghi nel 2021.
Finora il “piano Mattei” è stato una specie di Godot. Le due notizie raccontano della creazione di una sorta di “cabina di regia pensante”. Un nuovo strumento, a servizio del sistema Paese, preposto al “soft power” con l’obiettivo di potenziare, in chiave strategica, la cooperazione e governare la competizione nell’ambito della sfida globale. Perché, in una fase in cui la geopolitica è tutto, pensare di sviluppare business internazionale senza mettere in comune capacità di influire è velleitario.
Soft power: la traccia di cosa sia ce la fornisce proprio l’elenco delle ultime iniziative e dei seminari di studi di Med-Or, certamente focalizzate sul Mediterraneo, ma di cui fa parte anche l’attenzione al Sud del mondo, come la collaborazione col centro di studi strategici indiano o il memorandum con la Repubblica popolare del Vietnam.
Quella organizzata da Coldiretti con Claudio Descalzi, di cui è noto il ruolo centrale nel Mediterraneo, e Federico Vecchioni, ad di Bonifiche Ferraresi, ambasciatore agricolo in Africa sul tema delle terre coltivabili. Quella sull’impatto dei cambiamenti climatici nel Mediterraneo e in Africa, in collaborazione con la Nato. È l’esito di un bando Nato vinto da Med-Or come capofila di una cordata col ministero degli Esteri della Giordania, paese arabo moderato, e il nostro Istituto di Geofisica e vulcanologia.
Quindi la cultura e alta formazione come strumento di dialogo e di integrazione.
Uno degli obiettivi della nuova Fondazione sarà anche il Sud America, dove già Enel svolge un ruolo importante. Sembra un “fuori teatro”, in realtà è un pezzo fondamentale del Global South del Mondo, visto come è stato accolto di Xi al G20 in Brasile.
Dunque: regia di Mantovano, benedizione di Giorgia Meloni. Sulla carta suona come una ripresa in grande stile del Piano Mattei. Qui però c’è anche l’elemento sapido politicamente. Questa roba, sul tema dell’immigrazione, rappresenta esattamente l’opposto dell'”aiutiamoli a casa loro”, slogan di cui è infarcita la discussione pubblica: l’idea che l’Africa sia un luogo ostile da cui proteggersi, condita di pregiudizio anti-islamico.
Lo slogan, di questa iniziativa, potrebbe essere “aiutiamoci a casa nostra, occupandoci del loro destino”. E, sempre in chiave migranti, rappresenta anche l’opposto dell’Albania: è la differenza tra la logica emergenziale del Paese terzo – che non funziona ma tiene salvo il racconto cattivista-populista – e l’approccio strutturale al fenomeno, l’Africa appunto.
Conoscendo le abitudini della casa, probabilmente resterà l’atteggiamento bifronte caro alla premier: l’Albania e l’Africa, Fazzolari e Mantovano. Attenzione, però. L’anello al naso gli africani se lo sono tolto da tempo.
Suscitare aspettative per poi riempire di soldi Edi Rama crea sfiducia. E infatti sono ricominciati gli sbarchi a Lampedusa, segno che qualcuno in Africa ha riaperto i rubinetti. Chissà se, a proposito di Cina, a palazzo Chigi è giunta l’eco dell’antico insegnamento di Sun Tzu: «Una strategia senza tattica è la via più lunga per arrivare alla vittoria. Una tattica senza strategia è il rumore di fondo della sconfitta».
(da La Stampa)
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Dicembre 1st, 2024 Riccardo Fucile
LA FORMAZIONE, CHE STA INGLOBANDO TUTTE LE MICRO-FORMAZIONI DI CENTRO, ANNUNCIA L’INGRESSO DEL PPE – LO SMACCO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CHE DOPO AVER AGEVOLATO L’INGRESSO NEI POPOLARI TEME CHE L’EX MINISTRO CIELLINO GLI SFILI QUALCHE POLTRONA AL GOVERNO
“Caro Maurizio, cari amici di Noi Moderati, mi dispiace moltissimo non essere riuscita a
essere lì con voi e a partecipare in presenza ai lavori della vostra Assemblea Nazionale Programmatica, ma non potevo comunque non farvi arrivare il mio saluto e il mio contributo per questa Assemblea perché Noi Moderati è un pezzo fondamentale della maggioranza di centrodestra. Io voglio davvero ringraziare tutti voi del lavoro che avete svolto fin qui, del lavoro che svolgete ogni giorno per sostenere l’azione di governo e per rispettare punto per punto gli impegni che ci siamo presi con gli italiani”. Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni in un videomessaggio all’assemblea nazionale di Noi Moderati in corso a Roma.
“Saluto con grande soddisfazione l’ingresso di Noi moderati nel Partito popolare europeo, se fosse vero quello che scrivono alcuni giornali non ci saremmo battuti noi di Forza Italia per il vostro ingresso nella grande famiglia popolare che rappresenta l’asse portante della democrazia nel nostro continente”. Lo ha detto il vicepremier e leader di Fi Antonio Tajani dal palco dell’assemblea nazionale di Noi Moderati.
Un «nuovo inizio» per non essere un cespuglio. Quando nell’albergo alle porte di Roma risuona la voce di Manfred Weber la gelosia di Forza Italia diventa difficile da trattenere.
Il leader dei Popolari europei, portato solitamente in giro per l’Italia come un trofeo da Antonio Tajani, stavolta non concentra i suoi sforzi retorici per Forza Italia. Noi Moderati, infatti, la formazione di Maurizio Lupi, a gennaio entrerà ufficialmente nel Ppe, consolidandosi sempre di più all’interno della maggioranza. «Io e te Maurizio lavoreremo per costruire un’Europa più forte», ha scandito il politico tedesco.
Se Weber è la superficie, Giorgia Meloni è la sostanza: la quarta gamba della coalizione di centrodestra non ci sta più a essere un mero orpello e alla premier, in fondo, questo può giovare in un momento in cui i rapporti di forza vengono messi in discussione.
Ieri è andata in scena la prima giornata dell’assemblea nazionale con la quale Lupi vuole lanciare un restyling. C’è un nuovo simbolo, un ponte tricolore, l’annuncio dell’ingresso nel Partito popolare europeo e una campagna acquisti con dei volti noti da presentare.
Oggi, in ordine sparso, i leader della coalizione renderanno omaggio al più piccolo dei partiti del centrodestra che conclude la sua assemblea nazionale. Meloni manderà un video, Antonio Tajani farà un discorso dal palco, mentre Matteo Salvini deciderà all’ultimo in base ai problemi di salute, non gravi, del figlio, se presenziare al congresso o se collegarsi da Milano.
Dietro ai riti da prima repubblica, c’è una situazione in evoluzione. Le mosse del partito di Lupi vengono guardate con sospetto da Forza Italia e con crescente interesse da Fratelli d’Italia. Le cose, ovviamente, si legano: dare centralità a Noi Moderati, come sta facendo Meloni, è una maniera indiretta per ridurre lo spazio di manovra dei post berlusconiani, specie quando i rapporti si fanno più tesi.
Lupi è sempre più presente a Palazzo Chigi, la rete di relazioni dell’ex ministro è notoriamente ampia, la premier ne ascolta volentieri i consigli e cerca di includerlo sempre nei vertici dei leader. Cosa otterrà ? «Per ora poco, ma dovremmo trovare spazio per loro nelle nostre liste…», prevede, con un certo fastidio, un colonnello meloniano.
Ufficialmente i centristi non chiedono posti, ma in privato si fa notare come non sia ancora stato sostituito Vittorio Sgarbi, uno dei due sottosegretari in quota Noi Moderati (l’altro è Giorgio Silli, alla Farnesina). Un tema che potrebbe sembrare di stretta attualità, vista l’urgenza di rimpiazzare Raffaele Fitto.
La competizione con Forza Italia si nutre anche di altre componenti. Per capirlo bisogna guardare la prima fila della platea, dove siedono Mara Carfagna e Mariastella Gelmini. L’ingresso in Noi Moderati delle due ex dirigenti di Forza Italia, approdate in Azione e infine rientrate nel centrodestra (stesso percorso di Giusy Versace) è l’oggetto di veleni continui tra gli azzurri e non solo.
Un ruolo in questi movimenti lo ha giocato anche Ignazio La Russa, ospite ieri dell’assemblea romana e garante dei rapporti del centro con la destra: «Non c’è dubbio che l’aiuto che Fratelli d’Italia ha dato alla nascita di Noi Moderati sia stato importante», ha spiegato. Il presidente del Senato ricorda che è stata di Giorgia Meloni l’intuizione di non «annegare quelle energie negli altri partiti della coalizione» e propone di inserire nel pantheon centrista l’ex ideologo del Msi Pinuccio Tatarella, «il centro senza ancoraggio non ha forza, resta una zattera in balia del fiume».
La Russa poi fa riferimenti alle liti nella coalizione delle ultime settimane: «Le schermaglie fanno male a chi le mette in atto». Ma una di queste «schermaglie» è nata proprio da una sua dichiarazione dei primi di novembre, sempre a un’assemblea di Noi Moderati: «Maurizio, quando si voterà a Milano avrai una responsabilità….».
(da La Stampa)
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Dicembre 1st, 2024 Riccardo Fucile
IL TERRIBILE RACCONTO DELLA DEPUTATA SEMENZATO
Sei donne partecipanti al congresso di Noi Moderati di Maurizio Lupi sulle 13 riunite nel pomeriggio di sabato 30 novembre al tavolo tematico sui femminicidi e la violenza di genere hanno raccontato di essere avere subito violenza anche sessuale in passato nella cerchia familiare e in quella dei conoscenti. Una notizia clamorosa, tanto più al congresso di un partito che si ispira ai valori della famiglia tradizionale cattolica, eppure accolta con un applauso dall’assemblea che alla spicciolata si stava riunendo in quel momento.
Erano passate da poco le 17 di sabato quando nel salone dell’Hotel Mariott di Roma sono ripresi i lavori congressuali di Noi Moderati in assemblea comune. La conduttrice dei lavori, Maria Chiara Fazio ha chiesto silenzio ai delegati che stavano affluendo in sala per ascoltare le testimonianze dei vari tavoli tematici che avevano occupato i lavori del primo pomeriggio.
La parola è stata data così alla prima delegata, la deputata Martina Semenzato che ha coordinato proprio i lavori del tavolo tematico sui femminicidi e la violenza di genere.
«Il nostro tavolo era composto da 14 persone», ha esordito la Semenzato, «e uno solo era uomo. Questo ci fa capire purtroppo come dell’argomento della violenza di genere se ne occupino sempre le donne e molto poco gli uomini». Poi la bomba: «Di queste 13 donne, 6 hanno raccontato la loro storia di violenza subita. Io chiedo per queste sei donne che hanno avuto il coraggio di condividere la loro esperienza un grandissimo applauso da parte di questa assemblea». Timido e un po’ distratto l’applauso è arrivato.
La Semenzato racconta: violenza da familiari, da amici o da sconosciuti
Raggiunta da Open poco dopo la Semenzato ha spiegato come al tavolo avessero raccontato proprio sei storie di violenza sessuale subita personalmente dalle delegate. «In qualche caso in famiglia, in qualche altro da persone che ritenevano amiche o da sconosciuti», precisa la deputata di Noi Moderati senza volere aggiungere altri particolari «per rispetto delle colleghe».
I lavori dei tavoli si sono tenuti a porte chiuse, senza presenza della stampa o diretta facebook come negli altri momenti dei lavori congressuali. «Hanno avuto davvero grande coraggio», spiega la Semenzato, «a volere raccontare storie così personali che ovviamente hanno indirizzato i lavori del tavolo tematico».
La stessa deputata ha poi spiegato ad un’assemblea non particolarmente attenta le proposte uscite: «Riteniamo che questa cultura di rispetto del genere debba diventare obbligatoria nei programmi scolastici senza demandarla all’autonomia scolastica». Altra proposta è di rafforzare legislativamente il valore della denuncia delle donne: «Quando una donna denuncia intraprende un rapporto molto faticoso. Bisogna formare per questo gli operatori e dare indicazioni precise a forze dell’ordine e magistratura su tempi e modi di valutazione del rischio: non è la stessa cosa, infatti, dare a un uomo maltrattante una misura cautelare o un braccialetto elettronico».
Mara Carfagna: «Non sono sorpresa, sulla violenza alle donne c’è tantissimo sommerso»
Ai lavori congressuali partecipava anche una paladina storica delle battaglie sullo stalking e la violenza delle donne come Mara Carfagna, che ad Open ha detto di non «essere affatto sorpresa da quello che ho ascoltato sulle sei donne su 13 che hanno raccontato di avere subito violenza. Sono impegnata da quasi 20 anni sul contrasto alla violenza sulle donne e di storie drammatiche ne ho ascoltate e vissute indirettamente moltissime. È un fenomeno vasto e c’è molto sommerso, tanto di non denunciato. Ma c’è anche un accrescimento della consapevolezza grazie al fatto che questo tema sta diventando sempre più centrale all’interno del dibattito politico».
Carfagna racconta che fu ben diversa l’accoglienza in Parlamento alla legge sullo stalking che lei stessa aveva promosso da ministra nel 2008: «Il clima era molto diverso, e molti in quel Parlamento quasi mi scoraggiavano e sostanzialmente mi dicevano che quella legge non sarebbe passata mai. Mi chiedevano cosa mi ero messa in testa, e perché volessi criminalizzare un atteggiamento insistente e di impedire a un fidanzato respinto di aspettare la propria fidanzata sotto casa. Si confondevano le molestie e gli atti persecutori con corteggiamenti insistenti».
Lupi: «Quello che è emerso è gravissimo, daremo battaglia»
Anche il leader di Noi Moderati Maurizio Lupi nella sera di sabato 30 novembre ha voluto commentare le rivelazioni choc sulla violenza subita in passato dalle delegate del suo partito: «Quanto è emerso», ha detto Lupi, «dal tavolo sulla violenza di genere e sul femminicidio – su 13 donne 6 sono state vittime di violenza- è gravissimo e rafforza le nostre convinzioni e il nostro impegno. Noi Moderati ha fortemente voluto la presidenza della commissione bicamerale sul femminicidio presieduta da Martina Semenzato perché è una delle sfide fondamentali del nostro tempo. Abbiamo presentato un testo unico di legge contro la violenza di genere, abbiamo presentato emendamenti per aumentare il fondo per le donne vittime di violenza di genere e la nostra deputata Mara Carfagna ha lanciato la campagna #nessunascusa. Oggi alla nostra assemblea nazionale abbiamo voluto un tavolo tematico e scoprire che su 13 donne presenti, ben 6 abbiano subito violenza ci impegna con tutte le nostre forze e le nostra capacità a condurre con ancore maggiore determinazione una battaglia culturale e politica su questo tema». Dopo la pubblicazione dell’articolo un po’ spaventata dal clamore suscitato dal suo intervento in assemblea Martina Semenzato ha voluto precisare al telefono che le sei delegate hanno raccontato la violenza subita nella cerchia familiare o amicale, ma di non potere dire che in tutti e sei i casi sia stata violenza sessuale, e di non avere voluto insistere sui particolari per rispettare la loro sofferenza e la loro privacy. Open per altro aveva chiesto spiegazioni alla Semenzato subito dopo il suo intervento in assemblea. Al telefono (è subito scappata per tornare in Veneto dove aveva un impegno) però la parlamentare non aveva fatto questa distinzione fra i casi raccontati, spiegando solo che erano storie vissute in prima persona che ancora adesso creavano grande sofferenza e di avere apprezzato il loro coraggio di testimonianza.
(da agenzie)
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Dicembre 1st, 2024 Riccardo Fucile
LA FRASE DI VITTORIO FELTRI: “SPAREREI IN BOCCA AI MUSULMANI, SONO RAZZE INFERIORI” PROVOCA SOLO SDEGNO… LA LEGGE NON E’ UGUALE PER TUTTI
Ogni tanto si scusa, come ha fatto con il sindaco di Catanzaro Nicola Fiorita dopo aver
detto che l’eurodeputata di Avs Ilaria Salis “era vestita come una cameriera di Catanzaro”, ogni tanto non ci pensa proprio, come quando ha definito “quattro deficienti” le persone che hanno protestato davanti alla Regione per le sue frasi contro i ciclisti “che mi piacciono solo quando vengono investiti”.
Difficile prevedere cosa farà questa volta, ma le opposizioni sono già tornate a chiedere ancora le dimissioni di Vittorio Feltri dal Consiglio regionale lombardo dopo che ha definito i musulmani “razze inferiori” a cui “sparerei in bocca”.
A 81 anni, il direttore editoriale de Il Giornale, nonché appunto consigliere lombardo di Fratelli d’Italia, è tornato a fare polemica e questa volta è stato interpellato dai conduttori della trasmissione la Zanzara su Radio24, Giuseppe Cruciani e David Parenzo, su quanto successo a Milano con la morte del 19enne Ramy Elgaml e delle successive proteste al Corvetto
“Non frequento le periferie, non mi piacciono – ha detto Feltri – Sono caotiche, brutte e soprattutto piene di extracomunitari che non sopporto. Basta guardarli, vedi quello che combinano qui a Milano, come fai ad amarli? Gli sparerei in bocca. Non mi vergogno affatto di considerare i musulmani delle razze inferiori”.
Sono frasi “di una gravità inaudita che incitano alla violenza fisica e all’uccisione, che minano la convivenza civile e istigano all’odio razziale”, secondo l’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia che si riserva di “agire nelle sedi opportune al fine di tutelare l’immagine e la sicurezza della comunità islamica in Italia”.
Inoltre l’Ucoii chiede “con forza un intervento immediato del Premier Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, al fine di ottenere le dimissioni di Feltri dal consiglio regionale. Chiediamo un passo indietro anche dalla direzione de Il Giornale”.
Identica richiesta di dimissioni dal Consiglio Regionale è arrivata anche da parte del Pd: per il capogruppo dem in Regione, Pierfrancesco Majorino, “le dichiarazioni di Vittorio Feltri sono, ancora una volta, abominevoli e inaccettabili: deve dimettersi. Fontana e Meloni abbiano il coraggio di prendere le distanze, una volta per tutte, da un consigliere regionale che continua a esprimere posizioni violente, razziste e cariche d’odio”. “Vittorio Feltri ancora una volta ci insegna che, toccato il fondo della vergogna, si può sempre scavare. Dopo le frasi inqualificabili, che non dimentichiamo, sui ciclisti, ora ci tocca leggere frasi terribili e violente contro la comunità musulmana”, ha aggiunto il segretario metropolitano del Pd Milano Alessandro Capelli.
(da agenzie)
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Dicembre 1st, 2024 Riccardo Fucile
CHI C’E’ DIETRO L’AVANZATA DEI RIBELLI AD ALEPPO
Otto anni dopo la cacciata sotto i bombardamenti russi pro-regime di Bashar al Assad, le forze di opposizione siriane tornano ad Aleppo. Un esercito vero e proprio di circa 60mila soldati, nato dal raggruppamento di 13 bande divise, sfiduciate e poco collaborative tra loro. Ad Aleppo le forze lealiste se ne sono andate senza combattere, se non qualche scambio di fuoco in periferia, e ora che i ribelli puntano Hama le forze militari di Assad battono in ritirata seppure il presidente siriano ribadisce: «Sconfiggeremo i terroristi». Filoturchi, jihadisti, ex militanti di al Qaeda: chi c’è dietro l’avanzata elle forze ribelli in Siria? Un coacervo di gruppi che negli ultimi cinque anni hanno messo da parte le differenze per ribaltare il regime. Approfittando della debolezza di tutti i suoi alleati. Dall’Iran a Hezbollah alla Russia, i principali artefici della vittoria di Bashar al Assad ormai otto anni fa nella guerra civile scoppiata in Siria nel 2011 sono ora impegnati nei loro conflitti. Mentre l’esercito nazionale è sfibrato e sfiduciato da una guerra che non è mai veramente finita
I ribelli che hanno riconquistato Aleppo
Il principale artefice della riorganizzazione dei ribelli al regime di Assad è Abu Mohammad al-Jolani, 42 anni, che dal 2017 guida la Hayat Tahrir al Sham (Hts). Jolani cinque anni prima aveva fondato l’ala jihadista siriana affiliata ai talebani di al Qaeda. Salvo poi prenderne le distanze per farsi portavoce di uno jihadismo più pragmatico, politico. Consapevole della necessità di un appoggio in Occidente, come sottolinea Gianlua Di Feo su Repubblica. Jolani è stato in grado di riunire in una unica sigla una dozzine di gruppi separati, accomunati dalla fede sunnita. In pochi anni, grazie all’appoggio esterno anche dei turchi e degli ucraini, ha fatto addestrare circa 60mila miliziani. E ora le sue forze dispongono anche di «team di incursori, mezzi corazzati, artiglieria, droni kamikaze e una rete di comando efficiente», spiega Di Feo. Secondo quanto riferisce l’account ufficiale del governo libanese, Jolani sarebbe stato ucciso in un bombardamento russo a Idlib, capitale della regione al confine dalla Turchia da dove ha coordinato la resistenza al regime siriano fino all’attacco di questi giorni.
Le forze filoturche
Oltre agli ex qaedisti ci sono una miriade di formazioni che compongono la costellazione di ribelli. Tra loro anche filoturchi e jihadisti, così come gli uzbeki e i musulmani cinesi (uighuri) o militanti caucasici, spiega Guido Olimpo sul Corriere. Le fazioni vicine ad Ankara hanno approfittato della situazione per guadagnare posizione rispetto agli altri oppositori ad Assad, i curdi del Syrian Defence Force (Sdf), federazione di minoranze equipaggiata dagli Stati Uniti, e del Ypg che ha sconfitto lo Stato Islamico a Raqqa. Ad Aleppo le forze curde si sono offerte di proteggere le comunità cristiane, legate da sempre al regime, in attesa di capire come i ribelli tratteranno la popolazione. Per ora l’ordine è di rispettare i civili e tutte le fedi religiose. Ma con la vittoria sul campo e la morte – se confermata – di Jolani le cose potrebbero rapidamente cambiare
Perché attaccare ora
L’attacco si inserisce nella lunga timeline della guerra civile in Siria, mai esauritasi. Un conflitto che negli ultimi anni è diventato a bassa intensità ed è sparito dai radar dell’opinione pubblica internazionale anche per l’esplodere di altri conflitti. Ma in Siria si consuma da 12 anni l’attrito tra potenze per l’egemonia regionale. Qui operano in varie forme Stati Uniti, Russia, Iran, Israele, Libano, solo per citarne alcuni. E proprio per questo i ribelli hanno trovato ora il momento adatto per dare una spallata al regime. Nel 2016 furono decisive le bombe russe e le forze iraniane per cacciare gli oppositori da Aleppo e mettere in cantina i sogni di ribaltare il regime. Ora i bombardamenti della Russia avvengono per proteggere la ritirata e arginare l’avanzata dei ribelli. Dopo cinque anni di addestramento e la tessitura di una rete para-diplomatica, da Idlib è arrivato l’ordine di attaccare approfittando dell’indebolimento di tutti gli alleati di Assad. Le milizie di Hezbollah sono tornate in Libano per fronteggiare Israele. I russi sono impegnati in Ucraina. Gli avamposti iraniani sono stati distrutti dai bombardamenti israeliani, i vertici decimati. Quindi Tel Aviv ha avuto un ruolo fondamentale nell’indebolimento di due alleati su tre del regime siriano, distruggendo anche depositi di armi e fortezze, ma certo non auspica una presa del potere in Siria da parte dei jihadisti.
(da agenzie)
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Dicembre 1st, 2024 Riccardo Fucile
ASSAD ERA RIUSCITO A RIMANERE IN SELLA DOPO LA GUERRA CIVILE SOLO GRAZIE AL SOSTEGNO DI PUTIN E DELL’IRAN, PER TRAMITE DEI SUOI BURATTINI DI HEZBOLLAH. MA MOSCA SI È “DISTRATTA” IN UCRAINA, E IL “PARTITO DI DIO” LIBANESE STA CON LE PEZZE AL CULO DOPO I RAID DI NETANYAHU… E COSÌ IL GRUPPONE DEGLI OPPOSITORI DEL DITTATORE SIRIANO, GUIDATI DAI FONDAMENTALISTI SUNNITI DI HAYAT TAHRIR AL SHAM (FORAGGIATI DA ERDOGAN) HA CONQUISTATO ALEPPO E FA TRABALLARE IL REGIME
“L’Iran appoggerà con forza il governo e l’esercito siriani contro i gruppi terroristici”: lo
ha dichiarato il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, citato dall’agenzia Irna. Ieri Araghchi ha annunciato che oggi avrebbe visitato Damasco per “portare il messaggio” di supporto della Repubblica islamica all’alleato Bashar Al Assad.
“E’ ovvio che gli Stati Uniti e il regime israeliano sono in combutta con i gruppi terroristici in Siria”, in quanto il “regime sionista, dopo il recente fallimento dei suoi obiettivi, cerca di raggiungere i suoi scopi creando insicurezza nella regione attraverso questi terroristi”, ha detto.
Fu l’ultima delle “primavere arabe”. Etichetta occidentale: in Medio Oriente la primavera meteorologica è una stagione quasi sconosciuta. In Siria, la miccia si accende solo in aprile del 2011, a primavera avanzata appunto, ben dopo quelle di Tunisia, Egitto, Libia che fecero cadere come birilli Zine El Abidine Ben Ali, Hosni Mubarak e, con una spallata della Nato, Muammar Gaddafi.
In Siria, la protesta di piazza diventa subito movimento apertamente antiregime, che vuole ribaltare la minoranza alauita da sempre al potere a Damasco. È guerra civile.
Nella ribellione contro Bashar Assad confluiscono potenti forze jihadiste – che poi daranno vita, relativamente breve grazie all’intervento americano e di una coalizione internazionale, allo Stato Islamico di Raqqa – componenti democratiche, secessionismo curdo, milizie sunnite varie. Insomma, c’è di tutto. La somma di forze è in grado di rovesciare il regime. Salvo interventi esterni: iraniano via Hezbollah, e soprattutto russo. Saranno Teheran e Mosca a capovolgere le sorti della guerra.
Sotto la crescente pressione dei ribelli, Assad non cede, si trincera a Damasco, usa più di una volta armi chimiche, riceve aiuto dall’Iran e da Hezbollah. Le milizie sciite affluiscono dal Libano e rafforzano le boccheggianti forze di Assad. Non bastano. I ribelli continuano a prendere progressivamente il sopravvento. Dopo quattro anni, il regime è alle corde. Nel 2015 arriva, a sorpresa, il salvataggio russo.
Vladimir Putin, che fino a quel momento, sulla crisi siriana, si era barcamenato ed aveva tenuto aperto il canale della cooperazione con gli Stati Uniti, decide di schierarsi a favore di Bashar Assad, pur nel frattempo oggetto di censura internazionale, condanne delle Nazioni Unite, boicottaggio arabo. Mosca interviene militarmente, senza peli sullo stomaco nei bombardamenti contro nuclei abitati e civili – Russian style, oggi in uso in Ucraina.
Altri fattori giocano indirettamente a favore di Assad. La coalizione internazionale a guida americana demolisce sistematicamente l’Isis; la Turchia cerca di indebolire quanto più possibile i curdi dell’Ypg, che si ricavano una fragile autonomia semi statale nel Rojava a Nord della Siria.
Nel magma di alleanze, rivalità e ribaltamenti fra le forze in campo, l’intervento russo del 2015 rimane il tornante decisivo della guerra civile siriana. I missili e le bombe russe fanno da copertura aerea alla fanteria di Hezbollah.
In Siria si gettano le fondamenta dell’allineamento fra Mosca e Teheran. Un anno dopo l’annessione senza colpo ferire della Crimea, Putin incassa un successo politico e militare internazionale che gli ridà slancio e fiducia. Vede arretrare gli americani dal Medio Oriente dove invece, dopo due decenni di eclissi dai fasti sovietici, Mosca è di ritorno.
Il decisivo ruolo di Russia e Iran nella crisi siriana ne ha però fatto oggetto di un grande gioco regionale e internazionale allargato. La guerra civile era quasi vinta da Assad – rimanevano focolai di resistenza senza totale controllo di Damasco sull’intero territorio – grazie alla permanenza nel Paese di forze militari russe e delle agguerrite milizie di Hezbollah.
Queste ultime utilizzavano la Siria anche come altro potenziale fronte contro Israele. Gerusalemme subiva più o meno passivamente la situazione. Per anni. Fino al 7 ottobre. La risposta di Israele all’attacco terrorista di Hamas ha cambiato le carte in tavola dal momento in cui si è indirizzato, oltre che contro il Movimento di Resistenza Islamico a Gaza, anche contro il Partito di Dio a Beirut e, più o meno direttamente, contro l’Iran.
Lo scorso aprile l’Idf prende di mira la (sedicente) sede consolare di Teheran a Damasco. Da allora, e specialmente negli ultimi due mesi, fino al cessate il fuoco appena raggiunto, Israele ha attaccato e sistematicamente demolito le strutture e la catena di comando di Hezbollah. Il Partito di Dio è stato bersagliato prevalentemente in Libano, ma le capacità complessive ne risentono e il salasso di uomini avvertito dal resto delle milizie.
Quanto al sostegno militare russo a Damasco non viene meno ma con non poca distrazione ucraina. Assad è rimasto in sella grazie a Russia e Iran/Hezbollah. Con la prima distratta e i secondi indeboliti, i ribelli hanno rialzato la testa. Se l’ingresso ad Aleppo non è un colpo di mano di breve durata, la guerra civile siriana si riaccende e vede Damasco nuovamente in difficoltà. Con una complicazione in più. Sulla crisi siriana Israele era stato alla finestra. Ma se ha fatto di Bashar Assad troppo amico dei nemici, Hezbollah e Iran, Gerusalemme ha interesse a vederlo in cattive acque. Il 7 ottobre ha convinto gli israeliani che il cerchio sciita va rotto. La Siria di Assad ne è anello essenziale.
(da agenzie)
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Dicembre 1st, 2024 Riccardo Fucile
“QUESTO PAESE E’ DEL POPOLO E NESSUNO E’ AL DI SOPRA DELLA VOLONTA’ DEL POPOLO”
Una presa di posizione forte, com’è nel suo stile. Khvicha Kvaratskhelia è un punto di riferimento in Georgia e non soltanto per questioni calcistiche. È un vero e proprio idolo e ha deciso di schierarsi in merito agli incidenti e alle proteste degli ultimi giorni, scoppiate a Tbilisi, per il rischio concreto di non aderire all’Unione Europea.§
L’attuale primo ministro, Irakli Kobakhidze, ha già annunciato che la Georgia sospenderà i negoziati per aderire all’Ue prima della fine del 2028 dopo che il Parlamento europeo ha condannato la regolarità delle elezioni dello scorso 26 ottobre.
La decisione ha scatenato la protesta di migliaia di persone. Da qui la decisione di Kvara di intervenire su Instagram: “Sto seguendo i fatti che stanno accadendo nel nostro paese e vorrei esprimere la mia opinione e la mia posizione di cittadino. Il desiderio e la volontà del popolo georgiano è camminare sulle strade europee, questa è la nostra scelta storica, l’unica scelta giusta. Ed è inaccettabile allontanarsi da questa strada. Questo paese è del popolo e nessuno è al di sopra della volontà del popolo”.
(da agenzie)
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