CARO DI PIETRO MA TUTTI QUESTI CHE C’AZZECCANO?: CHE RUOLO AVEVA L’IDV NELLA REGIONE LAZIO?
COME MAI IL GRUPPO DIPIETRISTA HA ACCETTATO I FONDI STANZIATI NELLA GESTIONE POLVERINI?
“Ti posso fare una domanda semplice semplice? Ma tu dov’eri sant’Iddio?”.
Prima che i suoi occhi cascassero sulle mani giunte di Renata Polverini, due sere fa in tv, un sorriso ha allargato il volto di Antonio Di Pietro.
Dov’era Renata quando i suoi colleghi facevano merenda?
Il leader dell’Idv avrà pure una prosa rocciosa, e spesso preda di periodi apocalittici, ma è un retore di prima grandezza.
Ci sa fare, si fa capire, arriva al punto. E da quel punto non si sposta.
Volendo restare anche noi immobili sul punto, potremmo chiedergli: “E tu Di Pietro dov’eri?
Dov’erano i tuoi rappresentanti, i tuoi amici che siedono in consiglio regionale, militanti del bene comune, onestissimi lavoratori al servizio della democrazia? ”.
Hanno visto e contestato. Ma poi anche un po’ intascato il ben di Dio di quattrini che la Regione girava a tutti, destra e sinistra, alti e bassi, conservatori e innovatori. Dov’era Di Pietro, dov’era il suo partito, dov’erano le bandiere, dov’erano i militanti?
Non pervenuto, come quelle notifiche mai registrate.
Il mal comune non è mai mezzo gaudio e se le ultime rivelazioni demoscopiche garantiscono che gli italiani non fanno più alcuna distinzione tra Fiorito e il resto del mondo (“tutti uguali sono!”) è anche merito della falange dipietrista, un tempo volitiva, oggi invece pigra.
Successe con l’aspirante deputato De Gregorio e fu teatro dell’assurdo.
In un mesetto circa di campagna elettorale l’aspirante mutò simbolo e politica, passò da destra a sinistra. Lo accolse infine un distratto Di Pietro. De Gregorio aveva i voti a Napoli, proprio quelli che a lui servivano.
“Mi sono sbagliato”, disse poi il capo. Certo che ammise l’errore. E certo che si dispiacque quando fu nota la caratura della personalità eletta.
Fu uno straordinario effetto ottico.
Di Pietro accentuò la sua desolazione: “È colpa mia”. Succede di sbagliare valutazione, anche se sarebbe bastata una rapida ricognizione dei luo-ghi per capire e soprassedere.
La selezione delle candidature è certamente la prova più difficile che un leader deve sostenere, e se ne accorgerà anche Grillo quando ci sarà da disboscare la giungla di nomi che gli pioveranno fino in camera da letto.
Però Di Pietro è tornato dal luogo del delitto senza imparare alcunchè.
In Sicilia scovò il campione dei campioni del trasformismo italiano: Domenico Scilipoti. “Oramai sono divenuto un brand”, disse felice Scilipoti quando si accorse dell’attenzione e della vasta eco che le sue gesta avevano prodotto.
“È un Giuda!”, sentenziò il leader ammettendo per la seconda volta nel modo più plateale e solenne la sua sconfitta. Un Giuda, un grandissimo Giuda. Un Giuda zampillante, pirotecnico, compulsivo.
Se è vero, come sembra, che alla tavola degli apostoli di Giuda ce ne fosse uno soltanto, e qui già stavamo a due, è anche giusto osservare che se anche Scilipoti non avesse fatto lo Scilipoti (“sono un brand!”) sarebbe stata intatta la sorpresa nel descrivere la multiforme personalità e il larghissimo raggio di convizioni politiche espresse da costui.
Non si sa in base a quale confuso segno del destino l’onorevole Scilipoti ricevette la benedizione di combattente dipietrista.
E forse nemmeno Di Pietro sa o ricorda quanti ha benedetto, senza conoscere esattamente lo stato di famiglia, la provenienza geografica e anche, purtroppo, in alcuni casi senza neanche dare un’occhiata al certificato dei carichi pendenti.
Si dirà . E gli altri? Appunto, gli altri, ma Di Pietro no.
A Vasto, nelle prime esibizioni dei muscoli dell’Italia dei Valori la platea spesso si divideva in due parti uguali: di qua cravattone democristiane; di là giovani militanti, generosi e determinati, vogliosi di cambiare il mondo.
A parte che anche la Dc un po’ ha cambiato l’Italia, e forse i genitori di Tonino, e persino lui, in giovane età avranno fatto la croce sul simbolo della croce, come i preti di paese consigliavano ai parrocchiani devoti.
Non c’è colpa e non c’è reato. Ed è sempre bello vedere fiorire una nuova vita e nuovi ideali.
A Vasto però colpì il numero spropositato di ex, troppi e troppo convinti di essere al posto giusto al momento giusto.
Detto ciò, si è sempre innocenti fino a prova contraria.
E rilevato, qui solo per cronaca, che un terzo incidente di percorso ha interrotto la comunione di ideali con Antonio Razzi, deputato operaio integerrimo che sebbene avesse denunciato un tentativo di corruzione ad opera del partito di Berlusconi (“Volevano pagarmi il mutuo, ma io ho rifiutato. Meglio povero che traditore! ”), scelse poi comunque di correre a gambe levate verso la casa del nemico.
E con lui fanno già tre di Giuda.
Per evitarne un quarto, un quinto, un sesto, sarebbe forse necessario che il leader, ascoltata la posizione del capogruppo laziale Maruccio nella delicata questione delle altrui ostriche, si faccia almeno questa domanda: “Ma io, in tutto questo sfacelo, dov’ero?”.
Antonello Caporale
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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