Gennaio 30th, 2025 Riccardo Fucile
PERCHÉ? IL MOTIVO NUMERO UNO È DOVUTO AL FATTO CHE PER I FARMACI VETERINARI NON VI È ALCUNA CONTRATTAZIONE TRA AGENZIA ITALIANA DEL FARMACO E CASE FARMACEUTICHE… IL GOVERNO MELONI HA FAVORITO LE LOBBY FARMACEUTICHE
Dall’indagine condotta nel 2022 da Altroconsumo in Italia chi ha un cane spende ogni anno circa 1.562 euro, e 1.208 euro chi possiede un gatto. Il grosso è legato all’acquisto di cibo, rispettivamente 880 e 779 euro, ma una parte consistente va in farmaci e visite, che per i cani raggiungono 341 euro e per i gatti 194 euro. Le tariffe dei veterinari cambiano a seconda del luogo: a Napoli un veterinario chiede fino a 50 euro per la prima visita di un cucciolo di sei settimane, a Roma 65, a Bologna 70, a Bari, Milano e Torino fino a 80 euro.
A cui va aggiunta l’Iva del 22%, come su un qualunque prodotto di consumo (va detto però che le prestazioni in nero sono molto diffuse). Le stesse differenze di prezzo si confermano per l’applicazione del microchip, obbligatorio per legge per i cani. Nella stessa città, a seconda del veterinario, puoi spendere dai 25 a 65 euro.
Tutto il settore veterinario italiano è in piena espansione: sono ben 6.602 gli ambulatori, 858 gli studi, 1.100 le cliniche, 71 gli ospedali veterinari e 7 laboratori di analisi. Nel report «Inflazioni e rincari: come reagiscono Veterinari e Proprietari» pubblicato dall’Anmvi (Associazione nazionale Medici veterinari italiani) il volume d’affari complessivo nell’anno di imposta 2021 ha superato il miliardo di euro. A spartirselo i quasi 35 mila professionisti iscritti all’ordine, di cui l’82% svolge attività privata.
Secondo l’Animal Health Europa nel 2023 in 19 Paesi europei, tra cui l’Italia, la spesa per i farmaci veterinari ha raggiunto i 3,8 miliardi di euro (erano 2,9 miliardi nel 2019). Nel nostro Paese la vendita di questo tipo di medicinali è delegata a farmacie e parafarmacie, e nel 2023 il fatturato è stato pari a 440 milioni (erano 295 milioni nel 2015: qui pag.4). Buona parte dei farmaci contiene lo stesso principio attivo di quelli per umani, ma il prezzo è almeno cinque volte più alto.
Ad esempio, ad un cane con problemi cardiaci il veterinario può prescrivere il Diuren, diuretico con confezione da 30 compresse da 20mg che è identico al medicinale per umani Lasix, proprio perché alla base hanno la stessa molecola, la furosemide. Tuttavia, il prezzo del primo è di 12,70 euro contro 1,72 euro del secondo. Per una tosse o una bronchite a un gatto sarà somministrato l’antibiotico Synulox, che costa 25,60 euro, uguale all’Amoxicillina che ne costa 3,5 euro. Stesso discorso per gli antipertensivi Fortekor (medicinale veterinario) e Benazepril (farmaco per gli umani) con il principio attivo benezepil cloridato
Il primo costa 25,50 euro, il secondo 3,88 euro. Infine il Prednicortone 14,5 euro, equivalente del Deltacortene che ne costa 3,25 euro: entrambi hanno come principio attivo il prednisone. Perché questa differenza? Il motivo numero uno è dovuto al fatto che per i farmaci veterinari, al contrario di quelli umani, non vi è alcuna contrattazione tra l’Agenzia italiana del farmaco e le case farmaceutiche produttrici, che dunque stabiliscono in autonomia il prezzo: «Tutti i farmaci che noi assumiamo – spiega il medico veterinario Enrico Moriconi, già Garante per i Diritti degli Animali della Regione Piemonte – sono testati prima sugli animali.
Fino a 20 anni fa cani e gatti si curavano quasi esclusivamente con farmaci per umani, principalmente pediatrici, in base al peso. È davvero bizzarro sostenere che non si debbano prescrivere farmaci umani ai nostri cuccioli. Il vero motivo è economico; poiché il farmaco veterinario è meno venduto rispetto all’equivalente umano, le case farmaceutiche decidono di imporre il prezzo più alto possibile».
Ma cosa è successo negli ultimi 20 anni? Le lobby delle aziende farmaceutiche veterinarie hanno fatto le loro pressioni a Bruxelles ottenendo nel 2001 una direttiva, e nel 2019 un regolamento che in sostanza obbligano i professionisti a prescrivere solo medicinali veterinari. È permessa una eccezione solo quando non esiste un corrispondente farmaco veterinario. Ovvero in casi rarissimi. Nell’aprile 2021, dopo la lunga campagna della Lega anti Vivisezione (Lav) #Curiamolitutti, il Ministero della Salute ha emanato un decreto legislativo firmato dall’allora ministro della Salute Roberto Speranza che consente al medico veterinario di prescrivere, a determinate condizioni, farmaci umani a cani e gatti nel caso in cui ci sia il medesimo principio attivo e il medicinale abbia un costo inferiore rispetto a quello per gli animali.
Contro questa riforma l’ Aisa (Associazione nazionale imprese salute animale) e le aziende farmaceutiche veterinarie hanno fatto ricorso al Tar sostenendo che il decreto può procurare «seri rischi per la salute degli animali». Il Tar ha bocciato il ricorso, ma a dicembre 2023 il governo Meloni, per adeguarsi al Regolamento europeo, ha approvato un nuovo decreto (n.218, art.21 comma 4) che spazza via quello firmato da Speranza.
Molti proprietari per evitare spese insostenibili sottoscrivono polizze assicurative che di solito coprono le visite di controllo, vaccinazioni, trattamenti medici, interventi chirurgici e terapie. Secondo l’analisi della società di consulenza Grand View Research il mercato italiano delle assicurazioni per animali domestici ha generato nel 2023 un fatturato di 320 milioni di euro e raggiungerà i 963 milioni entro il 2030.
Tuttavia – come per gli esseri umani – le assicurazioni non coprono mai tutto, e per nulla gli interventi sugli animali anziani. Per esempio, un’operazione ortopedica ad un cane, con tutti gli esami e le visite, può costare mille euro, mentre un intervento oncologico può superare i 3 mila euro. Costi insostenibili per la popolazione meno abbiente, che già fa fatica a pagarsi le proprie spese mediche, figuriamoci quelli di una polizza per l’animale domestico. Spesso si tratta di persone anziane, rimaste sole con quell’unico conforto dato dalla compagnia di un cane o un gatto. Secondo il rapporto Eurispes del 2023 il 28,5% rinuncia alle cure e il 26,3% salta le visite veterinarie. Percentuale che probabilmente è aumentata con l’adozione del nuovo decreto.
(da il Corriere della Sera)
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Gennaio 30th, 2025 Riccardo Fucile
ALMASRI POTEVA RIMANERE IN CARCERE SE SOLTANTO NORDIO E I SUOI UFFICI AVESSERO RISPOSTO A DUE DIVERSE SOLLECITAZIONI CHE ARRIVANO IL 19 GENNAIO (DALLA POLIZIA) E IL 20 (DALLA CORTE D’APPELLO)… ERA POSSIBILE SANARE LA MANCATA INTERLOCUZIONE CON L’INVIO DEL MANDATO DI ARRESTO DELL’AJA AL TRIBUNALE. PERCHÉ NORDIO NON LO HA FATTO?
Ci sono 48 ore, tra la mattina del 19 gennaio e quella del 21, che tengono il governo con il
fiato sospeso. Uno, su tutti, in particolare: il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, l’uomo che non ha risposto alle sollecitazioni di polizia giudiziaria e magistratura prima della scarcerazione dell’assassino e torturatore libico, Njeem Osama Almasri Habish.
Ora Nordio potrebbe pagare il conto di quel silenzio. Perché se quello dei suoi uffici è stato un errore, una dimenticanza, una perdita di tempo, «un comportamento omissivo» come dicono i tecnici, prende corpo l’ipotesi evocata nell’esposto dell’avvocato Luigi Li Gotti. Se invece si è trattato di una scelta politica deliberata, l’Italia è nei guai con la Corte penale di giustizia europea.
Cosa è accaduto esattamente lo verificherà ora il tribunale dei ministri che si appresta ad acquisire la corrispondenza sul caso Almasri tra polizia giudiziaria, tribunale, tribunale internazionale e ministero della giustizia in modo da verificare come sono andate esattamente le cose.
Tutto comincia il 17 gennaio quando la Corte dell’Aja viene informata che il pericoloso Almasri è sul territorio europeo. In realtà è in Europa già da 11 giorni (prima in Gran Bretagna, poi in Belgio e infine in Germania) ma la corte viene avvisata dalla polizia tedesca soltanto il 17. Poche ore dopo viene emesso un mandato di cattura inviato a sei paesi, tra cui l’Italia
Viene notificato al nostro magistrato di collegamento che lavora nell’ambasciata olandese: è il luogo che il governo aveva indicato come “focus point”, dunque quello dedicato alle operazioni di questo tipo. Perché dall’ambasciata gli atti non vengano trasmessi immediatamente in via Arenula (se effettivamente non sono stati inviati) dovrà essere approfondito.Fatto sta che la polizia procede a Torino, ventiquattro ore dopo, all’arresto del libico senza però un passaggio dal ministero della giustizia che la corte d’appello di Roma riteneva cruciale. Per questo martedì 21 Almasri viene scarcerato. Poteva però rimanere in carcere. Se soltantLasciando così spazio all’idea che si è trattata di una decisione politica. E aprendo così un caso diplomatico con il tribunale internazionale. Che, non a caso, ha chiesto spiegazioni al nostro governo. Secondo l’interpretazione dei tecnici l’Italia sarebbe venuta meno all’articolo 59 dello statuto di Roma, la norma che regola i rapporti tra i paesi e la corte di giustizia.
«Lo Stato — si legge — che ha ricevuto una richiesta di fermo, prende immediatamente provvedimenti per fare arrestare la persona». In alcune interlocuzioni avvenute con la Corte però il ministero ha fatto credere altro. E cioè che c’era stato un ritardo degli uffici e che, proprio nel momento in cui si stava procedendo a emettere il nuovo mandato di cattura, il libico è stato scarcerato e immediatamente espulso.
Questa versione metterebbe in grande difficoltà il ministero davanti al tribunale dei ministri. Perché — ragionavano ieri gli esperti — si potrebbe configurare un favoreggiamento o, più probabilmente, un’omissione di atti di ufficio. Di più. La storia non torna. Nel pomeriggio del 21 il ministero della giustizia ha comunicato ufficialmente che «considerato il complesso carteggio», stava valutando «la trasmissione formale della richiesta della Cpi al procuratore generale di Roma».
Ha dunque confermato l’interlocuzione con il tribunale e aggiunto che c’era una valutazione in corso. Tanto che fonti di via Arenula, in quei minuti, lasciavano intendere che fosse possibile emettere un nuovo ordine di cattura. Ma era un bluff. Mentre il ministero scriveva era già in volo un aereo di Stato, solitamente usato dall’intelligence, per prendere a Torino Almasri e riportarlo a Tripoli. Tutto era già stato deciso. Il libico doveva essere scarcerato e portato a casa a spese dei cittadini.
(da agenzie)
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Gennaio 30th, 2025 Riccardo Fucile
“SONO INDIGNATO E OFFESO. QUESTA DECISIONE AVREBBE DOVUTO ESSERE POLITICA, NON GIUDIZIARIA. C’È STATA UNA INTERPRETAZIONE FOLLE DELLA LEGGE, NON SO SE PER IGNORANZA O MALAFEDE”
Su Gente, in edicola da venerdì 31 gennaio, l’ex procuratore Cuno Tarfusser, in forza alla Corte Penale Internazionale dell’Aia dal 2009 al 2019, commenta la controversa liberazione del libico , accusato di crimini di guerra e contro l’umanità, liberazione per cui sono indagati la premier Meloni, i ministri Nordio e Piantedosi e il sottosegretario Mantovano:
«Sono indignato e offeso: questa decisione avrebbe dovuto essere politica, non giudiziaria. La magistratura ha fornito una stampella alla ragion di Stato calpestando il diritto e trattando a pesci in faccia la Corte Penale, che ebbe i suoi natali proprio a Roma».
E ancora: «Non esisteva nessun ”cavillo” per giudicare illegittimo l’arresto, c’è stata una interpretazione folle della legge, non so se per ignoranza o malafede».
(da agenzie)
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Gennaio 30th, 2025 Riccardo Fucile
DA PALAZZO CHIGI PASSANO AL PRIMO TELEGIORNALE PUBBLICO LE CARTE DELLO “SCONTRO” TRA ALFREDO MANTOVANO E FRANCESCO LO VOI SULL’USO DI VOLI DI STATO (CHE IL GOVERNO GLI AVEVA TOLTO)
Lo scontro con la magistratura diventa sempre più duro. Da una parte il Tg1 racconta
come il sottosegretario Mantovano a gennaio 2023 abbia sospeso l’uso dei voli di Stato per il procuratore di Roma Francesco Lo Voi (che ha fatto ricorso al Presidente della Repubblica); dall’altro da Chigi trapela la notizia che Meloni potrebbe decidere di denunciare il procuratore stesso.
Non per l’avviso di garanzia sul caso Almasri, ma per un documento dell’Aisi depositato agli atti di un procedimento. Siamo ai ragionamenti, non si sa se un’eventuale denuncia – pare per rivelazione di segreto – sarà realmente depositata. In caso se ne occuperà la Procura di Perugia.
Ma ha senso giuridicamente una mossa del genere? La questione riguarda un documento del 22 luglio 2024 dell’Aisi finito agli atti del fascicolo per rivelazione di segreto a carico di alcuni giornalisti del Domani: sono stati indagati dopo un esposto del capo di gabinetto Gaetano Caputi.
I cronisti sono stati iscritti per tre articoli pubblicati a febbraio 2024 su quelli che vengono definiti “affari di Caputi”. Il capo di gabinetto chiede ai pm di verificare se vi erano stati accessi a banche dati riservate. I carabinieri scoprono che nel 2023 i servizi segreti hanno fatto alcune ricerche: lo hanno fatto in tre occasioni, a detta degli 007 per un’attività ‘a tutela’ del Governo e di Caputi stesso.
Lo Voi il 24 giugno 2024 chiede a Elisabetta Belloni (all’epoca capo del Dis) di spiegare il perché. Il 22 luglio 2024 arriva la relazione Aisi, in cui si spiega – ad esempio – che il 23 gennaio 2023 un agente aveva effettuato una ricerca perché era emersa la volontà di soggetti “impegnati nella progettazione di un rigassificatore nel Sud Italia, di avvicinare Caputi”.
Quando i giornalisti prendono copia del fascicolo, pubblicano il documento. E trapela l’irritazione da Palazzo Chigi. Il documento è classificato come “riservato”. Nell’impostazione della procura però prevale il diritto di difesa: gli indagati devono essere messi a conoscenza di tutti gli accertamenti svolti, anche di quelli per verificare i contatti (inesistenti) tra giornalisti e 007. Ma aver consegnato l’atto dell’Aisi è violazione di segreto? In realtà tutti gli atti, nel momento in cui vengono messi a disposizione delle parti (in copia o per lettura) non sono più segreti. Può esserci, dunque, una violazione disciplinare? In questo caso dovrebbe essere rilevata da Csm, ministero della Giustizia, ispettorato o Procura generale. Non con una denuncia in Procura.
(da agenzie)
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Gennaio 30th, 2025 Riccardo Fucile
GIRAVA PER L’EUROPA CON UN PASSAPORTO CARAIBICO (MA NE AVEVA ANCHE UN ALTRO TURCO), AVEVA UN VISTO PER GLI STATI UNITI VALIDO PER 10 ANNI… PER LE SPESE IN GIRO PER L’EUROPA USAVA UN BOUQUET DI CARTE DI CREDITO ESTERE, INCLUSA UNA BRITANNICA, E A LONDRA SI E’ RECATO ANCHE IN UN NOTO STUDIO LEGALE
Il torturatore libico capo della polizia tripolina e del centro di detenzione di Mitiga, Osama Almasri, accusato di crimini contro l’umanità già a partire dal 2011, girava l’Europa con un passaporto caraibico, in virtù del quale aveva ottenuto, a novembre, anche un visto decennale di ingresso negli Stati Uniti. La circostanza era nota da luglio alla Germania, e solo a lei, dove il 45enne ha passato tre giorni a metà gennaio, prima di arrivare in Italia.
Alle autorità di Berlino la Corte penale aveva infatti inviato una sorta di segnalazione senza indicazioni di intervento, che è poi diventata un obbligo di arresto la notte tra 18 e 19 gennaio, quando Almasri era da poche ore in Italia e un funzionario tedesco aveva informato di questo spostamento la stessa Corte.
Il generale atterra a Fiumicino il 6 gennaio e rimane nella zona transiti, diretto a Londra. Viaggia con un passaporto del Commonwealth of Dominica, condividendo con sole altre 71 mila persone la cittadinanza del paradiso naturale e fiscale tra Guadalupa e Martinica. Molte altre volte Almasri, che risulta avere anche documenti turchi, è stato in Europa. Per le spese usa un bouquet di carte di credito estere, inclusa una britannica, e a Londra, tra le altre cose, si reca in un noto studio legale.
Il suo ingresso nell’area Schengen è del 13 gennaio, viaggiando in treno sotto il canale della Manica e poi in Francia con destinazione finale Bruxelles. Da qui, in auto, va in Germania. A Bonn e a Monaco di Baviera, dove acquista un Rolex da 9 mila euro e, il 15, noleggia una Mercedes da riconsegnare a Fiumicino cinque giorni dopo. Si muove con tre accompagnatori, che vengono fermati assieme a lui per un controllo dalla polizia tedesca lungo il viaggio.
Si è detto che Almasri venga allora lasciato andare perché, come è vero, la richiesta di arresto della Cpi, risalente al 2 ottobre, non è stata ancora esaminata e su di lui, dunque, non ci sono pendenze. Ma la stessa Cpi ha già inserito il 10 luglio il nome del generale nei canali ufficiali della cooperazione tra Stati membri con una «nota blu» diretta alla sola Germania, e non visibile agli altri Paesi, finalizzata alla raccolta di informazioni su dati e documenti di viaggio, telefoni e mezzi di pagamento e contatti di Almasri, con richiesta di informarne l’Ufficio del procuratore e l’invito a non mettere in allarme il libico, che ha in quella fase lo status di testimone. La «sorveglianza discreta» viene recepita nei database tedeschi il 4 novembre.
Quella stessa nota viene poi estesa il 18 gennaio anche a Belgio, Regno Unito, Austria, Svizzera e Francia, con analoghe indicazioni. Qualche ora prima, il referente per la sicurezza dell’Ambasciata italiana a l’Aia ha intanto contattato il coordinatore dell’unità crimini internazionali del Viminale per comunicare di aver ricevuto una richiesta di cooperazione dalla Cpi.
La stessa sera il funzionario della Corte fornisce al coordinatore italiano i contatti di un agente della polizia criminale tedesca, che ha già trasmesso alla Corte le informazioni sul possibile arrivo in Italia del libico. Lo stesso agente tedesco trasmette poi all’Italia una scheda riassuntiva degli accertamenti effettuati in Germania.
Passa qualche altra ora e alle 22,55 la Cpi chiede al Segretariato generale Interpol di Lione di sostituire la nota «blu» con una «rossa» che obbliga all’arresto. Alle 3 del mattino del 19 la nota viene validata. All’alba scatta l’arresto [Almasri invece va in cella al «Lorusso e Cutugno», a disposizione della Corte d’appello di Roma, competente per i casi internazionali. I magistrati rilevano la «irritualità» dell’arresto ai fini dell’estradizione, sottopongono, come da procedura, il caso al ministro della Giustizia Nordio ma ne ottengono solo silenzio. Almasri è libero e viene rimpatriato.
(da agenzie)
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Gennaio 30th, 2025 Riccardo Fucile
D’ALTRONDE SE C’E’ UNA MASSA DI PIRLA CHE CREDE A TUTTO FA BENE A FARLO
Complotti, complotti ovunque. Orditi nelle redazioni dei giornali, negli uffici delle
procure, nei consessi europei e addirittura dai vertici della Corte penale internazionale (Cpi), rea di aver spiccato il mandato di cattura per il generale libico, Osama Njeem Almasri, proprio quando era in Italia. Una decisione assunta con il principio della geolocalizzazione, secondo Giorgia Meloni. E così si va avanti: cospiratori dediti a colpire ministri, compagni, amici, familiari.
Meloni ha calato sul tavolo la solita carta: la costruzione e la caccia al nemico. Anzi, i nemici da usare alla bisogna. Apponendo in calce al video di martedì la frase-chiave del suo mandato: «Non sono ricattabile». Ma da chi non è dato saperlo.
La formula è stata pronunciata dopo aver spiegato di aver ricevuto «un avviso di garanzia», che in realtà è una comunicazione di iscrizione nel registro degli indagati per le ipotesi di reato di favoreggiamento e peculato, arrivata ai ministri, Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, e al sottosegretario Alfredo Mantovano.
La strategia del complotto
Quello sulla ricattabilità è un eterno ritorno. E, come sempre, Meloni non spiega chi siano i ricattatori e quali ricatti siano stati tentati nei suoi confronti. Sarebbe importante saperlo. La certezza è che si tratta di una precisa tecnica: di fronte a un problema si alzano i decibel dello scontro contro i nemici del popolo, gli haters della nazione. Il risultato? Il problema si perde nelle nebbie.
A oggi, dunque, quel furioso «non sono ricattabile» resta uno slogan da dura del Road house. Con il rischio di produrre un effetto controproducente. «Quando Meloni dice non sono ricattabile in realtà è sotto schiaffo di ricchi e potenti», ha incalzato il leader del Movimento 5 stelle, Giuseppe Conte. Palazzo Chigi è diventato un bunker, che respinge ogni forma di dialogo e confronto.
È la dottrina Fazzolari in purezza: gli amici di sempre contro tutti. Il sottosegretario alla presidenza, ideologo del melonismo, ha suggerito lo scontro totale senza nemmeno approfondire la natura e i possibili risvolti dell’atto firmato dal procuratore capo, Francesco Lo Voi.
Subito è scattata l’equazione riforma della giustizia-vendetta della magistratura. Allora Meloni è andata giù durissima. Senza considerare il curriculum e il comportamento sempre prudente di Lo Voi negli anni a capo della procura romana. E adombrando appunto sospetti sulla tempistica della Cpi.
Il caso Caputi
Anche sulla vicenda svelata da Domani ha prevalso la strategia della cospirazione. Il capo di gabinetto di palazzo Chigi, Gaetano Caputi è stato controllato in tre diverse occasioni dall’Aisi, i servizi segreti interni.
Ma secondo Meloni e il suo inner circle, da Mantovano a Fazzolari, la procura capitolina avrebbe inserito nel fascicolo di chiusura indagini la relazione del direttore dell’Agenzia, Bruno Valensise, per fare dispetto all’esecutivo.
Secondo alcuni spin comunicativi, addirittura la linea meloniana sarebbe quella di denunciare la procura per «violazione di segreto». Insomma, Caputi tace di fronte alle rivelazioni di Domani: è stato messo sotto la lente di ingrandimento dell’intelligence, ma continua a restare indisturbato al proprio posto.
L’unica novità è che il sottosegretario con delega ai servizi, Alfredo Mantovano, riferirà al Copasir la prossima settimana. Per il resto passa tutto sottotraccia, anzi viene ribaltata la narrazione, sfruttando il silenzio indolente delle opposizioni – dal Pd ai 5 Stelle – su un caso così grave. I servizi compiono verifiche su alti funzionari di stato e nessuno chiede chiarimenti. Lasciando praterie alle tesi della destra meloniana che diventano veline per i giornali.
A farsi interprete della tesi complottista è il capogruppo al Senato di Forza Italia, Maurizio Gasparri. «È uno schifo, più che un complotto», ha sentenziato con eloquio forbito. «Ho trovato su un sito, atti della Procura di Roma con note dei servizi di sicurezza allegate che riguardano controlli e intercettazioni dei servizi di sicurezza a carico del capo di gabinetto di Palazzo Chigi. Questo mi preoccupa sotto il profilo della democrazia e del rispetto dei ruoli. È sempre Lo Voi che le firma», ha detto l’ex ministro berlusconiano con una storia nella fiamma post missina.
La manina del procuratore nella visione gasparriana, che è propria dell’intera maggioranza. Mai così compatta.
L’ex compagno e la sorella
L’elenco dei complotti agitati a mezzo stampa (e social) è del resto sterminato. La pietra angolare resta il caso di Andrea Giambruno e dei fuorionda imbarazzanti diffusi da Striscia la notizia, il programma satirico di Canale 5. Meloni ha lasciato il compagno e allo stesso tempo ha lanciato la campagna contro i cospiratori.
Anche se quella vicenda è stata innescata sulle reti Mediaset, della famiglia Berlusconi, alleati di governo attraverso l’emanazione politica di Forza Italia. Poi c’è stata l’indagine immaginaria su Arianna Meloni, sorella della presidente del Consiglio e di fatto oggi a capo di Fratelli d’Italia. Titoli, intervista, ipotesi. Era una bolla di sapone complottarda.
Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, aveva teorizzato un assalto della magistratura già nel dicembre 2023. Ieri, dopo l’atto ricevuto da Meloni, ha addirittura rivendicato: «Lo avevo detto». Insomma, talmente profetico da prevedere il caso-Almasri.
Tra una veggenza e un complotto, poi, in parlamento la luce è spenta.
L’informativa di Piantedosi alla Camera è stata cancellata. Le opposizioni chiedono che sia Meloni a recarsi in aula per spiegare il cortocircuito che ha portato al ritorno in patria, con tanto di volo di stato, di un torturatore come il generale libico Almasri. Invece il governo sta pensando di spedire il ministro Luca Ciriani, l’uomo costretto a mettere le toppe alla gruviera governativa.
Le minoranze chiedono un minimo di rispetto: prima di riprendere i lavori parlamentari vogliono sapere i fatti. Invece il governo scappa. Inseguendo i fantasmi dei complotti o i complotti fantasma.
(da agenzie)
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Gennaio 30th, 2025 Riccardo Fucile
NORDIO E PIANTEDOSI NON SI PRESENTANO ALLA CAMERA E FUGGONO ALLE LORO RESPONSABILITA’ DI FRONTE AL PARLAMENTO
Finisce con i ministri Nordio e Piantedosi che non si presentano alla Camera dove erano attesi per rispondere al question time. E con la premier che rifiuta l’invito delle opposizioni a recarsi in Parlamento a riferire sul caso Almasri. Sembra passato un secolo da quando, dai banchi dell’opposizione, Meloni gridava allo scandalo del Parlamento umiliato dal governo.
Ma ora che al governo c’è lei, la premier ha pensato bene di liquidare con un video sui suoi social l’indagine a suo carico (in compagnia dei ministri Nordio, Piantedosi e del sottosegretario Mantovano) per la discutibile gestione del caso del capo della polizia giudiziaria libica, il torturatore inseguito dalla Corte penale internazionale per una sfilza di crimini brutali, arrestato in Italia per poi essere scarcerato e rispedito in patria con un Falcon dei Servizi italiani.
Un post nel quale, senza contraddittorio, Meloni ha trasformato l’atto dovuto notificatole dalla Procura di Roma (a seguito della denuncia presentata dall’ex parlamentare Li Gotti), peraltro necessario per trasferire il fascicolo al Tribunale dei ministri competente e consentire a lei e ai suoi colleghi di governo di esercitare il diritto di difesa, in un’arringa contro la magistratura. Come se il consenso popolare di cui gode la sottraesse, insieme al resto del governo, dal principio dell’obbligatorietà dell’azione penale.
Sarà forse per evitare che dai banchi dell’opposizione qualcuno le ricordasse l’assunto costituzionale, rovinandole la narrazione vittimistica confezionata per l’opinione pubblica con l’ennesimo videomessaggio, che la premier ha preferito sottrarsi. E dopo le rimostranze delle opposizioni, le capigruppo di Camera e Senato hanno deciso di sospendere l’attività fino alla prossima settimana. Quando magari le acque si saranno calmate e i riflettori mediatici avranno trovato un altro obiettivo su cui puntare.
Ma lo stop ai lavori parlamentari, non ci ha privato dell’ultimo sussulto della giornata: la figuraccia del ministro della Cultura Giuli che, in diretta da Montecitorio, promuoveva il comune di Spoleto a capoluogo di provincia. Prima dei titoli di coda, sulla chiusura per farsa delle Camere.
(da lanotiziagiornale.it)
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Gennaio 30th, 2025 Riccardo Fucile
I CRISTIANODEMOCRATICI FANNO PASSARE UNA MOZIONE RAZZISTA CON L’APPOGGIO DI AFD… “MERZ SI DIMETTA”… I SOLITI SQUALLIDI DEMOCRISTIANI CHE TRADISCONO LA COSTITUZIONE INVECE CHE APPLICARLA
Due giorni dopo le solenni celebrazioni della liberazione di Auschwitz, la Cdu/Csu di
Friedrich Merz ha incenerito il cordone sanitario verso l’Afd. Il partito fondato da Konrad Adenauer ha accettato ieri i voti dell’ultradestra di Alice Weidel per far passare al Bundestag una mozione sull’immigrazione in aperta violazione delle regole europee. La mossa del probabile futuro cancelliere tedesco segna lo sbriciolamento di un tabù che reggeva ormai soltanto in Germania – e per ovvie ragioni storiche. Ed è la cancellazione dell’eredità più sana della lunga era di Angela Merkel, la grande rivale di Merz, che aveva sempre mantenuto fede all’imperativo «mai con l’Afd». Ma quella del leader conservatore sembra anche un inchino all’uomo nuovo trumpiano, a quell’Elon Musk che appena due giorni fa aveva ululato in collegamento a un comizio di Alice Weidel che i tedeschi la devono smettere di vergognarsi del loro passato. La giornata di ieri passerà tristemente alla storia. In serata, non a caso, centinaia di persone si sono radunate spontaneamente davanti alla sede berlinese della Cdu per gridare «vietate la Cdu» e «Merz vattene».
Quanto la mozione approvata ieri con i voti dell’Afd e dei liberali (che Merz intende trasformare venerdì in una proposta di legge da proporre al Bundestag) sia dirompente, lo ha ricordato ieri il cancelliere Olaf Scholz. Se il «pacchetto Merz» passasse, «il più grande Paese in Europa violerebbe il diritto europeo. Finora solo Viktor Orbán osa una cosa del genere». Merz vuole rafforzare i controlli alle frontiere e concedere maggiori poteri alla polizia. Soprattutto: minaccia di respingere i richiedenti asilo direttamente al confine.
La scorsa settimana, sull’onda dell’indignazione per l’attacco di Aschaffenburg, Merz aveva annunciato la sua fuga in avanti, totalmente irricevibile sia per la Spd sia per i Verdi. Peraltro, dopo lo strappo di ieri la domanda nasce spontanea. Con chi si alleerà il leader cristianodemocratico, dopo le elezioni del 23 febbraio? Certo è che l’indisponibilità al dialogo e il neo estremismo di Merz non è la migliore premessa per una grande coalizione con i socialdemocratici. Già ieri qualcuno dal Willy-Brandt-Haus parlava a microfoni spenti di una “fiducia compromessa”. E i sondaggi sembrerebbero suggerire che la virata a destra della Cdu/Csu giovi solo all’Afd: ormai è al 23%, secondo YouGov.
Che si stesse delineando un frankenstein politico, è stato chiaro da subito. Pur di far approvare le sue misure, Merz si è detto da subito disponibile ad accettare il voto di “chiunque”. Compresa, quindi, l’ Afd. Da lì, il leader Cdu è stato travolto dalle critiche: ma lui è andato avanti e ieri il cordone sanitario verso l’estrema destra è caduto.
Critiche erano piovute nei giorni scorsi anche dall’estero, da uno degli alleati storici dei cristianodemocratici tedeschi, l’austriaca Oevp. Il cancelliere Alexander Schallenberg ha respinto l’idea che la Germania blindi i confini: «Se ognuno tira su il suo ponte levatoio, ci ritroviamo tutti più poveri e nessuno è più al sicuro», ha tuonato da Vienna. Secondo una fonte del Ppe, anche il premier greco Kyriakos Mitsotakis sarebbe perplesso sulla proposta del leader della Cdu. Mentre il numero uno del Ppe, il tedesco Manfred Weber, sostiene la fuga in avanti di Merz senza riserve. Del resto, il politico della Csu non si è scandalizzato neanche quando al Parlamento europeo l’Afd ha votato nei mesi scorsi alcune misure presentate dai Popolari europei. A Strasburgo il tabù è rotto da un pezzo.
Nei giorni scorsi si era registrata invece la netta presa di posizione delle chiese protestanti e dei vescovi cattolici contro i respingimenti alle frontiere proposte dalla Cdu. In un comunicato, i vertici delle due chiese hanno criticato «un dibattito che infama i migranti, alimenta pregiudizi e non contribuisce a risolvere i problemi».
A proposito del sostegno dell’Afd, Merz si era affrettato nei giorni scorsi a puntualizzare che «io non voglio questa maggioranza», ma ha insistito che «dobbiamo agire adesso». Al Bundestag, ieri, ha ribadito il concetto: «Una decisione giusta non diventa sbagliata, se la votano le persone sbagliate. Resta giusta».
(da agenzie)
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Gennaio 30th, 2025 Riccardo Fucile
LA SENTENZA DEFINITIVA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI UMANI… CONCESSI DUE ANNI DI TEMPO PER RISOLVERE LA SITUAZIONE
Le autorità italiane mettono a rischio la vita degli abitanti della Terra dei Fuochi, l’area campana coinvolta nei decenni scorsi nell’interramento di rifiuti tossici. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani che ha condannato l’Italia che, pur riconoscendo la situazione, non ha preso le dovute misure. La Cedu ha stabilito che l’Italia deve introdurre, senza indugio misure generali in grado di affrontare in modo adeguato il fenomeno dell’inquinamento in questione. La sentenza è definitiva.
“Lo Stato italiano non ha risposto alla gravità della situazione con la diligenza e la rapidità richieste, nonostante fosse a conoscenza del problema da molti anni”, ha scritto la Corte. I giudici hanno concesso all’unanimità all’Italia due anni di tempo per “sviluppare una strategia globale per affrontare la situazione, istituire un meccanismo di monitoraggio indipendente e una piattaforma di informazione pubblica”.
Il caso era stato portato davanti alla corte da 41 cittadini italiani residenti nelle province di Caserta e Napoli e cinque organizzazioni con sede in Campania. Riguarda lo scarico, l’interramento e l’incenerimento di rifiuti, spesso effettuati da gruppi criminali organizzati, in alcune zone della Terra dei Fuochi, dove vivono circa 2,9 milioni di persone. Nell’area interessata è stato osservato un aumento dei tassi di cancro e dell’inquinamento delle falde acquifere.
Invocando gli articoli 2 (Diritto alla vita) e 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, i ricorrenti sostenevano, in particolare, che le autorità italiane erano a conoscenza dello scarico, dell’interramento e dell’incenerimento illegali di rifiuti pericolosi sul loro territorio, ma che non hanno adottato alcuna misura per proteggerli, né hanno fornito loro alcuna informazione al riguardo.
(da La Repubblica)
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