“CHE TI FREGA SE MUORE”: COSI’ LA GANG SEI POLIZIOTTI HA TORTURATO IL DISABILE E DEPISTATO LE INDAGINI
TUTTE LE BUGIE E I FALSI INTORNO AL CASO DEL BOSNIACO CHE SI E’ LANCIATO DALLA FINESTRA PER SFUGGIRE ALLE VIOLENZE DELLA POLIZIA
Lo aveva detto, una poliziotta, parlando al telefono con un collega: “le cose non sono andate come hanno detto gli operanti”. Ma è dagli atti che emerge la sequenza di falsi che ruotano intorno al caso di Hasib Omerovic. Ma soprattutto la frase “Che te frega se muore” che Andrea Pellegrini, il poliziotto arrestato per tortura, ha detto a uno dei suoi colleghi.
C’è un documento, il primo, con cui quattro agenti del commissariato di Primavalle il 25 luglio scorso comunicano di essere intervenuti per l’identificazione di un cittadino bosniaco, Hasib Omerovic, che dopo il controllo si è lanciato dalla finestra dell’abitazione cadendo nel cortile interno del palazzo” della periferia romana.
E ce ne è un altro, l’ultimo atto, con cui la procura ricostruisce i fatti accaduti tra i lotti popolari di Primavalle, stravolge la versione degli agenti e racconta di un poliziotto che lega, picchia e minaccia con un coltello un ragazzo sordo, mentre altri tre agenti provano maldestramente a coprire le torture, visto che le cose si sono complicate quando la vittima si è gettata dalla finestra della sua stanza: “percepita come unica via” di salvezza, dice il giudice.
Rivelazioni e furti: un agente già sanzionato
Per capire come si è arrivati alla svolta che ieri ha portato all’arresto dell’agente Andrea Pellegrini occorre tenere a mente questi due documenti. Perché tra il primo e l’ultimo atto ci sono tante bugie raccontate dai tre agenti intervenuti quel giorno, e forse anche da altri, per proteggere un superiore, Pellegrini, un poliziotto già trasferito dalla squadra mobile per aver divulgato notizie segrete, un uomo che in passato è stato arrestato in Florida mentre taccheggiava in un supermercato.
“Parati il culo dall’ondata di me..da”
È impresa ardua separare il vero dal falso. Perché in questa storia ci sono colleghi che si smentiscono a vicenda, investigatori convocati in procura per un confronto, ispettori che suggeriscono ai colleghi della squadra mobile di “far svolgere bene bene le indagini perché le cose non stanno come hanno scritto gli operanti”, salvo ritrattare il tutto davanti al pm, e altri che consigliano di stilare una relazione di servizio “per pararsi il culo dall’ondata di me..a che quando arriva sommerge tutti”
“Mi sono vergognato” racconta l’agente ‘pentito’
“Ho provato un senso di vergogna” per non essere intervenuto e fermare quanto stava accadendo. E’ la giustificazione che l’agente che ha collaborato alle indagini sulla vicenda ha fornito agli inquirenti sul fatto di non avere informato immediatamente i suoi superiori su quanto avvenuto nell’appartamento di Primavalle. Nell’ordinanza il gip della Capitale scrive che il poliziotto, testimone oculare, “ha riferito di essersi limitato a confidare alcune cose (la porta sfondata a un collega e gli schiaffi a un altro) e di essersi in qualche modo determinato a sottoscrivere la relazione di servizio, il cui contenuto non era corrispondente a quanto avvenuto, perché Pellegrini è pur sempre un suo superiore, di cui in qualche modo subiva il ‘peso’ e gli atteggiamenti, e che soltanto quando la pressione delle notizie di stampa sulla vicenda si era fatta insostenibile aveva finalmente sentito l’esigenza di recarsi dal dirigente per ‘riferire le cose come erano andate perché in queste situazioni è inutile cercare di nasconderle'”
Le cinque bugie
La prima menzogna è emersa subito: la comunicazione con cui gli agenti raccontavano i fatti accaduti a partire dalle 12.29 del 25 luglio era falsa. Quello in via Girolamo Aleandro non è stato un controllo di routine, una normale identificazione. Pellegrini secondo i pm ha trasformato quell’operazione in una spedizione punitiva per punire con metodi da sceriffo un ragazzo su cui giravano voci di quartiere in merito al fatto che molestasse ragazze. La situazione è degenerata.
Per coprire i fatti hanno raccontato quindi una seconda bugia, contenuta in una relazione di servizio in cui si dice che Hasib si è agitato quando hanno chiesto alla sorella disabile come si fosse procurata i lividi sulle braccia e lei, spaventata secondo gli agenti indagati, “negava che gli fossero stati provocati da qualche familiare”. Falso: Hasib era terrorizzato perché c’era un agente, Pellegrini, che brandiva coltelli, minacciava, strappava cavi elettrici per legarlo. Lo ha torturato. E al ragazzo la finestra è sembrata l’unica via di salvezza.
Il terzo falso ruota intorno a una porta chiusa a chiave. Non è vero che Hasib si era rifiutato di aprirla, stava prendendo la chiave quando Pellegrini la ha sfondata con un calcio.
Quarto, gli orari non tornano: i poliziotti dicono di essere intervenuti alle 12,29 ma la prima chiamata al 118 è delle 12,26.
Quinto: Pellegrini non ha fotografato Hasib durante il controllo per dimostrare la regolarità dell’operazione eseguita. “L’aver scattato fotografie di Omerovic che si trova a torso nudo nella propria abitazione sia durante l’identificazione sia soprattutto allorché è costretto a rimanere seduto assume senz’altro un effetto degradante, perché lesivo della dignità della persona. Traspare – si legge nell’ordinanza – l’intento di Pellegrini di infliggere sofferenze gratuite a Omerovic”.
“Omettendo di indicare”, “attestavano falsamente”, falsa rappresentazione della realtà circa lo svolgimento delle operazioni compiute dagli appartenenti alla polizia di stato”.
Le frasi scritte dai magistrati hanno un significato preciso. Raccontano di fatti “commessi in spregio della funzione pubblica svolta, nonché violando fondamentali regole di rispetto della dignità umana”. Fatti per cui un ragazzo da 5 mesi è ricoverato in ospedale, su un letto da cui forse non potrà più alzarsi.
(da La Repubblica)
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