COSTI ALLE STELLE PER IL PUBBLICO IMPIEGO
OGNI 1.000 ABITANTI, IN ITALIA ABBIAMO 58 STATALI… TRE IN PIU’ CHE IN SPAGNA E GERMANIA… IL 59% E’ DIPENDENTE DELL’AMMINISTRAZIONE CENTRALE, CONTRO IL 41% IMPIEGATO TRA REGIONI, ENTI LOCALI E UNIVERSITA’ … ALL’ESTERO IL RAPPORTO E’ 20% PER LO STATO CENTRALE E 80% PER LE AMMINISTRAZIONI LOCALI
La Pubblica Amministrazione italiana, dati alla mano, si conferma una delle più costose d’Italia.
I dati sono stati diffusi dal centro ricerche della Cgia di Mestre e parlano di un’amministrazione pubblica che costa, ad es., 60 miliardi di euro in più della Germania.
Mentre Berlino, negli ultimi sette anni, ha visto calare la spesa destinata al pubblico impiego dall’8,1 al 6,9 per cento del Pil, in Italia la percentuale è cresciuta dal 10,4 al 10,7. Anche la Spagna riesce a fare meglio di noi: i fondi per stipendi e contributi, nello stesso arco di tempo, sono rimasti fermi al 10,2 per cento di Pil.
Se consideriamo la spesa del personale in relazione alla spesa primaria ( senza cioè tenere conto degli interessi che paghiamo sul debito), rispetto al 2000 la percentuale è scesa al 24,6%, ma la Germania rimane lontana, con il 16,9%. I numeri preoccupanti rimangono quelli relativi al numero dei dipendenti della Pubblica Amministrazione italiana.
L’esercito dei lavoratori pubblici, in termini assoluti, è di 3milioni 391mila persone, ma è percentualmente più vasto. Come sottolinea la Cgia nel suo studio ” forse in assoluto non sono troppi, ma in rapporto agli abitanti in Italia i lavoratori pubblici sono 58 ogni 1.000 abitanti, contro i 55 per 1.000 cittadini tedeschi o spagnoli”.
Significativo poi come vengono distribuite queste risorse: in Italia il 59% è alle dipendenze dell’amministrazione centrale, mentre soltanto il 41% è impiegato tra Regioni, università ed enti locali.
Con Germania e Spagna il confronto è impietoso. In Spagna solo il 22,4% lavora per Madrid, mentre il restante 77,6% è diviso tra le comunità autonome ( 50,2%)e gli enti locali e l’università (27,4%). In Germania a lavorare per lo Stato centrale è solamente il 10,5%, mentre l’89,5% è distribuito tra amministrazione locale e i lander, le regioni tedesche.
Secondo la Cgia “col trasferimento di maggiori competenze e autonomie agli enti locali, anche i dipendenti pubblici dovranno essere spostati, per consentire prestazioni più efficienti e puntuali”.
Indubbiamente è auspicabile una maggiore razionalizzazione di risorse e competenze, al fine di evitare sacche poco produttive a scapito di settori in espansione che necessitano di nuove energie, ma non è certo solo spostando “i soldatini sulla scacchiera”che si viene a capo di un problema decennale che ora si cerca di esorcizzare con la panacea federalista.
In troppi settori della Pubblica Amministrazione, dal dopoguerra ad oggi, sono state fatte, ad es., migliaia di assunzioni clientelari che non rispondevano certo a reali esigenze interne. Ricordiamo come in passato, ad es., il ministero delle Poste fosse conteso da tanti politici, proprio perchè permetteva una gestione clientelare.
Ora ci si ritrova a un eccesso di dipendenti, rispetto alla media europea, ed è evidente che il ritorno alla “normalità ” presuppone un percorso graduale, e non traumatico, delle riconosciute eccedenze e una certa mobilità all’interno dei vari comparti.
Un problema che richiede una fermezza di fondo sull’obiettivo da raggiungere, ma anche una realistica flessibilità operativa: non si cancellano 50 anni di malagestione con accuse generiche di “fannullonismo” o criminalizzando una categoria, all’interno della quale vi sono ottime competenze.
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