Gennaio 10th, 2025 Riccardo Fucile
“IO QUESTA RESPONSABILITÀ NON ME LA PRENDO. DEVE ESSERE L’INTERO CDM A DARMI IL MANDATO”… CALDEROLI VORREBBE PRENDERE TEMPO ‘PER APPROFONDIRE LA QUESTIONE DI UNA MODIFICA AL TETTO DEI DUE MANDATI’. LA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO STRABUZZA GLI OCCHI, SCENDE IL SILENZIO. È COSTRETTA A INTERVENIRE: ‘NE AVEVO GIÀ PARLATO CON MATTEO SALVINI E ANTONIO TAJANI, ENTRAMBI SEMBRAVANO D’ACCORDO”
Il governo si spacca sul terzo mandato ai governatori e sulla scelta di impugnare la legge della Campania che consentirebbe la ricandidatura di Vincenzo De Luca. In Consiglio dei ministri alla fine si decide di ricorrere alla Consulta contro la norma, ma la riunione diventa un Vietnam, soprattutto per la Lega che – da sola – si sfila dalla decisione. Suscitando l’irritazione della premier Meloni, intenzionata ad andare avanti senza tentennamenti.
È proprio il ministro che dovrebbe proporre l’impugnativa, Roberto Calderoli, a prendere subito le distanze. «Io questa responsabilità non me la prendo esordisce – deve essere l’intero cdm a darmi il mandato». Lui vorrebbe prendere tempo «per approfondire la questione di una modifica al tetto dei due mandati».
La presidente del Consiglio strabuzza gli occhi, scende il silenzio. È costretta a intervenire: «Ne avevo già parlato con Matteo Salvini e Antonio Tajani, entrambi sembravano d’accordo. Ora qui non ci sono. Parlino i capi delegazione dei partiti». Lo fanno Elisabetta Casellati per FI e Francesco Lollobrigida per FdI. Entrambi favorevoli al disco rosso per il governatore campano e per i colleghi delle altre regioni in attesa del responso. A quel punto per la premier il dado è tratto.
L’impugnativa va portata avanti. Per lei la partita è chiusa, al punto da lasciare la riunione anche perché attesa da Zelensky, appena arrivato a Palazzo Chigi. «Obiettivamente non mi pare che si possa intervenire con un presidente di regione sì e uno no», aveva chiarito Meloni nella conferenza stampa del mattino.
Non è un caso se tra gli assenti figurasse il ministro dei Trasporti. La Lega, che in pancia ha il caso del governatore Veneto Luca Zaia in scadenza e che perciò preme per un terzo mandato, resta in mezzo al guado.
Lo conferma la nota con la quale “fonti del partito” si smarcano in serata da quanto avvenuto a Palazzo Chigi. Intanto, si legge, «come è noto nel cdm non è previsto il voto. Altrettanto nota è la differenza di opinioni che su questo tema c’è tra le forze di maggioranza. Non a caso, durante la riunione, il ministro Calderoli ha sottolineato di essere favorevole, come la Lega ha sempre ribadito, a una modifica della legge nazionale su cui però, al momento, non c’è intesa».
Non c’è intesa, ma per Meloni si va avanti comunque. E lo si fa come ha deciso lei. Fine della storia. La decisione sembra porre fine all’era De Luca in Campania e Zaia in Veneto. Ma non è ancora così. Tanto il primo quanto il secondo continueranno a dire la loro.
FdI rivendica fin da subito l’indicazione del prossimo candidato governatore in Veneto, lo lascia intendere anche la premier Meloni
E in pole per quel ruolo c’è il sottosegretario all’Agricoltura Luca De Carlo. Ma la Liga veneta annuncia che darà battaglia: «Il candidato alla guida della presidenza del Veneto spetta a noi», dice l’assessore regionale e fedelissimo del governatore Roberto Marcato, che aggiunge: «O c’è questa volontà comune di tutti i partiti del centrodestra o alle elezioni regionali corriamo da soli».
(da agenzie)
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Gennaio 10th, 2025 Riccardo Fucile
ALL’INTERNO RACCONTA COSA FANNO QUANDO AVVISTANO UN DRONE: UN MILITARE DI KIM JONG-UN ESCE ALLO SCOPERTO PER FARSI INDIVIDUARE MENTRE ALTRI DUE SI POSIZIONANO AI LATI, SPERANDO DI ABBATTERLO A COLPI DI FUCILE… I SOLDATI DI PYONGYANG PREFERISCONO SUICIDARSI CHE FARSI CATTURARE DAGLI UCRAINI, PER EVITARE CHE I LORO PARENTI IN PATRIA VENGANO PUNITI
I servizi segreti ucraini, americani e sudcoreani sono a caccia di soldati di Kim: finora
non sono riusciti a prenderne prigioniero neanche uno. L’intelligence militare di Kiev sostiene che piuttosto che farsi catturare, i nordcoreani si sparano e i pochi trovati ancora vivi dopo gli scontri nel Kursk erano ridotti così male che sono morti poco dopo.
Questa determinazione suicida non è frutto di fanatismo, osservano gli analisti di Seul: gli uomini mandati da Kim sul fronte ucraino per cementare nel sangue il patto con Vladimir Putin sanno che farsi prendere prigionieri ed essere esibiti ancora vivi dalla propaganda occidentale esporrebbe le loro famiglie in Nord Corea al disonore e gravi punizioni.
Ma sui corpi dei caduti sono stati trovati documenti che parlano dall’oltretomba. L’intelligence ucraina ha diffuso il diario e alcune lettere trovate nella giubba di un fante nordcoreano ucciso in combattimento nella regione di Kursk
Il caduto si chiamava Jong Kyong Hong, aveva 27 anni e sul suo taccuino aveva tracciato un disegno sulla tattica usata per difendersi dai droni, che a quanto risulta hanno sconvolto i reparti nordcoreani all’inizio lanciati a ondate all’assalto dei villaggi tenuti dagli ucraini.
Ma il loro addestramento in patria prevedeva l’impiego in zone montuose e coperte da boschi sul 38° Parallelo coreano, mentre il fronte tra Russia e Ucraina è pianeggiante, quasi privo di difese naturali e costringe a muoversi allo scoperto. E i droni di cui dispongono gli ucraini possono dominare il campo di battaglia. Questo spiegherebbe le perdite ingenti subite dal corpo di spedizione di Kim.
I nordcoreani stanno imparando dai loro errori: filmati ripresi dai droni mostrano che all’inizio i plotoni avanzavano in colonna o a ventaglio. Dopo lo choc per la decimazione scatenata dai droni, i nordcoreani avrebbero escogitato sul campo un metodo di sopravvivenza audace: quando viene avvistato un drone, ha scritto sul suo quaderno degli appunti Jong, «formiamo una squadra di tre uomini, uno si espone deliberatamente alla vista del velivolo ucraino, facendo da esca per il suo occhio elettronico; il drone si avvicina fino a circa sette metri dal bersaglio, se il nostro compagno resta immobile, si ferma in volo anche il drone per preparare l’attacco; allora gli altri due soldati della nostra formazione si piazzano negli angoli ciechi, a una decina di metri e concentrano il fuoco abbattendolo». Gli ucraini definiscono questa azione temeraria «esca umana».
Il giovane nordcoreano aveva preso anche altri appunti sulla sua prima esperienza in battaglia: se si finisce sotto il tiro dell’artiglieria bisogna rifugiarsi e riorganizzarsi in punti già battuti dai proiettili di grosso calibro «perché i cannoni non colpiscono lo stesso posto due volte».
(da agenzie)
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Gennaio 10th, 2025 Riccardo Fucile
MA KICKL FA LA VOCE GROSSA CON IL POTENZIALE PARTNER DI GOVERNO: “NON ALZATE LA TESTA”… SE FALLISCONO LE TRATTATIVE C’E’ L’OPZIONE DI UN GOVERNO DI MINORANZA DEI POPOLARI, CON L’APPOGGIO ESTERNO DI SOCIALDEMOCRATICI E LIBERALI
Una marea di lucine rosse ondeggia davanti alla cancelleria, il grido di battaglia è “ nazis raus ”, ma ogni tanto qualcuno intona, in italiano, “siamo tutti antifascisti”. Si sono radunati in migliaia ieri sera a Vienna davanti al più importante palazzo del potere, per impedire che Herbert Kickl ne varchi mai la soglia. Un cartello recita “niente coalizioni con gli amici di Putin”.
E il tedesco Jan, che studia medicina a Vienna, ha dedicato al leader dell’estrema destra austriaca un cartoncino con tre semplici parole: “ Mai più Volkskanzler ” (cancelliere del popolo, ndr ). È ancora incredulo, dice, perché «conosco la storia tedesca, e ovviamente associo Volkskanzler ad Adolf Hitler. Sappiamo tutti com’è andata a finire. Che Kickl usi questo termine volutamente, dimostra quanto sia un pericolo per la democrazia».
Ventidue anni fa una manifestazione come questa costrinse Wolfgang Schuessel, il primo cancelliere dei popolari che si alleò con la Fpö, a passare attraverso un tunnel sotterraneo per raggiungere il suo ufficio. Le cosiddette “manifestazioni del giovedì”, stavolta, puntano a impedire che avvenga una cosa ancora più grave: che l’ultradestra esprima direttamente un cancelliere.
Tra i manifestanti c’è anche Shoshana Duizend-Jensen, che da storica raccoglie da anni le dichiarazioni di Kickl e dei capi della Fpö: «Sono anni che li combatto, che lotto contro neonazisti ed estremisti di destra. Perché se tornano al governo, saranno un pericolo per i migranti, le persone Lgbtqi+, gli ebrei e la stampa libera. Non possiamo permetterlo. Sarebbe il ritorno al potere del nazionalismo xenofobo e antisemita».
Intanto i negoziati tra i popolari della Övp e l’ultradestra Fpö sono iniziati ufficialmente, ma piuttosto in salita. Christian Stocker, neo leader dei popolari, ha tirato le sue linee rosse per accettare di governare con il partito di Herbert Kickl. «Vogliamo far parte della Ue o no? Vogliamo far parte del mondo libero o delle dittature?», ha tuonato mercoledì, prima di elencare le sue condizioni: tutela della libertà di stampa, fedeltà all’Europa e indipendenza dalla Russia.
Ma si tratta proprio dei punti principali su cui la destra estrema di Kickl basa la sua politica estera e interna: smantellamento dell’informazione pubblica, ostilità verso l’Unione europea e fine del sostegno all’Ucraina.
Fonti della Övp parlano di “sconcerto” a proposito della prima dichiarazione pubblica di Kickl, che martedì aveva preso letteralmente a schiaffi il potenziale partner di governo, intimando ai popolari di «non alzare la testa» e ricordandogli «chi ha vinto le elezioni». Il leader dei popolari Stocker, dunque, ha replicato il giorno dopo a Kickl sostenendo che «non abbiamo paura delle elezioni anticipate».
Ma si tratta di una bugia. Primo, nei sondaggi Kickl veleggia al 36%, e l’ultradestra è l’unica che può sostenere davvero di non temere il voto anticipato. Secondo, osserva una fonte Övp, «le casse del partito sono vuote». I popolari non hanno un centesimo, al momento, per organizzare una campagna elettorale.
Ecco perché a microfoni spenti vengono disegnati due scenari, per le prossime settimane.
Nel primo, dato al 50%, Övp e Fpö si mettono d’accordo per formare un esecutivo guidato da Kickl. Nel secondo, le trattative falliscono: in quel caso Övp si metterebbe d’accordo con i socialdemocratici della Spö e con i liberali Neos per un governo di minoranza monocolore dei popolari, guidato dallo stesso Stocker con l’appoggio esterno delle due forze moderate. Un’opzione che consentirebbe ai popolari di prendere tempo e rimpinguare le casse del partito.
(da agenzie)
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Gennaio 10th, 2025 Riccardo Fucile
LA SCOPERTA DELLA CGIL ATTRAVERSO L’AGGIORNAMENTO DEL SOFTWARE DELL’INPS; LA SMENTITA TROPPO FIACCA DELL’ENTE … L’IPOTESI È CONCRETA, VISTO CHE L’AUMENTO DI TRE MESI DEI REQUISITI DAL 2027 ERA STATO IPOTIZZATO LO SCORSO OTTOBRE DAL PRESIDENTE DELL’ISTAT, FRANCESCO MARIA CHELLI
Giallo e bufera sull’aumento dei requisiti necessari per andare in pensione dal primo
gennaio 2027, quando, secondo la legge, scatterà il nuovo adeguamento alla speranza di vita, che, secondo le attese, dovrebbe comportare un ritardo di tre mesi del pensionamento.
Ieri la Cgil ha denunciato di aver scoperto, attraverso la sua rete di patronati, che gli applicativi dell’Inps fanno decorrere le pensioni del 2027 con un aumento di tre mesi dei requisiti e poi di altri due mesi dal primo gennaio 2029.
In pratica ci vorrebbero 67 anni e 3 mesi di età (oltre che 20 anni di contributi) per andare in pensione di vecchiaia dal 2027 e 67 anni e 5 mesi dal 2029. E 43 anni e un mese di contributi (indipendentemente dall’età) per andare in pensione anticipata (un anno in meno per le donne) dal 2027 e 43 anni e 3 mesi dal 2029 (un anno in meno per le lavoratrici). Il governo, accusa la Cgil, avrebbe tenuto nascosta la notizia, con l’Inps che si sarebbe portata avanti pur in mancanza del decreto ministeriale richiesto dalla legge.
L’istituto di previdenza guidato da Gabriele Fava ha replicato alla Cgil con una smentita laconica e inefficace: «L’Inps smentisce l’applicazione di nuovi requisiti pensionistici. L’Istituto garantisce che le certificazioni saranno redatte in base alle tabelle attualmente pubblicate». Inefficace perché subito dopo è stato il sottosegretario al Lavoro e vicesegretario della Lega, Claudio Durigon, a intervenire prendendosela proprio con l’Inps: «L’aumento dei requisiti per andare in pensione fatto trapelare in maniera impropria e avventata dall’Inps non ci sarà. Nel momento in cui si registrasse un aumento effettivo dell’aspettativa di vita, come Lega faremo di tutto per scongiurare questa ipotesi».
In realtà, l’ipotesi è concreta. Visto che l’aumento di tre mesi dei requisiti dal 2027 era stato anticipato lo scorso ottobre dal presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli, in un’audizione alle commissioni di Camera e Senato. E anche la Ragioneria generale dello Stato, nel suo ultimo rapporto sulle tendenze della spesa previdenziale, avvertiva che «l’incremento della speranza di vita per l’anno 2023 è risultato superiore alle previsioni», concludendo che, se il maggior aumento fosse confermato a consuntivo dall’Istat, «l’adeguamento previsto con decorrenza 2027 risulterebbe di tre mesi» e di altrettanto dal 2029.
Insomma, nonostante il clamore e il probabile pasticcio fatto dall’Inps l’aumento dei requisiti appare inevitabile a meno di una decisione contraria del governo, come quella presa con la manovra 2019 dal governo Conte 1 che bloccò fino al 31 dicembre 2026 gli adeguamenti biennali del requisito per la pensione anticipata.
La classe più penalizzata sarebbe quella dei nati nel 1960, già rimasti fuori da Quota 100. Ma c’è anche il rischio di creare nuovi «esodati», dice la Cgil: in particolare i lavoratori che hanno aderito a piani di isopensione o scivoli di accompagnamento alla pensione, che potrebbero trovarsi per alcuni mesi senza tutele.
(da Corriere della Sera)
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Gennaio 10th, 2025 Riccardo Fucile
L’INTERVISTA SUL SOCIAL DI MUSK, DOVE NON SI SA CHI HA SPARATO PIU’ CAZZATE
Il proprietario del social network ha ospitato in un’intervista su X Alice Weidel, leader del partito di estrema destra tedesco, attirandosi numerose contestazioni
«Definire Hitler di destra e conservatore è stato il più grande errore della storia». A dichiararlo è Alice Weidel, leader del partito di estrema destra tedesco Alternative für Deutschland (Afd) in una conversazione di poco più di un’ora con Elon Musk trasmessa su X, che è valsa numerose critiche al proprietario del social network e futuro esponente di spicco dell’amministrazione statunitense, accusato di influenzare la politica tedesca offrendo il proprio pubblico ad Afd.
Secondo Weidel, «Hitler era comunista, perché nazionalizzò le aziende», ovvero l’esatto opposto del suo partito che è invece «libertario e conservatore».
La provocazione storica è arrivata in risposta a una domanda di Musk sull’importanza della libertà di espressione, tema molto caro all’imprenditore sudafricano, che sostiene vi sia il pericolo che questa venga limitata in Germania. Weidel suggerisce che sia la sinistra a farlo, e tra le sue fila annovera anche Hitler.
«Netanyahu ha sbagliato, solo Afd protegge gli ebrei in Germania»
La conversazione si è poi spostata sulla situazione in Medio Oriente. Secondo Weidel, la critica all’operato di Israele nella Striscia di Gaza dimostra che il vero antisemitismo si trova «a sinistra». Secondo la leader di Afd, il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu «ha fatto degli errori». Lo spunto è stato utilizzato per ribadire l’impegno di Afd come «l’unica protezione per gli ebrei in Germania» contro la «crescente minaccia dei crimini musulmani». «Un ebreo non può più camminare per le strade qui», ha aggiunto Weidel in collegamento audio con il patron di X che nelle scorse settimane ha più volte espresso il proprio supporto per Afd.
(da agenzie)
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Gennaio 10th, 2025 Riccardo Fucile
NON SONO AMMESSE REPLICHE, COSI’ PUO’ RACCONTARE LE BALLE CHE VUOLE
Se si escludono le interviste concesse tra un salotto televisivo amico e l’altro, oltre ai
colloqui tutt’altro che incalzanti con alcune testate della carta stampata, è dalla catastrofica conferenza stampa sulla tragedia di Cutro (il 9 marzo 2023) che la premier Giorgia Meloni non si sottopone ad una conferenza stampa con un vero contraddittorio.
Escludiamo, infatti, dall’elenco anche quella di inizio anno tenuta ieri dalla presidente del Consiglio che, per le regole di ingaggio (il giornalista domanda, la premier risponde, ma non è ammessa la replica: così se dice qualcosa di impreciso o altera i fatti nessuno può fartelo notare), non è certo quella sorta di terzo grado che dal cane da guardia del potere ci si aspetterebbe.
Così tra domande fotocopia su Musk (tante), quesiti mancati (sul record di povertà assoluta e liste d’attesa bibliche in Sanità, per esempio), dribbling e mezze risposte di Meloni (come quelle sul crollo della produzione industriale, carobollette e disoccupazione giovanile), il rituale appuntamento con la stampa parlamentare si è trascinato stancamente, anche quest’anno, per quasi tre ore.
Insomma, parlare d’altro volendo si poteva. Ma fino a un certo punto. Del resto, ad oltre due anni dal suo insediamento, finora questo governo si è dedicato principalmente a cancellare le riforme dei governi Conte (dal Reddito di Cittadinanza al Superbonus), a collezionare una serie di schifezze sulla giustizia (come l’abolizione dell’abuso d’ufficio, il bavaglio stampa sulle ordinanze di custodia cautelare o la stretta sul diritto di manifestare) e di leggi scritte con i piedi.
A cominciare dall’Autonomia differenziata, già fatta a pezzi dalla Consulta, per proseguire con la riforma del premierato, semmai dovesse vedere la luce, e la separazione delle carriere dei magistrati (all’esame della Camera), destinata a sottoporre il pm al controllo del potere esecutivo, a devolvere al Parlamento la definizione dei reati da perseguire prioritariamente per arrivare, di fatto, al superamento dell’obbligatorietà dell’azione penale. Certo, non serviva la conferenza stampa di ieri per capirlo. Ma in ogni caso è servita a confermarlo.
(da lanotiziagiornale.it)
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Gennaio 10th, 2025 Riccardo Fucile
MELONI GLISSA SU PENSIONI, TAGLI E CARO ENERGIA
Due ore e quattro minuti. Tanto ci è voluto per arrivare a una domanda sul lavoro e la crisi industriale. L’economia è la grande assente della conferenza stampa di Giorgia Meloni con alcuni passaggi imbarazzanti, come quando decide che non ha abbastanza tempo per rispondere sul costo delle bollette o aggira il tema dell’utilizzo di Starlink nell’ambito del programma Pnrr sulla connessione digitale. La parte in cui la presidente del Consiglio si dilunga maggiormente è l’elenco dei regali alle imprese e poi l’impegno che più sta a cuore al centrodestra, mettere il “ceto medio” al centro dell’agenda. Ma fa finta di niente sulle pensioni, proprio nel giorno in cui la Cgil denuncia la modifica unilaterale da parte dell’Inps dei requisiti di accesso.
Alla domanda sul lavoro, Meloni risponde che il suo governo, comprendendo anche quelli non stabili, ha prodotto circa un milione di nuovi posti di lavoro: “Berlusconi potrebbe essere fiero di noi”. Rivendica anche gli ultimi 328 mila posti a tempo indeterminato, di “buona qualità”, registrati dall’ultimo rapporto Istat, ma non dice che da due mesi la tendenza è in calo, soprattutto per il lavoro a tempo determinato. Quando si tratta di parlare della disoccupazione giovanile, che è ancora alta, prima ripropone la solita storia dell’offerta e domanda di lavoro che non si incontrano, poi sui Neet, coloro che non cercano lavoro e non studiano, offre una curiosa versione della cultura del governo: “Dovremo creare gruppi di lavoro ad alto livello – dice Meloni – per affrontare il tema delle giovani generazioni in generale”. E di cosa si dovrebbe occupare? “Social media, Internet, pandemia, faccio parte della prima generazione di genitori che cresce figli interamente digitali: non siamo attrezzati”. Dal che sembra dedursene che se i giovani non cercano lavoro è perché stanno sui social.
Sull’industria è più prodiga di dettagli, sciorinando quello che il governo ha fatto: ad esempio l’Ires premiale in legge di Bilancio, gli incentivi finalizzati al mantenimento dei posti di lavoro. L’idea di base resta quella rivendicata fin dal discorso d’insediamento, “creare un contesto favorevole per le industrie”. Alle quali, ricorda la premier alla giornalista del Sole 24 Ore che pone la domanda, il governo ha dato molto: “Oltre all’Ires premiale, la transizione 5.0, i 12 miliardi liberati dal Pnrr e girati alle aziende per fare fronte ai costi dell’energia”. Difficile, però, definire tutto questo una politica industriale specialmente di fronte a una produzione industriale che continua scendere: -4% a settembre, su base annua, -3,6% a ottobre.
A chi gli chiede, come il Giornale, se le due principali promesse elettorali, il taglio delle tasse e la riforma delle pensioni, non siano “rimaste al palo” Meloni ribatte con la lista delle misure prese finora: “L’accorpamento delle prime due aliquote fiscali, la detassazione dei premi produzione, dei fringe benefit, la riduzione del cuneo fiscale, gli incentivi alle madri lavoratrici”. “Abbiamo lavorato sui redditi più bassi”, dice. Ora però, aggiunge subito, “va dato un segnale al ceto medio” che rappresenterà l’obiettivo politico dell’anno che si apre. Come e con quali risorse però non viene detto, tanto più in presenza di tagli strutturali imposti all’Italia dal Patto di Stabilità. Linea su cui il ministro Giancarlo Giorgetti è stato premiato dal Financial Times e da cui Meloni non intende discostarsi. Nessuna risposta, poi, sul tema delle pensioni.
E infine glissa, la presidente del Consiglio, sul tema decisivo del costo dell’energia e del caro bollette. La giornalista Claudia Fusani chiede anche di Starlink e di Musk, tema centrale nella conferenza stampa, ponendo la domanda diretta se il governo userà il satellite di Musk per rimediare ai ritardi del Pnrr sulla connessione digitale. “Non posso rispondere con precisione” dice la premier, ma è sul costo dell’energia che lascia il messaggio più imbarazzante: “Non è una questione su cui si può rispondere in 20 secondi”. La maggior parte degli italiani la risposta l’avrebbe gradita.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Gennaio 10th, 2025 Riccardo Fucile
IN TRE ORE DI DOMANDE MAI TOCCATI TEMI COME SANITA’, SCUOLA E LAVORO… PENSA SOLO A DIFENDERE MUSK E LA SORELLA ARIANNA
Ci sono molti dubbi che Elon Musk abbia avuto il tempo di seguire la conferenza
stampa della sua amica Giorgia Meloni. Forse, però, il suo referente italiano Andrea Stroppa avrà provveduto a compilare per lui un ampio resoconto dell’evento romano.
Si può star certi, allora, che lo straripante ego del miliardario si sarà sentito gratificato dal fatto che almeno una decina delle 40 domande rivolte alla presidente del Consiglio si siano concentrate sui suoi presunti affari con Roma e le sue interferenze nella politica interna di paesi sovrani.
Vista dall’Italia, invece, resta la sorpresa che in quasi tre ore di botta e riposta il discorso non sia mai caduto su temi come la sanità pubblica in disarmo e le scuole che cadono a pezzi. Un unico quesito ha riguardato il calo della produzione industriale così come il lavoro, con Meloni che ha parlato di un non meglio precisato «accordo raggiunto con Stellantis», forse riferendosi al recente vertice al ministero delle Imprese in cui i manager della multinazionale hanno solo aggiornato le promesse dei mesi scorsi.
Ormai è andata, come si dice in questi casi. E allora partiamo proprio da Musk per questa breve pagella ragionata su alcuni punti chiave della performance della presidente del Consiglio.
Musk
Poteva cavarsela in poche battute, smentendo che sia stato firmato un contratto con SpaceX. Invece Meloni ha difeso le sparate di Musk contro i governi di Germania e il Regno Unito, paesi alleati, liquidandole come opinioni personali. C’è stata un’unica presa di distanze, in questo caso inevitabile, dagli insulti del padrone di Tesla alla ministra britannica Jess Philips. Per il resto la premier ha divagato, adottando la nota tattica difensiva “E allora Soros?” come ha efficacemente sintetizzato in conferenza stampa la collega di Domani, Daniela Preziosi.
Non è mancata la consueta parentesi vittimistica: “io sono stata bannata svariate volte” da quegli altri, che poi sarebbero Twitter (prima di essere comprata da Musk) e Facebook. Quindi, in base a questa logica, gli errori passati (ammesso e non concesso che siano tali) dei suoi avversari giustificherebbero anche gli eccessi attuali del suo amico. Un ragionamento da social network più che da capo del governo di un paese democratico. Intanto Musk ringrazia e in serata con un post su X ha celebrato la “sconfitta” di Soros.
VOTO 2
Sala e Belloni
Caso ha voluto che la conferenza stampa sia andata in scena all’indomani della liberazione della giornalista Cecilia Sala, incarcerata senza motivo dal regime iraniano. Anche sulla vicenda, politicamente molto difficile da gestire, delle dimissioni di Elisabetta Belloni, sono arrivate parole di stima per la direttrice uscente della struttura di coordinamento dei servizi segreti. Senza però rinunciare a un’allusione a prossimi incarichi all’estero (a Bruxelles?) di una funzionaria “ambita anche fuori dai confini nazionali”. Istituzionale
VOTO: 8
Riforme, tasse (e pensioni)
Qui la premier non riesce a sfoggiare i successi dell’azione di governo, perché c’è il rischio forte che le due riforme bandiera della maggioranza – premierato e autonomia – restino impantanate tra sentenze della Consulta e litigi nel centrodestra.
Così Meloni può solo promettere che sulle riforme «si va avanti». Stessi toni sulle tasse: «va dato un segnale al ceto medio». Non è granché. E fortuna che non è stato toccato il tema delle pensioni, proprio nel giorno in cui la Cgil denuncia l’intenzione dell’Inps (che smentisce) che sarebbe pronta ad alzare i requisiti d’età per lasciare il lavoro. Il contrario di quanto si è a lungo lasciato intendere dalla maggioranza.
VOTO
Terzo mandato
A proposito di fuoco amico nella maggioranza, Meloni approfitta dell’occasione per confermare che il governo impugnerà la legge della regione Campania per il terzo mandato del presidente De Luca e allo stesso tempo rilancia le ambizioni di Fratelli d’Italia per la poltrona di governatore del Veneto: “una candidatura da considerare”, al posto dell’uscente Zaia, già eletto due volte. Schiaffoni a Salvini.
VOTO 6
Forze dell’ordine
A Milano la magistratura indaga sulla morte di un ragazzo di origini egiziane inseguito e speronato da un’auto dei carabinieri, con video e registrazioni audio che potrebbero giustificare l’ipotesi di reato di “omicidio volontario con dolo eventuale” da parte del militare alla guida.
Alla premier arriva invece una domanda sul caso del carabiniere indagato per eccesso di legittima difesa per aver ucciso un rifugiato straniero che aveva accoltellato alcuni passanti. Un carabiniere che sarà premiato con una medaglia, annuncia Meloni, promettendo che il governo si impegnerà per cambiare le norme sulla legittima difesa. Propaganda.
VOTO 4
Rispetto
Già nella sua introduzione in apertura di conferenza stampa la premier ha chiesto rispetto dalla stampa che riporta fatti mai avvenuti e le avrebbe attribuito dichiarazioni mai rilasciate. Poi, sollecitata da una domanda, torna sull’argomento lamentando (di nuovo) la mancanza di rispetto e per due volte tira in ballo una presunta strategia dietro questo continuo voler raccontare cose non vere a proposito della sorella Arianna.
«Chiederò a mia sorella che cosa ne pensa se trova un minuto mentre stipa tutta questa gente nei gangli dello Stato», ha chiosato ironica di Meloni, che sembra essersi momentaneamente dimenticata di non essere più la leader dell’opposizione in cerca di visibilità e rispetto (appunto) ma alla guida di un governo con una maggioranza schiacciante in Parlamento e nel paese. Disco rotto.
VOTO 5
(da editorialedomani.it)
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Gennaio 10th, 2025 Riccardo Fucile
LE FALSITA’ SU PIANO MATTEI, CITTADINANZA, TRUMP, COMPLOTTI
La conferenza stampa di fine anno della presidente del Consiglio Giorgia Meloni (che quest’anno si è svolta in realtà nei primi giorni di gennaio) è durata quasi tre ore. I temi toccati sono stati moltissimi, dalla liberazione di Cecilia Sala alle numerose domande su Elon Musk – inclusa quella di Fanpage.it sui presunti accordi con Space X -, fino alla situazione del governo con un possibile rimpasto, e non solo. Ma più di una volta la premier ha fatto affermazioni che non tornavano.
È successo quando ha parlato del piano Mattei, così come della riforma della cittadinanza. È avvenuto anche in apertura, quando ha sventolato il numero di domande rivoltole dai giornalisti lo scorso anno per sminuire il fatto che nel 2024 abbia partecipato a pochissime conferenze stampa. E, ancora, toccato temi delicati come i presunti ‘complotti’ ai danni del centrodestra e lo scontro con la magistratura sui migranti/e i numeri dell’occupazione in Italia. Abbiamo raccolto alcune delle uscite di Meloni, spiegando perché non hanno senso.
Meloni dice che tutte le iniziative del Piano Mattei sono già avviate, ma in realtà il progetto va a rilento
La prima cosa che non torna ha a che fare con il Piano Mattei, il progetto di sviluppo per l’Africa su cui Meloni ha puntato parecchio nel corso del suo governo e di cui anche oggi si è detta “fiera” per “la concretezza che sta dimostrando”.
In particolare, la premier è tornata a ricordare che “in tutti i nove primi Paesi del Piano Mattei i progetti sono tutti già avviati” e ha annunciato l’intenzione di allargarsi ad altri cinque Paesi: Angola, Ghana, Mauritania, Tanzania e Senegal.
In realtà, a dispetto di quanto sostiene Meloni, il piano non sembra aver ingranato. Come abbiamo già raccontato, dalla lettura della relazione annuale che il governo ha presentato al Parlamento lo scorso novembre sullo stato di attuazione del piano Mattei è emerso che la gran parte delle iniziative elencate nei nove Paesi pilota o fanno parte di progetti “vecchi”, avviati gli scorsi anni e con fondi riciclati dal passato, o si trovano ancora in una fase preliminare e faticano a partire.
Pure sul lato delle risorse, nonostante gli strumenti finanziari pensati da Chigi per attrarre Stati e aziende verso i programmi di cooperazione con l’Africa, il riscontro – sia tra i pubblici che tra i privati – è stato piuttosto basso e lo collaborazioni internazionali finora poche.
Non è vero, come dice Meloni, che quasi tutti gli Stati non consentono la doppia cittadinanza
Giorgia Meloni ne è sicura e oggi ha voluto ribadirlo: “la legge italiana sulla cittadinanza è ottima”. Per questo motivo, una riforma del sistema che regola la concessione della cittadinanza in Italia – che risale al 1992 – non è in programma.
Sul tema si erano riaccesi i riflettori verso la fine dell’estate, quando gli azzurri avevano aperto all’ipotesi di cambiare le regole e riconoscere la cittadinanza a chi ha concluso un ciclo di studi. Le dichiarazioni di Antonio Tajani e dei suoi avevano fatto storcere il naso agli alleati, Lega e Fratelli d’Italia, contrari a una riforma.
Contrarietà su cui è tornata anche oggi la premier spiegando che “c’è una ragione per cui lo ius soli e lo ius scholae non sono fenomeni diffusi in tanti Paesi. La cittadinanza di un minore di solito è collegata a quella della famiglia, perché nella stragrande maggioranza dei Paesi non c’è la possibilità di avere la doppia cittadinanza”. In realtà, quello che dice Meloni non è vero e per una serie di ragioni.
In primo luogo non è vero che in tanti Paesi ius soli e ius scholae non sono diffusi. Diverse formulazioni dello ius scholae – il principio che lega la cittadinanza al conseguimento di un ciclo di studi – sono presenti nelle legislazioni di Stati quali Slovenia, Lussemburgo, Portogallo, Grecia.
Così pure lo ius soli, che prevede il riconoscimento della cittadinanza solo per il fatto di essere nati in quel Paese (indipendentemente da quella dei genitori) e che ritroviamo negli Stati Uniti, in Argentina e in altri Paesi del Sud America. Varianti di questo principio, come lo ius soli temperato, sono poi diffuse in diversi Stati dell’Ue, come Francia e Belgio.
Anche l’affermazione di Meloni secondo cui nella stragrande dei Paesi “non è possibile avere la doppia cittadinanza” è falsa. Questa possibilità non solo è concessa, ma lo è in un lungo elenco di Stati (Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito, solo per citarne alcuni oltre a quelli già menzionati).
Meloni evita il confronto con i giornalisti: nel 2024 ha tenuto solo 3 conferenze stampa
Giorgia Meloni nel corso della conferenza stampa ha respinto più volte l’accusa di essersi sottratta alle domande dei giornalisti, durante il 2024. Al contrario ha rivendicato di aver risposto in tutto a 350 domande, pur non avendo organizzato dei veri e propri momenti di confronto con i giornalisti, come la conferenza stampa di oggi, durata tre ore, con 40 domande programmate. “Sento dire spesso che io non risponderei abbastanza alle domande” della stampa, “ho chiesto di fare a spanne un calcolo delle domande alle quali ho risposto” nel 2024 e sono state “350 domande, più di una al giorno”, ha precisato. “Ho fatto scelta di non partecipare alle conferenze stampa” dopo i Consigli dei ministri perché “Giorgia Meloni al governo non è da sola”, ha puntualizzato la presidente del Consiglio, spiegando quindi di aver voluto lasciare spazio ai suoi ministri nell’illustrare i provvedimenti varati.
Ma è illogico e scorretto paragonare i punti stampa, che hanno tempi molto contenuti, oppure le interviste in tv concesse a giornalisti notoriamente non ostili al governo e alle sue posizioni – come per esempio Bruno Vespa a Porta a Porta o Nicola Porro a Quarta Repubblica – a momenti più articolati come le conferenze stampa, in cui la premier ha modo di argomentare le risposte. È evidente che durante le conferenze stampa i giornalisti hanno modo di incalzarla maggiormente, chiedendole chiarimenti su eventuali dichiarazioni imprecise o elusive. È ed è altrettanto evidente che nel corso dello scorso anno Meloni ha tenuto solo tre conferenze stampa.
Dopo la conferenza stampa di inizio anno, che si è svolta il 4 gennaio 2024 con notevole ritardo, per via di un problema di otoliti, Meloni ha aspettato sei mesi per confrontarsi di nuovo con i giornalisti: lo ha fatto lo scorso 15 giugno, quando ha tenuto una conferenza stampa in Puglia, al termine del vertice dei Paesi del G7; e poi ancora lo scorso 16 settembre Meloni ha risposto insieme al primo ministro britannico Keir Starmer ad alcune domande della stampa al termine della visita del premier inglese a Roma. Lo scorso ottobre poi ha anche saltato la conferenza stampa di presentazione della manovra, subito dopo l’approvazione in Cdm della legge di Bilancio, prevista per il 21 ottobre: l’appuntamento era stato ufficialmente rimandato per via dell’assenza del vicepremier Antonio Tajani impegnato in una riunione del G7, e poi è stato cancellato del tutto dall’agenda.
La premier dice che “non ha mai parlato di complotto”, ma ne ha inventati molti
“Non ho mai parlato di complotto in più di due anni che faccio il presidente del Consiglio dei ministri”. È una frase che Meloni ha ripetuto più di una volta. Partendo dal caso della sorella Arianna, responsabile della segreteria di FdI, su cui nei mesi si sono concentrate diverse inchieste giornalistiche, secondo la premier tutte senza fondamento: “Quando per mesi ti trovi ‘Arianna Meloni ha fatto questo, ha fatto quest’altro’, e poi non l’ha fatto, spero che sia una strategia. Perché altrimenti è cialtroneria”.
Va detto che poi è emersa, ed è stata presa per buona da gran parte della maggioranza, l’ipotesi di un’inchiesta giudiziaria ai danni della sorella della leader di FdI. Inchiesta che, in realtà, non è si è mai concretizzata.
Ma al di là di questo, la presidente del Consiglio ha sottolineato di non aver “mai parlato di complotto”, in generale. Ha ammesso che secondo lei c’è “l’idea (…) a livello politico, di gettare fango addosso a qualcuno”, e che ci sono “gruppi di potere che magari in passato avevano rapporti con il potere politico, e adesso possono essere innervositi dal fatto di non essere adeguatamente tenuti in considerazione”. Termini vaghi, senza dettagli.
Ma di complotti era pieno il suo libro intervista uscito a settembre del 2023, a partire dalle “grandi concentrazioni economiche” intenzionate a favorire l’immigrazione per “snaturare l’identità delle nazioni e rivedere al ribasso i diritti dei lavoratori”. Concentrazioni che avrebbero il volto di George Soros, che “persegue apertamente un’agenda politica” (citato anche oggi da Meloni, come esempio negativo contrapposto a Elon Musk). Ma tra i complotti anche quello del “rischio di una sostituzione etnica”, menzionato per difendere il ministro Lollobrigida. E quello della “teoria gender”, oltre al “deep state” collegato alla sinistra.
La verità è che però, anche solo nell’ultimo anno, più e più volte la premier ha fatto riferimenti che hanno fatto pensare a dei complotti. A ottobre dello scorso anno faceva notare con preoccupazione che i deputati del Pd avevano “anticipato” la decisione dei giudici sui centri migranti in Albania. Come a suggerire un legame tra opposizione e magistratura, quando in realtà per prevede la decisione dei giudici bastava conoscere le leggi.
Una settimana prima, Meloni parlava del caso dossieraggi affermando con leggerezza che secondo lei si trattava di un “mercato delle informazioni” clandestino, che colpiva “quasi tutti esponenti di centrodestra”, probabilmente per “interessi” altrui ancora da identificare. Ma non solo: “In questa nazione ci sono probabilmente i gruppi di pressione, che non accettano di avere al governo qualcuno che pressioni non se ne fa fare, che non si può ricattare e allora magari tentano di toglierselo da torno con altri argomenti”, aveva concluso.
A proposito di ricatti, proprio nella conferenza stampa svolta un anno fa erano arrivate queste parole: “Non sono ricattabile, sono una persona che sceglie liberamente. Non dico che gli altri si facciano condizionare, dico che io non lo faccio, non ho altro da dire”. Meloni non ha mai spiegato chi avrebbe dovuto ricattarla. Né se, secondo lei, ci fosse dietro un complotto.
Meloni: “Escludo che Trump annetta territori con la forza”. Ma è lo stesso presidente Usa a dirlo
Donald Trump, nella sua prima conferenza stampa da presidente ufficialmente eletto, ha dichiarato che non solo gli Stati Uniti dovrebbero riprendere il controllo del Canale di Panama, spingendosi a parlare di “trattative” in corso “con loro”, pur senza entrare nei dettagli. Ma ha anche detto di immaginarsi un’annessione della Groenlandia. Verso entrambe comunque non esclude l’uso della forza: “Non posso dare assicurazioni su nessuna delle due questione”, ha detto il tycoon rispondendo a un giornalista gli ha chiesto se avrebbe escluso “l’uso della forza militare o la coercizione economica” verso Panama e Groenlandia. “Posso dire questo: ne abbiamo bisogno per la sicurezza economica. Il Canale di Panama è stato costruito per i nostri militari. Non ho intenzione di impegnarmi su questo adesso, potrebbe darsi che dovrò fare qualcosa”, ha specificato. Possibile che Meloni non abbia ascoltato con attenzione le sue parole?
Rispondendo a una domanda durante la conferenza stampa di fine anno, Meloni ha infatti minimizzato e giustificato le parole di Trump, dicendo che le sue parole “rientrano nel dibattito a distanza tra grandi potenze, è un modo energico per dire che gli Usa non rimarranno a guardare di fronte alla previsione che altri grandi player globali muovono in zone di interesse strategico per gli Usa e, aggiungo, per l’Occidente. Io la leggo così, poi mi confronterò con i miei omologhi europei nelle prossime ore”.
“Mi sento di escludere – ha aggiunto – che gli Usa nei prossimi anni si metteranno a tentare di annettere con la forza dei territori che interessano: a differenza di alcune letture che leggo, sento, e ascolto su Trump, lo abbiamo già visto presidente negli Usa ed è una
persona che quando fa una cosa ragionevolmente la fa per una ragione”.“Le dichiarazioni di Trump sono più un messaggio ad alcuni altri grandi player globali, piuttosto che rivendicazioni ostili verso quei paesi”, ha ribadito Meloni, ricordando che il Canale di Panama fu costruito a inizio Novecento dagli Stati Uniti ed è fondamentale per il mercato mondiale e per gli Stati Uniti stessi, mentre “la Groenlandia è un territorio strategico a ridosso del Polo Nord, ricco di materie prime”, e negli ultimi anni si è manifestato un “crescente protagonismo cinese su entrambi i territori”.
Meloni dimentica il problema della disoccupazione giovanile
Meloni oggi ha rivendicato ancora una volta i suoi risultati sull’occupazione. “Penso che ci siano dati incoraggianti – ha detto – la disoccupazione è al 5,7%, ai minimi da quando vengono registrate le serie, l’occupazione è ai massimi dal dopoguerra”. I “dati incoraggianti” di cui parla Meloni, che pure ha ammesso che sul fronte del lavoro non si fa mai abbastanza, sono quelli diffusi da poco dall’Istat. La premier ha voluto sottolineare anche “la qualità di questo lavoro che è prevalentemente lavoro stabile, noi parliamo di 883.000 nuove assunzioni in questi due anni, ma se considerassimo solo quelle a tempo indeterminato arriveremmo al milione di posti di lavoro. Penso che Silvio Berlusconi possa essere fiero di noi”, ha detto con orgoglio.
Il punto però è che l’stat ha certificato anche altro. I dati pubblicati qualche giorno fa dicono infatti che è vero che a novembre 2024, rispetto al mese precedente, il tasso di disoccupazione è sceso al 5,7%, rispetto al 5,8% del mese precedente, ma risulta in crescita di 1,4 punti la disoccupazione giovanile, nella fascia cioè tra i 19 e i 35 anni che sale al 19,2%. E se il il numero di inattivi è sostanzialmente stabile tra le donne, cresce dello 0,2% (+23mila unità) per gli uomini e gli under 35.
Inoltre se si analizza il confronto con lo stesso mese del 2023, è vero che il numero degli occupati è cresciuto dell’1,4%, con un incremento di 328mila unità, ma per i giovani sotto i 35 anni si registra invece un calo: crescono su base annua gli occupati tra uomini, donne e chi ha almeno 35 anni di età, mentre per i 15-34enni si registra una diminuzione.
(da Fanpage)
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