ADESSO L’ITALIA HA SCOPERTO LA “BOMBA TUNISINA”
MIGLIAIA DI GIOVANI CERCANO UNA SPERANZA DI VITA MIGLIORE IN UN PAESE AL COLLASSO
L’Italia scopre che esiste una “bomba tunisina”. E prova a disinnescarla. Ma quella “bomba” che rischia di far deflagrare il Paese nordafricano si chiama malessere sociale, assenza di futuro per migliaia di giovani che pur di ritrovare una speranza di una vita migliore, si fanno migranti e affollano i barconi che provano a raggiungere le coste italiane. Per l’Italia è allarme rosso.
La titolare del Viminale è volata a Tunisi dove ha fatto presente al presidente della Repubblica, Kais Said, i “seri problemi” causati all’Italia dai “flussi incontrollati”, invitandolo ad agire per rafforzare la vigilanza ed impedire le partenze.
Roma, da parte sua, è pronta a sostenere gli sforzi del Paese che versa in una grave crisi economica e politica, con un Governo dimissionario.
I tunisini chiedono all’Italia radar, manutenzione delle motovedette donate, addestramento delle forze di sicurezza.
Roma è pronta a sostenere il Paese e vorrebbe un aumento della quota settimanale di rimpatri, ma prima servirà un Governo regolarmente in carica. Proprio dalla Tunisia proviene oltre un terzo dei 12mila migranti giunti in Italia quest’anno.
Il Covid però ha ulteriormente aggravato le condizioni del Paese, privando la popolazione della principale fonte di reddito: il turismo. Così in tanti, quasi tutti giovani, scelgono la via della fuga.
“Da Paese di transito, la Tunisia si sta trasformando sempre più in un Paese di origine dei flussi migratori — dice a Globalist Abdessatar Ben Moussa, avvocato, presidente della Lega per i diritti umani, uno dei membri del Quartetto per il dialogo nazionale tunisino, insignito, nel 2015, del Premio Nobel per la Pace – Una cosa è certa: quello dei migranti non può essere ridotto a un problema di sicurezza e di attività di polizia. La difesa dei diritti umani è importante ma lo è altrettanto il rafforzamento dei diritti sociali. La democrazia si rafforza se si coniuga alla crescita economica, alla giustizia sociale, a realizzare prospettive di lavoro per i giovani”
Arrivano nelle aree di Porto Empedocle, Sciacca, Licata, nell’Agrigentino, su barconi di legno di 10-12 metri, che spesso vengono anche abbandonati.
Più a ovest, verso Trapani o Mazzara, gli immigrati sbarcano, invece, da gommoni che portano dalle 20 alle 40 persone alla volta.
E’ la rotta tunisina, che attraversa il confine tra Tunisia e Libia.
Annota Paolo Howard ,in un documentato report su Affari Italiani: “Considerare la rotta tunisina quale mera alternativa a quella libica appare riduttivo. Sono i migranti tunisini a imbarcarsi dai porti di Sfax e Kerkenna, raramente gli stranieri…I protagonisti della rotta restano i giovani tunisini che, stretti nella morsa di una economia impoverita e di un clima politico asfissiante, fuggono a bordo dei social media prima ancora che delle imbarcazioni di fortuna”.
A Sud, le nostre frontiere esterne sono composte da Paesi che non sono solo più di transito, per migranti e rifugiati, ma di origine. E’ il caso, per l’appunto, della Tunisia. Sono i migranti tunisini a imbarcarsi dai porti di Sfax e Kerkenna, raramente gli stranieri (secondo il Forum tunisino dei diritti economici e sociali, tra il 2011 e il 2016 il 74,6% delle persone che hanno lasciato il Parse sono cittadini tunisini).
Sebbene negli ultimi mesi il flusso di migranti sub sahariani lungo il confine tunisino-libico sia cresciuto (migranti che vengono in Tunisia per trovare lavoro e raccogliere i soldi per pagare i passeur), ad oggi i protagonisti della rotta restano i giovani tunisini che, stretti nella morsa di una economia impoverita e di un clima politico asfissiante, fuggono a bordo dei social media prima ancora che delle imbarcazioni di fortuna.
I “gelsomini” non bastano per sfamare un popolo. I diritti non si mangiano. Una “rivoluzione” non si consolida se non riesce a dare un tetto, un lavoro, un futuro ad un popolo giovane. A nove anni dalla revolution yasmine, la Tunisia si riscopre inquieta, pervasa da un malessere sociale che investe tutti i settori della popolazione. Diplomati, laureati, professionisti: la protesta parte da lì. E dai ragazzi: un popolo sotto i 35 anni che si trova governato da una classe politica di ottuagenari. La loro è anche una rivolta generazionale.
Nell’ultimo anno il Pil è cresciuto meno dell’1 per cento, la disoccupazione è schizzata invece al 15% (anche se secondo chi protesta la percentuale è almeno il doppio). I disoccupati sono oltre 600 mila, di cui più di un terzo in possesso di diploma di istruzione superiore .
Le conquiste democratiche, avviate dopo la fuga dell’ex presidente Zine El Abidine Ben Ali, il 14 gennaio 2011, non sono state accompagnate da una crescita economica in cui tutti speravano. Secondo l’ex ministro dell’Economia, Houcine Dimassi, “tutti i numeri indicano un netto peggioramento della situazione economica rispetto al 2010-2011”, quando Tunisi registrava un aumento del Pil tra il 4 e il 5 per cento. Una crisi economica drammatica, che non risparmia i beni primari: tutto è caro, la carne rossa costa 25 dinari al chilo, in tavola arriva se va bene una volta al mese. Senza contare che bisogna pagare l’affitto, le bollette, l’assistenza sanitaria, che non è più gratuita per nessuno, neanche per chi ne avrebbe diritto. Un dramma per un Paese che ha la disoccupazione al 30% e ben poche speranze di mobilità sociale.
Secondo Ispi, si stima che approssimativamente 95.000 persone abbiano lasciato la Tunisia dall’inizio delle proteste a oggi, l’84% delle quali con un alto livello di educazione.
(da Globalist)
Leave a Reply