COVID E BOLSONARO, MISCELA ESPLOSIVA PER IL BRASILE
PAESE CHE VAI, CRIMINALE SOVRANISTA CHE TROVI… UN PRESIDENTE NEGAZIONISTA, I RISCHI DELLA PANDEMIA IGNORATI, GLI INTERESSI ECONOMICI ANTEPOSTI ALLA VITA DEI CITTADINI
È il secondo paese al mondo per numero di morti (224 mila) e il terzo per contagi (oltre 9 milioni). E mentre una variante locale del Covid-19 — che nelle ultime settimane ha riempito gli ospedali di Manaus, portando all’esaurimento delle scorte di ossigeno — minaccia di estendersi al di là della capitale dello stato di Amazonas, oltre alla crisi sanitaria il Brasile vive anche una crisi politico-istituzionale.
A provocarla è un’altra variante — in questo caso del sovranismo — divenuta negli ultimi due anni, dopo le elezioni del 2018, una caratteristica esclusiva della più grande nazione del Sudamerica: il bolsonarismo, con la sua costante costruzione di nemici interni, l’affronto ai valori fondamentali affermati nella Costituzione post-dittatura del 1988, il tentativo di ridurre il ruolo dello Stato in tutti i settori (economia, istruzione, cultura, ecc.), il farsi beffe della stampa e delle istituzioni, il totale disinteresse per le disuguaglianze sociali — oltre che economiche e territoriali —, lo sfruttamento delle risorse ambientali, la negazione dei diritti dei popoli indigeni.
Così fin dall’inizio i pericoli e gli effetti della pandemia non sono stati semplicemente sottovalutati, ma del tutto e manifestamente ignorati, dietro la giustificazione che il paese non può permettersi di tenere ferme le attività economiche.
La variante B.1.1.248 (frutto di dodici mutazioni, di cui due particolarmente contagiose: N501Y e E484K), isolata il 6 gennaio scorso dall’Istituto nazionale giapponese per le malattie infettive, ha riportato l’attenzione su Manaus, già all’inizio della pandemia una delle zone più colpite del paese. Studi indicano che durante il 2020 fino ai due terzi degli abitanti erano stati contagiati: questo aveva portato la popolazione a credere di essere ormai coperta dall’immunità di gregge, di fronte anche alla mancanza di azioni di prevenzione e sensibilizzazione da parte del governo locale, come spiega Davide Tuniz, giornalista ed educatore arrivato a Manaus nel 1995. A fine dicembre però tanto gli ospedali pubblici quanto quelli privati si sono riempiti nuovamente: l’ossigeno è finito — complice anche l’isolamento geografico della città , raggiungibile soltanto via area e fluviale — e i medici non hanno potuto far altro che consigliare, a chi poteva, di curarsi a casa, tentando di acquistare delle bombole individualmente.
Un lockdown stabilito il 26 dicembre dal governatore dello Stato di Amazonas Wilson Lima è durato un giorno soltanto, per le proteste di commercianti e dei parlamentari bolsonaristi.
A metà gennaio la situazione è diventata drammatica: solo allora il governo — che ha poi ammesso di essere stato avvertito almeno con una settimana di anticipo delle scorte in esaurimento — ha inviato dell’ossigeno attraverso l’aeronautica militare, ma fondamentali sono stati le donazioni individuali e quella del Venezuela (136 mila metri cubi). Nel frattempo il ministro della salute, il generale Eduardo Pazuello — ufficialmente indagato per non essere intervenuto in tempo — si è trasferito a Manaus, dove nel solo mese di gennaio il numero di morti ha superato quello di tutto il 2020.
Il timore che la variante, rilevata anche a San Paolo, possa arrivare in Italia, ha spinto il nostro paese a chiudere i voli da e per il Brasile almeno fino al prossimo 16 febbraio.
A complicare la situazione a Manaus sono state anche le irregolarità nella campagna vaccinale: di 60mila dosi si sono perse le tracce, mentre, come in altri stati, ci sono state denunce di persone (i cosiddetti “fura-filas”) che hanno ricevuto la prima dose pur non facendo parte del personale sanitario o di categorie a rischio. Per questo le vaccinazioni erano state momentaneamente interrotte.
Il problema è però a monte: il piano vaccinale “è stato lanciato tardi, solo dopo che la Corte suprema ha obbligato il governo federale a pubblicarlo, ed è affetto da problemi e lacune strutturali, ad esempio rispetto agli aspetti logistici e temporali”, spiega all’Huffington Post Matheus Falà§à£o, ricercatore associato al Centro di studio e ricerca in diritto sanitario (CEPEDISA) dell’Università di San Paolo. “È poco dettagliato anche rispetto alla strategia per la produzione e l’acquisto dei vaccini”, prosegue. Al momento quelli disponibili sono due: il CoronaVac (prodotto dall’Istituto Butantan, legato allo stato di San Paolo, ma sviluppato dall’azienda cinese SinoVac) e quello di AstraZeneca (prodotto da un laboratorio federale legato all’Istituto Fiocruz). Entrambi dipendono però dall’importazione di materie prime da India e Cina, il che rallenta il ritmo dei rifornimenti.
Sui due vaccini c’è stato un aspro scontro tra il governatore dello stato di San Paolo Joà£o Doria e Bolsonaro: il primo ha cercato di rendere disponibile il prima possibile il CoronaVac, mentre il secondo — nonostante il noto negazionismo (si pensi al Covid definito un’“influenzetta”, all’Italia “dove si muore perchè sono tutti anziani”, o semplicemente ai bagni di folla e al rifiuto di indossare la mascherina) — aveva stretto un accordo per la distribuzione del vaccino di AstraZeneca, minimizzando le possibilità di Doria di riuscire nell’impresa (come poi effettivamente avvenuto) e dichiarando che non ne avrebbe permesso l’uso (cosa che poi non ha fatto).
Il contrasto tra il governo federale e quelli statali ha caratterizzato in realtà la pandemia fin dall’inizio: secondo la Costituzione e la legislazione sanitaria, l’erogazione dei servizi del sistema sanitario nazionale (SUS), dipende dai municipi e dagli stati, “mentre all’Unione federale spettano il coordinamento generale delle politiche e il finanziamento e la risposta alle minacce di portata nazionale”, spiega ancora Falà§à£o. Sarebbe dunque toccato a quest’ultima il compito di affrontare l’emergenza Covid in maniera complessiva e uniforme: in realtà però la negligenza mostrata e le evidenti omissioni (nella distribuzione di farmaci e delle attrezzature, nel monitoraggio dei contagi, nel finanziamento agli enti locali), insieme alla propaganda negazionista (in particolare con l’insistenza nel raccomandare l’uso di idroclorochina, clorochina e altri farmaci la cui efficacia contro il SARS-Cov-2 non è supportata scientificamente) hanno indebolito l’azione degli stati più rigorosi — come appunto quello di San Paolo —, che hanno adottato misure più severe di isolamento e chiusura delle attività .
Le accuse mosse al governo Bolsonaro vengono sia dall’estero — Human Rights Watch ha denunciato l’uso di una vecchia legge del tempo della dittatura per mettere sotto indagine chi critica la gestione della pandemia, mentre il centro studi australiano Lowy Institute ha assegnato al Brasile l’ultimo posto della sua classifica mondiale relativa alla gestione della pandemia — che, ovviamente, dall’interno: le più recenti sono quelle dell’Ordine federale degli avvocati, che ha denunciato Bolsonaro alla Corte interamericana dei diritti umani, e quella contenuta nel recente bollettino del già citato CEPEDISA (Università di S. Paolo): dalla mappatura delle leggi e dei provvedimenti del governo e delle dichiarazioni di Bolsonaro, emerge “la relazione diretta fra gli atti normativi federali, l’ostruzione costante delle iniziative degli enti locali e la propaganda contro la salute pubblica del governo”. Il presidente si sarebbe dunque “impegnato in maniera molto efficiente nella propagazione del virus, con l’obiettivo di far tornare l’economia alla normalità il più presto possibile e a qualsiasi costo”.
La tesi, sostenuta nei fatti dallo stesso Bolsonaro, della precedenza data alle ragioni dell’economia su quelle sanitarie, è piuttosto fragile: secondo il popolare giornalista e scrittore Juremir Machado da Silva, “Bolsonaro non pensa all’economia: è impulsivo. Ha seguito Trump e il suo oscurantismo. Nulla, salvo la sua irrazionalità , spiega il suo modo di agire. Non viviamo tempi normali in Brasile. La relazione del presidente con i media mostra che abbiamo oltrepassato la frontiera della libertà di critica. Le tentazioni autoritarie di Bolsonaro confermano, ogni giorno che passa, la mancanza di qualsiasi decoro”.
Anche per Celso Campilongo, professore della Facoltà di diritto dell’Università di San Paolo, da un lato la propagazione del virus rappresenta un chiaro ostacolo alla ripresa economica, con “il governo che si mostra mediocre su entrambi i fronti”, e dall’altro tale mediocrità è evidente anche in altri ambiti. Se infatti il governo internamente mette in atto una strategia che mira ad accentuare le divisioni nella società , a depotenziare i servizi pubblici e gli interessi collettivi, a un retrocesso nelle battaglie di civiltà , “sul piano internazionale il danno d’immagine al paese è enorme: lo si vede nella mancanza di interesse per la cura delle relazioni internazionali, con gli attacchi ai partner commerciali e con la scarsa considerazione dell’ambiente e delle risorse naturali”.
Per spiegare il comportamento di Bolsonaro e del suo governo bisogna allora cercare di capire cosa sia effettivamente il “bolsonarismo”, e come esso si distingua da altre forme di populismo. Nonostante le somiglianze con Trump — di cui Bolsonaro si è sempre dimostrato un ammiratore —, “come la politica plebiscitaria anti-istituzionale che alimenta il confronto continuo con gli altri poteri, con la stampa, con le èlite culturali e con il mondo scientifico”, spiega il sociologo dell’Università statale Norte Fluminense Darcy Ribeiro (UENF) Roberto Dutra, la principale differenza riguarda l’appoggio politico di cui Bolsonaro gode: “è un “bonapartista” puro sangue, attualmente senza partito”, che si sostiene invece su alleanze momentanee e su un’organizzazione informale dei settori militari di basso livello, che però controllano la diffusione delle armi sul territorio, consentendogli di rappresentare una minaccia concreta nei confronti delle norme elettorali e democratiche”.
Il bolsonarismo dunque “non ha alla base un qualunque progetto di paese e società fondato su determinati valori, ma si caratterizza per una “guerra culturale” che consiste nel tentativo incessante di definire l’altro, l’opposizione, come un male da estirpare moralmente e/o fisicamente”, prosegue Dutra. È una guerra tanto contro i nemici politici “demonizzati e creati dal bolsonarismo stesso” (e allora si capiscono ad esempio gli attacchi e la derisione nei confronti delle minoranze e degli omosessuali, non riducibili al maschilismo e al machismo manifestati a più riprese), quanto “contro le altre istituzioni della Repubblica e gli assetti politico-istituzionali approntati dalla costituzione del 1988: libertà di stampa, diritto all’istruzione, università pubbliche, cultura” (si pensi ai tentativi di imporre il proprio controllo sulla Polizia federale e al presunto piano per destituire la Corte suprema ricorrendo all’esercito).
In questo modo, il bolsonarismo mantiene saldi consenso e potere, “nonostante tale strategia renda impossibile la costruzione di una qualsiasi agenda politica minimamente razionale dal punto di vista tecnico, che consenta di raggiungere quei risultati che gli permetterebbero un consenso popolare ancora maggiore”.
Un consenso che proprio nelle ultime settimane sta calando, probabilmente anche per la fine annunciata dell’ausilio emergenziale di 600 reias (circa 100 euro) garantito alle fasce più deboli durante la pandemia. Tuttavia occorre fare attenzione: “il clima di caos e disperazione non pregiudica il bolsonarismo, ma invece facilita la creazione di capri espiatori per spiegare e giustificare i problemi sociali ed economici che il governo non è in grado di risolvere”.
La tesi della “guerra culturale” è condivisa anche dal professor Campilongo: “compiacere le “milizie digitali” che appoggiano Bolsonaro nelle reti sociali è un altro fattore che spiega, almeno in parte, la condotta del governo”. Egli può infatti contare sul sostegno da un lato di un “blocco di centro-destra (il “Centrà£o”) — tradizionalmente noto per episodi di corruzione e sottrazione indebita di risorse del bilancio pubblico — sui militari di riserva, su settori conservatori del mondo culturale, sui media radicali”, e dall’altro “sul risentimento sociale — che lui sa sfruttare benissimo — di piccoli imprenditori, forze dell’ordine, giovani disoccupati, camionisti, di coloro che non ne possono più della corruzione o che mal sopportano la democrazia stessa”.
“Il bolsonarismo”, spiega ancora Dutra, “ha reso evidente il fallimento della Costituzione, con le sue promesse normative non supportate da un’architettura istituzionale capace di realizzarle. Se c’è qualcosa di positivo nel bolsonarismo, è proprio il fatto di accelerare la morte di una Costituzione che non riesce a tenere insieme cittadinanza, sviluppo e sovranità nazionale”. Ci sarebbe bisogno più che mai allora della capacità di osare politicamente, ovvero “quel che di più manca alle nostre classi dirigenti”.
C’è da chiedersi allora se il Brasile disponga degli “anticorpi” necessari per contrastare tale deriva populistica, negazionista e oscurantista. “Finora”, aggiunge Campilongo, “hanno reagito bene alcune istituzioni, come la Corte suprema, ma anche i vertici militari, ed alcuni settori della società civile”, come testimoniano le proteste che si sono tenute il 31 gennaio in varie città , con la richiesta di vaccini per tutti. “La questione è quanto ciò potrà durare: i rischi di aggravamento della crisi sanitaria ed economica possono aggravare la situazione”.
Così si parla in questi giorni di un possibile impeachment: finora alla Camera sono state protocollate 62 richieste da parte di parlamentari. “Le condizioni giuridiche ci sarebbero”, continua Campilongo: come testimoniato da una lettera pubblica firmata insieme a 57 colleghi di facoltà , Bolsonaro si sarebbe reso colpevole di attentato alla Costituzione e alla salute pubblica (fra le altre cose, dichiarando in televisione che non avrebbe rispettato le decisioni della Corte suprema sulla distribuzione delle competenze nella lotta al Covid-19, e partecipando a manifestazioni “antidemocratiche”). Le condizioni politiche per l’impeachment invece ancora non sono garantite: dipendono dall’appoggio della Camera e del Senato, che hanno appena rieletto i rispettivi presidenti. Entrambi, Arthur Lira e Rodrigo Pacheco, appoggiati proprio da Bolsonaro. Così, mentre la scienza si chiede quali siano le cause specifiche dell’emergenza di Manaus, il presidente può dichiarare con tranquillità che il governo non ha il potere, e nemmeno il dovere, di fornire ossigeno allo stato di Amazonas.
(da “Huffingtonpost”)
Leave a Reply