BERLUSCONI MEDITA L’ADDIO ALLA POLITICA: “POSSO ANCHE DIMETTERMI, MA NAPOLITANO DIA GARANZIE”
NON SOLO LA COMMUTAZIONE DELLA PENA MA ANCHE LA CERTEZZA DI NON ESSERE ARRESTATO PER ALTRI PROCESSI
«So di non avere alternative, comunque tra un mese incombe l’interdizione, non ho scampo: posso tenere in vita il governo per il bene del Paese e uscirne da statista. Ma pretendo garanzie dal Colle».
Il pendolo che in questi giorni oscilla frenetico e a volte sembra impazzito, in serata si ferma d’improvviso su un Cavaliere riflessivo.
Stremato dallo stress, prigioniero della sindrome da assedio, da accerchiamento.
Quasi costretto dalla figlia Marina, dai vertici dell’azienda, dai consiglieri più fidati Gianni Letta in testa, dai ministri Pdl guidati da Alfano a considerare i «vantaggi» di una rinuncia al seggio parlamentare.
«Voi continuate pure a trattare, ma io dei cosiddetti democratici non mi fido, stiamo a vedere cosa ci garantiscono» ha intimato proprio ai ministri Quagliariello, Lupi, De Girolamo e Lorenzin appena usciti, col vicepremier e segretario Pdl, dal vertice col premier Enrico Letta a Palazzo Chigi.
«Solo un miracolo ci può salvare», diceva ad alcuni deputati Gaetano Quagliariello poco prima di entrare a quell’incontro.
Loro chiedono e ottengono dal presidente del Consiglio e in buona sostanza dal Pd la rinuncia ad accelerare sui tempi in giunta.
Strappano altri preziosi giorni di tempo per riuscire a «lavorare» sul capo, a convincerlo a pensare, ragionare, riflettere prima che tutto esploda.
Ed è così che il «mezzo miracolo» prende corpo. Ma la partita resta assai delicata. Il rischio di precipitare in una crisi resta concreto.
Ancora ieri sera ad Arcore Denis Verdini è andato a portare un report sulle chance offerte tuttora dall’opzione elettorale, i sondaggi ultimi che lo danno in testa come leader, il centrodestra in vantaggio, lui virtualmente vincitore.
Ma è uno scenario da fantapolitica, hanno provato a farlo ragionare soprattutto i figli e Confalonieri.
Le azioni Mediaset al tracollo in caso di crisi, le aziende in trincea con un governo ostile. È solo di fronte a questi argomenti che il «patriarca» chiuso da settimane ormai a Villa San Martino ha accettato quanto meno di prendere tempo. Di «pensarci su». Intanto ha congelato l’assemblea dei gruppi parlamentari già convocata per oggi alle 13 a Roma.
Il Cavaliere neanche rientrerà a Roma in mattinata, come previsto in un primo tempo. È il segnale che le «colombe» attendevano. Quell’assemblea avrebbe sancito l’apertura ufficiale della crisi. Sarebbe servita per la dichiarazione di guerra.
La formalizzazione delle dimissioni dei ministri. Da quel momento, Enrico Letta non
avrebbe potuto far altro che prendere atto e salire al Quirinale.
Non accadrà . Non oggi, quanto meno.
I «falchi» Pdl volteggiano ancora aggressivi. «Stiamo perdendo giorni preziosi, al più si strappa qualche giorno di tempo, ma poi la decadenza passerà comunque, così si sbaglia, rischiamo di far chiudere la finestra elettorale di novembre» mastica amaro il responsabile elettorale del partito, Ignazio Abrignani.
Ancora ieri Daniela Santanchè andava ripetendo ai colleghi che Berlusconi stasera si presenterà alla festa del Giornale a Sanremo per sparare a zero contro tutto e tutti, magistrati e Pd, capo dello Stato e presidente del Consiglio.
Chi ha parlato più volte in giornata col leader sostiene che, con la cancellazione dell’appuntamento romano, anche la sortita ligure non avrebbe senso.
I parlamentari Pdl per tutto il pomeriggio facevano capannelli in Transatlantico, smarriti dal tam tam di voci contraddittorie.
Per ore è rimbalzata anche l’ipotesi di dimissioni dei ministri nelle mani del capo consentendo tuttavia al premier Letta di andare avanti con un semplice sostegno esterno al suo governo.
Ipotesi che lo stesso presidente del Consiglio si è premurato di spazzare via dal tavolo della trattativa, nel colloquio coi ministri del pomeriggio.
Sostegno pieno e diretto o tutti a casa.
Allora passo indietro del capo, ma per ottenere cosa? Per tutto il pomeriggio i vertici Pdl non fanno mistero delle aspettative.
Si attendono un pieno coinvolgimento del presidente Napolitano nella «trattativa».
A Berlusconi l’hanno prospettata così: «Ti dimetti da senatore ma resti alla guida di un partito che è al governo in ruoli chiave e lo resterà a lungo».
Il capo da metà ottobre inizierebbe a scontare i domiciliari (i servizi sociali, meglio), con la prospettiva di ottenere dal Colle la commutazione della pena in sanzione pecuniaria, se non addirittura la grazia, nel giro di qualche giorno.
Resterebbe decaduto e interdetto, la politica parlamentare gli sarebbe preclusa, ma quella attiva, da leader comiziante in tv e in piazza, no.
E, soprattutto, la libertà personale non sarebbe compromessa.
«Non mi basta, voglio garanzie vere dal Quirinale: senza immunità qualsiasi procura può decidere dall’oggi al domani di sbattermi in galera», è l’argomento che il Cavaliere oppone in queste ore ai più ostinati trattativisti.
È il cuore del problema, il vero nodo che sta logorando Berlusconi, il fantasma che lo attanaglia.
Napoli indaga sulla compravendita dei senatori, altri processi incombono.
È il tunnel dell’indecisione, ma ormai ha solo una via d’uscita che passa per la grande rinuncia.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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