ASILI, IL BUSINESS SULLA PELLE DEI BAMBINI: TROPPE STRUTTURE, POCHI CONTROLLI
CON LA LIBERALIZZAZIONE DEL SETTORE AVVIARE UN ASILO PRIVATO E’ COME APRIRE UN NEGOZIO… NESSUNA GARANZIA SUGLI OPERATORI
È come aprire un negozio.
Per avviare un asilo basta presentare una Comunicazione Preventiva di Esercizio. I controlli verranno dopo.
Lo dice la legge Regionale della Lombardia n°3 del 2008 che ha liberalizzato il settore stabilendo le norme per i gestori che intendono attivare una struttura appartenente alla «rete sociale», vale a dire cose piuttosto delicate come nidi, micronidi, centri prima infanzia.
Un sistema di accreditamento formale ma poco sostanziale che lascia troppe scappatoie a chi si avvicina al mondo dei bambini piccolissimi – da zero a tre anni – quasi fosse un business come un altro.
E che ha permesso in questi anni, da Nord a Sud, il fiorire di una sorta di Far West in un settore dove al contrario le garanzie dovrebbero essere massime.
Allo scoppiare dell’ennesimo caso di cronaca che questa volta è accaduto a Milano, il Comune si costituirà parte civile e la nuova Giunta sta valutando se non sia il caso di riformare l’intera procedura.
«Vogliamo rendere sostanziale tale accreditamento implementando il sistema delle verifiche operate dall’Amministrazione», ha detto la vicesindaco e assessore all’Educazione Anna Scavuzzo, «così da garantire serietà e professionalità di chi si prende cura dei nostri cittadini più piccoli, a prescindere dal rapporto che le strutture avviano con l’Amministrazione».
A oggi le strutture private presenti sul territorio milanese sono 297, con una capienza di 7.288 posti. Tra queste, 179 sono accreditate, ma solo 142 convenzionate con il Comune.
Ma il proliferare degli asili, invece che un giardino ordinato si è trasformato in una giungla che l’Italia ha via via scoperto grazie alle denunce di genitori, ex dipendenti e soprattutto delle telecamere, in quasi ogni regione.
Il caso più clamoroso è stato il «Cip & Ciop» di Pistoia, asilo privato dove i filmati dei Carabinieri hanno mostrato per la prima volta bambini piccolissimi strattonati e gettati sul loro stesso vomito.
In quel caso scoppiato nel dicembre del 2009 le due maestre accusate, che gestivano ben due strutture di quel tipo, sono state condannate in tutti i gradi di giudizio fino alla Cassazione.
Nella lista di quelli che nella cronaca sono diventati gli «asili degli orrori» ci sono molti privati, ma non sono mancati episodi in strutture pubbliche, persino nelle blasonate materne comunali di Reggio Emilia.
Lì, però, la maestra scoperta a maltrattare i piccoli con frasi come «ti butto giù dalla finestra», fu subito allontanata e il Comune assicurò che «non avrebbe messo più piede in nessun’altra struttura».
Altri casi clamorosi – come Rignano, come Pinerolo – sono invece stati ridimensionati e i processi hanno portato all’assoluzione degli imputati.
Ogni volta però che si scopre una violenza in uno di quei luoghi con nomi di favola, in tanti asili che operano con rispetto delle norme e amore dei bambini, curando loro e ottenendo la fiducia dei genitori, è un danno enorme.
«In questo momento il mondo dei bambini è un business», spiega Anna Fiorone, che 20 anni fa ha aperto l’asilo sperimentale «a ore» «L’Isola che non c’è» a Pino Torinese, con giardino e orto interno.
«Crisi o non crisi se papà e mamma hanno un lavoro devono trovare una struttura sicura per il bambino». Così spesso c’è chi si improvvisa educatore. «Io consiglio ai genitori di stare attenti ai segnali che vengono dai loro figli, specie se piangono troppo o smettono di dormire o riprendono a fare la pipì a letto; e poi che tu abbia 50 o 500 metri quadri, più di 12 bambini in contemporanea, a quest’età non vanno bene…».
Sara Ricotta Voza
(da “La Stampa”)
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