L’ESERCITO COMUNE SI PUÒ FARE, UN G5 DELLA DIFESA DELLE MAGGIORI POTENZE EUROPEE (FRANCIA, GERMANIA, ITALIA, POLONIA, PIÙ IL FONDAMENTALE REGNO UNITO) È L’UNICA OPZIONE PLAUSIBILE PER CREARE IL NUCLEO DI UN’ARMATA UNICA
LA STORIA INSEGNA CHE LE FORZE ARMATE MULTINAZIONALI FUNZIONANO, E GLI ITALIANI LO SANNO MEGLIO DI TUTTI (A CAPORETTO FUMMO SCONFITTI DALL’ESERCITO AUSTRIACO COMPOSTO DA UNGHERESI, BOSNIACI, CROATI, CECHI, POLACCHI)
Qualche giorno fa l’europarlamentare e giornalista francese Bernard Guetta ha
lanciato sul Corriere della Sera un’idea sulla difesa europea che potrebbe avere dalla sua una certa plausibilità.
Ossia rinunciare, almeno per il momento, a utilizzare la bizantina costruzione europea a 27 per gettare le basi di una difesa comune e puntare invece su un G5, che sarebbe composto da Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e Polonia
Sarebbe presente l’indispensabile Gran Bretagna che vanta le forze armate più efficienti di Europa, perché formate da quadri e operatori molto orgogliosi di una storia che li ha sempre visti invitti nonché in quanto titolare di un arsenale nucleare.
La Francia che ha buoni quadri e poche risorse e la Germania che, al contrario, dopo ottanta anni di penitenza antimilitarista, soffre di quadri mediocri ma di risorse potenzialmente enormi.
La Polonia, che è il Paese più combattivo e meglio armato a guardia del confine est dell’Europa, sarebbe indispensabile. E, infine, l’Italia, la quale, dalla ormai lontana missione in Libano degli anni 80 si è scrollata di dosso il complesso di inferiorità delle imbarazzanti sconfitte subite nella Seconda Guerra Mondiale, per accreditarsi come una macchina bellica di medie dimensioni ma efficiente e largamente rispettata. E così anche il fronte meridionale sarebbe coperto.
La domanda che però rimane aperta è: può funzionare una forza armata multinazionale? La risposta è affermativa e nessuno come gli italiani lo sa meglio. Dal 1915 al 1918 siamo stati tenuti in scacco dall’esercito imperialregio austriaco di cui abbiamo sperato la disgregazione per le molte nazionalità che esso racchiudeva: austriaci, ungheresi, bosniaci, croati, cechi,
polacchi, sloveni, slovacchi e persino qualche italiano.
A disgregarsi invece è stato l’esercito italiano a Caporetto nel 1917, con il rischio per un momento non di perdere una battaglia, ma la guerra stessa. Per conciliare tanta diversità linguistica con l’unità di comando, valeva la regola che gli ordini fossero impartiti in tedesco ma che le truppe fossero autorizzate a parlare tra loro il proprio idioma.
Non vi era nessun pregiudizio verso l’ascensione ai massimi gradi del corpo ufficiali di personale non proveniente dai ranghi tedeschi. Il generale Boroevic, che tanto filo da torcere ci ha dato, era un croato.
Certo la bandiera imperiale con l’aquila bicipite aveva dalla sua una storia secolare e una gloria imponenti e non vi è nessun simbolo unificante che possa oggi competere con un precedente tanto illustre. Ma le cose vengono col tempo. Cominciare con un nucleo di volenterosi (oggi va di moda l’espressione) è di certo più realistico che affrontare le peripezie di riforme europee le quali, seppure riuscissero, tra gli altri inconvenienti, escluderebbero l’indispensabile Gran Bretagna. Da qualcosa bisogna pure cominciare, e in fretta. A oggi questa mi sembra la proposta più concreta.
(da MF – Milano Finanza)
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