BERLUSCONI VUOLE LA GRAZIA
“DAL PD NON MI ASPETTO NULLA,, MA NAPOLITANO PUO’ SALVARMI”
«IL Pd ormai è in pieno congresso, da loro non mi aspetto più nulla». Ad Arcore è il giorno del pessimismo, dei pensieri più cupi.
Al grande tavolo sono seduti i figli del Cavaliere e gli uomini che da una vita reggono le sorti dell’Impero: Fedele Confalonieri, Ennio Doris, Bruno Ermolli.
È il rito del lunedì, la colazione con Marina, Pier Silvio, Luigi e gli uomini-azienda, ma stavolta è diverso.
Tra una settimana esatta si deciderà del destino politico del Fondatore.
È l’ultimo consiglio di famiglia per decidere che linea prendere. E tutti, la figlia Marina con molta forza, suggeriscono al Cavaliere di evitare colpi di testa, di «aspettare ancora ».
Si ma cosa? Per Berlusconi ormai soltanto il capo dello Stato può restituirgli «l’onore politico» con un gesto di clemenza.
Il riconoscimento che non si tratta del dramma personale di un privato cittadino ma di «una questione politica – spiega uno degli uomini in contatto con Arcore – che investe il leader di uno dei partiti che sono il pilastro del bipolarismo italiano».
Insomma, si torna al punto di partenza. Dopo aver esaminato tutti i possibili stratagemmi per prendere tempo nella giunta per le elezioni, la constatazione che il Pd non potrà concedere «mesi» ma al massimo «giorni» riporta Berlusconi a guardare nell’unica direzione possibile: il Quirinale.
«Napolitano si deve muovere prima che il Pd voti la mia decadenza in giunta». Riprende corpo l’idea di chiedere la grazia, avanzata da Piero Longo, poi ritrattata, poi ieri nuovamente rispuntata nelle parole dell’avvocato Franco Coppi ad Affaritaliani: «Fino adesso non è stata fatta nessuna scelta, nè in un senso nè nell’altro.
Non è stata presentata alcuna domanda di grazia al capo dello stato, ma resta una delle ipotesi in campo. Con il presidente Berlusconi non ne abbiamo parlato in questi giorni, ma non è escluso che decida in tal senso».
L’opportunità di una richiesta di clemenza è stata invece discussa a lungo ieri ad Arcore, perchè dopo il pranzo con i vertici aziendali a villa San Martino sono di nuovo piombati gli avvocati. Circola la voce di una domanda di grazia presentata dai figli, ma l’ala dura del partito punta i piedi.
Ricordando a Berlusconi che la concessione di un atto di perdono da parte del capo dello Stato comporterebbe implicitamente la sua «uscita di scena
Senza che questa «pubblica umiliazione» gli serva a evitare altri guai in arrivo, come una eventuale sentenza di condanna al processo Ruby.
Nel braccio di ferro tra falchi e colombe questi ultimi sussurrano tuttavia nelle orecchie del condannato parole suadenti: «Una grazia di Napolitano – è il refrain dell’ala favorevole alla trattativa – ti farebbe uscire dall’agone della politica militante e sarebbe un segnale fortissimo per tutte le procure».
Quello che un amico gli ha consigliato davanti alla tavola imbandita di Arcore è dunque un atteggiamento da «padre nobile » del bipolarismo italiano, che accetta di fare un passo indietro:
«Ti devi rassegnare a un ennesimo atto di generosità politica verso l’Italia».
Anche perchè l’alternativa al momento non c’è. La rottura avrebbe un costo politico e aziendale non quantificabile. E le elezioni non ci sarebbero prima della prossima primavera, quando comunque il Cavaliere non sarebbe più candidabile.
Così le trattative proseguono frenetiche, con gli ambasciatori del Pdl che provano a cercare sponde nel Pd per non arrivare al voto sulla decadenza «almeno fino a quando Berlusconi non inizierà a scontare la sua pena».
In modo da consentire al Quirinale di intervenire con la grazia o la commutazione della pena.
La carta più forte che le colombe provano a gettare sul tavolo è quella del ricorso a Strasburgo di Berlusconi.
Che sarebbe già stato spedito alla Corte dei diritti dell’uomo. Nel Pd hanno obiettato che il Cavaliere non può fare ricorso contro una decadenza che ancora non è stata “inflitta” dalla giunta, ma i berlusconiani hanno ribattuto che il condannato si rivolge a Strasburgo perchè l’incandidabilità della legge Severino è già scattata.
Tutti sono diventati esperti giuridici, si compulsano precedenti nella disperata ricerca di un appiglio per allontanare il voto.
Ma per l’interessato, convinto che solo Napolitano lo possa tirare fuori dai guai, ormai è soltanto un chiacchiericcio di fondo.
Francesco Bei
(da “La Repubblica)
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