CONFUSO PIU’ DEL SOLITO: PUIGDEMONT DICE DI NON VOLERE L’ASILO POLITICO (ANCHE PERCHE’ NESSUNO GLIELO DAREBBE) MA NON TORNA A BARCELLONA
DOVE STIA LA “GRAVE PERSECUZIONE” DI CUI SAREBBE VITTIMA LO SA SOLO LUI… E IL GOVERNO BELGA GLI NEGA LA LOCATION PER LA CONFERENZA STAMPA
«Non sono qui per chiedere asilo politico». Carles Puigdemont rompe il silenzio, lacera la cortina di mistero che ha avvolto un viaggio a Bruxelles per quella che tutti hanno pensato essere una fuga e che per certi aspetti lo resta.
Il leader indipendentista catalano dice di non volere protezione, ma resterà nella capitale europea fin quando non ci saranno le condizioni per rientrare in Spagna. Ammette di temere per la propria incolumità , perchè il governo spagnolo avrebbe tolto ogni garanzia di «protezione» e sarebbe pronto ad aprire un processo «non equo» e quindi ingiusto nei confronti della classe politica catalana che ha portato alla dichiarazione d’indipendenza.
In una sala stampa piena in ogni ordine di posto, Puigdemont ha offerto l’immagine di un leader indebolito, confuso. «Non vogliamo fuggire dalla giustizia, non vogliamo fuggire dalle nostre responsabilità », dice.
Ma subito dopo chiede che sia l’Europa a garantire sicurezza, quando l’Europa non è in grado di poter ascoltare.
Per poter chiedere asilo in uno Stato membro dell’Ue bisogna riuscire a dimostrare che sussista il serio rischio di una grave persecuzione.
Difficilmente ciò avviene in Europa, e appare difficile che Puigdemont possa chiederlo e ottenerlo.
Lui nega di volere asilo, salvo iniziare a parlare dei rischi che l’attendono in Spagna. «Cerco delle garanzie che per il momento non ci sono in Catalogna. Non c’è desiderio di giustizia, ma di vendetta».
E poi, ricorda, secondo la legislazione nazionale «oggi il reato di ribellione è equiparato al reato di terrorismo». Ecco servite le premesse per un’eventuale dimostrazione di persecuzione.
Il leader catalano non chiede asilo, non per ora almeno, ma ammette che resterà fuori dalla Catalogna. «Non so quanto resterò qui. Se ci saranno le garanzie immediate di un trattamento equo da parte del governo, che possa garantire a tutti noi, soprattutto a me, un processo equo e una protezione, allora tornerò subito».
Fino a quel momento nessun rientro in Catalogna, in quello che definisce il suo «Paese», a sottolineare la distinzione con la Spagna e il suo governo.
«Ci siamo spostati a Bruxelles per portare il problema catalano al cuore dell’Europa, a sollevare il problema della la politicizzazione della giustizia» in Spagna.
E’ un passaggio chiave di una conferenza stampa durata meno di 40 minuti.
I catalani hanno voluto trasformare la crisi catalana in una questione comunitaria, convinti che questa sia e debba essere una crisi di tutti. Lo sottolinea due volte Puigdemont. «Sono qui a Bruxelles in quanto capitale dell’Europa. Ho deciso di venire non in Belgio ma a Bruxelles, che è la capitale dell’Unione europea, perchè per noi questa è una questione europea».
Ma si presenta in una città deserta, con il Parlamento europeo in «settimana verde», come si dice nel gergo degli addetti ai lavori. Sono tutti in missioni all’estero, e lo stesso vale per la Commissione. Europarlamentari e commissari sono tutti via, l’Europa non c’è.
Neppure il Belgio giocherà un ruolo in questa partita, ammette il leader catalano. «Non abbiamo contatti con esponenti politici belgi».
Ciò nonostante il ministro per l’Immigrazione del Belgio, Theo Francken, esponente del partito indipendentista N-Va, si sia detto disponibile a dare asilo alla leadership catalana. «Non sono qui per mischiare una questione catalana con la politica belga».
Anche perchè il Belgio mostra di non voler offrire alcuna sponda ai secessionisti.
I catalani avevano provato a organizzare la conferenza stampa nel Residence Palace, l’edificio che ospita la stampa internazionale, struttura messa a disposizione dalle autorità belghe.
Proprio queste ultime non hanno concesso l’utilizzo degli spazi chiesti dai catalani. Puigdemont rivendica il proprio operato. Dice di aver agito in modo «democratico, pacifico, calmo».
Accusa il governo di Madrid per aver provocato il caos ricorrendo alla violenza in occasione del referendum, con l’invio della Guardia Civil e tutto quello che ne è scaturito. Q
uindi invita i catalani al voto, di nuovo. «Il 21 dicembre noi rispetteremo le elezioni, lo farà anche il governo spagnolo? Governo spagnolo, siete pronti a rispettare le elezioni di dicembre? Senza ambiguità dirlo».
L’auspicio di Puigdemont è che a dicembre vinca il fronte nazionalista, che gli indipendentisti disegnino un Parlamento catalano ancor più forte in senso separatista di quello commissariato.
Non è scontato, perchè sembra esserci un nutrito fronte di autonomisti anti-indipendentisti. Puigdemont è stato accolto a Bruxelles da un gruppo di spagnoli che mostravano entrambe le bandiera spagnola e catalana, al grido di «Viva la Catalogna, viva la Spagna», e manifesti con su scritto «Puigdemont parla a nome di metà della popolazione catalana».
(da “La Stampa”)
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