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BASTA IPOCRISIE: IL GOVERNO ITALIANO HA RILASCIATO IL TORTURATORE LIBICO ALMASRI PER PAURA DI ASSISTERE A NUOVI SBARCHI DI MASSA DI MIGRANTI

Gennaio 24th, 2025 Riccardo Fucile

ALMASRI È UN ESPONENTE DI PUNTA DEL GOVERNO DI TRIPOLI, A CUI ROMA SI APPOGGIA PER LIMITARE LE PARTENZE DI MIGRANTI. CHIUDENDO UN OCCHIO SU CARCERAZIONI E TORTURE… IL CLAMOROSO PASTROCCHIO COMBINANTO DA NORDIO, IL RISCHIO DI UN CONFLITTO DIPLOMATICO CON LA CORTE PENALE INTERNAZIONALE E LE DOMANDE SENZA RISPOSTA: COME HA FATTO A PERDERSI IL MANDATO D’ARRESTO? E PERCHÉ CARLETTO NORDIO NON HA RISPOSTO AI MAGISTRATI ROMANI? STAVA BEVENDO LO SPRITZ?

La scarcerazione e il contestuale rimpatrio di Najeem Osema Almasri rischiano di innescare un conflitto senza precedenti tra la Corte penale internazionale e l’Italia.
Alla base della liberazione di Almasri, decisa dalla Corte d’appello di Roma su parere conforme della Procura generale resta il vizio di forma della mancata «irrinunciabile interlocuzione» con il ministro della Giustizia, vanamente interrogato dalla Procura generale per conoscerne le intenzioni.
Le mosse dell’Aia
In teoria la richiesta di cattura sarebbe dovuta passare per le mani del Guardasigilli prima di arrivare sulle scrivanie dei magistrati. E questo ufficialmente non è avvenuto. Ma la Corte penale internazionale sostiene di aver fatto tutto secondo le regole: nota verbale all’ambasciata italiana in Olanda e successiva trasmissione del mandato d’arresto. In ambasciata c’è un magistrato di collegamento che ha verosimilmente investito del caso il ministero degli Esteri, ma ciò che è accaduto in seguito non è dato sapere. Per il momento. È uno dei «misteri» da chiarire.
Dall’Aia ribadiscono che l’Italia, ricevuti gli atti, non ha dato più segni di vita, fino alla scarcerazione del ricercato.
Dopo la richiesta della Procura generale di Roma il ministro della Giustizia Carlo Nordio poteva rimuovere il cavillo giuridico che impediva la convalida dell’arresto, dando successivamente il proprio assenso, ma poteva anche chiedere chiarimenti alla Cpi.
Invece il suo silenzio-rigetto è valso come un diniego al provvedimento dell’Aia. Arrivato senza ulteriori interlocuzioni.
Segno di una volontà politica del governo che potrebbe generare ulteriori reazioni, poiché la Cpi si è mossa sulle denunce sollecitate dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, ed è a questo organismo che la Cpi dovrà riferire sul comportamento dell’Italia. Ma a Roma […] si stanno disseminando dubbi sulla condotta della Corte internazionale e degli altri Paesi europei coinvolti.
Le tappe in Europa
All’Aia sostengono di aver avuto notizia (presumibilmente dalla polizia tedesca) della presenza di Almasri in Germania solo il pomeriggio di venerdì 17 gennaio. E di aver riunito d’urgenza i giudici, la mattina seguente, per esaminare la richiesta d’arresto giacente dall’inizio di ottobre 2024, ed emettere subito il provvedimento di cattura.
Inoltrato, sabato 18, all’Italia e altri cinque Paesi (Germania, Austria, Francia, Svizzera e Olanda) insieme alla richiesta di inserire l’«avviso rosso» nella banca dati dell’Interpol.
Il problema è che il generale libico era approdato in Europa fin dal 6 gennaio, senza che nessuno — prima del 17 — avvisasse chi doveva trasformare le accuse a suo carico in un mandato d’arresto.
Restano molte domande: dal perché Almasri è stato avvistato ufficialmente solo due settimane dopo il suo ingresso in Europa, al motivo per cui dopo l’invio all’ambasciata italiana il mandato d’arresto nei suoi confronti s’è perso, o è stato abbandonato in qualche meandro ministeriale. Fino alla mancata risposta di Nordio ai magistrati di Roma. Che ha dato il via libera a rilascio ed espulsione a bordo di un aereo con le insegne tricolori.
(da agenzie)

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IL GOVERNO MELONI HA LIBERATO IL TORTURATORE PER GLI INTERESSI SUL PETROLIO E PERCHE’ I LIBICI CONTINUINO A TAGLIEGGIARE I MIGRANTI

Gennaio 24th, 2025 Riccardo Fucile

GLI AFFARI DELL’ENI E IL FINANZIAMENTO ITALIANO DEI CRIMINALI LIBICI… DELLE DONNE STUPRATE, DEI MIGRANTI RESPINTI A CUI VIENE FATTO PAGARE DUE VOLTE IL VIAGGIO, DELLE TORTURE IN CARCERE AI NOSTRI GOVERNANTI NON FREGA UN CAZZO, VISTO CHE FINANZIANO I BOIA

Il caso del capo della polizia giudiziaria di Tripoli, Njeem Osama Almasri Habish, è un delitto perfetto seppure sulla scena del crimine abbondino le tracce e le impronte degli autori che hanno permesso a un criminale di guerra ricercato dalla Corte penale internazionale di lasciare l’Italia regalandogli impunità eterna.
Ma resta un delitto perfetto perché gli indizi più visibili conducono a un unico responsabile politico: Carlo Nordio, il ministro della Giustizia. Troppo impegnato e distratto dall’ossessione di separare le carriere dei magistrati per dedicare un paio di ore a rispondere alla Corte d’Appello di Roma sulla formalizzazione della richiesta di arresto proveniente dall’Aja. Ha lasciato così che trascorresse un giorno e mezzo senza muovere penna.
Lasciando che i giudici decidessero per il rilascio del generale libico, arrestato con una procedura «irrituale» perché non vidimata dal ministero, appunto, l’unico organismo deputato a vagliare le richieste della Corte penale internazionale. Nordio avrebbe potuto porre rimedio nell’immediatezza, ma non lo ha fatto. Un’inerzia che ha suscitato la reazione dalla medesima Corte riferita tramite un comunicato molto duro.
Sulla scena di questo delitto perfetto, tuttavia, esistono molte altre tracce, nascoste eppure lampanti.
Indizi che sommati formano una prova evidente e permettono di ricostruire la catena gerarchica dei mandanti.
In condizioni diverse renderebbero tale delitto tutt’altro che perfetto, ma risolvibile in una manciata di ore. E però qui non siamo di fronte a una normale operazione di polizia, si tratta piuttosto di una complessa tela di relazioni sulla quale si reggono gli equilibri e gli accordi tra il governo italiano di Giorgia Meloni e quello di Tripoli guidato da Abdul Dbeibeh.
In altre parole tra la giustizia dovuta alle vittime del torturatore di migranti e lo stato di diritto c’è di mezzo la ragione di stato per la salvaguardia dell’interesse nazionale.
Di questo intrigo politico fondato sul do ut des potremmo affermare che esistono le prove, ma non abbiamo i nomi, parafrasando al contrario il celebre j’accuse di Pier Paolo Pasolini. Anche se pure sui nomi dei mandanti c’è più di un sospetto.
A partire dall’utilizzo del volo di stato, il Falcon, aereo usato dai nostri servizi segreti. Il loro utilizzo è vincolato a specifiche procedure, che passano (come spiegato nell’articolo a pagina 7) dal tavolo dell’autorità delegata ai servizi segreti, il sottosegretario Alfredo Mantovano, fedelissimo della premier.
Dunque come è possibile che Mantovano non sapesse se ha dovuto autorizzare il volo? Il suo silenzio sull’affare Almasri è indicativo. E dato che Mantovano non poteva non sapere è ridicolo immaginare una presidente del Consiglio ignara di quanto stesse accadendo.
Migranti e detenuti
Entrambi hanno a cuore la sorte dei rapporti con la Libia. Sull’immigrazione si gioca la credibilità con i loro elettori. Ed è un fatto che da quando le relazioni si sono intensificate e le risorse economiche indirizzate a Tripoli sono aumentate. Così le autorità locali hanno aumentato gli sforzi per evitare le partenze: secondo Frontex, l’agenzia europea delle frontiere, gli arrivi dal mediterraneo centrale (quindi Libia) sono crollati di oltre il 50 per cento, ma allo stesso tempo sono cresciuti di quasi il 30 per cento le intercettazioni in mare della guardia costiera libica, foraggiata dall’Italia e dall’Europa.
Dove finiscano i migranti respinti a Meloni e Mantovano interessa poco o niente. E neanche ai vertici europei pare. Le prigioni libiche sono danni collaterali di una grandiosa operazione di propaganda che non può subire rallentamenti.ù
Prigioni che il generale Almasri conosce fin troppo bene: diverse testimonianze di rifugiati confluite nel fascicolo della Corte penale internazionale lo indicano come un torturatore di migranti riportati in Libia grazie agli accordi con l’Italia.
È peraltro dimostrato, da inchieste giudiziarie anche italiane, che chi gestisce i campi e i capi delle milizie sono spesso in combutta con i trafficanti di esseri umani, che guadagnano il doppio grazie ai respingimenti: perché chi fugge tenterà di rifarlo mille volte, pagando ogni volta, riprovandoci finché non morirà in mare o nel migliore dei casi arriverà finalmente sul suolo italiano, dunque europeo.
Nel quadro degli accordi con la Libia, risale a tre settimane fa la ratifica del trattato per il trasferimento nello stato nordafricano i condannati libici detenuti in Italia, che così finiranno di scontare la pena residua nelle patrie galere.
All’interno di questa procedura formale, risulta a Domani, Tripoli è interessata soprattutto al caso di cinque cittadini libici condannati a 30 anni di carcere per traffico di esseri umani: il presidente della Camera Aqila Saleh avrebbe parlato di questi detenuti “speciali” al ministro della Giustizia durante una sua recente visita a fine dicembre.
«Interesse nazionale»
Al dossier immigrazione si sovrappongono molti altri accordi di natura economica e militare. Perciò Meloni da nazionalista qual è di fronte ai piatti della bilancia ha preferito dare più peso all’interesse nazionale rispetto alle istanze della Corte penale internazionale, organismo alla quale l’Italia aderisce. «Abbiamo molti interessi in Libia», spiega un’autorevole fonte vicina al dossier Almasri, «e averlo tutelato porta a casa un grosso vantaggio».
Perché oltretutto il generale non è solo il capo della polizia giudiziaria di Tripoli ma sarebbe anche «il leader di una grossa Katiba», aggiunge, ossia una tribù, una delle tante con le quali negli anni sono stati stretti accordi informali da parte dei governi italiani con il fine di arginare i flussi migratori. Inoltre sarebbe controproducente provocare le autorità libiche anche perché «garantiscono protezione tutti i giorni ai soldati dei contingenti a Tripoli e Misurata», suggeriscono diverse fonti militari.
A luglio scorso Mantovano ha definito «senza precedenti» gli «accordi» siglati con la Libia e Algeria: «Mi riferisco anche ai settori più centrali della competizione economica come quello delle materie prime critiche, essenziali nel campo del digitale e dell’energia». In questa partita gioca un ruolo fondamentale Eni, il colosso petrolifero di stato: a settembre ha annunciato nuove perforazioni con la benedizione dell’autorità libica.
Nelle stesse ore in cui gli agenti della polizia ammanettavano Almasri, a Tripoli era in corso il summit sull’energia e l’economia , sostenuto e sponsorizzato dal colosso petrolifero Eni. Tra gli speaker anche diplomatici italiani e manager nostrani. L’organizzazione degli stand di sette aziende italiane è stata curata da Confindustria, con la collaborazione dell’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, l’Ice, che fa capo al ministero degli Esteri.
Un dato, riportato su Lybia Observer, aiuta a capire quanto Tripoli sia diventata strategica per il governo Meloni al di là dei migranti: da gennaio a luglio, l’Italia ha importato 7,39 milioni di tonnellate di greggio libico, pari al 22,3 per cento delle sue importazioni totali. Vuol dire più 28 per cento rispetto al 2023. Validi motivi, secondo la visione sovranista, per includere il generale Almasri, «il torturatore», nella categoria degli intoccabili.
(da editorialedomani.it)

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VISIBILIA, 2,6 MILIONI DI EURO DI PROVENIENZA IGNOTA

Gennaio 24th, 2025 Riccardo Fucile

LA PUNTATA DI REPORT DI DOMENICA TORNA SUI MANAGER PREGIUDICATI NEOAZIONISTI DI MAGGIORANZA E SUI CAPITALI PER RILEVARE LE QUOTE

Si infittiscono i misteri sulla cessione di Visibilia a Wip Finance, semisconosciuta fiduciaria di Lugano che il 19 dicembre ha firmato il contratto preliminare con il quale ha acquistato da Daniela Santanchè, senatrice di Fratelli d’Italia e ministra del Turismo del governo di Giorgia Meloni, il 75% di Athena Pubblicità (l’ex Visibilia Concessionaria) e a cascata la quota di maggioranza di Visibilia Editore, società quotata e sospesa in Borsa. A partire, come raccontato dal Fatto, da quelli sui rapporti del suo management con pregiudicati, ma soprattutto sull’identità e sui capitali dei soci della società svizzera. Dopodomani Report, in una puntata realizzata da Giorgio Mottola, punterà di nuovo i fari sulla vicenda: la trasmissione d’inchiesta di Rai3 alimenta nuove domande, che per ora però non trovano risposte definitive.
A partire dalle incognite sul curriculum di Altair D’Arcangelo, 49enne da poco tempo imprenditore nel mondo della cosmesi con il marchio Virgo che è inserzionista delle riviste del gruppo Visibilia, da ottobre nuovo patron di una cordata che ha rilevato l’85% del Chieti Calcio, ma soprattutto autoproclamato “business developer” proprio di Wpi Finance, cioé mente finanziaria del passaggio di proprietà di quello che resta del disastrato gruppo editoriale e pubblicitario fondato e amministrato da Daniela Santanchè sino alla sua iniziale cessione e uscita di scena di fine 2021.
Se poco si sa delle competenze finanziarie di D’Arcangelo, molto emerge delle sue vicende penali. Che il 27 febbraio 2006, quando aveva 31 anni faceva l’arredatore ed era consigliere comunale di Forza Italia, registrano un primo arresto a cui seguì una condanna per detenzione e spaccio di cocaina. “Ero vittima di tossicodipendenza, purtroppo – ammette l’imprenditore davanti alle telecamere – e quando accadde fui felice perché smisi di assumere cocaina”.
Poi il 20 luglio 2017 una condanna definitiva della Cassazione penale per violazioni di procedura. Infine nel 2019 D’Arcangelo finisce di nuovo agli arresti domiciliari, accusato dalla Procura della Repubblica di Milano di associazione a delinquere, bancarotta, frode ai danni dello Stato, riciclaggio e autoriciclaggio.
I pm gli contestano di aver gestito tramite prestanome una rete di 98 società che avrebbero creato crediti Iva fasulli attraverso operazioni immobiliari. Arresti revocati due anni fa, ma il 17 ottobre 2023 il tribunale di Milano gli sequestra, insieme a un altro indagato, quasi 39 milioni di euro come profitto della presunta frode ai danni dell’erario. Accuse che D’Arcangelo respinge: “Sono sereno”.
Ma dall’inchiesta di Report emergono nuovi interrogativi sulla società anonima di Lugano che da poco più di un mese è il nuovo azionista di maggioranza di Visibilia. Un comunicato della società quotata afferma che, dopo l’aumento di capitale al quale Santanchè ha partecipato sborsando oltre 4,5 milioni per evitare che l’azienda finisse in fallimento, Wip Finance si è impegnata a pagare poco meno di 2,7 milioni per acquistare la quota di controllo della ministra. Santanchè avrebbe dunque perso nell’operazione quasi 2 milioni.
Ma a Report un amministratore di Rimeco, altra società anonima ticinese che sarebbe la “cassaforte” di D’Arcangelo in Svizzera, ha dichiarato che l’imprenditore avrebbe versato in Wip solo 100mila franchi svizzeri. Da dove vengono dunque gli altri 2,6 milioni che Wip ha pagato a Santanchè?
Intanto Visibilia ha appena patteggiato per falso in bilancio, reato per il quale il 17 gennaio la ministra è stata rinviata a giudizio insieme ad altri 16 imputati, tra cui il suo compagno Dimitri Kunz, in un processo il cui dibattimento inizierà il 20 marzo. Su un altro filone d’indagine, quello dell’accusa alla ministra per frode ai danni dello Stato per l’uso della cassa integrazione Covid in Visibilia, il 29 gennaio la Cassazione deciderà sul possibile trasferimento da Milano a Roma del processo per truffa all’Inps. Ma nuovi guai potrebbero arrivare a breve: Giuseppe Zeno, il finanziere azionista di Visibilia dalle cui denunce sono partite le indagini, annuncia che su Wip Finance presenterà un esposto per riciclaggio ai magistrati di Lugano.
(da ilfattoquotidiano.it)

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SEPARATE IN CASA: MELONI E SANTANCHE’ NON SI SALUTANO DURANTE IL CONSIGLIO DEI MINISTRI LAMPO

Gennaio 24th, 2025 Riccardo Fucile

NIENTE AVVICENDAMENTO CON MALAN AL MINISTERO, LA PITONESSA NON INTENDE DIMETTERSI

Saluti e abbracci dalle ministre forziste, da Anna Maria Bernini a Elisabetta Casellati. Teste basse, silenzio dai colleghi di FdI, tranne Edmondo Cirielli, viceministro agli Esteri, che la incrocia in ascensore. Soprattutto, gelo da Giorgia Meloni.
Daniela Santanchè alle cinque e mezza di pomeriggio, una settimana esatta dopo il rinvio a giudizio per falso in bilancio che fa traballare la sua poltrona di ministra del Turismo, varca l’ingresso di Palazzo Chigi. Si presenta al Cdm, con la baldanza di sempre. La premier però non la saluta, sguardo tetro.
Suona la campanella, fa ratificare alla svelta un paio di decreti e un accordo con l’Uzbekistan e dopo sedici minuti netti fila via nel suo ufficio. Nella sede del governo, con la “Pitonessa” non si vede a tu per tu, come aveva annunciato alla conferenza stampa del 9 gennaio, in caso di rinvio a giudizio, poi puntualmente arrivato. Il braccio di ferro sulle dimissioni della ministra, tutto interno al primo partito del Paese, prosegue sottotraccia.
Per FdI è un nodo sempre più intricato, sempre più complicato da sbrogliare. Meloni, sostengono nella sua cerchia, vorrebbe le dimissioni della ministra, consapevole dei rischi per l’immagine del governo. Santanchè però non ha alcuna intenzione di gettare la spugna. Per farlo, vorrebbe che fosse la premier a ordinarglielo. Quasi pubblicamente. Richiesta che Meloni non vuole assecondare, per non passare da giustizialista (e doppiopesista, visto che altri esponenti di FdI sono stati salvati fino alla condanna).
Dunque che fare? Il tête-à-tête a Chigi non c’è. Anche se, in queste ore agitate, tra i Fratelli c’è chi sostiene che le due si siano viste, lontano dai palazzi, ieri mattina.
La premier in effetti non era nel palazzo, ma l’incontro viene smentito seccamente sia dall’entourage di Meloni che da quello di Santanchè. È una giornata comunque condita da una batteria di riunioni. Il ministro Francesco Lollobrigida, capodelegazione di FdI al governo, si presenta nella sede del governo per una riunione di partito due ore prima del cdm. Il responsabile organizzazione di via della Scrofa, Giovanni Donzelli, va a pranzo col presidente del Senato, Ignazio La Russa, grande sponsor della responsabile del Turismo. E dopo questo faccia a faccia, intercettato sotto Palazzo Madama, lo stesso Donzelli dichiara: «Santanchè aveva detto a suo tempo che, in caso di rinvio a giudizio, avrebbe fatto una riflessione. Adesso la sta facendo e noi aspettiamo», certo che abbia «un senso delle istituzioni ineccepibile». Per conto di Meloni, i big di FdI rovesciano la prospettiva: non è la premier a dover chiedere le dimissioni, è Santanchè che deve trarne le conseguenze. Da sola.
Ma quando mai, risponde l’interessata. «Si va avanti», insiste su Instagram. E così dopo il cdm monta su un treno per Milano: oggi sarà alla fiera di Verona, domenica atterrerà a Gedda, in Arabia, poi andrà ad Alula, il 29 gennaio. Il giorno in cui la Cassazione si esprimerà sull’altro filone che la vede indagata, per truffa ai danni dell’Inps. I giudici dovranno decidere se spostare l’inchiesta a Roma, come chiede Santanchè, o tenerla a Milano. Ma arrivati a questo punto — così ragiona la ministra in privato — nemmeno il 29 «è una data chiave». Perché se nessuno, a destra, le ha chiesto ufficialmente di dimettersi per un rinvio a giudizio, «perché dovrebbero farlo per una competenza territoriale?». Non sarebbe «da partito garantista, quale è FdI», che ha graziato Andrea Delmastro, sottosegretario rinviato a giudizio, o Carlo Fidanza, che ha patteggiato. «Io invece non patteggio e non mi dimetto», dice Santanchè a chi la chiama. E con alcuni interlocutori traccia paralleli insidiosi: «Pure Trump è stato condannato, ma è in carica». A via della Scrofa cercano di capire come uscire dal cul-de-sac, si analizzano possibili scappatoie, come proporle il ruolo di capogruppo al Senato, al posto di Lucio Malan, papapabile per la successione. Ma lo stillicidio giudiziario, salvando forse il governo, investirebbe FdI. Sembrano esserci più contro che pro. Si prende tempo, allora. Malan dice che no, nessuno gli ha chiesto di entrare nell’esecutivo, «ma non giuro che non succederà». Altri meloniani fanno il nome di Elena Nembrini, direttrice generale di Enit. Pure gli alleati cominciano a mandare segnali di stanchezza, per questo balletto: «Santanchè? Noi siamo garantisti, poi ognuno fa le sue valutazioni», dice il capogruppo di FI, Paolo Barelli. L’opposizione naturalmente continua a premere. Per la leader del Pd, Elly Schlein, «Meloni è incoerente e chiusa nel palazzo». Giuseppe Conte chiede di calendarizzare «subito» la mozione di sfiducia «alla luce delle nuove ombre svelate da Report». La trasmissione di Rai3 domenica manderà in onda un servizio in cui racconta di avere scoperto chi è l’uomo a cui la ministra ha ceduto la sua Visibilia.
«Si tratta di Altair D’Arcangelo — racconta il conduttore, Sigfrido Ranucci — indagato per associazione per delinquere, evasione fiscale, frode e riciclaggio».
(da La Repubblica)

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INTERVISTA A VALENTINA BRINIS, PORTAVOCE DI OPEN ARMS: “LIBERARE ALMASRI E’ STATO UN ATTO CONTRO I DIRITTI UMANI E LA DIGNITA’ DELLE PERSONE”

Gennaio 24th, 2025 Riccardo Fucile

“NELLE CARCERI LIBICHE VENGONO COMMESSI CRIMINI E VIOLENZE, IL GOVERNO ITALIANO LO SA BENISSIMO MA CONTINUA A FINANZIARE BANDE DI CRIMINALI, QUESTO E’ ESSERE COMPLICI”… “SE I SOCCORSI IN MARE LI FACESSERO GLI STATI EUROPEI LE ONG IL GIORNO STESSO SI RITIREREBBERO”

Njeem Osama Almasri è stato prima incarcerato in Italia dalla Digos di Torino e poi scarcerato, per “difetti di forma nella procedura del suo arresto”. Il ministro Piantedosi oggi ha dichiarato che l’uomo è stato scarcerato per “ragioni di sicurezza”, poiché considerato un “soggetto pericoloso”. Qual è la posizione di Open Arms in merito a queste dichiarazioni?
Da sempre la questione dell’immigrazione viene trattata esclusivamente ponendo un focus e un’attenzione al tema securitario che io credo sia molto importante. Credo sia importante mantenere un’attenzione alta in questo senso. Credo anche però che dall’altra parte questa attenzione vada bilanciata con l’attenzione che bisogna porre rispetto alla gestione dei flussi migratori. E all’interno della gestione dei flussi migratori, c’è il grandissimo tema del rispetto dei diritti umani, soprattutto delle persone con cui Open Arms si interfaccia, persone che si trovano ad attraversare le frontiere irregolarmente. Trovo che questo bilanciamento, questo equilibrio manchi. E anzi sia sbilanciato nei confronti di questa attenzione esclusivamente securitaria. E dalle risposte del ministro Matteo Piantedosi, rispetto alle interrogazioni poste al Senato, vediamo proprio che la scelta di scarcerare Almasri, cittadino libico accusato dalla Corte dell’Aia di crimini contro l’umanità e torture, sia una scelta motivata proprio in questo senso.
Cosa pensa rispetto al fatto che un individuo considerato dalla Corte Penale Internazionale di essere l’autore di crimini contro l’umanità, sia stato rispedito in Libia su un volo di Stato italiano?
Penso che il Governo, per l’ennesima volta, abbia mancato un’occasione nel prendere una posizione forte contro dei Paesi dove purtroppo non viene tutelato un principio fondamentale, che è il diritto alla vita. Vogliamo ricordare che quando si dice di proteggere i confini italiani, quando si dice che non stanno arrivando più persone e che i flussi sono diminuiti, bisognerebbe chiedersi a che prezzo. A cosa si stanno costringendo queste persone. Quindi rimandare un cittadino libico nel proprio Paese, dopo che ha commesso questi reati contro centinaia di persone, migranti, è sicuramente un comportamento che non possiamo condividere come organizzazione umanitaria, perché crediamo che la tutela della vita e della dignità delle persone, ancor prima della loro libertà di movimento, sia un tema che non si può assolutamente ignorare. Non è solo la Corte che accusa Almasri, ma moltissimi dei migranti che attraversano la Libia per arrivare in Europa a denunciano e hanno denunciato più e più volte torture, violenze, soprusi da parte di questo individuo.
Tra pochi giorni è l’anniversario del memorandum Italia-Libia, siglato il 2 febbraio del 2017. Il Governo italiano ha la possibilità di interrompere gli accordi, entro novembre. Pensa che si muoverà in questo senso?
Penso che il Governo dovrebbe prendere in considerazione questa idea, e magari gestire il dossier libico in un’altra maniera. Non si può pensare che parte di quel finanziamento, sia legato al memorandum Italia-Libia. L’Italia quando prosegue con il memorandum, non solo non protegge le persone in mare ma non protegge neppure gli operatori umanitari che si trovano lì a lavorare. Il memorandum altro non fa che sostenere la cosiddetta guardia costiera libica che, non solo, ha messo più volte in pericolo la vita delle persone migranti, ma anche più volte minacciato la vita delle persone che sono nel Mediterraneo a soccorrere le persone migranti. Ogni organizzazione umanitaria, negli anni, si è trovata a gestire degli eventi critici legati a questo.
Può raccontarci un episodio?
Ci sono stati episodi in cui sono state usate le armi, da parte della guardia costiera libica ovviamente, che ha sparato contro gli operatori umanitari. O scene di minacce in cui la guardia costiera libica cercava proprio di utilizzare i migranti come mezzo, come merce di scambio. Rivendicava proprio una proprietà sulle persone tratte in salvo. Oltre al fatto che in moltissime occasioni non sono assolutamente collaborativi sul tema proprio del soccorso in mare. Cioè anche quando non si creano delle vere e proprie violazioni palesi comunque questa. Per noi è un’assenza di questa forza che il nostro Paese, lo ricordo, sovvenziona. Molti dei fermi che le navi delle Ong hanno subito in questi anni sono addirittura legati alle denunce che i libici avrebbero fatto all’Italia, rispetto al nostro comportamento, dicendo che noi abbiamo ostacolato le operazioni di soccorso in moltissimi casi.
E se le missioni di soccorso in mare fossero ufficializzate e gestite dai governi, cosa cambierebbe?
Se ci fosse una missione di soccorso in mare coordinata dai governi, sicuramente le Ong non avrebbero neanche più nessun motivo, nessuna ragione di operare nel Mediterraneo centrale.
Può dare una fotografia su ciò che accade in Libia alle persone migranti? Perché vengono rinchiuse nelle carceri?
In Libia la presenza dei migranti non è assolutamente tollerata. Ed è il motivo per cui vengono incarcerati. Ma quando non vengono incarcerati sono comunque vittime di violenze e rapimenti. Questo accade in moltissimi Paesi, non solo in Libia. In questo caso, la Libia è un Paese in cui c’è bisogno di denaro contante e i migranti o ce l’hanno, perché per attraversare le frontiere sono costretti a pagare, oppure i parenti tante volte sono poi obbligati a pagare per loro.
Sono circolate delle immagini di una giovane donna etiope, Naima Jamal, mentre viene torturata dai libici. Le sevizie sono riprese in un video dai suoi aguzzini, allo scopo di chiedere soldi proprio alla famiglia.
Si, la tortura era finalizzata all’estorsione di denaro dei parenti. Ma queste non sono cose che diciamo da oggi. Sono cose risapute, non lo denunciamo solo noi, ci sono dossier aperti, sono intervenute in questo senso moltissime istituzioni europee, ci sono moltissime inchieste internazionali che hanno dimostrato questi fatti. Non si capisce come mai uno dei sistemi che l’Italia, supportata dall’Europa, ha, per gestire i flussi migratori, sia quello dell’esternalizzazione delle frontiere, che altro non fa che bloccare le persone in Paesi in cui poi la loro vita è messa a rischio. Una domanda a cui sarebbe bene venisse data una risposta. Si dovrebbe investire lo stesso denaro in percorsi di integrazione, nel miglioramento del sistema di accoglienza.
A proposito di integrazione: cosa ne pensa della proposta della Lega di vietare l’uso del burqa nei luoghi pubblici?
Questa è una questione importante, di cui si parla da tempo, dagli anni Novanta. Se ne parla a livello europeo. La Francia è stata il primo Paese in cui si è affrontato la questione del velo. Paese che poi ha imposto un sistema di laicismo. Il fatto di annullare dei simboli, il fatto di annullare un’identità, ha fatto si che creasse ancor più il conflitto sociale. Abbiamo questo esempio francese, perché dobbiamo replicarlo in Italia? Perché l’Italia non investe su un proprio modello di integrazione, perché il nostro Paese non crea una società che faccia della diversità il proprio valore aggiunto, il proprio valore fondamentale?
Lo chiedo a lei
Noi non pensiamo che l’immigrazione non vada gestita. Va gestita. Ma deve essere gestita nel rispetto di valori e principi fondamentali, il diritto alla vita, la libertà di espressione, di movimento. L’immigrazione si può regolare, ma non si deve ostacolare. E ostacolare non è regolare.
(da Fanpage)

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DUE PER MILLE, IL PD DOPPIA FRATELLI D’ITALIA. ELLY FA AUMENTARE I CONTRIBUTI DI DUE MILIONI IN UN ANNO E IL PARTITO SFONDA QUOTA 10 MILIONI

Gennaio 24th, 2025 Riccardo Fucile

PD 10,2 MILIONI, FDI 5,6, VERDI-SINISTRA 3, M5S 2,7, AZIONE 1,2, ITALIA VIVA 1,1, LEGA 1,1

Il Partito Democratico si è aggiudicato 10,2 milioni dal due per mille al partiti politici (il 30% del totale delle scelte assegnate). Seguono Fratelli d’Italia con 5,6 milioni di euro e il Movimento Cinque Stelle 2,7 milioni.
Il Pd, in testa come nel 2023, ha però visto entrare nelle proprie casse 2 milioni in più rispetto all’anno prima (2023), stesso discorso vale anche per il partito della premier Giorgia Meloni e per i Cinque stelle a cui sono spettai rispettivamente 850 mila euro e 885 mila euro in più.
I primi tre partiti politici in Italia si confermano essere anche le prime scelte per il 2 per mille versato con il 730, portando a casa più della metà del totale versato: 18,6 milioni su 29,7 milioni di euro. La Lega di Salvini è solo al sesto posto, mentre come nel 2023 ha ottenuto buoni risultati Europa Verde-Verdi.
I dati del Mef riportano le diverse scelte dei contribuenti di destinare il 2 per mille dell’Irpef ai partiti politici nelle dichiarazioni dei redditi del 2024 (anno di imposta 2023).
Qual è il partito che ha ricevuto più scelte
Il totale delle scelte espresse dai contribuenti sono state poco più di 2 milioni (2.053.648) tra queste più della metà (1.250.479) hanno riguardato i tre partiti in testa nei sondaggi di inizio 2025, secondo Termometro politico.
Il primo partito per scelte ricevute è il Partito Democratico che con 628.782 preferenze ha ricevuto dai contribuenti 10,2 milioni di euro. Sul secondo gradino del podio c’è il Partito della premier Fratelli d’Italia con 382.457 scelte, mentre sul gradino più basso si posiziona il Movimento 5 stelle (239.240).
La Lega di Salvini si posiziona invece solo al sesto posto con 90 mila scelte e 1,1, milioni di euro nelle casse del partito.
Europa Verde-Verdi e Sinistra Italiana hanno comunque ricevuto un buon numero di preferenze e di finanziamenti (113,7 mila e 112,3 mila scelte) per un totale di circa 3 milioni.
Più di 57 mila hanno scelto Più Europa di Emma Bonino che ha ottenuto 821,5 mila euro, seguono Italia Viva di Matteo Renzi con 55.814 scelte e 1,1 milioni euro e Azione di Carlo Calenda (53.639 scelte) per un totale di 1,2 milioni di euro.
(da agenzie)

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ARRIVA IL KU KLUX KLAN: IN KENTUCKY I SUPREMATISTI BIANCHI HANNO DIFFUSO DEI VOLANTINI NEI QUALI GLI IMMIGRATI VENGONO “INVITATI” A TORNARSENE DA DOVE SONO VENUTI

Gennaio 24th, 2025 Riccardo Fucile

AI CITTADINI VIENE CHIESTO DI “MONITORARE E TRACCIARE GLI STRANIERI” … LA VIGNETTA STAMPATA SUI VOLANTINI: UN DISEGNO DELLO “ZIO SAM” CHE INVOCA UNA “DEPORTAZIONE DI MASSA”

Una serie di volantini razzisti del Ku Klux Klan che invitano agli immigrati ad «andarsene subito» sono stati distribuiti in tutto lo Stato del Kentucky il giorno del giuramento di Trump e la polizia ha aperto un’inchiesta, come riferisce il Washington Post. I ciclostilati mostrano una vignetta dello Zio Sam che prende a calci una famiglia di cinque persone, tra cui un neonato e due bambini piccoli.
Lo Zio Sam tiene in mano un documento che dice “Proclamazione” e afferma: «Abbiamo bisogno del tuo aiuto. Monitora e traccia tutti gli immigrati. Segnalali tutti». I volantini includono un numero di telefono locale e un invito a «unirsi a noi».
Il volantino porta la firma dell’ufficio del Kentucky della famigerata organizzazione razzista e persino i numeri dei “regni” regionali del Klan in Indiana, Kentucky, Ohio, Pennsylvania e Tennessee
La polizia sta indagando dopo che, il giorno dell’inaugurazione, sono stati trovati in diverse città del Kentucky dei volantini razzisti, presumibilmente emessi dal Ku Klux Klan, che invitavano gli immigrati ad “andarsene subito”.
I volantini presentano un’immagine fumettistica dello Zio Sam che prende a calci una famiglia di quattro persone mentre tiene in mano un proclama che dichiara una “deportazione di massa” per il 20 gennaio e afferma: “Monitorate e seguite tutti gli immigrati, denunciateli tutti”, secondo le immagini condivise dai dipartimenti di polizia di Ludlow e Bellevue.
Un gruppo del Ku Klux Klan con sede a Maysville, nel Kentucky, ha affermato di aver diffuso i volantini, che pubblicizzano i numeri di telefono dei “regni” regionali del Klan in Indiana, Kentucky, Ohio, Pennsylvania e Tennessee.
“Non ho mai visto nulla di simile”, ha dichiarato martedì il capo della polizia di Bellevue Jon McClain al Washington Post. “È stato piuttosto allarmante per la nostra comunità”.
I volantini sono stati segnalati lunedì a Bellevue, Ludlow e Fort Wright, piccole città del Kentucky settentrionale vicino a Cincinnati, mentre la nazione celebrava il Martin Luther King Jr. Day e l’insediamento del presidente Donald Trump. Trump ha inveito contro gli immigrati e si è impegnato a lanciare una campagna di deportazione di massa una volta assunto l’incarico
Le autorità hanno condannato i volantini e hanno detto che cercheranno di incriminare chi li ha distribuiti. “Questo tipo di spazzatura odiosa è ripugnante e deplorevole, non rappresenta la comunità di Fort Wright o i valori delle nostre imprese e dei nostri residenti, non sarà tollerata nella città di Fort Wright e non dovrebbe essere tollerata dalla nostra società nel suo complesso”, ha dichiarato il sindaco di Fort Wright Dave Hatter in un comunicato.
Il Klan ha già tentato di diffondere messaggi di odio in Kentucky. I funzionari locali di Covington hanno dichiarato che i Trinity White Knights, un gruppo scissionista del Klan, erano noti per distribuire occasionalmente i volantini come tattica di reclutamento, come ha riferito a settembre il sito web Link NKY, con sede nel Kentucky settentrionale. Anche quartieri in Illinois, Ohio, West Virginia, Virginia e Indiana hanno riferito di aver ricevuto volantini del Klan negli ultimi anni.
Volantini del Klan anti-immigrati simili a quelli del Kentucky sono stati trovati nell’Indiana settentrionale a novembre, come ha riferito l’emittente WSBT-TV di South Bend, Indiana.
I volantini più recenti incoraggiano i lettori a unirsi al Klan e si offrono di inviare agli intervistati pacchetti informativi e domande di adesione dietro pagamento di un dollaro. Un altro volantino trovato a Bellevue definiva Martin Luther King Jr. un “impostore” e un “traditore del nostro Paese”, secondo un’immagine condivisa da McClain.
Nessuno ha risposto ai numeri pubblicizzati sui volantini martedì sera. Un saluto registrato del gruppo Klan dell’Ohio diceva: “A gennaio il mondo cambierà per molte persone, specialmente per gli immigrati di Springfield, Ohio”, un apparente riferimento alla comunità haitiana che è diventata un bersaglio degli attacchi della destra prima delle elezioni presidenziali.
Un residente di Bellevue ha trovato un volantino del Klan nella neve lunedì mattina e lo ha segnalato alla polizia, ha detto McClain.
“Era angosciato e preoccupato”, ha detto McClain. “Ha detto di avere alcuni amici che hanno appena ottenuto la cittadinanza”.
I volantini del Klan trovati il giorno dell’inaugurazione sembravano invocare le promesse della campagna elettorale di Trump di dare un giro di vite all’immigrazione una volta entrato alla Casa Bianca. Trump ha firmato un ordine esecutivo per porre fine alla cittadinanza di nascita nel suo primo giorno in carica. In campagna elettorale ha criticato sistematicamente la gestione del confine tra Stati Uniti e Messico da parte dell’amministrazione Biden e ha promesso la più grande campagna di deportazione nella storia degli Stati Uniti nel suo secondo mandato. Nei giorni successivi all’insediamento di Trump, i funzionari stanno valutando i raid contro l’immigrazione e sperano di incoraggiare gli immigrati privi di documenti ad “auto-deportarsi”, ha riferito in precedenza il Post.
“Non credo sia una coincidenza”, ha detto McClain a proposito della distribuzione dei volantini del Klan il giorno dell’inaugurazione. Trump ha denunciato il Ku Klux Klan per nome come “ripugnante” nel 2017, dopo aver suscitato critiche per aver inizialmente omesso di chiamare e condannare i suprematisti bianchi quando un neonazista dichiarato ha ucciso un manifestante a un raduno di suprematisti bianchi a Charlottesville. All’epoca Trump aveva cercato di minimizzare l’incidente.
Il Dipartimento di polizia di Ludlow ha dichiarato in un comunicato che i “disgustosi” volantini del Klan erano protetti dal Primo Emendamento, ma che l’agenzia avrebbe cercato di incriminare i distributori se fossero stati identificati. Il dipartimento ha fatto notare di aver ricevuto una denuncia per molestie in merito ai volantini.
(da agenzie)

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DATORI DI LAVORO, APRITE BENE LE ORECCHIE: I DIPENDENTI ITALIANI SONO I PIÙ INSODDISFATTI D’EUROPA

Gennaio 24th, 2025 Riccardo Fucile

SOLO IL 43% CONSIDERA LA PROPRIA ORGANIZZAZIONE UN OTTIMO POSTO DI LAVORO… SONO CINQUE I FATTORI CHE FANNO LAVORARE MEGLIO: ESSERE TRATTATI CON RISPETTO, L’EQUILIBRIO TRA LAVORO E VITA PRIVATA, LA SICUREZZA PSICOLOGICA, LA COERENZA DELLA LEADERSHIP E RICEVERE UNA RETRIBUZIONE EQUA. SENZA CONTARE CHE LA SCARSA VALORIZZAZIONE FA SCAPPARE I DIPENDENTI

L’insoddisfazione delle persone al lavoro è innanzitutto una questione di produttività. Ed è questo il motivo per cui le aziende dovrebbero considerarla un tema strategico.
Nel nostro Paese, però, non sembra essere così, tant’è che nel confronto internazionale emerge un quadro che per il ceo di Great place to work Italia, Alessandro Zollo, «è preoccupante. Solo il 43% dei dipendenti italiani considera la propria organizzazione un ottimo luogo di lavoro, un dato che ci fa finire all’ultimo posto della classifica europea, anche dietro a Paesi come Cipro, Polonia e Grecia».
L’indice medio di soddisfazione lavorativa in Europa è pari al 59%, ben 16 punti sopra l’Italia, secondo il rapporto European Workforce Study 2025, che Great Place to Work ha elaborato ascoltando quasi 25mila collaboratori, in 19 Paesi europei. Prendendo la parte superiore della classifica, quella dei Paesi che hanno la percentuale più alta di lavoratori soddisfatti, svettano i nordici: i danesi con il 75%, i norvegesi con il 73% e gli svedesi con il 68%.
Paesi Bassi, Danimarca, Norvegia, Finlandia, Svezia e Svizzera rappresentano quindi i benchmark di riferimento a livello europeo in termini di cultura aziendale con riflessi diretti e positivi sulla produttività del lavoro, calcolata come Pil per ora lavorata. Mettendo da parte la geografia e ragionando sui settori, quelli dove c’è il maggior grado di soddisfazione sono la tecnologia (65%), la finanza (63%) e i servizi professionali (62%).
La percentuale italiana così bassa chiede una lettura ampia che tiene conto di diversi fattori. «Abbiamo sempre attribuito la bassa produttività del lavoro, in Italia, al ritardo tecnologico o alla mancanza di innovazione – dice Zollo –. C’è sicuramente del vero in questo, ma non basta a spiegare questo risultato. C’è una correlazione tra il benessere delle persone in azienda e la loro produttività e il nostro Paese ha una lunga strada da fare su questo».
La causa dell’insoddisfazione va anche ricercata nella scarsa valorizzazione e nel basso apprezzamento da parte dei manager: meno di un responsabile su due (48%) è disposto a ricercare e prendere in considerazione con reale interesse i suggerimenti e le idee sviluppate dai dipendenti
Come spiega Zollo, «essere trattati con rispetto, l’equilibrio tra lavoro e vita privata, la sicurezza psicologica, la coerenza della leadership e ricevere una retribuzione equa sono i 5 principali fattori che determinano il grado di soddisfazione dei dipendenti europei».
Sicuramente nel nostro Paese servono almeno due cose. La prima, secondo Zollo «è imparare ad ascoltare le persone: purtroppo in Italia si fanno troppo poche analisi di clima, sembra quasi che ci sia paura di scoprire le criticità delle organizzazioni […] La seconda è lo stile di leadership: lo stile comando e controllo non funziona più e si vede, soprattutto nei giovani talenti che abbandonano il Paese e non vi fanno più ritorno. Non è solo per una questione economica.
(da Il Sole 24 Ore”)

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ITER LUNGHI, COLLOQUI STRESSANTI E POCHI AIUTI STATALI: COSI’ SEMPRE PIU’ BAMBINI RIMANGONO IN ATTESA DI ADOZIONE

Gennaio 24th, 2025 Riccardo Fucile

I NUMERI DELLE DOMANDE SI SONO DIMEZZATI RISPETTO A 20 ANNI FA

I bambini di madre nota dichiarati adottabili continuano a crescere, le famiglie disposte ad accoglierli sono sempre meno. È l’allarme lanciato alla presidente del Tribunale per i minorenni di Milano, Maria Carla Gatto, secondo cui «situazioni di abbandono morale e materiale da parte delle famiglie d’origine» si combinano con lo spauracchio delle «narrazioni negative» sull’adozione. Ma anche l’iter, lungo e stressante per le coppie, gioca un ruolo importante nel calo di domande.
Le questioni demografiche e i dubbi dei genitori
Nel capoluogo lombardo, attualmente, ci sono 23 bimbi in attesa, quasi tutti sotto i sei anni. A livello nazionale, in uno spazio di vent’anni, il rapporto tra domande e bambini adottabili si è dimezzato: se nel 2004 erano 1.425 richieste per 148 piccoli, nel 2024 si è passati rispettivamente a 419 e 78. «Abbiamo bisogno di coppie giovani, motivate, forti e consapevoli», è la speranza di Maria Carla Gatto. Ma le spiegazioni di un calo così brusco sono evidenti anche alla presidente del Tribunale per i minorenni di Milano. Da una parte questioni prettamente socio-demografiche, dal calo della natalità al ricorso sempre più diffuso alla fecondazione assistita. Dall’altra alcune false credenze, tra cui i dubbi riguardo all’efficacia dell’adozione quando il bambino è troppo grande. Su questo Gatto rassicura: «I bambini dichiarati adottabili in nove casi su dieci sono sempre piccolissimi, non hanno nemmeno l’età per andare a scuola». E soprattutto del bambino si conosce tutto, a differenza delle reti di adozione internazionale: «La storia e lo stato di salute del piccolo sono note». Così come convince poco l’adozione «aperta», cioè quella in cui il bambino mantiene vivo il legame con la sua famiglia originaria: «È pensata a favore dell’adulto o nell’interesse del minore?», si interroga Maria Carla Gatto.
Lo Stato che non c’è
Per non parlare degli iter, per stessa ammissione di Gatto «lunghi e difficili». Si parla di un solo mese nei casi di figli di mamma ignota, che diventano però un anno e nove mesi per i figli di genitori noti. Tempi lunghissimi, durante i quali i potenziali genitori si devono sottoporre a colloqui «snervanti» con psicologi, come li ha definiti una madre milanese. Con un rischio elevato: «Credi di non essere all’altezza, ti senti valutato e se rientri nella rosa delle cinque possibili coppie per un bambino ma poi non vieni scelto è difficile non accumulare incertezza o rassegnazione». Alla lentezza della procedura si aggiunge, come se non bastasse, una quasi completa assenza di supporto statale nella fase pre e post-adottiva. I genitori adottivi non possono godere di tutti i benefici legati alla maternità e alla paternità. L’Inps non prevede per loro, infatti, alcun accesso alle agevolazioni per la natalità naturale durante la fase di collocamento adottivo provvisorio. Queste sono rinviate al momento in ci il Tribunale emette la sentenza di adozione definitiva, dopo un periodo di «avvicinamento» che può durare mesi se non anni. «Noi ci siamo fatti avanti», ha confessato una giovane madre. «Ma non è stato facile».
(da agenzie)

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