Maggio 25th, 2025 Riccardo Fucile
LE MAFIE APRONO SOCIETA’ PER AGGIUDICARSI I SUBAPPALTI DELLA MAXI-OPERA… MATTARELLA HA BLOCCATO SALVINI
Dell’inchiesta più recente sugli appetiti di Cosa nostra e ‘ndrangheta verso l’opera che vuole unire le sponde di Reggio Calabria e Messina se n’è avuta traccia quando sarebbe stato meglio non parlarne ancora perché le indagini erano (e sono tutt’ora) in corso.
E cioè quando la procura di Caltanissetta, indagando sul depistaggio della strage Borsellino intercetta per mesi l’ex superpoliziotto Gianni De Gennaro perché vuole arrivare a comprendere di più sulle trame di un uomo a lui vicino all’epoca dei fatti (l’ex capo della Mobile di Palermo Arnaldo la Barbera) immaginato come l’uomo che “rubò” l’agenda rossa del giudice dopo l’esplosione dell’autobomba in via D’Amelio.
Nelle cuffie dell’antimafia finisce un pranzo che si sarebbe dovuto tenere il primo di aprile 2025 a Roma, al ristorante Vinando, di piazza Margana. De Gennaro, oggi presidente di Eurolink, il general contractor che si occupa della progettazione e della costruzione dell’opera incontra – insieme all’ex poliziotto Francesco Gratteri che oggi fa il consulente della società Webuild socio forte di Eurolink – il procuratore aggiunto della direzione nazionale Antimafia Michele Prestipino.
Quest’ultimo finisce indagato (e va in pensione anticipatamente rivendicando una condotta del tutto estranea alle contestazioni) perché avrebbe rivelato dei segreti d’ufficio costringendo la procura di Caltanissetta – indirettamente, ma nei fatti – a fare discovery sull’esistenza di inchieste convergenti di cinque procure italiane (Catanzaro, Catania, Messina, Reggio Calabria e anche Milano) a cui Prestipino avrebbe
accennato.
Contorni più precisi sulle indagini non sono noti e sul punto c’è assoluto riserbo, ma l’idea che muove più di una decina di pm delle singole Dda è questa: colletti bianchi e professionisti legati a entrambi i gruppi criminali (calabresi e siciliani), avrebbero iniziato a manifestare interesse per acquisire terreni e proprietà compatibili con un business legato all’opera del nuovo ponte in particolare destinate al futuro stoccaggio dei materiali.
Non solo: le intercettazioni avrebbero registrato un allarmante movimentismo dei gruppi nell’apertura di società ad hoc, apparentemente pulite e schermate da abili prestanome, per aprirsi la strada ai futuri subappalti miliardari.
E degli appetiti o dei movimenti sospetti di uomini vicini (o legati) alle cosche sull’opera da 13,5 miliardi di euro divenuta negli ultimi giorni argomento divisivo anche politicamente parlando, si trovano tracce – di differente gravità probatoria – anche in altre inchieste recenti e meno recenti. È il caso di quella coordinata dalla procura di Milano i cui atti sono andati in discovery nel luglio scorso.
Nel mirino erano finiti due imprenditori Giovanni Bontempo e Francesco Scirocco, imprenditori originari del Messinese. Entrambi con trascorsi giudiziari non lievi, conosciuti o conoscibili, si sarebbero interessati a una trattativa, poi naufragata, per l’acquisizione da parte di Webuild di un capannone, un deposito, un magazzino “in zona strategica rispetto ai cantieri”, sul versante siciliano della mega-infrastruttura.
Grazie alle intercettazioni, disposte anche per vagliare altri fronti della loro attività, era emerso che, tra mille cautele, Danilo Condipodero, dipendente della società che è tra le principali protagoniste della costruzione del Ponte, si era rivolto nel 2023 a Bontempo per ottenere l’immobile nella zona di Tremestieri, a Messina: edificio che sarebbe stato riconducibile a Scirocco, condannato per concorso esterno e che ufficialmente non poteva comparire nell’operazione.
Il dipendente (non indagato), oltre a essere consapevole della caratura delle persone con cui aveva a che fare, avrebbe usato con Bontempo alcune
cautele sospette, tra cui non far partecipare il “noto” Scirocco al sopralluogo sull’immobile da acquisire. Insomma, sarà stato per questo o per altro, alla fine Webuild affittò altrove.
Scoppiato comunque lo scandalo, la società ridimensionò subito il ruolo del dipendente, indicato come «assistente contabile di magazzino» e ricordò che, con tutti i passaggi e i controlli diretti ad assicurare il rispetto della legalità, sarebbe stata «del tutto improbabile la stipula di atti o contratti con i soggetti indicati o con società agli stessi riferiti».
Il Riesame ha di molto ridimensionato il quadro delle contestazioni agli imprenditori che però restano indagati. Corsi e ricorsi verrebbe da dire. Perché del tanto decantato ponte che non c’è ancora, la mafia ne parla da decenni, da quando l’idea della sua realizzazione ha iniziato ad affacciarsi negli ambienti politici e governativi.
È un fatto che una delle più sanguinose guerre di mafia, mai registrate nel mondo (quella di Reggio Calabria tra il 1986 e il 1991 con più di 700 morti) sia scoppiata proprio per le mire di opposti blocchi criminali sui terreni di Villa San Giovanni. Tra i De Stefano-Libri-Tegano di Reggio e gli Imerti-Rosmini-Condello.
E come dimenticare, sul punto, l’inchiesta Brooklyn che ipotizzò come circa 15 anni fa, un boss della nota famiglia mafiosa canadese Rizzuto, originario di Cattolica Eraclea (Agrigento), da sempre legato alle cosche Cuntrera/Caruana avesse incaricato un ingegnere di 80 anni di reinvestire i proventi dei delitti nella realizzazione del ponte attraverso un articolato sistema di riciclaggio che si basava sulla riscossione (quota/parte) dei pedaggi.
(da La Stampa)
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Maggio 25th, 2025 Riccardo Fucile
RISPEDITO AL MITTENTE L’APPELLO DELLA MELONI PER POLITICHE PIU’ DURE CONTRO I DISPERATI
«In una società governata dallo Stato di diritto, nessun organo giudiziario dovrebbe subire
pressioni politiche». Con queste parole il Consiglio d’Europa prende le difese della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) e rispedisce al mittente l’appello di Italia, Danimarca e altri sette Paesi membri, tutti con governi sovranisti o di centrodestra, per cambiare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dare più potere ai governi. Nella lettera firmata da Alain Berset, segretario generale del Consiglio d’Europa, si legge che «le istituzioni che proteggono i diritti fondamentali non possono piegarsi ai cicli politici». Anche perché, aggiunge, «se lo fanno rischiamo di erodere la stessa stabilità che sono state costruite per garantire. La Corte non deve essere usata come arma, né contro i governi, né da loro».
La lettera di Italia e Danimarca
Le parole di Berset sono una risposta diretta alla lettera promossa da Italia e Danimarca, che sarà presidente di turno dell’Unione europea dal primo luglio a fine 2025, e siglata anche da Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia. «Vogliamo aprire un confronto politico su alcune convenzioni europee cui siamo vincolati e chiederci se, a distanza di decenni dalla loro stesura, siano ancora strumenti efficaci per affrontare le grandi questioni del nostro tempo», ha spiegato la premier Giorgia Meloni. Leggendo la lettera, appare chiaro fin da subito che l’argomento su cui i nove governi europei chiedono di rivedere le regole è soprattutto uno: l’immigrazione. «Riteniamo – si legge nel documento – che l’evoluzione dell’interpretazione della Corte abbia, in alcuni casi,
limitato la nostra capacità di prendere decisioni politiche nelle nostre democrazie. E, di conseguenza, abbia influenzato il modo in cui noi, in qualità di leader, possiamo proteggere le nostre società democratiche e le nostre popolazioni».
Il “no” secco del Consiglio d’Europa
A rispondere all’appello di Italia e Danimarca è il Consiglio d’Europa, di cui la Corte europea dei diritti dell’uomo rappresenta il principale braccio giuridico. «La loro preoccupazione si concentra sulle sentenze in materia di immigrazione. Si tratta di sfide complesse e le democrazie devono sempre rimanere aperte alla riflessione attraverso le opportune vie istituzionali», riconosce Alain Berset. Ma la Cedu, precisa ancora il segretario generale, «esiste per proteggere i diritti e i valori» che tutti i Paesi membri del Consiglio d’Europa «si sono impegnati a difendere». Insomma, aggiunge Berset, «il dibattito è salutare, politicizzare la Corte non lo è».
(da agenzie)
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Maggio 25th, 2025 Riccardo Fucile
GARLASCO E IL CONFINE TRA CIO’ CHE E’ PUBBLICO E IL PRIVATO
Quando il presidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano, Antonino La Lumia, definisce “un richiamo culturale” il comunicato nel quale si invita alla riservatezza e alla sobrietà (il riferimento, non esplicito ma evidente, è alla vicenda di Garlasco), dice una cosa giusta ma disperatamente inutile.
La cognizione che eventi e sentimenti così gravi, che spezzano vite travolgendone altre, meriterebbero un uso giudiziario e mediatico non chiassoso, non sfrenato, mantenendo ben chiaro il confine tra ciò che è pubblico e privato, è appunto un fatto culturale. Ed è una cognizione ormai perduta.
Lo è da parte di tutti: magistratura, imputati, giornalisti, avvocati, parenti delle persone coinvolte, vicini di casa. Ed essendo perduta, non c’è sanzione, provvedimento, richiamo, appello ai codici che possa rimetterla al centro, perché la sensibilità dominante è irrimediabilmente diversa da quella dell’avvocato La Lumia (che coincide con la mia).
Alla spregiudicatezza, chiamiamola così, dei media tradizionali, si è aggiunta, con una pervasività devastante, l’idea che tutto possa essere esposto, come biancheria al balcone, sui social media.
Ho letto un’intervista alla giovane avvocata di Sempio, mi è parsa una persona energica e intelligente ma totalmente sprovvista di quella specifica inibizione che impedisce di trattare a cuoricini ed emoticon la vita e la morte. Non gliene faccio una colpa, è dentro i tempi più e meglio di quelli come me. Verrà il giorno che il richiamo deontologico, o la sanzione, saranno per chi è renitente ai cuoricini.
(da repubblica.it)
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Maggio 25th, 2025 Riccardo Fucile
IL REPERTO NON E’ DISPONIBILE NE’ NEGLI ARCHIVI DELLA PROCURA DI PAVIA E NEMMENO IN QUELLO DEI RIS DI PARMA… MA FORSE L’IMPRONTA 10, INCOMPLETA, PUO’ RIVELARE SORPRESE
Come anticipato ieri dal Tg La7 i legali di Alberto Stasi sarebbero pronti a depositare in procura
una consulenza sull’impronta 33, per verificare la presenza di tracce biologiche di Andrea Sempio.
Ma della traccia, che apparterebbe (corrisponde in ben 15 punti) alla mano dell’unico neo indagato, riemersa dopo una nuova perizia nel nuovo filone d’indagine sull’omicidio di Chiara Poggi, ci sarebbe solo la foto.
E spiega oggi Il Messaggero, affinché l’impronta sia una prova inoppugnabile – per ricavarne il dna, o per un’eventuale traccia di sangue bisognerebbe analizzare il pezzo di intonaco del muro (dal quale quella traccia venne raschiata con un bisturi sterile) sopra il terzo gradino della scala su cui fu ritrovato il corpo di Chiara il 13 agosto 2007.
E quel pezzo di intonaco non c’è più. Né negli archivi della procura di Pavia, né i quelli dei carabinieri del Ris di Parma. Come accadde per la strage di Erba. Così l’udienza del 17 giugno, quando si ovvero l’incidente probatorio davanti al gip del Tribunale di Pavia su numerosi reperti mai analizzati oppure rivalutati diventa in salita.
La speranza nell’impronta 10 (dove rilevare il dna è possibile)
C’è inoltre, ricorda oggi Repubblica, un “contatto papillare” insanguinato sulla porta di casa, evidenziato dai Ris con la luce UV e fotografato, poi evidenziato con polvere e asportato. Si tratta dell’impronta 10, che ha otto minuzie, quindi troppi pochi punti di comparazione con le impronte palmari. Ma su quella traccia può esser fattibile un esame biologico. E questo può cambiare le carte in tavola.
(da Open)
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Maggio 25th, 2025 Riccardo Fucile
IL SOSPETTO È CHE QUALCUNO (FORSE UNO DEI CONCESSIONARI DELLE SPIAGGE) ABBIA CHIESTO UN “FAVORE” AL CONDUCENTE DEL MEZZO
Tragedia in spiaggia, a Pinarella di Cervia, nel Ravennate, all’inizio del secondo weekend della
stagione balneare sulla Riviera Romagnola. Una donna di 66 anni, Elisa Spadavecchia, insegnante di inglese di Vicenza, è morta ieri di prima mattina, mentre passeggiava sulla battigia a pochi passi dalla riva, travolta da una ruspa cingolata in retromarcia. Era in vacanza con il marito, un ufficiale dei carabinieri in congedo.
Mentre il coniuge si trovava in albergo, è stata schiacciata sotto gli occhi dei marinai di salvataggio e degli altri bagnanti, attoniti perché questi mezzi, impiegati di solito per spianare le dune, compaiono prima dell’inizio della stagione e subito dopo, mai durante. A guidarla c’era un 54enne di Cesena, Lerry Gnoli, operativo nel settore della movimentazione terra, identificato e interrogato fino a tardi dai carabinieri, coordinati dalla pm Lucrezia Ciriello.
Le ipotesi di reato sono due: omicidio colposo o omicidio stradale. L’uomo ha già un precedente specifico per quest’ultimo reato, per cui è sotto processo, dopo l’investimento mortale di un pedone, sempre in Romagna, avvenuto nel 2022. Stando a quanto emerso, il 54enne ha anche precedenti per droga. Dopo l’incidente di ieri era risultato negativo all’etilometro ma si attendono i risultati che chiariranno se fosse sotto effetto di stupefacenti.
«Quello che è accaduto è di una gravità inaudita. Siamo entrati nella stagione balneare. Quindi, quando abbiamo visto quella ruspa avanzare sulla battigia, eravamo già preoccupati». Così parlavano nel pomeriggio di ieri il titolare di un bagno di Pinarella di Cervia e uno dei suoi aiutanti a un centinaio di metri dal tratto di battigia in cui è avvenuta la tragedia, nella parte di spiaggia libera, all’altezza del bagno 71. «Avevamo avuto timore quando l’abbiamo avvistata — raccontano — e ancora doveva succedere quel che è successo». E infatti dopo la tragedia sia i titolari degli
stabilimenti che aderiscono alla cooperativa locale che il sindaco Mattia Missiroli hanno condannato quanto accaduto.
«I lavori non erano autorizzati», hanno spiegato dalla cooperativa assieme al primo cittadino, che ha aggiunto: «L’ufficio demaniale non ha rilasciato alcun nulla osta». Il sospetto degli inquirenti è che qualcuno (non si esclude uno dei concessionari delle spiagge) abbia chiesto un «favore» a titolo personale al 54enne, a cui appartiene la ruspa che ha ucciso la 66enne Elisa Spadavecchia.
«Un’insegnante dalle grandi doti professionali, ma soprattutto umane», ricordano tra le aule del liceo scientifico Quadri, uno degli istituti superiori più illustri di Vicenza. Qui la professoressa, in pensione da poco prima del Covid, aveva infatti insegnato inglese per molti anni.
(da agenzie)
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Maggio 25th, 2025 Riccardo Fucile
A BERLINO HANNO CAPITO CHE ARIA TIRA: “SEMBRA CHE PUTIN ABBIA BISOGNO DI PIÙ TEMPO PER COMBATTERE, E CHE TRUMP LO STIA AIUTANDO AD OTTENERLO” – NEI CIRCOLI NATO SI SA CHE GLI AIUTI STATUNITENSI A KIEV DOVREBBERO BASTARE FINO ALL’ESTATE, POI A MENO CHE SI RIBELLINO I REPUBBLICANI AL SENATO TOCCHERÀ ALL’EUROPA
C’è una parola che torna in tutti i resoconti della telefonata tra gli europei e Donald Trump: il
cancelliere Friedrich Merz era «scioccato». Cos’è successo in quella riunione, a cui erano presenti anche Giorgia Meloni,
Emmanuel Macron, Donald Tusk, Keir Starmer — seguita al bilaterale telefonico durato due ore tra Trump e Putin —, come è andata davvero la discussione, lo sanno i leader.
Ma le conclusioni che ha tratto la Germania sono evidenti: Putin non fermerà i combattimenti e Trump non appoggerà nuove sanzioni, quelle che Merz aveva invocato a Kiev al fianco di Zelensky, se il Cremlino non avesse accettato i negoziati di pace. La telefonata tra la Casa Bianca e il Cremlino a Berlino è stata presto ribattezzata come «la svolta di Trump». Che in tutto, se non formalmente, sarebbe pronto ad abbandonare l’Ucraina.
È stato il Wall Street Journal a scriverlo per primo, e poco dopo anche la stampa tedesca l’ha confermato. Trump avrebbe detto agli europei che Putin non vuole porre fine alla guerra, si sente sicuro della vittoria. Un alto funzionario tedesco che era presente alla telefonata (o ne ha letto i transcript), ha raccontato a Politico: «Sembra che Putin abbia bisogno di più tempo per combattere, e che Trump lo stia aiutando ad ottenerlo».
Deriva da qui il nuovo tono del governo tedesco. Ieri il popolare ministro della Difesa Boris Pistorius, rilasciando la sua prima intervista del nuovo corso alla Faz, ha detto che «Putin non vuole ancora la pace». Ed è cambiata in pochi giorni anche la retorica di Friedrich Merz: «Non ci facciamo illusioni. Non ci sarà una soluzione rapida», aveva detto a Vilnius, dove era andato a trovare la 45ª brigata corazzata, la prima dispiegata permanentemente fuori dal territorio tedesco.
Friedrich Merz sta imparando, con un corso accelerato, cosa significa dare ultimatum e fare promesse da capi di governo, senza poterle mantenere. Le minacciate 18 sanzioni europee sono state bloccate da Trump e il neocancelliere si ritrova smentito, dopo aver ipotizzato linee rosse che sono state bellamente ignorate dai russi e dagli americani.
D’altra parte, sull’impegno tedesco c’è la massima serietà. E Pistorius ieri ha anche ipotizzato il ritorno della leva obbligatoria, mentre si punta ad aumentare gli organici dell’esercito
Fosche le previsioni su quel che sta succedendo sul campo in Ucraina. Uno stimato esperto militare, Nico Lange, in passato sottosegretario Cdu alla Difesa, è convinto che Putin non abbia «mai cercato il cessate il fuoco ma ha solo usato questo tempo per creare nuovi fatti militari», e che sia già partita l’offensiva di terra. Che Mosca, oltre ai quattro territori annessi, «cercherà di avanzare in altre tre regioni, Sumy, Kharkiv e Dnipropetrovsk per creare nuovi problemi ai negoziati». Sette regioni contese, non più quattro.
L’importante però, per i tedeschi e gli europei, è tenere gli americani agganciati.
Dai suoi primi giorni in carica, Merz ha adottato l’approccio morbido, provando un po’ a copiare quello del britannico Starmer, ad anticipare le possibili richieste Usa, a «dire grazie». Vuole andare alla Casa Bianca, dove probabilmente sarà ricevuto tra una decina di giorni. Però la telefonata sull’Ucraina l’ha raggelato, «scioccato» (e questo succedeva ben prima dei dazi sui prodotti Ue al 50%).
Nei circoli Nato si sa che gli aiuti statunitensi dovrebbero bastare fino all’estate, poi a meno che si ribellino i repubblicani al Senato toccherà all’Europa — e in primo luogo proprio alla Germania. Finché gli Stati Uniti mantengono la condivisione di intelligence e il supporto dei satelliti Starlink, l’Europa dovrebbe essere in grado di sostenere l’Ucraina.
(da agenzie)
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Maggio 25th, 2025 Riccardo Fucile
IL SONDAGGIO FA CAPIRE PERCHE’ MEZZO MONDO VI ODIA, UNA MAGGIORANZA DI FANATICI COME HAMAS
Un nuovo sondaggio condotto dalla Pennsylvania State University e rilanciato dal quotidiano israeliano Haaretz rivela un dato allarmante: l’82% degli ebrei israeliani è favorevole alla deportazione dei palestinesi
di Gaza. L’indagine, realizzata nel marzo scorso intervistando un campione di 1.005 persone, mette in luce una crescente radicalizzazione dell’opinione pubblica israeliana nei confronti della popolazione palestinese, in un clima politico e sociale già fortemente teso a causa del massacro in corso nella Striscia.
Ma i dati non si fermano qui. Il 47% degli intervistati ha risposto affermativamente alla domanda se l’esercito israeliano, nel conquistare una città nemica, debba agire come gli Israeliti nella conquista biblica di Gerico, “uccidendo tutti i suoi abitanti”.
Il riferimento è a un episodio dell’Antico Testamento narrato nel Libro di Giosuè, capitoli 2–6. Secondo il racconto biblico, quella di Gerico fu la prima grande vittoria degli Israeliti nella loro campagna per conquistare la Terra Promessa, dopo l’esodo dall’Egitto e i 40 anni nel deserto.
Un consenso trasversale e presente anche tra i laici
Il sondaggio ha inoltre mostrato che il sostegno all’espulsione dei palestinesi da Gaza non è limitato ai settori più religiosi della società israeliana. Circa il 70% degli ebrei laici – spesso considerati moderati o liberali – si dichiara favorevole alla deportazione. Tra i gruppi religiosi, il sostegno supera il 90% tra Masortim (tradizionalisti), religiosi e ultraortodossi.
L’orientamento radicale si estende anche ai cittadini palestinesi di Israele: il 56% degli ebrei israeliani intervistati sostiene l’espulsione anche di questi. Tra i laici, il 38% si dice d’accordo con la rimozione dei palestinesi israeliani dal Paese.
Sempre secondo lo studio della Pennsylvania State University, il 65% degli ebrei israeliani ritiene che esista un nemico moderno equivalente all’Amalek biblico (archetipo del nemico assoluto di Israele), la popolazione che la tradizione ebraica comanda di “sterminare senza lasciare memoria”. Di questi, il 93% crede che tale comandamento sia ancora valido oggi. Questo tipo di linguaggio, sempre più presente anche nei discorsi dei leader israeliani, è stato usato dallo stesso premier Benjamin Netanyahu, che ha incitato i soldati ad “agire contro Amalek” dopo gli attacchi del 7 ottobre.
Gli accademici: “Una radicalizzazione coltivata da decenni”
Secondo gli studiosi Shay Hazkani (Università del Maryland) e Tamir Sorek (Penn State University), citati da Middle East Eye, il sostegno massiccio a misure estreme non può essere attribuito solo al trauma del 7 ottobre. “Il massacro ha semplicemente scatenato demoni coltivati per decenni – scrivono – attraverso i media, il sistema giudiziario e l’istruzione”. I dati del sondaggio evidenziano anche la forte influenza dell’ambiente militare e culturale: solo il 9% degli uomini ebrei sotto i 40 anni – fascia che comprende la maggior parte dei soldati – si oppone in modo netto alle idee di deportazione dei gazawi.
(da agenzie)
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Maggio 25th, 2025 Riccardo Fucile
I “TERRONI” SONO PIU’ CIVILI DI TANTI SOVRANISTI, FATEVENE UNA RAGIONE
Iniziamo dal frutto dell’albero avvelenato. Se un vicepresidente del Senato della Repubblica
(esponente della Lega, nato in Lombardia e tifoso del Parma) dichiara sui suoi canali social che ci sono stati 120 feriti a Napoli durante la festa scudetto deve poterlo dimostrare. Gian Marco Centinaio, di lui stiamo parlando, non può.
Ci sono state – il bilancio è fino a ieri – 121 (una in più!) persone che venerdì notte a Napoli si sono rivolte ai presidi di primo soccorso allestiti in città. Tutti accoltellati, sparati, massacrati? E no, non è così.
I presidi che vengono allestiti in occasioni così, servono alle più svariate esigenze. C’è stato pure qualcuno che ha dato di stomaco perché, dopo aver mangiato, bevuto e saltato durante la partita, ha avuto una indigestione
Dice il prefetto di Napoli Michele Di Bari, parlando dei soli health point stradali: «Tenuto conto del numero di persone che hanno festeggiato nelle strade cittadine – circa 500mila persone – gli interventi di codici meritevoli di massima attenzione (gialli e rossi per un totale di 61) hanno costituito lo 0,01% del totale, ovvero una percentuale minima».
Tra i feriti – che ci sono stati, chi lo nega – non sono emerse storie da sceneggiature di brutte serie tv sulla devianza giovanile.
A proposito: l’ospedale Cardarelli, il più grande della città, dichiara: «Gli accessi in Pronto Soccorso sono stati limitati, nessuno è stato causato da eventi violenti. Si sono registrati solo alcuni accessi per traumi legati a incidenti della strada».
Però il leghista Centinaio è inarrestabile: «Qualcosa non funziona… E per fortuna hanno vinto. altrimenti sarebbe scoppiata la guerra civile…».
Lo dice, Centinaio, senza pensare che la Campania è già in campagna elettorale per le Elezioni Regionali. E che questa sua sortita, non documentata, costerà un po’ ai dirigenti di Salvini in regione.
Nella serata di sabato, perfino un esponente apicale del suo stesso governo, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, è stato costretto a intervenire per correggerlo: «Credo che Centinaio non sia stato informato bene», ha detto.
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Ovviamente a Napoli quella notte c’era una ressa incredibile: la prefettura di Napoli ha stimato in un milione (una metropoli intera) le persone che tra capoluogo e provincia si sono mosse per festeggiare l’evento sportivo. Nella varia umanità scesa in strada c’erano anche borseggiatori, imbecilli e personaggi nient’affatto raccomandabili.
Gli interventi di polizia e carabinieri, del resto, sono stati tutti pubblicamente “notiziati” dalle forze dell’ordine e riportati dai giornali. Eppure nessuno, se non il senatore Centinaio, ha usato quei toni.
Dopo le parole del leghista che ha parlato di «terzo mondo» il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi ha chiesto al questore una serie di numeri sulla serata. A sostegno delle parole del primo cittadino, il questore di Napoli, Maurizio Agricola, ha riferito che nella notte sono state registrate 9 rapine con 5 arresti in flagranza e dunque «la risposta c’è stata sia nella gestione dell’ordine pubblico che della sicurezza».
Una scena brutta è stata sicuramente quella della cosiddetta “Fontana del Carciofo” in piazza Trieste e Trento, a due passi da piazza Plebiscito: era stata imbardata per evitare l’invasione di campo, ma non è servito a niente. Imbardatura abbattuta e decine di persone sono salite sulla fontana laurina, la cui ringhiera è andata distrutta.
Ma anche solo, come fa Centinaio, usare l’argomento della «guerra civile» in tempi in cui le guerre – che di civile nulla hanno – lasciano a terra migliaia di vittime, tantissimi bambini, ha sicuramente qualificato definitivamente la sortita del leghista, fallace poiché, lo ricordiamo ancora, partita da un presupposto sbagliato.
(da Fanpage)
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Maggio 25th, 2025 Riccardo Fucile
MUSTAFA: “CHIEDEVA AIUTO, SONO CORSO CON DUE AMICI, LUI AVEVA UN COLTELLO, MA NON HO AVUTO PAURA, HO FATTO UNA COSA NORMALE”
«Ho sentito le sue grida mentre ero a lavoro. Urlava e chiedeva aiuto. Così sono corso da lei per salvarla». Sono le parole di Mustafa, il ragazzo di 25 anni che – assieme ad altri due ventenni di origine nordafricana – ha salvato una professoressa di 52 anni dall’aggressione del suo ex compagno. Il fatto risale alla mattina del 20 maggio nel parcheggio del centro commerciale Parco di Prato. Secondo quanto ricostruito dalla Procura, proprio l’intervento dei tre passanti ha evitato che la vittima venisse soffocata e accoltellata dal suo ex compagno. L’episodio si è verificato intorno alle 9, in una zona frequentata da molte persone. La donna, insegnante in una scuola della città, è stata colpita con un bastone e
costretta a uscire dalla propria auto. L’aggressore è il suo ex ed è un uomo di 35 anni residente a Pistoia che, stando alle ricostruzioni disponibili, avrebbe cercato di trascinarla con la forza dentro la sua macchina, tentando anche di soffocarla con un sacchetto di plastica.
Il rifiuto della donna a tornare insieme con lui
L’aggressore è stato rintracciato al pronto soccorso di Pistoia dopo essersi provocato alcune ferite da solo e arrestato per atti persecutori e lesioni personali aggravate. Secondo il racconto della vittima, il suo ex l’ha aggredita dopo l’ennesimo rifiuto di riallacciare la relazione. La donna ha riportato 10 giorni di prognosi.
Il racconto del 25enne Mustafa
A impedire che l’aggressione avesse un esito tragico sono stati proprio due ragazzi e una ragazza. Notando quanto stava accadendo, sono intervenuti immediatamente, anche quando l’uomo ha estratto un coltello. Mustafa, uno dei tre, fa l’impiegato in un autolavaggio, e ha raccontato l’accaduto ad Andrea Vivaldi di Repubblica. «Lui ha cercato di ammazzarla: le voleva mettere un sacchetto attorno alla testa e l’ha picchiata: aveva il volto insanguinato quando sono arrivato», ha dichiarato. Il 25enne ha ricostruito quanto visto con i suoi occhi: «Aveva un coltello, ma non ho avuto paura: in quella situazione, quello che ho fatto assieme agli altri due ragazzi è stato normale. Per fortuna siamo riusciti a liberarla, lei dopo ci ha ringraziato».
(da Open)
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