CINQUESTELLE SI SPACCANO E CHIUDONO AL DIALOGO: “PER IL GOVERNO NON FAREMO NOMI”
LACRIME E LITI ALLA RIUNIONE: DUE TERZI PER LA LINEA DURA, UN TERZO FAVOREVOLI AL DIALOGO: “PER DIRE SEMPRE NO, POTEVAMO STARCENE A CASA”
Non bastano i post di Beppe Grillo, che arrivano a metà giornata per correggere la linea.
Nè quelli del “comunicatore” Claudio Messora, che ieri ne ha scritto uno bello lungo sintetizzato nella frase “No commissioni, no party”: il Movimento deve battersi affinchè il Parlamento lavori, davanti a Bersani e al presidente della Repubblica non poteva fare più di quel che ha fatto, quello di Napolitano è un «golpe morbido » e i saggi non servono a nulla.
Questa, la versione ufficiale comunicata dal blogger (qualcuno tra i deputati ricomincia a chiedersi: «A che titolo?»).
Diversa, la realtà che vivono ogni giorno i parlamentari-cittadini a 5 stelle.
Si sono riuniti ieri alle sei del pomeriggio.
Deputati e senatori, nella sala dei gruppi a Montecitorio.
Riunione a porte chiuse, à§a va sans dire, come tutte quelle importanti.
Al mattino, i “dialoganti” si erano dati appuntamento: «Stasera bisogna che tiriamo fuori tutti i nostri dubbi. Non si può continuare con il muro contro muro, non possiamo stare qui rifiutando qualsiasi confronto».
Così, per la prima volta, sono stati in molti ad alzare la mano e dire: «Così non va. Dobbiamo fare subito i nomi di un governo a 5 stelle. Dobbiamo portarli a Bersani e al presidente della Repubblica. Farli conoscere ai nostri elettori, che altrimenti si chiederanno cosa ci facciamo qui».
La riunione è stata tesa.
Il fronte del no — che comprende i capigruppo Vito Crimi e Roberta Lombardi e personalità di spicco come Roberto Fico — è forte e compatto.
Così si arriva al voto: i sì ai nomi sono 30. I no 80.
Una decina gli astenuti.
Si può contare sugli assenti, per allargare la fronda.
Si può sperare che chi non ha voluto metterci la faccia finora finirà per farlo davanti alla prospettiva delle urne.
Fatto sta che dalla riunione chi era per il dialogo esce deluso.
Mara Mucci, giovane deputata bolognese, lascia la sala in lacrime.
Il senatore Lorenzo Battista dice sconsolato: «Siamo divisi tra chi segue lo schema di distruggerli, e chi vuole fare qualcosa per il Paese, essere parte attiva di un cambiamento. Secondo me questa è una grande occasione, e chi vuole distruggere tutto non va da nessuna parte perchè non penso che il Pd compia il suicidio politico di mettersi con il Pdl. Se la strategia è quella di andare al voto, non penso sia una grande strategia».
Come lui, ci mettono la faccia la riminese Giulia Sarti, il deputato eletto all’estero Alessio Tacconi.
Qualcuno riferisce anche di uno strano incontro: «Civati, del Pd, ha detto che loro sono con le spalle al muro. Che sono pronti a sostenere qualcuno proposto da noi».
Un brusio curioso si diffonde nell’auletta: «Sarà vero?».
Gli ortodossi stroncano: «È un’esca alla quale non abbocchiamo» dice Roberto Fico. Vito Crimi è più silenzioso: Grillo lo ha smentito ancora.
Aveva scritto che un governo Bersani, seppur senza la fiducia del Senato, sarebbe stato più accettabile di Monti.
Il capo politico corregge: «Bersani è uguale a Monti, di cui ha sostenuto la politica da motofalciatrice dell’economia».
Finisce qui, per ora.
Anche se una nuova spaccatura potrebbe verificarsi al momento di votare il presidente della Repubblica.
Lo sceglierà il web, voteranno in 300mila — così stimano alla Casaleggio — ma davanti a un testa a testa, poniamo Zagrebelsky-Rodotà , potrebbero riproporsi i casi di coscienza che al Senato hanno premiato Piero Grasso.
«Io rispetto il mandato che mi daranno i cittadini — dice Massimo Artini all’Huffington Post- ma nel caso del testa a testa, davanti a una persona specchiata, rimanere cocciuti sul nostro nome…forse potremmo chiedere un altro voto on line ». Le faglie sono tutte aperte.
Il terremoto dipende dallo scenario: se la prospettiva è il ritorno alle urne, la vittoria dei falchi di oggi non basterà a scongiurarlo.
Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica“)
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