CONTRATTI A TERMINE VERSO LA CORREZIONE: VERTICE TRA LE IMPRESE
IL PERIODO CHE DEVE PASSARE TRA UN CONTRATTO A TERMINE E UN ALTRO E’ L’OGGETTO DEL CONTENDERE
Potrebbe cambiare una delle norme chiave della riforma del mercato del lavoro, quella che allunga il periodo che deve passare tra un contratto a termine e l’altro.
La legge 92 Fornero prevede infatti che, di regola, debbano trascorrere almeno 60 giorni fra un contratto temporaneo e l’altro se il primo è durato meno di sei mesi, e almeno 90 giorni se invece la durata è stata superiore a sei mesi.
Prima della riforma gli intervalli che il datore di lavoro doveva rispettare erano molto più brevi: 10 e 20 giorni.
Parlando a un convegno a Modena è stato lo stesso ministro del Lavoro a dire che, in particolare, il limite dei tre mesi «sta creando qualche problema: me ne rendo conto, sto ricevendo molte lettere e quindi studieremo qualche altra soluzione».
L’allungamento dell’intervallo tra un contratto temporaneo e l’altro era stato presentato dal governo come uno strumento utile a combattere l’abuso di questo tipo di rapporti di lavoro e quindi il precariato.
Ma da subito i contrari avevano sottolineato il rischio che la norma avrebbe limitato le occasioni di lavoro e favorito il nero.
È così cominciato un braccio di ferro tra Fornero e le imprese.
Il ministro ha annunciato un monitoraggio sulla riforma in collaborazione con le imprese e, rispondendo indirettamente al presidente della Confindustria Giorgio Squinzi che più volte ha chiesto di rivedere profondamente la legge 92, ha affermato che «la disponibilità a discutere punto per punto è massima».
Ma la riforma «non si smantella», ha avvertito.
L’offensiva contro la legge è comunque forte, unendo le imprese e il Pdl, che ieri con l’ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, è tornato a sostenere che la riforma «sta producendo una minore propensione ad assumere o a confermare rapporti di lavoro a termine».
Con ieri, intanto, siamo entrati in una settimana decisiva per l’accordo sulla produttività chiesto dal governo alle parti sociali.
Squinzi continua a essere ottimista: «È un momento storico per l’intesa. Mi auguro che prevalga il buon senso».
E chiede al governo di fare la sua parte, aumentando la detassazione del salario aziendale e intervenendo sulla pubblica amministrazione, «palla al piede dell’Italia».
Anche il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, crede nell’accordo: «Ci sono margini».
Frena invece la leader della Cgi, Susanna Camusso: «Parlare di tavolo sulla produttività è una parola grossa».
Qual è il vero ostacolo per i sindacati lo spiega con chiarezza il numero uno della Uil, Luigi Angeletti: «È escluso che si possano abbassare i salari in maniera surrettizia o esplicita».
E uno degli sherpa della trattativa confessa: «Il problema è che ci chiedono di rinunciare a quote di salario nel contratto nazionale che poi dovremmo recuperare a livello aziendale o territoriale, ma è quel “dovremmo” che non funziona».
Enrico Marro
(da “il Corriere della Sera“)
Leave a Reply