Destra di Popolo.net

I TEMPI PER LA LIBERAZIONE DELLA GIORNALISTA ITALIANA CECILIA SALA SI ALLUNGANO. IL SOTTOSEGRETARIO MANTOVANO, AL COPASIR, È STATO COSTRETTO AD AMMETTERE LE FALLE DELLA GESTIONE ITALIANA: NESSUNO AVEVA PENSATO DI DOVER METTERE AL SICURO I CITTADINI ITALIANI IN IRAN DOPO L’ARRESTO A MALPENSA DELL’IRANIANO MOHAMMAD ABEDINI NAJAFABADI

Gennaio 7th, 2025 Riccardo Fucile

LA FARNESINA E PALAZZO CHIGI, SOTTOVALUTANDO I “SEGNALI” DELL’INTELLIGENCE-AISE, NON SI SONO SUBITO ATTIVATI … LA VIA E’ STRETTA E IL BLITZ TRANSOCEANICO DI GIORGIA MELONI RISCHIA DI AVER FATTO PIÙ DANNI CHE ALTRO: IL GOVERNO DUCIONI DEVE TROVARE IL MODO DI NON ESTRADARE NEGLI STATI UNITI L’IRANIANO ABEDINI NAJAFABADI, SENZA PERO’ FAR INCAZZARE WASHINGTON. MA IL DOSSIER NON È SOLO POLITICO: CI SONO DI MEZZO ANCHE MAGISTRATI E SERVIZI

È il secondo giorno di seguito che succede. Questa volta è toccato alla portavoce del governo Fatemeh Mohajerani ribadirlo. Durante il punto stampa settimanale, alla domanda sul legame che esiste tra l’arresto a Teheran di Cecilia Sala e quello dell’ingegnere iraniano a Milano, Mohammad Abedini, Mohajerani risponde: «Non si tratta di ritorsione, questo arresto non ha nulla a che vedere con altre questioni». E aggiunge: «Ci auguriamo che il suo caso venga risolto rapidamente».
Dopo l’arresto dell’iraniano Mohammad Abedini Najafabadi non si ritenne di dover mettere al sicuro i cittadini italiani in Iran. Così come, nelle ore immediatamente successive all’arresto di Cecilia Sala, nessuno mise in correlazione le due cose. Tanto che il ministero della giustizia che doveva decidere del fermo dell’ingegnere accusato di terrorismo dagli Stati Uniti non fu informato dell’arresto a Teheran della giornalista del Foglio e Chora media.
Sono alcuni degli elementi emersi dall’audizione al Copasir dell’Autorità delegata, Alfredo Mantovano, che ha informato il Comitato per la sicurezza dello stato dell’arte sul caso Sala.
Mantovano ha ricostruito tutte le tappe della vicenda raccontando anche come a fine dicembre, in una delle interlocuzioni ufficiali avvenute con il ministero degli Esteri, le autorità iraniane abbiano esplicitamente messo in correlazione l’arresto di Abedini con quello di Sala. Non prima di allora.
Mantovano ha quindi allontanato le polemiche su possibili ritardi nella gestione dopo l’arresto della Sala spiegando che la Farnesina si è mossa come sempre accade quando vengono arrestati dei cittadini italiani all’estero. Non potendo negare però che nessuno in Italia aveva pensato di muoversi parallelamente sulle due situazioni. Motivo per cui né Sala è stata portata in ambasciata né il ministero della giustizia è stato informato di quanto era accaduto in Iran.
(da La Repubblica)

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C’E’ UN BUCO DI DUE GIORNI: IL GOVERNO RESPONSABILE DELL’ARRESTO DI CECILIA SALA

Gennaio 7th, 2025 Riccardo Fucile

NESSUNO HA PENSATO A METTERE IN SICUREZZA CECILIA DOPO L’ARRESTO IN ITALIA DI ABEDINI, 48 ORE IN CUI SI SAREBBE POTUTO FARLA RIENTRARE

C’è un buco di due giorni nelle informazioni dell’intelligence che sarebbe costato caro a Cecilia Sala. Lo hanno contestato le opposizioni al sottosegretario con delega ai servizi segreti Alfredo Mantovano, chiamato in audizione di fronte al Copasir, il Comitato parlamentare di controllo per i servizi di sicurezza.
Il 16 dicembre — subito dopo l’arresto (per conto degli Stati Uniti) a Malpensa con l’accusa di terrorismo di Mohammad Abedini, l’uomo accusato di rivelare ai Guardiani della Rivoluzione della Repubblica islamica dell’Iran i segreti dei droni Usa — sarebbe dovuto scattare l’allarme. Soprattutto dovevano essere prese contromisure da Farnesina e 007 per scongiurare la prevedibile ritorsione nei confronti del nostro Paese.
Invece è rimasta una falla nella rete di tutela dei potenziali obiettivi, tra i quali Cecilia Sala — giornalista che dà voce a vittime e dissidenti — era forse tra i più prevedibili, cosa che Mantovano non ha potuto negare.
Tra i temi affrontati nel corso della seduta anche i contorni della trattativa per far uscire dalla cella di Evin la giornalista italiana detenuta con l’accusa, a tutt’oggi non circostanziata, di aver violato la legge islamica; il braccio di ferro di Teheran perché sia negata l’estradizione negli Stati Uniti dell’ingegnere iraniano; le prospettive di una triangolazione che ha avuto un’accelerata improvvisa con il faccia a faccia tra la premier Giorgia Meloni e il presidente incaricato Usa, Donald Trump.
Temi delicatissimi nelle ore in cui il ministero degli Esteri dell’Iran nega persino che il destino della ventinovenne romana sia legato a doppio filo a quello del 38enne con doppio passaporto iraniano e svizzero.
Mentre la diplomazia è al lavoro per ottenere dalle autorità iraniane quantomeno un immediato alleggerimento delle condizioni detentive di Cecilia Sala, del tutto diverse da quelle di cui gode Abedini. E a una settimana dalle dimissioni improvvise di Elisabetta Belloni da capo del Dis, il Dipartimento di informazioni per la sicurezza.
Ora si guarda alla prossima scadenza del 15 gennaio, giorno nel quale la Corte d’appello di Milano deciderà sulla richiesta di arresti domiciliari presentata da Abedini che faciliterebbe la richiesta simmetrica di scarcerazione di Sala. In caso venga negata per pericolo di fuga, già segnalato dagli Usa, resta la possibilità di un intervento politico del ministro della giustizia, Carlo Nordio.
(da Corriere della Sera)

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COME SI DICE ”PARACULO” A WASHINGTON? COME TRUMP HA PRESO PER I FONDELLI LA MELONI

Gennaio 7th, 2025 Riccardo Fucile

IL TYCOON AVREBBE DATO UNA VAGA DISPONIBILITÀ VERSO IL NO ALL’ESTRADIZIONE IN USA DELL’IRANIANO, SE LA PARTITA SI CHIUDERÀ PRIMA DEL 20 GENNAIO E DUNQUE CON JOE BIDEN ANCORA ALLA CASA BIANCA… VIVA IRRITAZIONE DEL MINISTRO DEGLI ESTERI ANTONIO TAJANI, NEPPURE INFORMATO DEL VIAGGIO BENCHÉ ALL’INCONTRO CI FOSSERO GLI AMBASCIATORI E IL SEGRETARIO DI STATO IN PECTORE MARCO RUBIO

Diverse fonti governative confermano che la decisione politica c’è. L’Italia non intende estradare negli Stati Uniti l’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, arrestato il 16 dicembre a Malpensa su richiesta di Washington e detenuto nel carcere milanese di Opera. L’obiettivo è favorire così la liberazione di Cecilia Sala, la giornalista di Chora Media e del Foglio imprigionata il 19 dicembre nel terribile penitenziario di Evin, alle porte di Teheran.
Giorgia Meloni sabato sera è volata a sorpresa in Florida dal presidente eletto Donald Trump, nel villone Mar-a-Lago a Palm Beach: un omaggio al presidente eletto, che le evita il bagno di impresentabili da Orbán in giù all’insediamento del 20 gennaio, e un primo sondaggio su Abedini e Sala. Viva irritazione del ministro degli Esteri Antonio Tajani, neppure informato del viaggio benché all’incontro ci fossero gli ambasciatori e il Segretario di Stato in pectore Marco Rubio.
Fonti governative italiane accreditano una vaga disponibilità del tycoon se la partita si chiuderà prima del 20 gennaio e dunque con Joe Biden ancora alla Casa Bianca, senza macchiare con un “no” la relazione tra Meloni e Trump.
Il 38enne Abedini è accusato di aver fornito ai pasdaran iraniani tecnologie per i droni esportate dagli Usa in violazione dell’embargo, sa molte cose che interessano a Washington ma non è il capo del programma nucleare iraniano. Proprio Biden il 9 sarà a Roma nell’ultima visita al papa e al presidente Sergio Mattarella: giovedì pomeriggio Meloni parlerà con lui a Palazzo Chigi.
(da Il Fatto Quotidiano)

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LA FURIBONDA LITE AL TELEFONO CON GIORGIA MELONI DIETRO L’ADDIO DI ELISABETTA BELLONI: «NON NE POTEVO PIÙ»

Gennaio 7th, 2025 Riccardo Fucile

QUANDO L’ARROGANZA DELLA PREMIER INCONTRA UNA DONNA DI ALTO LIVELLO CHE NON HA PROBLEMI A SFANCULARLA… IL CASO SALA ANDAVA GESTITO DIVERSAMENTE

Elisabetta Belloni lascerà la guida del Dis il 15 gennaio. Ma non ha incarichi pronti a Bruxelles. Il capo dei servizi segreti ha fatto sapere che si tratta di «una decisione personale». Ma oggi i giornali parlano di spaccature e incomprensioni dietro l’addio. Di contrasti con Antonio Tajani e Alfredo Mantovano. Ma anche di una telefonata ieri mattina con Giorgia Meloni. Tesa e aspra, secondo le fonti.
Nella quale la premier ha accusato Belloni di aver dato la notizia ai giornali. Mentre lei dice che «non ne potevo più. Perché trascinare le cose così non era giusto e non aveva senso». E nei retroscena si descrive Mantovano come «un uomo ossessionato dal controllo» e Tajani come «un ministro politicamente debole». E il caso Sala come classica goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Belloni, spiega oggi il Corriere della Sera, è stata tenuta lontana dal dossier sull’arresto della giornalista romana in Iran. Accentrato invece su Palazzo Chigi e gestito dall’Aise di Gianni Caravelli. La lettera di dimissioni è arrivata prima di Natale
Il problema nasce quando Belloni comincia a vedere il suo nome girare per il ministero degli Affari Esteri e la delega al Pnrr, lasciate libere dal trasloco a Bruxelles di Raffaele Fitto. A Belloni viene proposto il ruolo e arriva un’opposizione radicale del ministro degli Esteri
La telefonata con la premier arriva invece in mattinata, subito dopo la pubblicazione della notizia del suo addio. Un colloquio «difficile». In cui la premier la accusa in qualche modo di slealtà proprio per la pubblicazione della notizia del suo addio. Perché sostiene che il 23 dicembre si era raggiunto un accordo per un percorso soft sulla successione. Ovvero facciamo passare le feste e poi costruiamo assieme una transizione ordinata alla guida del Dis. Con la scelta del nuovo direttore. Invece non è andata così.
Per Belloni invece la notizia del suo addio non arriva da lei ma dal governo. E sostiene che metodo e tempistica mettono in difficoltà anche lei. Che ricorda come il viaggio del 4 gennaio della premier abbia in qualche modo peggiorato la sua situazione. Visto che la direttrice non ha accompagnato la premier. Anche se non era ancora pubblica la notizia delle sue dimissioni.
Sul caso Sala, spiega La Stampa, Belloni ha idee molto differenti rispetto alla trattativa odierna. Si sarebbe mossa diversamente, ha detto ad alcuni collaboratori. Contraria all’idea di indispettire gli alleati americani, avrebbe cercato contropartite con l’Iran invece di insistere subito con lo scambio di Abedini.
Infine c’è la nomina di Francesco Paolo Figliuolo a vice dell’Aise. Per l’incarico lei aveva pensato a un uomo di sua fiducia, ovvero Nicola Boeri. Ma Palazzo Chigi da tempo nutre sospetti di scarsa riservatezza da parte dei servizi e di alcuni agenti di polizia. La rottura è nell’aria. Ed ora è arrivata.
(da Open)

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“NON NE POTEVO PIÙ, PERCHÉ TRASCINARE LE COSE COSÌ NON ERA GIUSTO E NON AVEVA SENSO”: I RETROSCENA SULLE DIMISSIONI DI ELISABETTA BELLONI RACCONTANO L’AMAREZZA DELLA CAPA DEL DIS, CHE SI È SENTITA SCHIACCIATA TRA IL CENTRALISMO DI MANTOVANO (“OSSESSIONATO DAL CONTROLLO”) E LE FRIZIONI CON TAJANI (“MINISTRO POLITICAMENTE DEBOLE”)

Gennaio 7th, 2025 Riccardo Fucile

BELLONI HA RICEVUTO UNA CHIAMATA FURIOSA DELLA MELONI, CHE L’HA ACCUSATA DI AVER DATO LA NOTIZIA AI GIORNALI. MA L’EX CANDIDATA AL QUIRINALE LE HA RISPOSTO CON DUREZZA… IL CASO SALA? LA GOCCIA CHE HA FATTO TRABOCCARE UN VASO GIÀ COLMO DI RECRIMINAZIONI E INCAZZATURE

«Non ne potevo più, perché trascinare le cose così non era giusto e non aveva senso». Nelle parole che Elisabetta Belloni, direttrice dimissionaria del Dipartimento per le informazioni della sicurezza (Dis)va ripetendo a chi la cerca privatamente, ci sono due verità.
La storia di una dissipazione politica e la presa d’atto, amarissima, di aver visto infrangersi una scommessa. Che questa diplomatica di lungo corso, romana di 66 anni aveva sinceramente pensato di poter vincere quando Giorgia Meloni aveva raccolto l’eredità del governo Draghi chiedendole di restare al suo posto.
Per la sintonia che avevano trovato, per la stima, tutt’altro che nascosta che la nuova premier, dieci mesi prima di prendersi il Paese, aveva manifestato nei suoi confronti, al punto da averla sostenuta nella candidatura alla presidenza della Repubblica nata e tramontata nello spazio di una notte.
Ma bisogna anche immaginare l’amarezza di questa donna nel leggere ieri su Repubblica «una notizia che certo non ho dato io» e fonti di governo ipotizzare per lei nuovi incarichi europei già pronti.
Dal suo punto di vista, un’ultima offesa. Perché – come ha ripetuto ieri a chi cercava conferme sul suo futuro – «chiunque mi conosce sa che non sono una persona che decide di lasciare un incarico solo se ha la garanzia o la certezza di riceverne uno nuovo».
È vero, Ursula von der Leyen, da tempo e senza farne mistero, la lusinga con la prospettiva di un ruolo di peso a Bruxelles, ma tutto questo con la decisione di lasciare il vertice del Dis non avrebbe nulla a che vedere.
Dunque, bisogna accontentarsi – si fa per dire – di una verità più semplice e politicamente assai più indigesta per Palazzo Chigi.
Elisabetta Belloni è stata consegnata per mesi alla silenziosa e corrosiva esperienza di chi, pur avendone rango, ruolo e esperienza, finisce per constatare che, ogni giorno, il suo raggio di azione, il suo peso nelle scelte “di sistema” che pure la interpellano direttamente, vengono meno.
Che, prive di una regia unica, solida e credibile, politica estera e sicurezza nazionale marciano in ordine sparso, per giunta in un contesto globale sempre più complesso, deteriorato e gravido di rischi.
Una circostanza per altro confermata da chi, a metà novembre, nei giorni del G20 di Rio de Janeiro, ha modo di incrociare Belloni. «Faceva fatica – racconta la fonte – a dissimulare la sua crescente insofferenza e irrequietezza e persino l’entourage della premier sembrava viverla con fastidio».
Di quell’insofferenza Belloni aveva motivo. Perché l’estate che si era appena lasciata alle spalle, quella tra gli ulivi di Borgo Egnazia, in Puglia, dove era di fatto culminato il suo lavoro di sherpa per il G7 cui a sorpresa l’aveva voluta personalmente Meloni, si era trasformato nel suo termidoro.
Per un uomo ossessionato dal controllo come il sottosegretario Mantovano e per un ministro degli esteri politicamente debole come Tajani, Belloni era diventata ingombrante. Lei aveva avvistato il pericolo. E per questo aveva chiesto a Meloni, se necessario anche con un atto formale che in qualche modo mettesse ordine nella babele di ruoli e gerarchie sulla sicurezza nazionale, di essere messa al riparo dalla condizione di doversi costantemente difendere da continue sgrammaticature nel necessario rapporto con Palazzo Chigi e con le due agenzie di intelligence – Aisi e Aise – sempre più frequentemente chiamate a un’interlocuzione politica e operativa diretta con Mantovano senza dover prima passare per il suo ufficio.
Ma Meloni non ha evidentemente voluto o potuto difenderla. Sostengono fonti di governo perché «delusa » o forse «non così pienamente soddisfatta» dei risultati portati a casa da Belloni con il G7.
O magari, e più semplicemente, perché nel nuovo contesto geopolitico che si determina in autunno, alla viglia delle elezioni Usa che vedranno la vittoria di Trump, Meloni decide di giocare in prima persona la partita con la nuova Casa Bianca e di poter dunque rinunciare alla donna che, solo due anni prima, era stata la sua chiave di accesso alle cancellerie che contano nel mondo.
È un fatto che, negli ultimi mesi, Belloni sia tagliata fuori dall’accelerazione che Meloni imprime al suo rapporto con Musk e Trump e dalle conseguenti ricadute e contropartite che questa comporta, anche e soprattutto in termini di sicurezza nazionale (parliamo degli accordi con Space X per l’uso della rete satellitare Starlink).
Così come è un fatto che alla Farnesina si smetta anche solo di dissimulare il fastidio con cui Tajani tollera la convivenza con una direttrice del Dis che percepisce, di fatto, come un ministro degli esteri ombra. Sfilarsi, insomma, non era più solo una possibilità. E ora le acque possono definitivamente richiudersi.
(da La Repubblica)

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“ATTENZIONE A LEGARSI A SOCIETÀ CHE DIPENDONO DA SINGOLE PERSONE E AD AFFIDARSI A POSSIBILI MONOPOLISTI”: VITTORIO COLAO, EX MINISTRO PER L’INNOVAZIONE DIGITALE NEL GOVERNO DRAGHI, BOCCIA L’IPOTESI CHE IL GOVERNO ITALIANO POSSA LEGARSI A SPACEX DI ELON MUSK PER L’UTILIZZO DEL SISTEMA DI COMUNICAZIONI SATELLITARI STARLINK

Gennaio 7th, 2025 Riccardo Fucile

“BISOGNA STARE MOLTO ATTENTI A NON CREARE UNA DIPENDENZA STRATEGICA. E POI TROVO CURIOSO CHE CI SI PREOCCUPI DELLO STRAPOTERE DI AZIENDE COME MICROSOFT E GOOGLE, MA NON SI VEDA LO STESSO RISCHIO IN QUESTO CASO. GLI EUROPEI SI LAMENTANO DI NON AVERE SERVIZI CLOUD E ORA CI ANDIAMO A METTERE NELLE MANI DI UN POTENZIALE NUOVO MONOPOLISTA?”

“Da uomo di azienda dico: attenzione a legarsi a società che dipendono troppo da singole persone e ad affidarsi a possibili monopolisti. Bisogna stare molto attenti a non creare una dipendenza strategica”. Il monito viene lanciato, in un’intervista a Repubblica, da Vittorio Colao, che è stato ministro per l’Innovazione digitale nel governo Draghi, in merito all’accelerazione dei contatti tra governo italiano e la SpaceX di Elon Musk per l’utilizzo del sistema di comunicazioni satellitari Starlink.
I satelliti di Musk sono “una grande sveglia che suona per l’Europa, un monito a realizzare quello che ci siamo impegnati a fare tre anni fa sulla tecnologia spaziale – prosegue -. Se non ci muoviamo in fretta, presto non avremo alternative e saremo costretti ad alzare bandiera bianca. Sarebbe davvero un gran peccato”. Secondo l’ex ministro “servono affidamenti diretti dalla Ue a imprese europee capaci di operare in questo settore per accelerare la creazione di costellazioni che siano in grado di dare agli Stati membri una capacità autonoma.
L’iniziativa europea Iris 2 è in ritardo e procede lentamente – aggiunge -. E poi sarebbe saggio seguire le indicazioni contenute nel rapporto di Mario Draghi sulla competitività: l’osservazione della terra e la sicurezza delle comunicazioni devono diventare pilastri della politica industriale congiunta europea”.
Sarebbe quindi un errore secondo Colao “affidarsi al monopolista di turno. Trovo curioso che ci si preoccupi dello strapotere di aziende, tra l’altro meritevoli, come Microsoft e Google, ma non si veda lo stesso rischio in questo caso. Gli europei si lamentano di non avere servizi cloud e ora ci andiamo a mettere nelle mani di un potenziale nuovo monopolista?”.
(da agenzie)

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IRIS 2: COS’E’ L’ALTERNATIVA DELL’UE A STARLINK E PERCHE’ GLI ACCORDI LDELLA MELONI CON MUSK NON PIACCIONO A BRUXELLES

Gennaio 7th, 2025 Riccardo Fucile

IL PROGETTO EUROPEO E’ PIU’ INDIETRO MA GARANTISCE L’AUTINOMIA DEL CONTINENTE

Uno ha oltre 6.700 satelliti già in orbita ma punta ad arrivare a 42 mila. L’altro al momento non ne ha nessuno, ma punta ad arrivare a 290 a partire nel 2030 dopo il lancio inaugurale previsto quest’anno. Il primo è Starlink. Il secondo è Iris2, il suo concorrente in fase di sviluppo dall’Unione Europea.
Di Iris si parla molto in queste ore, perché con il contratto da 1,5 miliardi che Roma avrebbe pronto per Elon Musk, l’Italia investirebbe in Starlink il doppio di quanto fornisce per la realizzazione del sistema europeo, pensato per porre le basi di una «sovranità tecnologica e una connettività sicura in Europa». Iris infatti è un acronimo che sta per «Infrastruttura per la Resilienza, l’Interconnettività e la Sicurezza via Satellite». Il suo completamento era inizialmente previsto per il 2027 ma a causa di ritardi è slittato al 2030. E pare che sia questo il motivo che spinge Palazzo Chigi a pensare a una soluzione ponte.
Internet veloce, telefonate di emergenza e situazioni di crisi: come funziona Iris2
Infatti, i 290 satelliti di Iris2, dovrebbero svolgere un ruolo molto simile a quella che l’Italia vuole da Starlink: garantire comunicazioni criptate e sicure ai governi, oltre a consentire ai cittadini europei l’accesso a una connessione veloce e telefonate di emergenza anche in aree remote dove ora i cavi e la fibra ottica non arrivano. Tra queste si annoverano anche le zone colpite da crisi come le alluvioni in Emilia-Romagna, o conflitti come quello in Ucraina. Il contratto per la realizzazione di Iris2 è stato firmato meno di un mese fa: il 16 dicembre. Il consorzio Space Rise riceverà uno stanziamento di 10,6 miliardi di euro per mandare in orbita 290 satelliti in 12 anni. Poco più di 4 miliardi di euro arriveranno dalle aziende private che partecipano al progetto. Tra queste c’è l’Esa, l’agenzia spaziale europea, con 500 milioni. I restanti 6 miliardi saranno invece stanziati dal bilancio dell’Ue, ovvero dagli Stati che ogni anno vi contribuiscono.
La base in Abruzzo
La quota che spetta all’Italia è di circa 750 milioni di euro, la metà di quanto verserebbe il nostro Paese a Musk per usare i suoi satelliti per cinque anni. L’Italia ha un ruolo di spicco nello sviluppo di Iris2. Infatti, tra le imprese coinvolte c’è Telespazio, controllata da Leonardo, importante società pubblica attiva nei settori della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza. Inoltre, il principale centro di controllo del programma satellitare sarà in Abruzzo, a Fucino. Una scelta che aveva suscitato il plauso del ministero delle Imprese e del Made in Italy di Adolfo Urso, che l’aveva definita «cruciale per la sicurezza e la sovranità digitale del nostro continente».
«Iris è messo a repentaglio dagli accordi dell’Italia con Musk»
Al momento quella di Musk e la rete più estesa, capillare, economica e sicura, spiega a La Stampa Francesco Vatalaro, professore emerito di Telecomunicazioni all’Università di Roma Tor Vergata. L’Unione Europea è indietro ma non è l’unica a inseguire. C’è l’indiana Tata, che cerca di creare il proprio sistema. Amazon ha il suo progetto battezzato Kuiper. Mentre Airbus ha OneWeb, con oltre 648 satelliti già in orbita. Così, l’ipotesi che l’Italia chiuda con Musk un contratto miliardario secondo Bruxelles potrebbe complicare la realizzazione di Iris e la conseguente autonomia strategica. «Se tieni al Made in Italy – ha avvertito l’europarlamentare Christophe Grudler, relatore del programma Ue per la sicurezza delle connessioni e capogruppo dei liberali di Renew Europe in commissione Industria – non puoi firmare un accordo satellitare con Musk. Sarebbe un errore». Chiaramente, aggiunge, l’italia «è uno Stato sovrano e può concludere accordi» di questo tipo. Ciò non toglie, aggiunge il portavoce che «quando avremo le informazioni» sull’accordo tra Meloni e Musk, «le analizzeremo».
(da Open)

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LE PAURE DELL’EUROPA

Gennaio 7th, 2025 Riccardo Fucile

LA DUCETTA NON HA NEANCHE AVVISATO BRUXELLES DELLE “INTERLOCUZIONI” CON MUSK

Prima di salire sull’aereo in direzione di Mar-a-Lago, dove ha incontrato Donald Trump per una visita tenuta fino a quel momento segreta, Giorgia Meloni ha chiamato Ursula von der Leyen, bloccata nella sua casa di Hannover a causa di una forte polmonite.
La premier si è confrontata con la presidente della Commissione sui temi d’interesse italiano ed europeo poi affrontati con il futuro presidente degli Stati Uniti – dalle forniture di gas ai dazi, fino al dossier Ucraina – ma non ha fatto alcun cenno delle discussioni in corso con Elon Musk per l’utilizzo del sistema di comunicazioni satellitari Starlink.
«Non abbiamo ricevuto alcuna informazione dalle autorità italiane», ha spiegato ieri un portavoce dell’esecutivo comunitario. Eppure, l’eventuale intesa con la società SpaceX potrebbe avere un impatto significativo per l’intera Unione europea perché rischia di scontrarsi con i progetti avviati da Bruxelles proprio per rispondere alle iniziative dell’imprenditore in ambito satellitare.
E, di conseguenza, rischia di ostacolare la tanto ambita autonomia strategica. «Se tieni al Made in Italy – avverte l’eurodeputato Christophe Grudler, relatore del programma Ue per la sicurezza delle connessioni e capogruppo dei liberali di Renew Europe in commissione Industria – non puoi firmare un accordo satellitare con Musk. Sarebbe un errore».
Una simile mossa è vista come una minaccia ai progetti avviati per garantire la sicurezza della connettività e delle comunicazioni strategiche in Europa. E dunque «quando avremo le informazioni» sull’accordo tra Meloni e Musk, dicono da Palazzo Berlaymont, «le analizzeremo».
(da La Stampa)

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ELON MUSK E’ UN PROBLEMA POLITICO SERIO PER L’EUROPA: SI INTROMETTE NELLE QUESTIONI POLITICHE DI GERMANIA E REGNO UNITO, E TRAMITE “X” DÀ SPAZIO ALLA PROPAGANDA E ALLE FAKE NEWS CHE FAVORISCONO I PARTITI DI ESTREMA DESTRA

Gennaio 7th, 2025 Riccardo Fucile

IL SUO SOCIAL “X” E’ GIÀ OGGETTO DI INDAGINE DELLA COMMISSIONE EUROPEA PER DISINFORMAZIONE

L’Europa si ribella contro Elon Musk, braccio destro di Donald Trump e uomo più ricco del mondo giunto al delirio di onnipotenza sul suo social X: accuse, offese, umiliazioni quotidiane ai politici, anatemi contro i leader di cui chiede arbitrariamente la rimozione, benedizioni a criminali di estrema destra come l’inglese Tommy Robinson.
Musk è oramai un incessante ventriloquo di fondamentalismi brutali e reazionari, postati a ogni ora del giorno e della notte, che ieri hanno scatenato la reazione del Vecchio Continente.
E così, la Commissione Ue ha avvertito Musk su ingerenze e «utilizzo di X a fini impropri: elezioni libere ed eque sono cruciali per le nostre democrazie. Ai sensi del nostro Digital Services Act, le grandi piattaforme online devono analizzare e mitigare i potenziali rischi provenienti da diverse aree, inclusi quelli contro i processi elettorali e il discorso civico. Ciò include l’obbligo di mitigare i rischi derivanti da qualsiasi trattamento preferenziale o visibilità data ai contenuti su una determinata piattaforma. Inclusi i contenuti del signor Musk sul suo social network X»
La Commissione, ha ricordato un portavoce, ha già aperto un procedimento formale contro X nel dicembre 2024 anche per «sospette violazioni in aree relative ai processi elettorali. Lo streaming su X con Alice Weidel», leader del partito di estrema destra tedesca Alternative Für Deutschland (Afd) che sarà «intervistata » da Musk giovedì sull’ex Twitter, «potrebbe benissimo diventare parte dell’indagine in corso su X».
Ma anche i leader europei sono stufi delle costanti intromissioni e veleni seminati da Musk. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz, già definito «un fesso» dal capo di SpaceX, ha osservato ieri di essere «più preoccupato del sostegno di Musk ad Afd che degli insulti nei miei confronti».
E un portavoce del governo tedesco ha aggiunto: «La maggioranza dei cittadini sono persone oneste e normali. Musk non può influenzare un Paese intero con i suoi commenti».
Sempre ieri, il presidente francese Emmanuel Macron ha apertamente accusato Musk di «guidare una nuova internazionale reazionaria » e di aver commesso ingerenze in elezioni straniere, come in Germania. E il premier norvegese, Jonas Gahr Store: «Trovo preoccupante che un uomo con un enorme accesso ai social e grandi risorse finanziarie sia così direttamente coinvolto negli affari interni di altri Paesi».
Ma ieri ha sbottato anche Keir Starmer. Sinora, il primo ministro britannico aveva cercato di ignorare gli attacchi e gli insulti quotidiani di Musk, E così, dopo mesi di cautela in nome della traballante Special Relationship con gli Usa di Trump, ieri Starmer ha deciso di rispondere per la prima volta a Musk, che lo ha chiamato «stupratore del Regno Unito» e «complice degli abusi sessuali delle gang pachistane in Inghilterra»: «Basta con bugie e disinformazione », ha tuonato Starmer, «coloro che le diffondono sono interessati solo a se stessi, alla disperata ricerca di attenzione».
Musk ha reagito con «sei spregevole», ma oramai twitta ogni giorno decine di messaggi accusando Starmer «di aver insabbiato le inchieste sulle bande di stupratori seriali, musulmani o di origine asiatica contro centinaia di bambine bianche » nei decenni scorsi, quando era procuratore capo della Corona. Ricostruzioni contro il premier a oggi strumentali e senza alcun fondamento. Ma già “verità alternativa” nel famelico Far West di Musk.
“Trovo preoccupante che un uomo con un enorme accesso ai social media e grandi risorse finanziarie sia così direttamente coinvolto negli affari interni di altri Paesi”, ha dichiarato inoltre il premier norvegese, Jonas Gahr Store, parlando alla tv pubblica Nrk, “non è così che dovrebbe essere tra democrazie e alleati. Se dovesse succedere in Norvegia, spero e presumo che l’ambiente politico norvegese unito lo metterebbe in guardia e ne prenderebbe le distanze”.
(da La Repubblica)

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