ALMASRI E IL DIRITTO INTERNAZIONALE RIDOTTO A CARTA STRACCIA
IL DIRITTO ORMAI NON ESISTE PIU’, E’ DIVENTATO ENTITA’ ASTRATTA
Sciolti i sottintesi, il lessico ermetico dei vizi di procedura, le ragioni sinuose a taglio multiplo delle necessità geopolitiche, la realtà è questa: esiste un diritto che non esiste, teorico, astratto, verbale, applicabile e disapplicato nello stesso tempo, “à la carte’’ a seconda del presunto reo. Quindi in chiarissime cinque lettere: finto.
È la giustizia penale planetaria con il suo braccio esecutivo, si fa per dire, della corte dell’Aja. Lì si riuniscono i candidi ammantellati per celebrare la speranza. Danno la caccia, in astratto, a Putin e Netanyahu e, all’ingrosso, ai loro manutengoli ben sapendo che mai nessuno li arresterà: perché senza di loro che tregue, accordi, paci si potrebbero sottoscrivere?
Nel labirinto sacro delle pandette è un’eccezione dissonante? Niente affatto: è la certificazione ope legis di come noi guardiani del tempio occidentale adattiamo la giustizia ai nostri palpabili lucri politici ed economici. Intendiamoci. Esiste quel diritto eccome, ma in una rombante retorica, o come sinecura per beghini di Corti e cancellerie che si vogliono nientemeno universali, in una burocrazia borgesiana che alla fine produce cartafacci, ordini di cattura, imputazioni che nessuno può eseguire. Si affidano alla buona volontà e quindi i mandati sfociano nel misticismo. Come il mandato di cattura ioneschiano, quello al dittatore sudanese al Bashir, recapitato al medesimo perché volenterosamente si auto-arrestasse e si consegnasse alla remota corte olandese.
È tutto contenuto nella sintassi con cui la corte di appello di Roma ha rimesso in libertà un criminale libico, tal Habish: «arresto irrituale», «mancate interlocuzioni», «assenza di condizioni per la convalida». Verrebbe da dire: la banalità dell’ingiustizia.
Avrebbero dovuto scrivere invece: libero per dimostrata necessità di avere petrolio e avere un setaccio che fermi migranti. Perché di quello si occupa, accudirli a bastonate nelle sue galere per emigrazione clandestina, estorcere loro denaro, venderli ai suoi soci scafisti. Quando è il caso eliminarli. E così… suvvia… poche ore bastano per verificare le mancate interlocuzioni…
Vai a casa e di volata con ancora nelle palpebre i gol dei tuoi eroi in calcistiche mutande, caro Najeem Osema Almasri Habish. Dipaniamolo tutto il suo nome. Resterà nelle pandette non per una memorabile condanna ma come eroe eponimo di un diritto che non funziona “erga omnes”. Non più lo statuto di Roma ma lo statuto Habish. L’antica patria del diritto come si vede produce ancora giurisprudenza con i bollini in regola.
Non fatevi ingannare dalla paradossale carica di capo della polizia giudiziaria di cui si fregia questo ricercato dalla corte per innumerevoli delitti. Non è Putin o Netanyahu per cui potrebbe valere l’immunità. È solo un manovale del mondo feroce che è a due ore di aereo da noi. In Libia è in vigore dal 2011 il vecchio sistema borbonico che prevede: i criminali poiché non si ha la forza o la voglia di destinarli alla galera li si promuova gendarmi con gradi, mostrine e paccottiglia.
Questo losco Fra Diavolo tripolino è semplicemente un capo banda . Di “aguzzini di Mitiga” come lui ce ne sono a mazzi all’ombra dei palmizi di tripoli. Solo che non sono alla macchia, sono dietro alle monumentali scrivanie del potere. La Corte penale internazionale si illudeva di averlo acchiappato all’uscita dallo stadio di Torino. Niente affatto. Lo abbiamo liberato e per strafare, perché per carità! non conservi pericolosi rancori per i nostri affari sulla Quarta Sponda e con supplichevole devozione orizzontale lo abbiamo riaccompagnato in Libia da signore.
La festa con mortaretti e sparatorie con cui i suoi complici lo hanno accolto era ben meritata: è diventato invulnerabile, grazie a noi zelanti esecutori del diritto universale ipotetico.
(da La Stampa)
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