AL SENATO MAGGIORANZA A QUOTA 156, MA QUALCUNO IPOTIZZA “CI SARA’ UNA SORPRESA”
CONTINUANO I CONTATTI, MOLTI RESTANO COPERTI… SI RINCORRONO LE VOCI DEL RIMPASTO
Giuseppe Conte ha appena scaricato Matteo Renzi, pur senza mai citarlo, tratteggiando una “pagina nuova” che non prevede Italia viva, sostituita da un drappello di responsabili.
Il premier esce dall’aula della Camera e si avvia verso la sala del governo. Si gira verso il suo segretario particolare, Andrea Benvenuti: “A quanto siamo?”. La risposta non gli piace: “A 155, forse 156”.
Ma la soglia magica di 161 è lì, a portata di mano, una manciata di voti. Il premier è stanco, racconta chi gli sta vicino, dopo settimane intense passate prima a cercare di evitare la crisi, poi a cercare di rattopparla. Quando replica alla discussione di Montecitorio è quasi afono, si inceppa, è visibilmente provato. Ma non ha intenzione di arretrare di un millimetro.
Se incasserà una maggioranza relativa, è il calcolo, avrà del tempo per trattare, e trattare ancora, cercando di blindarsi la strada verso un terzo governo.
Complice il solo voto decisivo sullo scostamento di bilancio, previsto in settimana sia alla Camera sia al Senato, sul quale, confida il premier, Italia viva non potrà tentare lo sgambetto: “A quel punto dovranno spiegare a chi ha subito perdite dalle chiusure il perchè non arrivano 24 miliardi di ristori”.
Anche i più ottimisti come Saverio De Bonis dicono che forse si potrebbe arrivare a quota 158, non di più. E dunque è partito il carosello di trattative, abboccamenti, offerte, una trattativa “alla luce del sole”, come professato da Dario Franceschini, ma che sfrutta ampiamente i coni d’ombra che creano le grandi vetrate del Senato.
Si diceva di De Bonis, senatore che fu del Movimento 5 stelle, uscito per trascuratezza e incomprensioni, ritrovatosi a fare il deus ex machina del Maie-Italia 23, il gruppuscolo che ha momentaneamente trovato collocazione nel gruppo Misto e ha l’ambizione di essere il seme per il futuro partito di Conte.
Di lui si parla come ministro dell’Agricoltura, “un interim che non voglio tenere a lungo”, ha detto Conte mettendolo sul banco delle offerte, in una strana corsa a due con Riccardo Nencini, erede di quella tradizione “socialista” alla quale il premier ha aperto, mettendola in un calderone con “europeisti, popolari e liberali”.
“Sono le solite fake news sul totonomine”, si schernisce l’interessato, che però ci fa un pensierino. Dunque lei lo esclude? “Io sono al servizio dello Stato”.
Bisognerà dare due o tre ministeri alle nuove formazioni, se decidono di appoggiarci, si ragiona a Palazzo Chigi. Nella maggioranza sono già partiti conti da Cencelli: uno alla Camera, due al Senato, che sono più determinanti.
I riflettori sono puntati a Montecitorio su Bruno Tabacci, orchestratore di una pattuglia che ha raccolto parecchi ex grillini consentendo alla maggioranza di muoversi con più tranquillità .
Federico D’Incà batte senza sosta la galassia di ex, cercando di riportare più fuoriusciti possibili all’interno di una maggioranza che al momento non è più tale. Ma è al mondo cattolico che si guarda, nonostante il niet arrivato dall’ufficio politico dell’Udc. “Paola Binetti potrebbe votare con noi”, dice un uomo che sta tenendo i conti a Palazzo Madama. Poi tra il faceto e il serio aggiunge: “Che possa fare il ministro della Famiglia è fuori discussione. Magari un sottosegretariato in un altro ministero però…”. Maggioranza e governo stanno tentando di muovere tutte le leve azionabili. La Comunità di Sant’Egidio ha dovuto addirittura diramare un comunicato ufficiale per smentire di essere tra i navigator dei “costruttori”, “ma io un paio di esponenti loro in questi giorni li ho sentiti”, conferma un senatore che oscilla nelle caselle degli indecisi. È indubbio che in quella galassia il più attivo di tutti sia Vincenzo Spadafora, ministro dello Sport che Oltretevere annovera un bagaglio importante di relazioni e contatti.
Se De Bonis e Nencini sono blanditi con boatos di ministeri messi in giro un po’ ad arte e un po’ no, tra i ministrabili al Senato rimane pur sempre un esponente proveniente dal mondo del centrodestra non sovranista.
“Ci sarà una sorpresa”, ammicca De Bonis, e forse allude alle voci che vedrebbero un paio di senatori di Forza Italia pronti al coup de theatre.
A Palazzo Madama vengono marcati stretti i senatori Minuto, Stabile e Masini, considerati più a rischio, ma il pressing continua serrato anche sul gruppo di Italia viva: “Se se ne smarcassero due o tre – ragiona un ministro – non sarebbe solo importante per i numeri, ma anche come segnale politico”.
“Le telefonate sono incessanti, sono davvero esausta”, si sfoga Donatella Vono, renziana data in bilico ma che continua a smentire, con un pressing che coinvolge anche i colleghi Parente, Carboni, Grimani e Comincini.
Se Conte aprirà la squadra di governo ai nuovi arrivi, si aprirà una partita più ampia. Movimento 5 stelle e Pd continuano a spingere per una Conte-ter: incassata la maggioranza e condotte in porto le trattative di allargamento, la formula prevederebbe una salita al Colle con la lista di nuovi ministri in tasca, una crisi lampo di massimo 48/72 ore, un reincarico e un nuovo voto di fiducia.
Ipotesi che Conte continua a voler scongiurare, ma sulla quale convergono gran parte dei dirigenti dei partiti di maggioranza, un iter che viene richiesto anche da parte dei responsabili (leggere alla voce Tabacci).
Il totoministri si spreca. I nomi che circolano con più insistenza sono quelli dei due capigruppo Dem, Graziano Delrio e Andrea Marcucci, che assumerebbero rispettivamente Infrastrutture e Lavoro, con Andrea Orlando di cui si parla quale sottosegretario alla presidenza del Consiglio (ipotesi che vede Conte scettico) o al Viminale al posto di Luciana Lamorgese, che potrebbe traslocare ai Servizi segreti, per i quali si fa il nome anche di Gennaro Vecchione, oggi a capo del Dis.
I 5 stelle vedrebbero l’ingresso in squadra di Giancarlo Cancelleri o Francesco D’Uva al ministero per il Sud, di Stefano Buffagni ai Trasporti scorporati dalle Infrastrutture e di Carla Ruocco, che potrebbe sostituire Paola Pisano all’Innovazione.
Una girandola di ipotesi che rimangono appese al filo della totale incertezza: “Bisogna avere la capacità di alzare il telefono e mettersi intorno a un tavolo”, ha ripetuto ancora oggi Ettore Rosato. Quella porta non è del tutto chiusa, ma per passarci serve tornare al punto di inizio. Cosa che Conte non ha alcuna intenzione di fare.
(da “Huffingtonpost”)
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