BERLUSCONI: “ABBIAMO BISOGNO DI UN ANTIRENZI, MEGLIO SE DONNAâ€
DOPO IL KO ELETTORALE CRESCE IL MALESSERE NEL PDL…SILVIO PENSA A UN RIBALTONE CON UNA DONNA AL COMANDO
Dice il ministro: «Con Berlusconi non c’è nessun problema. Per noi è come un padre nobile, ci chiama, ci sta vicino, ci spinge a presentare più proposte possibile. E noi siamo una squadra unita».
Dice il parlamentare di lungo corso: «Nel Pdl è un disastro, il risultato delle elezioni amministrative è stato una catastrofe. In un altro partito sarebbero stati convocati gli organi dirigenti e il segretario si sarebbe presentato dimissionario. Da noi, zero».
Lunedì 10 giugno, mentre le dimensioni del crollo prendevano corpo, sedici a zero per il centrosinistra nei comuni capoluogo al voto, a partire dalla Roma che fu di Gianni Alemanno senza contare la Sicilia ex roccaforte berlusconiana, il Cavaliere ad Arcore riceveva il sindaco di Pavia Alessandro Cattaneo, reggente dell’Anci, l’associazione dei comuni italiani, una delle poche fasce tricolori che ancora può vantare il partito azzurro.
Il sopravvissuto Cattaneo, 34 anni appena compiuti, ha il vantaggio di essere giovane, sindaco e aspirante rottamatore: tre caratteristiche che gli hanno garantito sui media negli ultimi mesi il soprannome di Renzi del centrodestra.
E pazienza se il carisma e la determinazione non sono esattamente gli stessi del collega di Firenze e se un anno fa, al primo rimprovero del segretario Angelino Alfano i rottamatori del Pdl, i formattatori in assemblea a Pavia si riallinearono nel giro di un pomeriggio.
Tanto basta per farlo partecipare al prossimo gioco di società del Pdl, per non morire di larghe intese.
Operazione Renzi, si potrebbe chiamare.
«Dobbiamo trovare un Renzi che ricostruisca il Pdl da capo, un ritorno alla Forza Italia delle origini», si entusiasma la bionda sottosegretaria Michaela Biancofiore, una delle poche a non deprimersi dopo il risultato dei ballottaggi dell’ultima settimana.
«Meglio ancora se donna: una Renzi».
Il Cavaliere, in realtà , avrebbe voluto assoldare l’originale. Non c’è solo il famoso pranzo di Arcore, ormai datato a due anni fa.
E neppure il piano Rosa tricolore, il progetto di rifondazione del partito ideato da Diego Volpe Pasini, l’imprenditore amico di Vittorio Sgarbi che ora figura tra i promotori del fantomatico Esercito di Silvio, l’organizzazione volontaria che dovrebbe difendere l’ex premier dai giudici di Milano, ma anche dai traditori interni: in quelle pagine si sognava che Renzi potesse diventare il capo dei moderati italiani.
Anche il faccendiere Luigi Bisignani nel suo libro racconta che «Berlusconi ha corteggiato Renzi in tutti i modi, nei sondaggi volava».
Ma ora che il sindaco di Firenze è saldamente sul fronte opposto, tra qualche mese potrebbe diventare leader del Pd con una struttura leggera, nel Pdl ci si interroga su chi potrebbe confrontarsi con lui.
Alfano è escluso. Mantiene l’incarico di segretario del Pdl, ma nel partito la sua popolarità è ai minimi storici.
«Macchè Renzi», sbotta un deputato. «Ci accontenteremmo di un Epifani: Alfano non è neppure quello».
Nella sua Sicilia il centrodestra ha perso il sindaco di Catania al primo turno ed è rimasto fuori dai ballottaggi nei capoluoghi di provincia, dopo aver perso nel 2012 nel giro di quattro mesi i comuni di Palermo e di Agrigento (città natale di Angelino) e la regione Sicilia.
Eppure Alfano nel partito e nel governo mantiene intatto un potere che in pochi hanno accumulato prima di lui, nella Prima e nella Seconda Repubblica.
La carta di diventare qualcosa di simile a un Renzi del Pdl è stata giocata quando prima del voto di febbraio il segretario si impuntò per fare le primarie nonostante la freddezza di Berlusconi. «Angelino, lascia perdere, andrai a schiantarti. E più tardi rinuncerai alle primarie, più ti farai del male», gli aveva consigliato bonariamente l’uomo forte del partito Denis Verdini.
È finita bene per l’ambizioso politico siciliano, al Viminale e vice a Palazzo Chigi avendo perso tutte le elezioni, chi meglio di lui?
Difficile però che si possa proporre come volto nuovo del centrodestra in caso di una crisi anticipata del governo Letta e di un nuovo scontro elettorale con il centrosinistra questa volta guidato da Renzi.
Verdini a travestirsi da rottamatore non ci pensa neppure, per fortuna.
Lui con Renzi ha in comune soltanto l’origine toscana. Però si sta intestando il piano più radicale di rottamazione del Pdl attuale. Scritto con Daniele e Daniela, ovvero Capezzone e Santanchè, prevede un vertice (con un presidente, indovinate chi?) e una struttura leggera, in grado di funzionare con poche risorse economiche, in vista di una riforma del finanziamento pubblico dei partiti.
Un mega-comitato elettorale, con un partito ancora più presidenziale di quanto non sia ora, per lasciar affondare i notabili ancora in attività , i Cicchitto e i Gasparri, diventati nel frattempo i più tenaci difensori del modello partito pesante: specularmente ai loro colleghi del Pd, i nemici di Renzi.
A guidarlo ci sarebbe la Santanchè, già nominata due mesi fa responsabile dell’organizzazione del partito, la più dura dopo il risultato negativo delle amministrative: «È la sconfitta di una classe dirigente che non mette un impegno, una dedizione, una passione e soprattutto la voglia di scegliere per il meglio», attacca: «Non so se nel Pdl ci siano falchi e colombe. Di certo io non sono un piccione».
È la Santanchè la Renzi al femminile invocata dalla Biancofiore?
La deputata di Cuneo ci crede: se Berlusconi dovesse fare un passo indietro (o essere impossibilitato a candidarsi per motivi giudiziari) lei sarebbe pronta a rappresentare l’ala movimentista del centrodestra.
Una prospettiva che fa tremare mezzo gruppo parlamentare e quasi tutta la delegazione ministeriale.
Anche perchè l’ascesa della Santanchè coincide con l’atteggiamento sempre più critico nei confronti del governo Letta.
La deputata bombarda sull’assenza di misure sull’economia, è impaziente di vedere i risultati almeno quanto lo è Renzi sul fronte opposto in concorrenza con l’amico-rivale premier Enrico. E la squadra di governo soffre il fuoco amico.
«Che devo dire? Noi lavoriamo, sentiamo l’incoraggiamento di Berlusconi, quello del partito proprio non c’è», ribadisce un altro ministro del Pdl. Anche tra i filo-governativi, però, c’è la convinzione che l’assetto del partito così com’è non basterà ad affrontare le prossime bufere quando arriveranno.
Avanzano altri nomi per la guida del partito: gli ex ministri Raffaele Fitto e Mariastella Gelmini, per esempio, benchè siano stati entrambi sconfitti in casa, in popolosi comuni della Puglia amministrati da anni dal Pdl e a Brescia, la città dell’ex ministro della Pubblica istruzione. Mentre al Sud, in controtendenza, il Pdl ha vinto nella provincia di Salerno (a Scafati, Pontecagnano e Campagna), commissariata da Mara Carfagna.
Nelle settimane tra il primo e il secondo turno l’ex ministro è stata richiestissima per la campagna elettorale anche fuori dalla sua regione, la Campania.
Tutto esaurito per lei a Santa Marinella, sul litorale laziale, e anche in quel caso vittoria nelle urne.
Un pezzo di Pdl guarda alla Carfagna come possibile nome nuovo, anche in virtù di un percorso che l’ha portata a 37 anni a essere donna di partito all’antica, sezioni, tesseramenti, candidature, voti da conquistare, la ruvida quotidianità della professionista della politica molto lontana dall’esordio glamour da copertina.
La stessa che la portò a raccogliere 55 mila preferenze alle ultime elezioni regionali in Campania. Era il 2010, la Carfagna era ministro, Berlusconi passava da un trionfo elettorale all’altro, secoli fa.
Oggi ancora una volta il berlusconismo è chiamato a reinventare se stesso, in vista di settimane infuocate: dopo la sconfitta alle elezioni, sono in arrivo le prime scelte scomode del governo Letta (alzare l’Iva di un punto?) e soprattutto due sentenze decisive (la Corte costituzionale sul processo sui diritti Mediaset, il Tribunale di Milano in primo grado sul processo Ruby), la possibile interdizione e dunque ineleggibilità del Cavaliere.
C’è chi dice che di fronte a una condanna Berlusconi potrebbe essere tentato di schierare in campo l’unica persona di cui si fida davvero per la successione, la figlia Marina, da sempre in prima linea nella difesa del padre dalle accuse giudiziarie.
Sarebbe lei la Renzi donna? Una rottamazione per via ereditaria, una bizzarria.
Ma, in fondo, un’operazione verità : chi sarà il Renzi di Arcore lo stabilirà Silvio.
Marco Damilano
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